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originale disegno donna velata_bb

 

Ernesto Solari, artista e studioso esperto di Leonardo, ha presentato ieri alla stampa le sue ultime scoperte leonardesche.

La prima opera è un curioso e anomalo disegno che Solari ritiene di poter considerare l’originale leonardesco di un’opera già conosciuta, che si conserva agli Uffizi, ed è attribuita ad un allievo. Secondo Solari questo disegno è certamente di scuola leonardesca ma, visti gli indizi emersi e i risultati degli esami effettuati, egli ritiene possa trattarsi di opera attribuibile a Leonardo e scuola.

La seconda opera è un capolavoro assoluto, la cui attribuzione a Leonardo è pressoché certa per la sua bellezza, per il fascino che sa suscitare, per l’esito coerente degli esami effettuati e per il carattere molto privato, quasi familiare, che l’opera evidenzia. Si tratta di una splendida terracotta, probabilmente la prima ed unica a poter essere attribuita al Maestro. Questa certezza deriva dagli esami effettuati, dal periodo d’esecuzione che coinciderebbe con l’età del Salaì in esso raffigurato. E’ ritrovata anche una descrizione dell’epoca di un’opera che presenterebbe le stesse caratteristiche fisionomiche ed espressive, nonché tecniche, secondo la visione piuttosto classicheggiante del “puer et senex” alla quale Leonardo era particolarmente legato. Sembra che la testa in terracotta, raffigurante un Cristo fanciullo, di cui ha fatto, in più occasioni, una precisa descrizione colui che ne era venuto in possesso, il pittore Paolo Lomazzo, possa avere avuto come modello proprio lo stesso Salaì, il figlioccio adottivo del Vinciano.

Nel corso dell’incontro Solari ha mostrato le immagini assolutamente inedite delle due opere.

L’artista ha presentato anche i risultati dei suoi studi più recenti relativi ad opere leonardesche quali lo studio di Sant’Anna e il ritratto di Isabella d’Este ritrovato tre anni fa in Svizzera dallo stesso Solari e poi confermato dal Prof. Carlo Pedretti. Di quest’ultima opera Solari mostrerà alcuni risultati tecnico-scientifici rispondendo alle obiezioni, avanzate a suo tempo dagli studiosi Kemp e Marani, che erano state formulate sulla base degli scarsi elementi di cui erano venuti in possesso.

L’incontro di oggi è l’ultimo di una serie di appuntamenti con l’artista che hanno accompagnato la mostra antologica di Solari “Il Viaggio dell’Anima” in corso al Palazzo del Broletto di Como: l’esposizione resterà aperta al pubblico fino al 27 aprile con ingresso libero http://www.museosolari.net/ .

 

Di seguito le schede tecniche degli inediti presentati ieri e i risultati sugli studi di Sant’Anna e il ritratto di Isabella D’Este.

LATO Puer_bb


 

SINTESI DELLA TESI DI PATERNITA’ DEL DISEGNO LEONARDESCO - Ernesto Solari

BUSTO DI DONNA CON VELO – GIRATA A DESTRA

(Como, 24 aprile 2014) - - Il disegno raffigurante un busto di giovane donna con velo, girata a destra, realizzato con carbone e/o grafite su carta di cotone, incollata su un cartoncino bianco, con  misura mm 232 x 172, presenta una grande somiglianza espressiva e proporzionale col disegno degli Uffizi  realizzato con punta d’argento su carta filigranata, preparata in grigio-avorio, di mm 236x155, e girata a sinistra  (gabinetto Disegni e Stampe, n.426 E) dal quale si differenzia soltanto per alcuni piccolissimi particolari.

Questo nuovo disegno è stato eseguito da mano mancina al contrario di quello degli Uffizi.  Escluso che si possa trattare di un falso moderno, grazie agli esami effettuati, la prima ipotesi è stata una realizzazione da parte di un allievo che poteva essere anch’egli di mano mancina o un abile imitatore del Maestro.

In ultima ipotesi si è pensato potesse trattarsi dell’originale eseguito dallo stesso Leonardo.

Le indagini effettuate su ciascuna di queste ipotesi hanno portato a trovare risposte concrete e comunque plausibili con alcune apparenze non trascurabili quali, in primis, lo status di grande conservazione del foglio in oggetto che aveva fatto pensare alla prima idea di falso. L’esame al Radio Carbonio 14 ha escluso che il foglio fosse moderno, anzi ha confermato la contemporaneità rinascimentale dello stesso col suo probabile autore. Si tratta quindi di un foglio appartenente ad un periodo vicino al 1500.

Chi poteva essere l’allievo in questione?

Secondo il Prof. Pedretti, interpellato da Solari, potrebbe trattarsi di Francesco Melzi o Salaì poiché entrambi, sapevano usare la mano sinistra (Salaì, in particolare, che conosceva bene Leonardo, aveva più volte cercato di imitarlo utilizzando gli stessi suoi strumenti e copiandone lo stile).

Riguardo all’identità della donna ritratta, sono emerse interessanti ipotesi: Isabella d’Aragona, Bianca Sforza, lo stesso Salai o sua madre Caterina Scotti.

In conclusione, dall’esito di tutti gli esami effettuati non sembrava potesse arrivare un contributo determinante per una possibile attribuzione, ma da un esame più approfondito della relazione tecnica sono emersi alcuni particolari interessanti che a prima vista erano passati inosservati: la presenza inusuale sulla superficie del disegno di elementi quali il Ferro (Fe), il Rame (Cu), il Manganese (Mn) e il Potassio (K) che sono stati considerati dai tecnici del laboratorio diagnostico come impurezze dei composti cellulosici del supporto, secondo Solari sono invece da considerarsi come tracce dei pigmenti utilizzati da Leonardo nei suoi dipinti; questi erano sicuramente presenti e diffusi nel suo studio/bottega al punto da contaminare tutto l’ambiente o le cose presenti, tele, carte e quant’altro. Questi pigmenti si depositarono sul nostro disegno come le polveri o i pollini si depositano sulle stoffe che sono utilizzate in un ambiente dove questi proliferano. E’ stato lo stesso Prof.Pedretti a confermarrmi che gli stessi pigmenti sono stati ritrovati su diversi disegni di Leonardo a Windsor.

La presenza di questi pigmenti sulla superficie del disegno e una probabile firma “DaVinci” sopra l’occhio sinistro, sono da considerarsi elementi utili per determinare l’autenticità prima e la paternità poi di questo disegno; esso appartiene certamente alla scuola leonardesca, se non proprio di mano del Maestro, in particolare all’abilità dell’allievo Salaì, di recente alquanto rivalutata.

 

 

TESTA IN TERRACOTTA DI FINE 1400 DI SCUOLA TOSCANA – Ernesto Solari

(Como, 24 aprile 2014) - - La scultura che stiamo esaminando è certamente opera di scuola toscana di fine 1400 inizi 1500, lo confermano gli esami effettuati; potrebbe trattarsi di opera vicina allo stile del Verrocchio senza però escludere che il suo autore possa essere uno dei seguaci della sua scuola, Leonardo da Vinci o Rustici.

Leonardo da Vinci fu infatti anche scultore. Ce lo assicurano i contemporanei e diversi documenti del tempo.

Giovanni Caprotti, padre di Salaì, del quale la presente scultura è una effige, lo definisce “Pittore e scultore” nello strumento di ricevuta,  19 luglio 1501, del canone d'affìtto che  gli doveva per un pezzo di terreno fuori porta Vercellina a Milano .

Leonardo stesso si disse esperto non meno in “scoltura che in pittura et esercitando l'una e l'altra in un medesimo grado”.

La caccia a una scultura di Leonardo dura da tempo e ha visto impegnati diversi studiosi. Le fonti antiche su Leonardo scultore ricordano «teste di femmine che ridono», «teste di putti», un Bambino Gesù in creta che fu di proprietà del cardinale Federigo Borromeo, per alcuni studiosi un probabile modello per la testa di Gesù nel quadro di Sant'Anna…. ma da identificarsi, secondo altri studiosi, con «la testicciola di terra di un Cristo mentre che era fanciullo» la quale, nel Cinquecento, era presso il pittore e trattatista milanese Giovan Paolo Lomazzo.

Nell'insieme delle sculture che oggi gli esperti attribuiscono a Leonardo non ne esiste una sulla quale i massimi calibri dell'esegesi leonardesca siano concordi. Pertanto avanzare una nuova attribuzione a Leonardo scultore è un atto a dir poco di coraggio.

La conclusione prima, dalla quale non si può prescindere, è che solo un grande genio o chi per esso, guidato dalla sua profonda genialità e conoscenza, può aver modellato un’opera così bella e allo stesso tempo così intimamente espressiva e di qualità eccelsa.

Questa tesi ha cercato conferme in prove temporali e stilistiche al fine di poter dimostrare che ci troviamo sicuramente davanti ad una scultura unica il cui autore possa essere stato solo Leonardo da Vinci. E tanti sono gli elementi che portano verso il Vinciano: la particolarità degli occhi socchiusi che il Vasari definisce “guarda tura a basso”; i boccoli nei capelli che il Vasari ricorda a proposito di Salaì:”era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo begli capegli, ricci et inanellati de’ quali Lionardo si dilettò molto”.

Il LomazzoAnch' io mi trovo una testicciola di terra di un Christo, mentre ch'era fanciullo, di propria mano di Leonardo da Vinci, nel quale si vede la semplicità e purità del fanciullo accompagnato da un certo che, che dimostra sapienza, intelletto e maestà, e  l’aria che pure è di fanciullo tenero, e pare haver del vecchio savio, cosa veramente eccellente ».

Il Lomazzo, nel 1584, descrive la terracotta da lui posseduta e raffigurante proprio un Christo fanciullo che si rifà alla tipologia del puer et senex di ascendenza classica, così bene illustrata da John F. Moffit nel 1994. Martin Kemp ha fatto notare che il busto Gallandt svolge bene la funzione di rappresentare un momento emotivo che in tutta la sua intensità muta nel suo svolgersi come “moto mentale”, ma francamente non vediamo un possibile riferimento al concetto classico del Puer et senex così come è invece piuttosto evidente in questa testa che a chiunque appare come fanciullo a differenza della figura più adolescenziale del Cristo Gallandt.

La figura rappresentata potrebbe essere altresì riconducibile a quell’idea efebica e Dionisiaca che sapeva ispirare il suo giovane figlioccio Salaì così come in molti disegni del Maestro questi appare.

Questa scultura potrebbe costituire la materializzazione di una particolare sensibilità del vinciano verso quell’ambiguità che si ritrova in molte sue opere riconosciute come la Gioconda, il San Giovanni, la Sant’Anna, ecc..  Leonardo voleva che Salaì diventasse la personificazione di un ideale estetico e universale tant’è vero che più si guarda questa statua ambigua ed enigmatica più si nota che la somiglianza “sfuma” in un’astrazione classica.

Per stabilire se l’opera è realmente di Leonardo è stata sottoposta anche all’esame dei cinque requisiti suggeriti dallo studioso Edoardo Villata in un convegno sulla terracotta lombarda del rinascimento tenutosi a Pavia nel 2011. Il risultato emerso, confortato anche dalla termoluminescenza, è stato completamente positivo.

La scultura è residente in Francia.

LATO Senex_bb 

 

“LEONARDO: LA SANT’ANNA RITROVATA” – Ernesto Solari

“UN LEONARDO DI LUINI O UN LUINI DI LEONARDO?” 

(Como, 24 aprile 2014) Il prof. Ernesto Solari, studioso ed esperto di Leonardo, il 26 gennaio 2009 ha reso noto il ritrovamento di un cartone, appartenuto alla collezione del famoso storico dell’arte settecentesco Padre Luigi Lanzi, che riprende il disegno del volto della Sant’Anna del Vinciano che si trova al Museo del Louvre. Il disegno, realizzato a carbone, su tipica carta di fine 1400 e inizi 1500, utilizzata più volte da Leonardo, raggiunge una grande somiglianza espressiva col dipinto originale del Louvre, rivelando una morbidezza molto vicina alle opere del Maestro e del più valido e attivo dei suoi allievi, Bernardino Luini. Lo stesso Lanzi sembra confermare questa tesi, infatti, dalla sua monumentale pubblicazione della storia dell’arte Italiana (1796), trapela il suo grande amore per l’opera di Leonardo e di Bernardino Luini. Sappiamo d’altronde che il Luini era venuto in possesso di uno o più studi di Leonardo per la Sant’ Anna.

Sulla base di queste premesse, confortate oggi dal parere favorevole del Prof. Carlo Pedretti, che ha esaminato direttamente il disegno, e ne ha apprezzato la carta e la qualità, sono proseguiti gli studi che avevano portato Solari, in modo non conclusivo, all’attribuzione di questo studio a Bernardino Luini, considerando anche lo stato di conservazione dello stesso. Sono stati effettuati poi, su consiglio dello stesso Pedretti, dei raffronti fra questo studio e tutti quelli conosciuti e conservati all’Accademia di Venezia, a Windsor e al Louvre. Ne è emerso che il disegno di Venezia, relativo allo studio della Sant’Anna, potrebbe essere stato ripreso dal nostro disegno grazie allo spolvero. Questi studi potevano provenire entrambi dalla Accademia di Leonardo prima di essere poi acquisiti dal Luini (nel 1520), in alternativa, il cartone in oggetto, dopo essere stato portato in Francia dal Maestro, venne copiato da Cesare da Sesto, o da altro allievo, dopo che Luini lo aveva acquistato.

E’ fuori di dubbio che Luini utilizzò tale disegno per lo spolvero di alcune immagini similari, si tratta in particolare di alcune Madonne ma anche di alcune figure presenti negli affreschi di Saronno. L’esecuzione dello spolvero, che poteva essere effettuato più volte e da più allievi che poi completavano e personalizzavano il soggetto con la propria tecnica e abilità, ha certamente modificato leggermente in superficie il nostro disegno, che non ha quindi lo status iniziale risultando lievemente impastato: ciò rende difficile se non impossibile individuarne eventuali segni caratterizzanti la manualità del suo autore. E’ impossibile stabilire in effetti se è stato realizzato da un mancino come Leonardo, cosa che invece nel disegno di Venezia sembra proprio da escludere. Il disegno di Venezia, che era stato precedentemente attribuito al Luini come una scritta posta in alto a sinistra detta, viene oggi accostato ad altro allievo, forse Cesare da Sesto, molto più ammanierato e lezioso rispetto allo stile del maestro Leonardo. La scritta potrebbe altresì confermarne l’appartenenza, in quanto proprietà, al Luini e quindi la provenienza dalla scuola del Leonardo.

In conclusione la cosa certa è che, rispetto allo studio di Windsor, la vera Sant’Anna di Leonardo va ricercata fra questi due studi che sono molto più vicini all’originale, il dipinto che è conservato al Louvre.  E’ su tali basi che sono proseguite le indagini e i confronti fra i reperti e alla luce dei nuovi risultati ottenuti ci sembra sempre più probabile un’attribuzione diretta a Leonardo del nostro disegno. La ricerca a nostro avviso non ha ancora svelato tutto e soprattutto non ha ancora contribuito a negare una possibile paternità diretta al Maestro Leonardo.

Che si tratti comunque di uno studio di Leonardo lasciato agli allievi per utilizzarlo come spolvero e poi acquisito dal Luini, o di una copia del Luini stesso fatto sulla base di un’originale oggi disperso, questo disegno, oggi ritrovato, è senz’altro un documento importante legato a Leonardo, al suo stile inconfondibile e ad uno dei suoi più grandi e significativi capolavori.

IL 4 OTTOBRE 2013 E’ TRAPELATA LA NOTIZIA DEL RITROVAMENTO, AVVENUTO DUE ANNI PRIMA DA PARTE DI ERNESTO SOLARI,  DEL RITRATTO DI ISABELLA  D’ESTE CONSIDERATO AUTENTICO DAL PROF. CARLO PEDRETTI  (Ernesto Solari)

 

Si tratta di un dipinto ad olio su tela di canapa di cm 57 x 44 raffigurante la Duchessa Isabella d’Este nei panni di Santa Caterina d’Alessandria.  Il dipinto si trova tuttora in Svizzera. La tela, che è stata sottoposta a numerosi esami di laboratorio, è risultata solo parzialmente attribuibile a Leonardo. L’opera infatti è stata trasformata in Santa Caterina da pittori della bottega leonardesca.

In seguito ad una fuga di notizie il Corriere della sera ha potuto pubblicare la foto del dipinto e qualche informazione sul ritrovamento: tanti studiosi e giornalisti si sono lanciati in una sorta di tiro al piccione scagliandosi, senza ragione, contro tale attribuzione.

Se la sono presa,  in certi casi  in modo quasi offensivo, col Prof. Pedretti, che ha “osato” ritenersi d’accordo con l’attribuzione parziale del dipinto auspicando ulteriori indagini e studi, e col sottoscritto, pur non  avendo mai visto l’opera in oggetto dal vero né  aver  preso visione degli studi effettuati da ben tre  laboratori diagnostici se non in piccolissima parte; e in alcuni casi si sono limitati ad un’osservazione della brutta foto diffusa dai giornali che non consentiva alcun tipo di lettura seria.

Sarebbe stato più giusto e professionale ammettere l’impossibilità di esprimere un giudizio, sulla base di questa brutta fotografia.

Da un esame del dipinto e dei risultati diagnostici emergono una serie di risposte alle obiezioni, spesso gratuite, avanzate.

- Sotto il dipinto, molto rimaneggiato, si cela una verità ben diversa e più vicina alle conclusioni a cui sono pervenuti Solari e Pedretti, gli unici ad aver visionato e studiato il dipinto e gli esami effettuati.

-  Importante è la valutazione del radiocarbonio14 il cui risultato è simile a quello della Bella Principessa attribuita a Leonardo da Kemp e che consentirebbe quindi una datazione più o meno parallela dei due dipinti.

- Sotto la superficie dipinta, attraverso la riflettografia ad infrarosso, è leggibile la presenza del libro come nell’originale del Louvre (che Kemp afferma di non esserci).

- Le dimensioni del disegno del Louvre e di questo dipinto sono simili così come simili alla tecnica di Leonardo sono sia le imprimiture che i pigmenti ritrovati ( in base a quanto scritto dallo stesso Leonardo nel suo trattato, in particolare quando il Vinciano parla della pittura su tela).

E qui è nato il grande equivoco, poiché fino ad oggi gli studiosi hanno sempre esaminato o parlato di dipinti su tavola e su muro, mai è stata presa in considerazione la tela per opere leonardesche. E sempre a proposito della tela in questione, non deve stupire se la stessa non è stata preparata con una base bianca poichè è lo stesso Leonardo a scrivere nel suo trattato della pittura, a proposito delle imprimiture delle tele, che devono essere colorate.

- Sovrapponendo i cinque cartoni derivati, compreso il sesto del Louvre, a questo dipinto, è emerso  l’opposto di quanto ha affermato il Prof. Marani sulle pagine del settimanale Sette, e cioè che il naso del dipinto è l’unico ad avvicinarsi a quello del Louvre, gli altri sono tutti molto più corti ad eccezione di quello di Oxford che è però più rifilato.

- Altro fattore emerso dalla sovrapposizione è che ci sono, nel dipinto, alcuni cambiamenti dovuti a dei correttivi estetici che un qualsiasi copiatore non avrebbe avuto alcun motivo di apportare; mentre Leonardo sì, perchè la committente Isabella, essendo donna di grande carattere, avrebbe certamente fatto notare a Leonardo alcune caratteristiche fisionomiche portate all’eccesso. Si tratta di una correzione del volume della testa, della spalla destra troppo prominente nel cartone del Louvre, del naso troppo gobboso e di un doppio mento che nel dipinto sono stati rifilati seppur lievemente. Lo stesso Marani afferma che nel cartone del Louvre c’è una sproporzione fra il braccio e le spalle, mentre non può negare che nel dipinto le spalle vengono ristrette eliminando almeno in parte tale sproporzione che nel cartone di Oxford invece è eliminata completamente.

- Deve essere chiaro altresì che sia Solari che Pedretti hanno sempre ritenuto leonardesco solo il volto e un abbozzo generale sottostante la realizzazione posticcia.

- E, a proposito della pellicola pittorica del volto, il Prof. Marani ha scritto testualmente che in esso prevale l’uso del bianco mentre la stratigrafia afferma proprio il contrario, cito testualmente: “in piccola percentuale, bianco di piombo.

- Ma torniamo al Prof. Kemp: quando egli parla, a proposito del nostro dipinto, di “tela granulosa” è completamente fuori strada, infatti si tratta di una tela finissima e fragilissima; cosi come è fuori strada quando accenna ad un divario da quelle nozioni che Leonardo esprime nel realizzare i contorni, la luce e l’ombra: infatti nella relazione si sottolinea che proprio il trattamento della luce e dell’ombra nel volto di Isabella sembra anticipare la realizzazione del San Giovanni Battista e della Gioconda.

- Altra affermazione superficiale è quella in cui si dice che il profilo è copiato dal cartone del Louvre ignorando le reali diversità (ovviamente emerse da esami non in loro possesso) o i miglioramenti estetici che un normale copiatore avrebbe ignorato o comunque non avrebbe avuto motivo di effettuare. Si tratta di miglioramenti estetici o di veri e propri pentimenti?

- Kemp sbaglia ancora quando afferma che il viso di Isabella è rivolto verso il nulla, ignorando così la nobiltà di questa donna che era stata, al pari di Lorenzo il Magnifico, una grande mecenate e che aveva suggerito a Leonardo, proprio per differenziarsi dalla Gallerani, quella posa di profilo voluto e preteso dal rango nobiliare.

- L’ultima osservazione che sembra doveroso fare al Prof. Kemp: parlando della Bella Principessa afferma che, che essendo realizzata su pergamena, si può parlare di ricerca sperimentale del Vinciano; questa stessa idea di sperimentazione non viene accettata per un dipinto su tela, anzi lo studioso continua a ribadire che Leonardo non ha mai utilizzato la tela come supporto pittorico. Non si dovrebbero utilizzare due pesi e due misure di giudizio.

 

La rassegna alle Scuderie del Quirinale, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, da Roma Capitale ‐ Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica e organizzata  dall’Azienda  Speciale  Palaexpo  in  coproduzione  con MondoMostre,  è  la  prima retrospettiva in Italia dell’artista messicana e presenterà oltre 160 opere tra dipinti e disegni. Il progetto è a cura di Helga Prignitz‐Poda, autrice del catalogo ragionato dellʹartista. L’esposizione documenta lʹintera carriera artistica di Frida Kahlo riunendo i capolavori assoluti dei principali nuclei collezionistici, raccolte pubbliche e private, provenienti da Messico, Europa e Stati Uniti. La realizzazione della mostra è stata possibile grazie al contributo di Enel in qualità di main sponsor e grazie al sostegno di Gioco del Lotto‐Lottomatica, di Electa, di BioNike e di Etro.   Un ringraziamento speciale è rivolto alle istituzioni promotrici messicane che con il loro generoso e decisivo sostegno hanno reso possibile la realizzazione dell’impresa: Embajada de México en Italia; Agencia Mexicana de Cooperaciòn internacional para el Desarrollo de la Secretarìa de Relaciones exteriores (AMEXCID/SRE);  Consejo  Nacional  para  la  Cultura  y  las  Artes (CONACULTA); Instituto  Nacional  de  Bellas  Artes  (INBA);  Gobierno del  Estado  de  Tlaxcala   Instituto  Cultural Tlaxcalteca Museo de Arte de Tlaxcala;  Banamex. Banco Nacional de México.  L’esposizione alle Scuderie del Quirinale rientra in un progetto congiunto che Roma e  Genova presentano  con  due  grandi  mostre  dedicate  all’opera dell’artista  messicana  Frida  Kahlo.  “Frida Kahlo  e  Diego Rivera”  a  Palazzo  Ducale  di  Genova  dal  20  settembre, racconterà  l’altra  grande influenza che si percepisce nell’arte di Frida, quella che viene dal suo universo privato, al centro del quale lei metterà sempre il marito Diego.  Oltre quaranta straordinari ritratti e autoritratti, tra cui il celeberrimo ʺAutoritratto con collana di spineʺ del ʹ40, mai esposto prima d’ora in Italia e immagine della mostra, l’”Autoritratto con vestito di velluto” del ’26, dipinto a soli 19 anni, il suo primo autoritratto, eseguito per l’amato Alejandro Gòmez Arias con l’intenzione di riconquistarlo, in cui lei si ispira a Botticelli e al Bronzino con l’intenzione di fare del suo autoritratto un’icona moderna, intrisa di glamour e di erotismo.
Completa il progetto, una selezione di disegni, tra cui lo “schizzo a matita per il dipinto Ospedale Henry  Ford  (o  Il  letto  volante)” del  ‘32,  il  famoso  “corsetto  in  gesso”  che  teneva  Frida prigioniera subito dopo l’incidente e che dipinse ancor prima di passare ai ritratti – un pezzo unico che si credeva perduto fino a poco tempo fa,  e infine alcuni eccezionali ritratti fotografici dellʹartista, in particolare quelli realizzati da Nickolas Muray, per dieci anni amante di Frida, e tra questi “Frida sulla panchina Bianca, New York, 1939” diventato poi una famosa copertina della rivista Vogue.   Non si può comprendere l’opera di Frida Kahlo senza conoscere la sua vita. Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón diceva di essere nata nel 1910, mentre in realtà era nata il 6 luglio 1907 a Coyoacán (Città del Messico). Amava considerarsi figlia della rivoluzione messicana che iniziò nel 1910  e  terminò  nel  1917:  “Sono  nata con  una  rivoluzione.  Diciamolo.  E’  in  quel  fuoco  che  sono nata, portata dall’impeto della rivolta fino al momento di vedere giorno. Il giorno era cocente. Mi ha infiammato per il resto della mia vita. Sono nata nel 1910. Era estate. Di lì a poco Emiliano Zapata, el Gran Insurrecto, avrebbe sollevato il sud. Ho avuto questa fortuna: il 1910 è la mia data”.  Non vi è dubbio che il mito formatosi attorno alla figura e allʹopera di Frida Kahlo (1907‐1954) abbia  ormai assunto  una  dimensione  globale:  icona  indiscussa  della  cultura messicana novecentesca,  venerata  anticipatrice  del  movimento femminista,  marchio  di  culto  del merchandising universale,
seducente soggetto del cinema hollywoodiano, prima donna ispanica ritratta  su  un  francobollo  degli  Stati  Uniti,  Frida  Kahlo  si offre  alla  cultura  contemporanea attraverso un inestricabile legame arte‐vita tra i più affascinanti nella storia del XX secolo.   I suoi dipinti non sono soltanto lo specchio della sua vicenda biografica, segnata dalle ingiurie fisiche e psichiche subite nel terribile incidente in cui fu coinvolta allʹetà di 17 anni. La sua arte si fonde con la storia e lo spirito del mondo a lei contemporaneo, riflettendo le trasformazioni sociali e culturali che portarono alla Rivoluzione messicana e che ad essa seguirono. Attraverso lo spirito rivoluzionario  reinterpretò  il  passato  indigeno  e  le  tradizioni folkloriche,  codici  identitari generatori di unʹinedita fusione tra lʹespressione del sé, il linguaggio, lʹimmaginario, i colori e i simboli della cultura popolare messicana. Allo stesso tempo Frida è espressione dellʹavanguardia artistica e dellʹesuberanza culturale del suo tempo e lo studio della sua opera permette di capire l’intreccio di tutti i movimenti culturali internazionali che attraversarono il Messico in quel tempo: dal Pauperismo rivoluzionario allo Stridentismo, dal Surrealismo a quello che decenni più tardi prese il nome di Realismo magico.   In  mostra  è  possibile  scoprire l’intreccio  con  i  diversi  movimenti  attraverso  l’accostamento di alcuni quadri di Frida ad opere di artisti come Gino Severini, tra
gli autori del manifesto futurista, Carlo Mense, tra gli esponenti della Nuova Oggettività, Roland Penrose, surrealista britannico dal quale Frida prende le mosse per il suo Autoritratto con collana di spine, e Giorgio De Chirico la cui arte e poetica metafisica era ben nota a Frida Kahlo.  Nellʹaprile 1938 André Breton, teorico del Surrealismo, giunse in Messico con la moglie Jacqueline Lamba  e  fu ospite  nella  casa  studio  di  Rivera.  Nel  frattempo  Frida  aveva offerto  ospitalità  a Coyoacán  al  rivoluzionario  russo  Lev Trotsky  e  a  sua  moglie  Natalia,  in  fuga  da  Stalin,  cui  il Messico  aveva  dato  asilo  grazie  all’intervento  di  Rivera. Proprio  a  Città  del  Messico  Trotsky, Breton e Rivera scrissero il Manifesto per unʹarte rivoluzionaria indipendente, in  cui rivendicavano l’assoluta libertà del pensiero artistico.
Breton riconobbe nei quadri di Frida Kahlo una forma peculiare di surrealismo tipica del carattere messicano e firmò la Prefazione al catalogo della mostra di Frida che si tenne a New York quello stesso anno. Quest’ultima fu molto vicina al movimento surrealista, ai suoi protagonisti, alle loro concezioni  dellʹarte.  Nel  1944  scrisse: ʺIl  surrealismo  è  la  magica  sorpresa  di  trovare  un  leone  in un armadio dove si è certi di trovare delle camicieʺ, immagine che ben rappresenta la sua idea del gioco intellettuale surrealista.  Frida dipinse una serie di alcuni piccoli autoritratti, in cui rivolgeva i propri desideri verso un mondo trascendente, raffigurandoli nello stile degli ex voto tradizionali. Tali immagini vanno lette non solo come recupero di una forma di arte popolare, ma anche come veri e propri desideri tesi a precorrere il destino. Questo slancio verso un mondo trascendentale rivela nell’artista un ampio spettro di speranze e desideri surreali.   Il  tema  principale  rimane  quello dellʹautorappresentazione,  che  Frida  elabora  attraverso  i linguaggi protagonisti delle varie epoche in un processo in cui dimentica ogni paternità. Il peso numerico che il genere ʺautoritrattoʺ assume nella produzione complessiva dellʹartista restituisce  lo  specialissimo  significato  che  esso  ha rappresentato  nella  trasmissione  dei  valori  iconografici, psicologici e culturali propri del ʺmito Fridaʺ.   Il  percorso espositivo  intende  presentare  e  approfondire  la  produzione artistica  di  Frida  Kahlo nella sua evoluzione, dagli esordi ancora debitori della Nuova Oggettività e del Realismo magico alla riproposizione dellʹarte folklorica e ancestrale, dai riflessi del realismo americano degli anni venti e trenta alle componenti ideologico‐politiche ispirate dal muralismo messicano e di questi influssi  la  mostra  vuole  dare  conto.  Sarà  quindi  possibile ammirare  accanto  ai  lavori  di  Frida Kahlo, in un unico e raro percorso espositivo,   una  selezione  di  opere  degli  artisti attivi  in  quel  periodo  che  hanno  ʺvissutoʺ  fisicamente  e
artisticamente  vicino  a  Frida  Kahlo,  dal  marito  Diego  Rivera, presente  con  alcune  opere significative quali ad esempio: ʺRitratto di Natasha Gelmanʺ del 1943ʺ, ʺNudo (Frida Kahlo)ʺ del 1930 e ʺAutoritrattoʺ del 1948; ad una selezione di artisti attivi in quel periodo quali:  José David Alfaro Siqueiros, Maria Izquierdo, Abraham Angel e altri.  “...tengo una alegria immensa por vivir...” “...rebellion con todo lo que te encadena...”       “...yo soy la desintegración...”

Dal Diario di Frida Kahlo  :

«Sono molto preoccupata per la mia pittura. Soprattutto voglio trasformarla in qualcosa di utile per il movimento rivoluzionario comunista, dato che finora ho dipinto solo lʹespressione onesta di me stessa, ben lontana dallʹusare la mia pittura per servire il partito. Devo lottare con tutte le mie energie  affinché  quel  poco  di positivo  che  la  salute  mi  consente  di  fare  sia  nella direzione  di contribuire alla rivoluzione. La sola vera ragione per vivere».  «Pintaría el dolor, el amor y la ternura»  «Lʹangoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono nientʹaltro che un processo per esistere»  «Dovevo  avere  sei  anni,  quando  vissi  intensamente unʹimmaginaria  amicizia  con  una  bambina della mia età più o meno.

Sulla vetrata di quella che allora era la mia stanza, e che dava su Calle Allende,  su  uno  dei  primi  vetri  della  finestra  –  ci alitavo  sopra.  E  con  un  dito  disegnavo  una ʺportaʺ. Per questa ʺportaʺ uscivo nella mia immaginazione, con grande gioia e in fretta, attraverso tutto lo spazio che si vedeva, fino a raggiungere una latteria di nome ʺPinzónʺ... Attraverso la ʺOʺ di  Pinzón  entravo  e scendevo  fuori  dal  tempo  nelle  viscere  della  terra,  dove  la mia  ʺamica immaginariaʺ mi aspettava sempre»  «A che mi servono i piedi se ho ali per volare»   «Eravamo  saliti  da  poco  sullʹautobus quando  ci  fu  lo  scontro.

Prima  avevamo  preso  un  altro autobus, solo che io avevo perso un ombrellino. Scendemmo a cercarlo e fu così che salimmo su quellʹautobus che mi rovinò. Lʹincidente avvenne su un angolo, di fronte al mercato di San Juan, esattamente di fronte. Il tram procedeva con lentezza, ma il nostro autista era un ragazzo giovane, molto nervoso. Il tram, nella curva, trascinò lʹautobus contro il muro»  «Ero una ragazzina intelligente ma poco pratica, malgrado la libertà che avevo conquistato. Forse per questo non valutai bene la situazione né intuii il genere di ferite che avevo. La prima cosa a cui pensai  fu  un  giocattolo  dai  bei  colori  che  avevo  comprato quel  giorno  e  che  portavo  con  me. Volevo cercarlo, come se quel che era successo non avesse conseguenze assai più gravi»   «Non è vero che ci si rende conto dellʹurto, non è vero che si piange. Io non versai una lacrima. Lʹurto ci spinse in avanti e il corrimano mi trafisse come la spada trafigge un toro. Un uomo si accorse che avevo una tremenda emorragia, mi sollevò e mi depose su un tavolo da biliardo finché la croce rossa non venne a prendermi»   «Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego»   «Che farei io senza l’assurdo» «Io ti consegno il mio universo»   «Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io.
Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e
dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te».  «La  vita  scorre  e  apre  sentieri  che  non  si
percorrono  invano.

Ma  nessuno  può  trattenersi, liberamente a giocare su quel sentiero, perché ritarda o devia il viaggio atomico e generale»   «La que se pario a si misma»  «La rivoluzione è lʹarmonia della forma e del colore e tutto esiste, e si muove, sotto una sola legge: la vita » «Nessuno è separato da nessuno. Nessuno lotta per se stesso. Tutto è uno. Lʹangoscia e il dolore, il piacere  e  la  morte  non  sono nientʹaltro  che  un  processo  per  esistere.  La  lotta rivoluzionaria  in questo processo è una porta aperta allʹintelligenza»  «Yo soy la desintegración»  «Spero che lʹuscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più»   «La Antigua Ocultadora» Dalle lettere a Leo Eloesser  «Bellezza e bruttezza sono un miraggio perché gli altri finiscono per vedere la nostra interiorità»  «Ho provato ad affogare i miei dolori, ma hanno imparato a nuotare»   «Il dolore non è parte della vita, può diventare la vita stessa»   «La vita insiste per essere mia amica e il destino mio nemico»  Lettere, interviste, confessioni  «Non  sono  malata.  Sono  rotta.  Ma  sono felice,  fintanto  che  potrò  dipingere» ‐  Time Magazine, ʺAutobiografia messicanaʺ (27 aprile 1953)  «Dipingo per me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio» ‐ Antonio Rodríguez, ʺUna pittrice straodinaria,ʺ Así
(17 marzo 1945)  «Pensavano che anchʹio fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni»
‐ Time Magazine, ʺ Autobiografia messicana ʺ (27 aprile 1953) «Perché studi così tanto? Quale segreto vai cercando? La vita te lo rivelerà presto. Io so già tutto, senza  leggere  o  scrivere.

Poco  tempo  fa,  forse  solo  qualche  giorno  fa,  ero  una  ragazza che camminava in un mondo di colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva;  immaginare  la  sua natura  era  per  me  un  gioco.  Se  tu  sapessi  comʹè  terribile raggiungere tutta la conoscenza allʹimprovviso – come se un lampo illuminasse la terra! Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio. È come se avessi imparato tutto in una volta, in pochi  secondi.  Le  mie  amiche,  le  mie  compagne  si  sono  fatte donne  lentamente.  Io  sono diventata vecchia in pochi istanti e ora tutto è insipido e piatto. So che dietro non cʹè niente; se ci fosse qualcosa lo vedrei... »

‐ Lettera ad Alejandro Gomez Arias ‐ Settembre 1926  «Ho bevuto perché volevo annegare i miei dolori, ma ora queste cose dannate hanno imparato a nuotare.»

‐ Lettera a Ella Wolfe,   «La sua presunta mitomania è in relazione diretta con la sua enorme fantasia. Vale a dire, lui è tanto  bugiardo quanto  i  poeti  o  i  bambini  che  non  sono  ancora  stati trasformati  in  idioti  dalla scuola o dalle madri. Gli ho sentito dire tutti i tipi di bugie: dalla più innocente, alle storie più complicate su persone che con la sua immaginazione combinava in situazioni o azioni fantastiche, sempre con un grande senso dellʹumorismo e un meraviglioso senso critico, ma non gli ho mai.
sentito dire una sola bugia stupida o banale. Mentendo, o mentre gioca a mentire, egli smaschera molte  persone,  impara  il  meccanismo
interno  degli  altri,  che  sono  molto  più  ingenuamente bugiardi di lui, e la cosa più curiosa circa le presunte bugie di Diego, è che
nel lungo o nel breve, coloro  che  sono  coinvolti  nella combinazione  immaginaria  si  arrabbiano  non  a  causa  della
menzogna, ma a causa della verità contenuta nella menzogna, che viene sempre a galla» ‐ Su Diego Rivera, in ʺRitratto di Diegoʺ (22 Gennaio
1949) ‐

È un progetto che dialoga in armonia con il luogo che lo ospita, quello che l'artista Marco Petrus ha pensato per la Triennale di Milano dal 30 aprile al 2 giugno 2014: trenta dipinti sulle possibili geografie architettoniche della "città ideale" esposti in quello che è considerato il tempio dell'architettura.

La mostra dal titolo Atlas ripercorre tipologie, particolarità, scorci, simbologie e caratteristiche dello spazio urbano costruito via via da Petrus nel corso della sua indagine geografico-simbolica attraverso le diverse città del mondo, formando così un "atlante urbano" immateriale e idealmente diffuso, quasi una moderna Enciclopédie métropolitaine.

Insieme alle grandi metropoli del mondo, non mancheranno le immagini di Milano, visto il suo forte legame  con il capoluogo lombardo, città in cui abita e da dove è partito il suo percorso artistico. E' grazie, infatti, all'architettura milanese modernista, che ha trovato la soluzione per costruire, quadro dopo quadro, il suo linguaggio: una poetica della modernità in chiave contemporanea.

Da più di vent'anni, Petrus lavora sulla rielaborazione delle architetture cittadine, con una fortissima stilizzazione di elementi che tende a volte, nell'estrema ricerca di sintesi di linee e toni cromatici (tra cieli piatti e volutamente monocromi che incombono su una realtà depurata dal caos quotidiano), a sfiorare l'astrazione.

Col tempo, il suo lavoro si è sempre più schematizzato dal punto di vista compositivo e si è  "raffreddato", in un processo di graduale e progressiva sottrazione di elementi realistici o narrativi, in favore di una sempre maggiore geometria compositiva e strutturale.

Attraverso i suoi quadri prende forma un originale affresco dell'architettura moderna e contemporanea, riletta attraverso una particolare e riconoscibilissima cifra stilistica.

L'utopistico progetto di "Atlante urbano" di Marco Petrus trova così, nella mostra "Atlas", una sua dimensione fisica, materiale e fortemente simbolica.

La mostra, organizzata da Italiana in collaborazione con la Fondazione Triennale di Milano, è corredata da un catalogo, edito da Johan & Levi, con testi di Michele Bonuomo e Federico Bucci.

Marco Petrus (Rimini 1960), dal 2000 ha esposto a Santa Fe, a Milano, Mosca, Venezia, New York, Londra, Roma alternando a importanti gallerie internazionali prestigiosi spazi pubblici (lo Shanghai Art Museum, il Taipei Fine Arts Museum, Palazzo Reale a Milano o il Complesso del Vittoriano a Roma), continuando a concentrarsi, oltre che sul paesaggio urbano italiano, sui palazzi di Londra, Marsiglia, su quelli di New York, o di Shanghai, o delle altre grandi capitali europee ed extraeuropee.

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