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Oggi a conclusione del G7, i riflettori si sposteranno su Mosca, dove Tillerson incontrerà il collega Serghiei Lavrov ma non il presidente Putin. Il colloquio si annuncia complicato. Gli americani sono molto critici verso i russi per l'accanimento con cui difendono Assad. Allo stesso tempo, l'attacco americano ad una base militare siriana come rappresaglia alla strage di Idlib, ha irrigidito i russi. Per il Cremlino, ripetere "come un mantra" Assad se ne deve andare non aiuta il processo di pace e "non c'è alternativa" ai negoziati di Ginevra, anche se sarà un "percorso lungo", ha spiegato il portavoce di Putin Dmitri Peskov. La pressione sul rais, comunque, non sembra sortire particolari effetti. Secondo fonti concordanti sul terreno, il regime avrebbe dato il via a nuovi intensi bombardamenti in zone controllate dai ribelli a Damasco, Daraa, Hama, Idlib. Anche con armi non convenzionali, come le bombe a grappolo e bombe incendiarie al napalm

Le potenze occidentali sono alla ricerca di una posizione comune sulla Siria dopo l'attacco chimico a Idlib, su cui c'è l'ombra del presidente Bashar al Assad. Che nel frattempo, però, ha ripreso i raid sui ribelli, secondo gli attivisti anche con bombe a grappolo e napalm. Nell'ultima settimana, la crisi ha avuto un'escalation dopo la strage di civili, tra cui tanti bambini, avvelenati dal sarin e dal cloro nella provincia di Idlib, in una zona controllata dai ribelli, a cui gli Stati Uniti hanno risposto con un attacco missilistico su postazioni governative. 

La palla, adesso, è tornata alla diplomazia, con ministri degli Esteri del G7 riuniti a Lucca. La posizione più dura è apparsa quella del britannico Boris Johnson, che ha evocato la possibilità di nuove sanzioni contro militari siriani e russi ed ha chiesto a Mosca, principale sponsor del regime, di "scegliere se continuare a stare al fianco di Assad oppure con il resto del mondo". Il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha avvertito che il suo Paese "risponde a quanti creano danni agli innocenti in qualunque parte del mondo": una dichiarazione fatta a Sant'Anna di Stazzema per ricordare un eccidio nazifascista della seconda guerra mondiale, ma che oggi sembra avere come destinatario proprio l'uomo forte di Damasco. 

Sul cambio di regime, la posizione degli Stati Uniti è meno netta rispetto a quella dei britannici, e lo stesso Tillerson ha ricordato che la priorità resta quella di sconfiggere l'Isis. L'Italia condivide questa linea più prudente e orientata alla ripresa del dialogo tra le parti. Angelino Alfano, in qualità di presidente del G7 Esteri, ha convocato una riunione straordinaria sulla Siria, domani a Lucca, per tentare di riannodare i fili del negoziato e scongiurare un'escalation militare. Meeting allargato ai partner regionali (Turchia, Emirati, Giordania, Arabia Saudita, Qatar). Lo stesso Alfano oggi ha parlato al telefono con il collega iraniano Zarif, auspicando che Teheran convinca ad Assad a risparmiare i civili.

Questa e la scheda compilata dal ansa aggiornata con il dossier Siria : 

Centinaia di migliaia di morti, meta' della popolazione sfollata o rifugiata all'estero, oltre 13 milioni di persone in stato di necessita', speranza di vita ridotta di 15 anni per gli uomini e 10 anni per le donne. Sono queste alcune delle cifre che rendono le dimensioni della tragedia della guerra civile in Siria, iniziata nel marzo di sei anni fa.
Da anni ormai l'Onu ha smesso di fornire bilanci ufficiali. Le stime, a seconda delle fonti, variano da 300.000 fino a oltre 400.000.

Su una popolazione che prima della guerra era di 22 milioni, gli sfollati all'interno del Paese sono oggi 6,5 milioni. Quasi 5 milioni sono rifugiati all'estero, per la maggior parte in Turchia, Libano e Giordania e, in misura minore, in Iraq ed Egitto.

Secondo l'Onu oltre la meta' degli ospedali e dei centri sanitari sono stati chiusi o funzionano solo parzialmente e i due terzi del personale sanitario ha lasciato il Paese. Circa 11,5 milioni di persone (il 40 per cento bambini) non hanno accesso a cure adeguate. Tra di loro vi sono 300.000 donne incinte.
Un milione di persone vivono in citta' e aree assediate dalle varie parti in conflitto e non possono ricevere regolarmente aiuti umanitari.

Secondo dati Unicef, 2,8 milioni di minori vivono in aree difficili da raggiungere, di cui 280.000 in aree assediate. Molti continuano ad essere reclutati per azioni di combattimento. Sei milioni dipendono dall'assistenza umanitaria.
Oltre 2,3 milioni sono rifugiati in altri Paesi. Molti di loro non possono frequentare la scuola, cosi' come 1,7 milioni in Siria. Molti sono costretti a lavorare per contribuire al sostentamento delle famiglie e le bambine e adolescenti sono spesso obbligate a contrarre matrimoni precoci.

L'attacco chimico che si è verificato lo scorso 4 aprile nella provincia di Idlib, con oltre 80 morti, è soltanto l'ultimo di una serie che hanno reso ancora più atroce il conflitto. Il più grave si è verificato il 21 agosto 2013 in alcuni sobborghi di Damasco controllati dai ribelli, con missili che portavano gas sarin. Si stima che siano morti a centinaia.Il regime di Assad ha sempre smentito l'utilizzo di tali armi 

Gli Usa ritengono che la Russia sapesse in anticipo del raid con armi chimiche in Siria la scorsa settimana, stando ad una fonte ufficiale americana - citata dall'Associated Press - che attribuisce la circostanza ad un drone che si sospetta fosse operato da Mosca e che sorvolo' un ospedale dove venivano trasportate le vittime dell'attacco. Qualche ora dopo un jet di costruzione russa bombardo' lo stesso ospedale. Una circostanza questa che fa dedurre che la Russia sapesse, stando alla stessa fonte.

Intanto la Corea del Nord attacca gli Usa e promette dure contromisure alle ''azioni offensive'': l'invio della portaerei Usa Carl Vinson, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri ripreso dalla Kcna, conferma che le ''spericolate mosse americane per invadere la Corea del Nord hanno toccato una fase seria dei suoi scenari. Se gli Usa osano optare per una azione militare, come un 'attacco preventivo' e la 'rimozione del quartier generale', la Corea del Nord e' pronta a reagire a ogni tipo di guerra desiderato dagli Usa''.

Una forte esplosione è avvenuta stamattina fa a Diyarbakir, 'capitale' curda nel sud-est della Turchia. Lo riferiscono media locali. Sul posto sono giunti diversi mezzi di polizia e ambulanze. Al momento le cause dell'esplosione, udita in diverse zone della città, non sono chiare. Dal luogo dello scoppio si è alzata una fitta colonna di fumo.

Secondo le prime ricostruzioni, la forte esplosione a Diyarbakir è avvenuta nei pressi di una stazione di polizia che ospita le unità antisommossa, nel quartiere di Baglar, intorno alle 10.45 locali (le 9.45 in Italia). Lo scoppio avrebbe causato danni a diversi edifici e veicoli parcheggiati nella zona.

L'esplosione ha provocato almeno 4 feriti, di cui uno sarebbe in gravi condizioni. Lo riporta la tv privata Ntv.

Il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, secondo prassi obbligatoria, ha presentato al Presidente degli Stati Uniti il ventaglio di tutte le opzioni disponibili (blue sky options) per rispondere al programma nucleare della Corea del Nord. Si guarda con apprensione a sabato prossimo 15 aprile, compleanno di Kim Il-sung, fondatore dello Stato. Il Nord ha condotto test nucleari nel 2006, 2009 e nel 2013. Il quarto test nucleare si è svolto nel gennaio dello scorso anno, due giorni prima il compleanno di Kim. Il quinto test è avvenuto lo scorso settembre, a margine delle manifestazioni per il 68° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea e pochi giorni dopo il vertice economico del G-20 in Cina. I satelliti confermano che i lavori preparatori sul sito di Punggye-ri, si sono conclusi da settimane. Nello specifico, sono stati ultimati gli interventi nel terzo tunnel, North Portal, della struttura di prova, ad oggi non ancora utilizzato. Il North Portal dovrebbe trovarsi ad una profondità di 550 metri. Il sito di Punggye-ri è distante 116 chilometri dal vulcano sul Monte Baekdu. Una maggiore profondità potrebbe comportare un aumento dell’apporto di uranio o diverse detonazioni. Questa che leggete qui e un analisi alle opzioni militari contro la Corea del Nord fatta dagli esperti e riportata dal quotidiano Italiano "il Giornale" che non garantirebbero la vittoria assoluta, per questo la pista diplomatica resta l' opzione migliore....ma vediamo l analisi :

Al Presidente degli Stati Uniti è concessa la facoltà di tramutare un conflitto convenzionale in nucleare. Le opzioni nucleari contro la Corea del Nord esistono da tempo. Sarebbero necessari meno della metà dei missili Trident II della linea leggera da attacco, testate W76/Mk4A da 100 Kt trasportati da un solo sottomarino Ohio, per cambiare per sempre il destino della Corea del Nord e del mondo. Nessuno sa quello che accadrà una volta avviati i lanci, mentre ancora più pericolose potrebbero essere le implicazioni sulla stabilità strategica mondiale. Escludendo l’opzione nucleare ed una inimmaginabile invasione terrestre il fanatismo dei militari del Nord andrebbe considerato alla stregua delle forze giapponesi in patria durante la seconda guerra mondiale, ogni tipo di azione militare fisica o virtuale innescherebbe una violenta rappresaglia su Seul, con granate probabilmente chimiche da artiglieria utilizzate nel targeting indiscriminato della capitale e dei suoi sobborghi.

La Casa Bianca potrebbe ordinare una guerra informatica ed elettronica totale, ma senza alcun tipo di garanzia. La tecnologia left of launch è efficace se indirizzata contro obiettivi identificati, come il worm Stuxnet in Iran. Gli obiettivi della Corea del Nord sono molteplici e schierati su lanciatori mobili. In un approccio dove il tempismo è fondamentale, gli hacker del Pentagono e dell’unita Spartan 3000 della Corea del Sud, dovrebbero disabilitare in remoto i sistemi missilistici, provocando il fallimento del test. Tuttavia, in un contesto operativo, anche se tutti gli attacchi informatici riuscissero a disabilitare i missili schierati in posizione di lancio, sarebbe impossibile hackerare i sistemi nascosti nei bunker sotterranei del paese. Ecco perché la Corea continua a sviluppare un Icbm mobile che, potenzialmente, sarebbe in grado di minacciare gli obiettivi in tutto il mondo.

La forza stimata per un attacco preventivo contro Pyongyang sarebbe di dieci bombardieri strategici B-2 equipaggiati con asset GBU-31 e GBU-57 e 24 F-22 che decollerebbero dagli aeroporti in Giappone e Corea del Sud. Non meno di 500 Tomahawk verrebbero lanciati a ondate da diverse piattaforme, compresi almeno due sottomarini classe Ohio riconvertiti in ruolo SSGN. Tale forza è ritenuta in grado di danneggiare gravemente tutte le infrastrutture connesse con il programma nucleare della Corea del Nord, così come tutte le armi stoccate nei siti corazzati e le principali strutture comando dell’esercito. La distruzione delle infrastrutture nucleari della Corea del Nord, potrebbe non essere sufficiente per annullare la ritorsione. Pertanto, anche se gli Stati Uniti possono essere ragionevolmente certi di arrestare un duro colpo all'infrastruttura nucleare nella prima ondata, sarebbe necessario un grado di cognizione assoluta per annullare ogni tipo di ritorsione.

Le opzioni militari contro la Corea del Nord non garantirebbero la vittoria assoluta. La pista diplomatica resta l’opzione migliore. Ed il ruolo della Cina sarà determinante. L'88% di tutte le importazioni della Corea del Nord provengono dalla Cina. Le esportazioni sono all’86%. Pechino ha un ruolo fondamentale nel garantire il rispetto delle sanzioni delle Nazioni Unite come, ad esempio, per la fornitura di carbone. I tentativi di instaurare rapporti economici e politici con la Russia non hanno avuto esito positivo.

La famiglia Kim chiede il rispetto internazionale e cerca, soprattutto, di sopravvivere. Il rispetto internazionale si basa sul riconoscimento a potenza nucleare così da reimpostare le relazioni con i diretti antagonisti come la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Il graduale aumento della pressione militare sul regime nordcoreano per ottenere un risultato politico, nella speranza che non precipiti in un conflitto reale, è un elemento debole e pericoloso per la politica degli Stati Uniti. In assenza di una nuova iniziativa diplomatica, la situazione di per se instabile nella penisola coreana, continuerà a peggiorare.

Un attacco preventivo convenzionale contro la Corea del Nord ridurrebbe certamente le capacità militare del paese, ma non escluderebbe la ritorsione contro Seul. Tuttavia, qualsiasi decisione sarà affidata all’infallibilità e capacità di discernimento concessa al Presidente degli Stati Uniti.

Il pattugliamento del Gruppo da Battaglia della portaerei Carl Vinson davanti le coste della penisola coreana è senza dubbio una prova di forza e dimostrazione politica nei confronti di Pyongyang, certamente non un asset in grado di decapitare la forza militare del regime. Da premettere che l’opzione migliore per fermare il programma missilistico e nucleare della Corea del Nord, è quella diplomatica per i motivi che andremo a spiegare.

La possibilità di reintrodurre armi nucleari tattiche in Corea del Sud, ritirate più di 25 anni fa, sarebbe altamente provocatoria. Se Trump decidesse in tal senso, la base aerea di Osan, a meno di 50 miglia a sud della capitale Seoul, sarebbe la prima struttura estera ad ospitare asset nucleari dalla fine della guerra fredda. Altamente provocatoria, potrebbe soltanto esacerbare i già precari rapporti con Pyongyang, considerando altamente remota la possibilità di un attacco nucleare preventivo ed esporre la Corea del Sud nel quadro regionale. Nelle ore scorse, è stata avanzata l’ipotesi di schierare bombardieri strategici B-2/B-52 permanentemente a Guam con regolari pattugliamenti in Corea del Sud.

Eliminare Kim Jong-un, l’intera linea decisionale e le figure connesse con il programma missilistico e nucleare della Corea del Nord. E’ una delle peggiori opzioni poiché si tratta di decapitare un regime. A gestire tali operazioni sarebbe la CIA. Teoricamente parlando e qui ci basiamo solo sulle definizioni, la decapitazione è una strategia allettante quando vi sono figure imprevedibili e pericolose come quella di Kim Jong-un. Tuttavia decapitare la linea politica di un regime comporta delle soluzioni politiche immediate. La Cina avrebbe già espresso parere contrario a tali operazioni di assassinio. Pechino teme una crisi umanitaria a ridosso dei suoi confini qualora cadesse il regime.

Reparti speciali Usa e della Corea del Sud dietro supervisione CIA, si infiltrerebbero nel Nord per sabotare le strutture chiave e la rete viaria primaria per bloccare il movimento dei lanciatori. Tuttavia, quando si considerano azione del genere, è importante riconoscere le variabili e le lacune di intelligence che complicano inevitabilmente il processo decisionale politico e militare. Gli Stati Uniti ignorano l’esatta ubicazione degli oltre duecento lanciatori, molti dei quali nascosti in bunker corazzati a profondità ignote e la reale ramificazione del programma nucleare della Corea del Nord. La distruzione delle infrastrutture nucleari note della Corea del Nord, non sarebbero sufficienti per annullare la ritorsione. Senza considerare, infine, che la cattura di uno o più operatore dei reparti speciali Usa provocherebbe inimmaginabili conseguenze psicologiche in patria. Quello avvenuto con l’Iran dovrebbe far riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

E' Akbarzhon Jalilov, 22 anni, russo di origini kirghise l'autore dell'attentato nella metro di San Pietroburgo. Il suo Dna è stato trovato sulla borsa in cui era contenuto l'ordigno rinvenuto nella stazione di Ploshchad Vosstania, quello che non è esploso. Secondo gli investigatori russi, Jalilov è l'unico autore dell'attentato. Intanto, sono state riaperte le stazioni della metro chiuse ancora oggi per un allarme bomba. Il secondo ordigno, a quanto si è appreso, doveva essere attivato da un cellulare. Circostanza che porta gli inquirenti a 'non escludere' che pure la bomba esplosa sul vagone della metro sia stata innescata a distanza da complici dell'attentatore suicida.

La pista è quella della jihad, la guerra santa dettata dal Corano. I servizi segreti di Mosca sapevano della preparazione di attentati terroristici  : erano stati avvertiti da un russo che collaborava con l'Isis ed era detenuto dopo il suo ritorno dalla Siria. Secondo il servizio di sicurezza russo Fsb sono almeno settemila i cittadini provenienti dalle diverse Repubbliche dell'ex-Urss, dei quali 2.900 russi, ad aver raggiunto come foreign fighters le fila dello Stato islamico.

La cronaca : e stato un attentato terrificante che ha sconvolto San Pietroburgo, l'antica capitale degli zar e città natale di Vladimir Putin, proprio nel giorno in cui il presidente russo era in zona per l'incontro con il collega bielorusso Alexander Lukashenko. Un vagone della linea blu del metrò è stato sventrato da un'esplosione mentre correva fra le stazioni Tekhnologicheskiy Institut e Sennaya Ploshchad causando 14 morti, come è stato confermato dal Ministero della Salute. A compiere l'attentato sarebbe stato un kamikaze russo di origine kirghisa.Un secondo ordigno, mascherato da estintore, è stato rinvenuto in una terza stazione, la Ploshchad Vosstaniya, ed è stato disinnescato dagli artificieri: si trattava di una bomba ben più potente - un chilo di tritolo - di quella usata nel vagone della metropolitana ma di fattura simile, ovvero zeppa di "corpi lesivi" (biglie e chiodi mozzati) utilizzati per massimizzare l'impatto mortifero.

E il ministero della Sanità ha ufficializzato il bilancio della strage: 14 morti. Ieri in serata Putin è andato a deporre fiori sul luogo dell'attacco.Trump lo ha chiamato esprimendogli le sue condoglianze; i due intendono combattere insieme il terrorismo, afferma il Cremlino. Il Consiglio di sicurezza Onu parla di "vile terrorismo". Da oggi tre giorni di lutto cittadino a San Pietroburgo.

Dopo che ieri notte i media russi hanno riferito che si traterebbe di un attacco suicida sferrato da un giovane proveniente dall'Asia centrale Anuar Zhainakov, il capo del servizio stampa del ministero degli Esteri kazako, aveva infatti invitato alla calma. Le foto diffuse, che indicano il ragazzo come originario dell'Asia Centrale, lo mostrano con gli occhiali, una giacca marrone con il cappuccio e un cappello blu. In spalla, lo zainetto che avrebbe contenuto l'ordigno rudimentale, poi esploso nel terzo vagone tra la metro "Tekhnologhichesky Institut" e "Sennaya Ploshchady". il giovane prima di infilarsi nel vagone e compiere l' attenatato avrebbe lasciato l'ordigno poi trovato inesploso alla stazione di "Ploshchad Vosstaniya". La sua follia jihadista lascia a terra quattordici morti e quarantacinque feriti.

L'antiterrorismo russa starebbe seguendo la pista di un kamikaze membro di un'organizzazione terroristica islamista messa al bando nel Paese. "Il kamikaze - sostiene una fonte dei servizi di sicurezza - avrebbe celato l'ordigno in uno zaino". Il tutto "sulla base dei resti ritrovati che fanno propendere per un'esplosione causata da un attentatore suicida - ha aggiunto la fonte dietro condizione di anonimato - ma la certezza potrà solo venire dopo l'esame del dna". Ieri alle 21.06 (ora locale) al Consolato generale kazako di San Pietroburgo è arrivata la chiamata di Irina Arishev da Almaty che ha riferito che, dopo l'attentato in metropolitana , non è riuscita più a mettersi in contatto con il figlio Maksim Arishev, studente del terzo anno di studi di economia nell'università della città sul Baltico. Oggi, poi, la smentita e la nuova pista. Adesso gli occhi sono puntati su Akbarjon Djalilov (o Akbarzhon Jalilov), nato nella città di Osh nel 1995. Il kirghiso aveva ricevuto un passaporto russo nel 2011 su richiesta del padre che in quel momento era cittadino della Federazione russa, dove lavorava da circa dieci anni.

Intanto sono state riaperte le stazioni della metropolitana di San Pietroburgo chiuse per un allarme bomba.

I servizi segreti osservavano l'attività degli estremisti coinvolti nell'attentato di San Pietroburgo e sono riusciti a prevenire il secondo attentato - quello di Ploshchad Vosstania - bloccando dopo la prima esplosione la rete di telefonia cellulare nella stazione. L'ordigno nascosto nell'estintore, infatti, "doveva essere attivato da un telefono cellulare e non da un meccanismo a orologeria". Circostanza che porta gli inquirenti a "non escludere" che pure la bomba esplosa sul vagone della metro possa essere stata innescata "a distanza" dai complici dell'attentatore, che forse "controllavano i suoi movimenti".
I servizi, riporta il quotidiano Kommersant Kommersant, tenevano d'occhio "da tempo" la cellula ma avevano individuato con certezza solo un elemento di "basso rango" dell'organizzazione, di cittadinanza russa, fermato dopo il suo rientro dalla Sir

Il Comitato Investigativo russo ieri ha confermato di aver lanciato un'indagine per "terrorismo" ma ha sottolineato che ogni altra ipotesi verrà analizzata. Le piste privilegiate, ad ogni modo, sono quella "estremista", dunque di matrice islamica, e quella "nazionalista". La polizia, sulle prime, aveva detto di essere sulle tracce di due attentatori ma in serata - stando a quanto riporta Interfax - gli inquirenti si sono convinti che ad agire sia stato un solo uomo. Ovvero il kamikaze, che prima avrebbe lasciato l'ordigno-estintore alla Ploshchad Vosstaniya e poi sarebbe salito sul treno, dove si è fatto esplodere. 

Il kamikaze della metropolitana di San Pietroburgo sarebbe un cittadino russo di origine kirghisa, secondo l'intelligence del Kirghizistan. Il comitato di stato kirghiso per la sicurezza nazionale ha reso noto che l'autore dell'attentato è di nazionalità russa e di origine kirghisa, secondo la Ap. L'agenzia di intelligence ha precisato che sta cooperando nelle indagini con le autorità russe. Secondo la stampa britannica, che cita sempre i servizi di sicurezza kirghisi (Gknb), l'attentatore si chiamerebbe Akbarzhon Jalilov, è nato a Osh e ha 22 anni (e' nato nel 1995).

Intanto sono 20 i bambini morti nei raid compiuti ieri su Khan Shaykhun: lo ha reso noto l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) rivedendo così al rialzo il bilancio di 11 bimbi deceduti comunicato nelle ore successive alla strage. Tra le 72 vittime, ha aggiunto l'organizzazione che ha sede nel Regno Unito, ci sono anche 17 donne.

Mosca ha definito "provocatorie" le accuse di alcune nazioni occidentali secondo cui il governo siriano ha usato armi chimiche nella provincia di Idlib e ha definito come "inaccettabile" la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu proposta da Francia, Stati Uniti e Regno Unito. Così una fonte del ministero degli Esteri russo a Interfax. "Tutta questa situazione non è altro che una provocazione", ha detto la fonte aggiungendo che "la bozza di risoluzione suggerita dai tre paesi non è accettabile così com'è". 

"La Russia e le sue forze armate continuano l'operazione per sostenere la campagna antiterroristica per la liberazione del Paese svolta dalle forze armate della Repubblica araba siriana", ha detto il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, rispondendo a un giornalista che gli chiedeva se Mosca continuerà a sostenere il regime di Damasco dopo il presunto attacco chimico in Siria centrale di cui viene accusata l'aviazione siriana.

 

 

Gli Stati Uniti hanno lanciato nella notte un attacco, con 59 missili Tomahawk  partiti da navi Usa nel Mediterraneo, contro la base militare siriana di Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sarebbero partiti i raid con armi chimiche del 4 aprile scorso sulla zona di Idlib, che hanno causato la morte di almeno 86 persone tra cui 30 bambini. Durissima la reazione della Russia. Mentre il presidente siriano Bashar al Assad va all'attacco bollando il comportamento degli Usa come "spericolato e irresponsabile". 

A sostegno dell'azione americana, si schierano anche i nemici storici del regime di Assad. Da Israele all'Arabia Saudita, alla Turchia. Ankara auspica che il lavoro venga "completato" e invoca la rimozione di Assad "il prima possibile". Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, prevede "nuove ondate di migranti" in fuga dalla Siria e chiede una "safe zone". Intanto è salito a 15 il numero dei morti nell'attacco: 6 soldati della base e 9 civili, tra cui quattro bambini, secondo un bilancio fornito dall'agenzia ufficiale siriana Sana. I missili avrebbero colpito anche case attorno alla base. Mosca non registra invece vittime russe. Sempre secondo la Russia infine, i miliziani antigovernativi hanno lanciato un vasto attacco contro le truppe siriane dopo il raid missilistico degli Usa

Ieri in serata il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha riferito che al presidente Trump sono state presentate "molte opzioni" sulla Siria. Spicer non è entrato nel dettaglio delle opzioni. Poi il segretario di Stato americano Rex Tillerson ha rincarato: "Non ci sono dubbi" sul fatto che il regime di Assad e' responsabile per l'attacco chimico di Idlib. Tillerson ha sottolineato come l'attacco richiede una "risposta seria". "Sono in corso sforzi da parte della coalizione internazionale per rimuovere dal potere Bashar al Assad". "Ritengo importante che Mosca consideri attentamente il suo sostegno al regime", ha aggiunto il capo della diplomazia Usa.

In una nota il Pentagono ha definito la risposta americana "proporzionata" rispetto all’odiosa azione di Assad contro la propria gente. Il raid è scattato quando in Siria erano le 4.40 del mattino. "Dalle prime indicazioni - si legge nella nota - emerge che è stato severamente danneggiato o distrutto un aereo nonché infrastrutture ed equipaggiamenti di supporto". Secondo i media siriani le vittime del raid sono 15, di cui nove civili.

Donald Trump, dunque, ha voluto lanciare un avvertimento : "Questa notte chiedo a tutte le nazioni civilizzate di unirsi a noi per far cessare questo bagno di sangue e questi massacri in Siria e per porre fine al terrorismo di ogni tipo". Parlando ai giornalisti dal suo resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove stava ricevendo il presidente cinese Xi Jinping, Trump ha detto che il governo siriano "ha ignorato le sollecitazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite". "È di vitale interesse per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti prevenire e scoraggiare la diffusione e l'uso di armi chimiche letali".

"La Siria e i suoi alleati risponderanno in maniera appropriata a quest'aggressione",  ha detto oggi Buthayna Shaaban, consigliere politico del presidente siriano Bashar al Assad, commentando l'attacco americano compiuto nella notte contro una base militare governativa nella Siria centrale. Intervistata dalla tv panaraba al Mayadin, vicina all'Iran, Shaaban ha assicurato che "il coordinamento tra Damasco e suoi alleati (la Russia e l'Iran) continua".

Il presidente Vladimir Putin ha accusato Washington di aver compiuto "un'aggressione contro uno Stato sovrano", che comprometterà le relazioni tra Usa e Russia. Mosca ha annunciato che rafforzerà le difese aeree di Damasco per proteggere le infrastrutture e ha sospeso l'intesa con gli Stati Uniti che garantisce la sicurezza dei voli durante le operazioni in Siria. Secondo il ministero della Difesa tuttavia, "solo 23" dei 59 missili hanno raggiunto la base di Shayrat, mentre gli altri 36 sarebbero caduti in un luogo "sconosciuto".

La Russia, che conferma di essere stata avvisata prima del raid, ritiene inoltre che l'attacco chimico sia stato solo "un pretesto" per l'operazione americana decisa in precedenza, e chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

"L'azione di questa notte come noto si è sviluppata nella base aerea da cui erano partiti gli attacchi con uso di armi chimiche nei giorni scorsi. Contro un crimine di guerra il cui responsabile è il regime di Assad". Lo dichiara il premier Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Il premier ha puntualizzato che "gli Stati Uniti hanno definito la loro azione come puntuale e limitata e non come una tappa di una escalation militare".

Chi fa uso di armi chimiche non può contare su attenuanti e mistificazioni", ha detto ancora Gentiloni. "Credo che le immagini di sofferenza che abbiamo dovuto vedere nei giorni scorsi in seguito all'uso delle armi chimiche non possiamo pensare di rivederle".

"L'Italia è sempre stata convinta che una soluzione duratura per la Siria vada cercata nel negoziato. Era e resta la nostra posizione. Il negoziato deve comprendere tanto le forze di opposizione quanto il regime, sotto l'egida delle nazioni unite con ruolo decisivo e costruttivo della Russia". "C'è l'impegno comune perché l'Europa contribuisca alla ripresa dei negoziati in Siria". "Sono convinto che l'azione di questa notte non ostacoli ma acceleri la chance per il negoziato politico". "Con il presidente francese Hollande e la cancelliera Merkel abbiamo preso il comune impegno perché l'Europa contribuisca alla ripresa dei negoziati in Siria".

Intanto momenti di terrore in Svezia: a Stoccolma un camion è finito contro la folla in pieno centro. Ci sarebbero alcuni feriti. L'episodio è avvenuto in una delle principali strade commerciali di Stoccolma, secondo quanto riferisce la polizia citata dai media locali.

"Ci sono norme e vincoli europei che non dobbiamo dare per intoccabili, c'è un margine di negoziato. Certamente da qui all'autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta e potrà produrre risultati, sapendo che da un lato dobbiamo mantenere gli equilibri, dall'altro dobbiamo ottenere una cornice europea più realistica". Lo dice il premier Paolo Gentiloni incontrando le Regioni a Palazzo Chigi.

"Abbiamo bisogno nei prossimi mesi di una interlocuzione tra Governo e Regioni per affrontare nel modo migliore possibile le scadenze che avremo. Oggi è il primo incontro, per ragionare insieme su priorità e metodo". Lo dice, a quanto si apprende, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, nell'incontro in corso a Palazzo Chigi con i presidenti delle Regioni. Al tavolo sono presenti, a quanto si apprende, Stefano Bonaccini, Michele Emiliano, Roberto Maroni, Giovanni Toti, Catiuscia Marini, Sergio Chiamparino, Luca Zaia, Debora Serracchiani, Vincenzo De Luca, Luciano D'Alfonso, Enrico Rossi, Pierluigi Marquis.

"Entro una quindicina di giorni avremo la presentazione del Def in Parlamento, poi a settembre la nota di aggiornamento in vista della Legge di Bilancio. Tra le priorità c'è l'interesse comune a salvaguardare e a rafforzare l'impegno su lavoro, infrastrutture e investimenti". "Dobbiamo mettere in campo - ha evidenziato - un quadro di politiche economiche che ci consenta di mantenere gli equilibri di bilancio e razionalizzazione della spesa e accompagni e sostenga la crescita, che per quanto limitata inizia a manifestarsi".

Poi il premier ha chiesto "un quadro di politiche economiche che ci consenta di mantenere gli equilibri di bilancio e di razionalizzazione della spesa, e contemporaneamente accompagni e sostenga la crescita, che per quanto limitata inizia a manifestarsi"

Intanto Bruxelles alza i toni di quella che sarà una vera e propria contesa. Non è andata giù infatti al già giustiziere del Referendum greco, la scelta britannica di assecondare la votazione popolare dello scorso giugno 2016. “Juncker puts price on Brexit” “Juncker fissa il prezzo del Brexit”, titolava Bloomberg qualche giorno fa. La cifra che Westminster deve sborsare, stabilita unilateralmente da Bruxelles, si aggirerebbe intorno ai 62 miliardi di dollari.

L’Hard Brexit è tutta vincolata alla “modica” cifra di 62 miliardi di dollari. L’inasprimento della trattativa è stato scelto in maniera “scientifica” da parte di Juncker, che insiste nel dire che “non voglio che altri prendano la stessa strada della Gran Bretagna”. Dichiarazioni rilasciate sabato, durante i festeggiamenti per l’anniversario dei trattati di Roma, che danno un forte segnale alle velleità euroscettiche francesi e tedesche. Il messaggio è chiaro. Se volete lasciare l’Unione la tassa sarà salatissima. Juncker sa bene quanto i cittadini siano sensibili rispetto a eventuali tasse da pagare e cerca così di “spostare” gli equilibri delle prossime votazioni verso scelte più “euro-friendly”

Non sarà dunque un nodo facile da sciogliere, quello riguardo alla cifra da pagare. All’accettazione di questa Bruxelles ha infatti vincolato l’inizio di qualsiasi accordo parallelo con Londra. “No negotiation without notification” è lo slogan usato da Bruxelles per soffiare un po' di pressione sul Governo May. 

Un’infelice scimmiottatura del ben più nobile “no taxation without representation”. Lo slogan urlato dai coloni americani contro un’autorità che voleva tassarli senza garantire uno spazio di discussione democratica. Proprio ciò che fa oggi la stessa Unione europea. Così Londra “without representation” a Bruxelles si trova ora a dover accettare il pagamento di una cifra esorbitante per sottoscrivere accordi cui non può rinunciare. Come tutto ciò che concerne la gestione di cittadini britannici risiedenti nei 27 Stati dell’Unione. Così come la volontà di uscire dalla giurisdizione della Corte europea e dall’area commerciale dell’Unione.

Ma Juncker rassicura alla BBC che non si tratta di “una punizione”, ma “l’Unione europea deve usare un deterrente per evitare che altri Stati seguano l’esempio britannico”. Una tassazione repressiva dunque, che trova ragione soltanto nella paura di Juncker e dei tecnocrati di Bruxelles. Un meccanismo che ricorda un po’ quello posto in atto dal Congresso di Vienna per evitare le insurrezioni nazionali. Se allora vennero usati i cannoni della Santa Alleanza, oggi si usano le tasse. I 62 miliardi di dollari richiesti da Bruxelles alla Gran Bretagna sono stati definiti  “assurdi” da Liam Fox, Ministro del Governo May. In effetti finora Londra non ha avuto voce in capitolo sul calcolo fatto in maniera “scientifica” (così ha detto Juncker) per i costi d’uscita della Gran Bretagna.

 

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