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Sono in compagnia di Maria Cristina Fioretti che ringrazio infinitamente per l’intervista concessa in esclusiva a Il Corriere del Sud, nella quale parleremo della sua carriera dei suoi sogni  della sua magnifica carriera fatta di Teatro, Televisione, Fiction, Cinema.. e pubblicità.

Lei elegantissima come sempre e molto più bella del solito, ci siamo incontrati nel mio ufficio dell’Associazione Stampa Estera di Roma.

Maria Cristina hai un curriculum rilevante come hai iniziato la tua carriera?

«Tanti anni fa mi sono diplomata alla scuola del teatro la Scaletta, avevo preso questa decisione anche se mia madre contrastava questa mia decisione per tanti anni di essere un attrice, e non ho potuto fare l accademia d’arte drammatica perché all’epoca esistevano i limiti di età».

Ma come hai iniziato la tua carriera? Leggo che hai lavorato con Mariangela Melato nella Medea di Euripide.

«Uno dei i miei primi lavori è stata una mega turné come si faceva allora di nove mesi con Mariangela Melato; sono stati nove mesi meravigliosi nei teatri più importanti d Italia, è stata un’esperienza clamorosa per me che ero all’inizio della mia carriera, un testo come quello di Euripide la tragedia Greca che ho recitato magistralmente e il coro era ridotto in tre personaggi, in tre attrici una delle quali ero io. Avevamo diviso le battute del coro per cui il ruolo era piuttosto consistente. Durante questi nove mesi c’è stato un episodio che ha segnato la mia vita, un episodio bello, perché Mariangela – una delle più grandi attrici Italiane che abbiamo avuto nel nostro teatro – mi avvicina e mi dice: Sono sicura che ci riuscirai...

Dopo questa esperienza con la Melato ho un’altra bellissima esperienza fondamentale della mia vita, ho lavorato come aiuto regista alla trasmissione televisiva di successo Samarcanda di M. Santoro, un altro pezzo da novanta ed è stata un esperienza clamorosa».


Il 26 settembre 1973 moriva a Roma, nella clinica Mater Dei, ai Parioli, Anna Magnani. La famosa Nannarella è stata sicuramente la  più grande attrice italiana. Non è un caso: fu proprio lei, la prima artista del cinema italiano, a vincere il Premio Oscar come miglior attrice protagonista, per l’interpretazione di Serafina Delle Rose, nel film La rosa tatuata. Era il 21 marzo 1956. Una simile attrice – e donna – è inimitabile. Ogni regista ci penserebbe un milione di volte, prima di andare a toccare una simile leggenda...

Però tu Maria Cristina vanti un invidiabile primato: hai interpretato per ben tre occasioni diverse, Anna Magnani.

 

«L’ho fatta al Teatro dell’Angelo e alla Sala Umberto – racconta la Fioretti – E ho interpretato proprio lei, la Magnani. L’ultima volta nella fiction Volare, con Beppe Fiorello. Lì fu un cameo, ma molto significativo».

Raccontaci queste tre occasioni che ti hanno dato l’opportunità di far rivivere Nannarella.

«La prima volta fu nel 2004. Avevo lavorato in diversi spettacoli con Antonello Avallone. Adesso lui è direttore artistico del Teatro dell’Angelo. Un giorno mi disse: “Perché non fai la Magnani? Secondo me, tu la ricordi”. “No! Ma figurati” – risposi io – “Il giorno dopo i critici mi massacrano”. “Dai, la facciamo con umiltà. Tu hai la stessa romanità”, insistette lui. Io non ci credevo. Invece, grazie a lui ho scoperto che in realtà c’era una grande vicinanza. Da quel momento ho cominciato a documentarmi. Ho letto tanto e ho visto tutti i suoi film. Quando l’ho interpretata, per la prima volta, in teatro, non solo non mi hanno ammazzato, ma sono arrivate recensioni clamorose. Io sentivo la parte che mi univa alla Magnani. L’avevo introiettata dentro di me. A detta dei critici, io non la imitavo: la facevo rivivere. La mia Magnani, sembrava davvero la Magnani. La cosa più emozionante, di quello spettacolo, era “la fioraia del Pincio”, la canzone. Non avevo idea di come farla, perché non trovammo registrazioni. Comunque, andai in sala incisione e la cantai. Quando un anno dopo sono riuscita a trovare nelle teche Rai, la registrazione della canzone cantata dalla Magnani, ho cominciato a piangere: l’avevo fatta molto, ma molto simile. Per questo anche la gente che veniva allo spettacolo mi diceva: “Mamma mia! Me l’hai fatta rivivere”».

Lo spettacolo era: Totò e Anna Magnani, al Teatro Sala Umberto, a Roma. Poi nel 2010: Io, Totò e la Magnani, al Teatro dell’Angelo. La regia sempre di Antonello Avallone. Infine, storia di oggi, la fiction andata in onda su Rai 1: Volare (Domenico Modugno).

«Esatto! Quando Riccardo Milani, il regista di Volare, cercava la Magnani, si diceva: “E adesso, chi la fa la Magnani?”. Veramente vai a toccare una leggenda. E invece, anche lui, quando ho fatto il provino, mi disse: “È incredibile! Una somiglianza. Un modo. Anche la camminata, con le gambe leggermente larghe. Ma come hai fatto a beccare la camminata?”. Io, naturalmente, non l’avevo fatto di proposito. Veramente c’è qualcosa che ci lega da dentro. In quell’occasione, con il trucco, sono riusciti a farmi molto somigliante. Narra la leggenda che Domenico Modugno, ancora non famosissimo, seduto con la sua chitarra, al suo fianco c’era la futura moglie, Franca Gandolfi, stava provando Vecchio frac, facendo ascoltare questa sua meravigliosa canzone alla fidanzata. Passa la Magnani, che era già Nannarella, e ascolta Vecchio frac: “Mamma mia – gli fa – quanto sei bravo”. Poi rivolta alla fidanzata: “Ma quello è il fidanzato tuo? Tiettelo stretto. Sai dove arriva” Lo stesso Modugno raccontò che quello fu il momento in cui ebbe la certezza che ce l’avrebbe fatta, perché una leggenda come la Magnani, l’aveva riconosciuto e consacrato».

Come è stato girare questa scena con Fiorello, che ha interpretato nella fiction, Modugno?

«Io con lui avevo già fatto Salvo D’Acquisto, per la regia di Alberto Sironi. L’abbiamo girato al Campidoglio, sotto la statua equestre di Marco Aurelio. È stato bellissimo: stavamo al centro del mondo. Sono scesa da una mercedes degli anni Cinquanta e ho fatto le mie battute. Alla fine Beppe Fiorello si è alzato, ha posato la chitarra, è venuto verso di me e mi ha abbracciata dicendomi: “Mi hai fatto venire i brividi. Sei uguale. Ma come fai?”. È stata veramente una serata magica: girarla lì, al Campidoglio; interpretare la Magnani; e avere un riconoscimento simile da un attore come Fiorello, in una fiction così importante. Una serata che porterò sempre nel mio cuore».

E dopo la leggenda Magnani, cosa riserva il futuro a Maria Cristina Fioretti?

«Nel frattempo porto avanti un capolavoro di Erri De Luca, In nome della madre…  testo di grande poesia regia coinvolgente e ogni tanto lo ripropongo in genere vicino a Natale a dicembre. L’ho fatto già diverse volte al Teatro dell’Angelo, poi al Tor Bella Monaca e al Teatro Biblioteca Quarticciolo, dove credo tornerò, sempre il prossimo anno. Poi devo firmare ma ancora non te lo posso dire perche non ho firmato ancora con una grande fiction con la Lux … ho il programma  di fare teatro un spettacolo comico che si chiama Due volte Natale una commedia dove io interpreto una cantante lirica che è un argomento che non avevo affrontato ma è un personaggio comico, questo è il mio progetto per questo inverno, ma oltre questo vorrei riprendere a scrivere; mi piace ed è un altro dono che ho. È una piantina che ho annaffiato poco la scrittura. Ho scritto delle favole d amore e con una di quelle ho vinto il primo premio Nazionale in materia. “Parole per comunicare” si chiamava il premio che ho vinto. Appunto scrivo favole d amore, favole che hanno a che fare con gli adulti e poi un altro testo comico ha vinto un premio nazionale sono arrivata seconda a questo premio a Napoli. La prossima commedia si intitola “Metti il destino a cena”; è una sorta di sliding doors. Apro e chiudo la porta e secondo quello che vedo cambia la storia di tutto il racconto...».

Ti auguro di poter essere ancora Anna Magnani. Grazie Maria Cristina per questo bellissimo incontro.

foto sito iellini

 

Maria Cristina Fioretti è nata e vive a Roma, è alta 1,65 mt. Ecco il suocurriculum:

Cinema e fiction

2012: “Volare (Domenico Modugno)” Fiction in 2 puntate in onda nel 2013 su Rai Uno. Regia Riccardo Milani. Ruolo: Anna Magnani.

2011: “Angel” Regia Maria Luisa Putti. Fotografia Blasco Giurato. (Protag) (corto)

2011:”Uno studente di nome Alessandro” Regia Enzo De Camillis. (corto) Roma Fiction Festival. Nastro d’Argento 2012. RIFF 2012.

2007: “Fidati su di me” Film Tv in 4 puntate per Rai 1. Regia Gianni Lepre.

2007: “Pinocchio” Regia Alberto Sironi. Rai 1.

2007: “Stanza 242” Regia M.Conte (corto)

2006: “Midnight ramblers” Regia F. Gibellini (corto)

2005: “La buona battaglia (Don Pappagallo).Regia di Gianfranco Albano. Rai Uno.

2002: “Unconventional Toys” di Rovere/Muccino. Cortometraggio .(Kubla Kaan)

2002: “Salvo D’Acquisto” Regia di A. Sironi. Rai

2000: “ Il furto del tesoro” con L. Zingaretti. Regia di A. Sironi. Rai Uno

1999: “Storie romane” di Carola Spadoni.

1997: “L’albero dei destini sospesi” di R. Benhadji. Prodotto da Rai Due. Mostra del Cinema di Venezia.

1992: “Touchia (Il cantico delle donne di Algeri)” di R. Benhadji.Coproduzione franco-algerina. Mostra del Cinema di Venezia 93

 

Televisione

2004: “16 ottobre 1943” di De Benedetti, in memoria della deportazione degli ebrei. Con Luca Zingaretti. RAITRE

1999: “Laboratorio cinque” Canale 5

1997: “Fantastico più” giornaliero abbinato alla lotteria Italia. RAI UNO

1994: “Avanti un altro!” Canale 5

1994: “Utile e Futile” su Rai Uno.

1 - TOSCA - scena Te Deum

Venti minuti finali di applausi hanno suggellato il successo di una messinscena tra le più originali delle ultime stagioni liriche. “La Tosca delle colonne”: si  potrebbe definire così il nuovo allestimento del capolavoro pucciniano che Enrico Castiglione, regista e scenografo di fama internazionale, ha concepito come citazione dei colonnati barocchi della Roma papalina, rivisitati e stilizzati per armonizzarsi in perfetta simbiosi con le colonne classiche del Teatro Antico di Taormina. Enrico Castiglione è fino ad oggi l’unico ad aver messo in scena sette diverse edizioni dell’opera, l’ultima delle quali ha debuttato appunto nella millenaria cavea taorminese, arricchita dagli splendi costumi d’epoca di Sonia Cammarata.

La produzione, realizzata dalla Fondazione Festival Euro Mediterraneo, sarà in scena ancora l’11 e 13 agosto per il cartellone di Taormina Arte, nell’ambito della sezione “Musica&Danza” di cui Castiglione è direttore artistico. Dal 2007 i suoi  allestimenti operistici assicurano alla Perla dello Jonio una promozione turistica e culturale senza precedenti, non solo grazie ai ripetuti sold out ma ancor più attraverso la trasmissione in mondovisione delle spettacolari messinscene.

Un successo che si è ripetuto per Tosca con applausi a scena aperta da parte di un pubblico cosmopolita, che ha assicurato il pienone ad un allestimento programmato pochi giorni dopo l’entusiastica accoglienza riservata al dittico Cavalleria rusticana e Pagliacci, sempre con la regia e le scene di Enrico Castiglione. E proprio per garantire la qualità più alta in una prospettiva di apertura internazionale, Castiglione ha invitato la Turkish National Orchestra, fondata e diretta da un maestro del calibro di Cem Mansur, il cui impegno non si limita alla sfera strettamente musicale. Sono infatti parte integrante del lavoro dell’orchestra - 90 musicisti non solo turchi ma provenienti dai vari paesi europei – fondamentali seminari sulla musica come “forza sociale”, che presentano il lavoro in orchestra come metafora di coesistenza e rispetto, responsabilità e democrazia. Su queste solide basi, un'amalgama di straordinaria compattezza ed equilibro sonoro ha contraddistinto la performance orchestrale.

Sul palcoscenico si è distinto un cast vocale d'eccezione: il triangolo di amore e morte ha visto l’intensa Tosca del soprano Elena Rossi e lo smagliante Cavaradossi di Giancarlo Monsalve lottare fino all’ultimo contro le trame dell’insinuante barone Scarpia, disegnato dal baritono Francesco Landolfi. Accanto a loro il baritono Giovanni Di Mare (sagrestano), il basso Gianluca Lentini (Angelotti e Sciarrone), il tenore Giuseppe Distefano (Spoletta), il basso Alberto Maria Antonio Munafò-Siragusa (carceriere) e il contralto Antonella Leotta (pastorello). Ottima la prova del Coro Lirico Siciliano istruito da Francesco Costa, impegnato anche sul piano attoriale nello spettacolare Te Deum costruito da Castiglione per il finale atto primo, dove spiccava altresì il Coro di voci bianche “Progetto Suono” di Messina, diretto da Rita Padovano.

Il contrasto delle passioni è evidenziato dalla regia in ogni dettaglio, esaltando le emozioni musicali e drammatiche dell’opera.

2 - TOSCA - Elena Rossi

«Tosca - sottolinea Castiglione - è un capolavoro forte, passionale, che io amo definire cinematografico, proprio perché l'orchestrazione di Puccini è ricchissima di commenti sonori legati a ciò che succede e che deve succedere in scena. E' una partitura immensa, che ogni volta che apro e studio è fonte inesauribile di sorprese e di possibilità. E ogni volta la devi reinterpretare, a seconda delle opportunità scenografiche e delle possibilità attoriali del cast. Il mio settimo allestimento dell’opera  si basa su un’innovativa idea scenografica che mette in risalto Roma come centro del potere, ma nella sua decadenza. Giganteschi frammenti del colonnato di San Pietro puntellano la scena. Il tutto ben ambientato, spero, tra la Roma Antica del Teatro di Taormina».

Come si è anticipato, Enrico Castiglione è l’unico regista e scenografo al mondo ad avere già all'attivo ben sette allestimenti di Tosca e due film del capolavoro pucciniano: il primo, realizzato nel 2000 con José Cura e Renato Bruson, il secondo registrato proprio a Taormina nel 2008 con Marcello Giordani, Renato Bruson e Martina Serafin.

Tosca è il titolo che il maestro Castiglione, nato a Roma ma di origini siciliane, ha portato in giro più di ogni altro nel mondo: in particolare quest'anno ha allestito l’opera per la 45° stagione lirica di Lecce e per il Teatro Aurora di Malta. A Taormina ha proposto un allestimento di grande impatto visivo, accolto da un’ovazione finale senza riserve: ottimo auspicio per la tournée che a settembre approderà al Teatro Romano di Aspendos in Turchia.

3 - TOSCA - Elena Rossi, Giancarlo Monsalve

Locandina del film

Dopo mesi di annunci, ritardi e smentite finalmente è arrivato anche in Italia l'ultimo – attesissimo – lavoro del regista polacco, autentica leggenda vivente in Patria, Andrzej Wajda (già universalmente noto, oltre che per L'uomo di ferro (1981) e Danton (1983), soprattutto per Katyn (2007), nomination all'Oscar come miglior film straniero nel 2007) su Lech Walesa, il fondatore del sindacato Solidarność – il primo indipendente oltre-Cortina – nonché Presidente della Repubblica (1990-1995) della Polonia libera all'indomani della caduta del comunismo. La pellicola, tradotta in italiano come Walesa, l'uomo della speranza (Walesa. Czlowiek z nadziei) e girata nel 2013, della durata di 127 minuti e distribuita dalla Nomad Film, è pure entrata già nel guinness dei primati perchè è uno dei pochi film mai realizzati che parlano di uomini politici di primo piano della storia recente mentre i soggetti di cui si tratta sono ancora vivi e in piena attività (oggi Walesa, che peraltro ha visto e apprezzato il film, ha 71 anni). La produzione è interamente polacca e anche gli attori (a parte la nostra Maria Rosaria Omaggio, qui nelle vesti della giornalista Oriana Fallaci (1929-2006)) sono stati scelti da Wajda tutti in loco. Il risultato è un film decisamente 'europeo', dai ritmi lenti e, a tratti, tipicamente slavo, che rifugge dagli spettacolarismi gratuiti di Hollywood come dai kolossal, a cui comunque era stato accostato sulle prime da alcuni critici, trattandosi della narrazione delle gesta e di una vicenda eroica di popolo che forse non ha eguali nel periodo recente (in quale altro Paese comunista un sindacato di opposizione al governo poteva contare su 10.000.000 [dicesi milioni] di iscritti?).

La trama, in breve, è presto detta: Oriana Fallaci (allora inviata speciale del settimanale L'Europeo) nel 1982 si reca a Varsavia per intervistare il capo carismatico di quel sindacato che sta inaspettatamente dando del filo da torcere al regime, Lech Walesa (interpretato da Robert Wieckiewicz), un 'semplice' elettricista di appena ventinove anni ma già con la stoffa, e l'oratoria, di un navigato leader politico (il testo dell'intervista è oggi integralmente riprodotto in O. Fallaci, Intervista con il Potere, Rizzoli, Milano 2009, Pp. 630). L'incontro avviene nel periodo più drammatico della lotta di liberazione polacca, tra la diffusione a macchia d'olio degli scioperi in tutto il Paese e l'introduzione della legge marziale decretata dall'allora segretario del Partito Operaio Unificato Polacco (come si chiamava ufficialmente il partito comunista) Wojciech Jaruzelski (1923-2014). I vivaci dialoghi tra i due (se la Fallaci era già nota per aver affrontato a viso aperto l'ayatollah Ruhollah Khomeini (1902-1989) rifiutandosi di portare il velo, il giovane Walesa non era certo uno che calcolava abitualmente le parole) vengono così inframezzati dalle crude immagini (di repertorio e cinematografiche) di quanto accadeva in quei mesi nelle strade di Danzica, Lodz, Poznan e la stessa Varsavia. Si vede così - e anche solo per questo il film meriterebbe la visione - come la versione polacca del socialismo reale non fu affatto 'dolce', più 'soft' o tendenzialmente 'moderata' come ancora ultimamente taluni storici hanno invece sostenuto quasi a voler dire che quello non era poi davvero un Paese comunista. Nelle manifestazioni di piazza di allora non furono pochi i semplici operai, studenti o padri di famiglia che vennero inseguiti, torturati e massacrati dalla milizia del regime. Anche il martirio efferato di padre Jerzy Popieluszko (1947-1984), il cappellano di Solidarność, riscopritore delle “Messe per la Patria” che - attraverso il rilancio clandestino di Radio Free Europe - divennero celebri poi a Occidente per l'ingente risveglio di fede popolare che riuscirono a generare, non fu che uno dei tanti in un periodo obiettivamente terrificante nell'Europa Orientale della seconda metà del Novecento.

In un contesto del genere, poi, non potevano mancare ovviamente i riferimenti ai viaggi di Papa Giovanni Paolo II, a partire dal primo - 'storico' - svoltosi dal 2 al 10 giugno 1979, che determinò un entusiasmo di massa oltre ogni aspettativa. Come osservò qualche giornalista: “Bastava vedere la marea umana che seguì, contro le disposizioni esplicite delle autorità, passo dopo passo il pellegrinaggio di Wojtyla nel suo Paese per capire che il regime avrebbe avuto i giorni contati”. E tuttavia non fu affatto così facile proprio perchè la presa di Mosca - e dei servizi di spionaggio sovietici - era quantomai forte e il braccio di ferro, sfiorando la guerra civile, durò ancora a lungo: addirittura dieci anni, fino al 1989 appunto, quando fu la stessa Polonia a inaugurare la stagione della primavera della libertà oltre-Cortina. Il film, peraltro, racconta tutta la vicenda a partire dalla prospettiva personale di Walesa e dalla sua famiglia, privilegiando un punto di vista quindi privato e non pubblico. La maggior parte delle scene (a parte il confronto con la Fallaci) sono in effetti girate proprio a casa-Walesa e ritraggono con semplicità fotografica la difficile vita quotidiana della moglie e dei numerosi figli del capo di Solidarność. Si badi, non si tratta però qui di un tocco d'intimismo poetico del regista, ma di un altro tassello 'dimenticato' della storia del Paese: a ritirare il premio Nobel per la pace nel 1983 dovette andare infatti proprio la moglie di Walesa, Danuta, perchè il marito si trovava agli arresti domiciliari e si temevano rappresaglie durissime, come l'espulsione immediata dalla Polonia (già imposta peraltro al resto del direttivo di Solidarność, spedito a Bruxelles). D'altra parte, la lente d'ingrandimento sul Walesa-privato permette anche di cogliere degli aspetti di dettaglio, e di ambiente, legati alla tradizione spirituale e religiosa polacca che altrimenti difficilmente verrebbero fuori in una rivisitazione meramente politica. Il film termina con la rimessa in libertà di Walesa, la legalizzazione di Solidarność e quindi l'alba dei fatti del 1989, fino al successivo viaggio a Washington, negli USA, dove venne ricevuto dalle Camere riunite del Congresso che gli tributarono minuti di applausi ininterrotti (presidente in carica per la cronaca era George Bush Sr., che gli conferì la “Medaglia della Libertà”, la più alta onoreficenza civile). Il resto, come si suol dire, è cronaca politica di questi giorni e, soprattutto a Varsavia – dove l'eredità morale di Walesa è ancora molto contesa – piuttosto sentita. Per quel che qui più interessa, però, cioè la coltivazione della buona memoria storica e dell'identità dell'Europa, il film di Wajda ci pare che passi ottimamente l'esame e, con i recenti Katyn e Le vite degli altri, vada a scrivere un'altra pagina importante su quello che è stato per davvero il costo umano, civile, morale e religioso del comunismo realizzato (anche e soprattutto quello meno denunciato come tale ex post) non venti secoli fa ma appena venti o trent'anni fa.

 

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Per tre serate, lo stabilimento balneare dell’oasi Beach proporrà, a due passi dal mare, l’originale accostamento fra il grande cinema, i grandi vini e le preparazioni dell’Osteria del Mare.
L’evento, organizzato in collaborazione con FLY cinema Licata, YES! e Azienda Agricola G. Milazzo permetterà di apprezzare tre grandi pellicole in abbinamento a tre grandi vini, accompagnati da tre preparazioni a base di pesce dell’Osteria del Mare.
Si comincerà lunedì 4 agosto alle ore 22,00 con La Grande Bellezza con cui Paolo Sorentino ha trionfato agli OSCAR. Jep Gambardella, magistralmente interpretato da Tony Servillo, ci guida alla scoperta di una sorprendente Capitale.
Si prosegue il 12 agosto con La mafia uccide solo d'estate il film diretto e interpretato da Pierfrancesco Diliberto, più noto come Pif, che ha divertito e commosso l’Italia con il suo racconto originale e struggente sulla mafia.
Infine, il 26 agosto Django Unchained, il western all’italiana con cui Quentin Tarantino affronta, con il suo stile dissacrante e surreale, i temi del razzismo e della schiavitù.
Durante le tre serate sarà, inoltre, proiettato il cortometraggio “Jarovoe” scritto e diretto dal regista di Grotte (Agrigento) Giuseppe Cimino, che ha partecipato all’ultima edizione del Festival di Cannes, nella sezione Short Film Corner.

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Il grande repertorio italiano, il melodramma da esportazione, il balletto più popolare: una stagione estiva ricca ed articolata quella del Teatro di San Carlo che vedrà il Massimo napoletano adeguarsi agli standard internazionali con la prima edizione di un festival al cui centro emerge la visionaria rilettura di Madama Butterfly firmata Pippo Delbono.

Per la prima volta, in ogni singolo week end del mese di luglio, si alterneranno ben tre spettacoli diversi di Opera e balletto e, a ottobre, ancora un titolo d'opera.

Avvio del San Carlo Opera Festival sotto il segno del talento eversivo di Delbono, uno dei registi più acclamati della scena contemporanea, che firma la doppietta di apertura Cavalleria rusticana (in scena il 12 luglio, Premio Abbiati della scorsa stagione, allestimento commissionato dal lirico napoletano) e un nuovo allestimento di Madama Butterfly di Giacomo Puccini (13 luglio ore 18). Sul podio per il titolo pucciniano Tito Ceccherini, da sempre incline al repertorio novecentesco, mentre un altro coetaneo di successo, Jordi Bernàcer (applauditissimo alla guida di Coro e Orchestra in Carmina Burana lo scorso anno), dirige il lavoro di Mascagni.

Con Cavalleria rusticana, - in scena il sabato 12, sabato 19, venerdì 25 luglio e sabato 2 agosto sempre alle ore 21 - Delbono, ripropone la sua visione “dall'interno” del melodramma verista e riconduce sulla scena anche alcuni dei suoi attori feticcio come Bobò. “L’atmosfera realistica dell’opera è decontestualizzata dalla mia presenza in scena – spiega Delbono - una presenza brechtiana o kantoriana, un segno di lucidità e sobrietà. Uno sguardo dall’interno che esalti le inquietudini e le sfumature dell’animo narrate nella vicenda di Cavalleria. Preferisco lavorare sulle persone e non sui personaggi e seguirli dall'interno della scena - prosegue Delbono - così anche i cantanti possono rivelarsi degli attori di grande intensità e anima e cantare con il corpo anche quando non cantano con la voce “.

Una prospettiva differente dunque, cui contribuisce la scenografia di Sergio Tramonti. “La scena è una camera acustica prospettica, un impianto fisso in legno, intonato alle caratteristiche planimetriche del teatro, – racconta Tramonti – in cui la dominante pittorica è una sorta di lacca rosso cinabro bruciato dall'alto e dal basso da scolature e vampate di nero. Le sfumature del nero esaltano la passionalità del rosso e come dicevano i pittori espressionisti (Munch su tutti...) lo fanno cantare”. Impreziosiscono l'allestimento i costumi di Giusi Giustino e luci di Alessandro Carletti. Di grande pregio il cast vocale composto da Anna Pirozzi - napoletana classe 1975 richiestissima dai più prestigiosi teatri al mondo- e Karina Flores nei panni di Santuzza, Rafal Davila in quelli di Turiddu, Giovanna Lanza sarà Lucia, ad Angelo Veccia è affidato il ruolo di Alfio, e ad Asude Karayavuz quello di Lola. Sul podio lo spagnolo Jordi Bernàcer, tra i più apprezzati direttori d'Orchestra della sua generazione.

Cavalleria è considerata il manifesto del verismo musicale e valse a Pietro Mascagni la celebrità. Melodramma in un unico atto su libretto di Targioni –Tozzetti e Menasci, tratto dall’ omonima novella di Giovanni Verga, l'opera torna al San Carlo dopo l'allestimento del 2012 che aveva appassionato pubblico e critica aggiudicandosi anche il prestigioso premio Abbiati per le scenografie firmate Sergio Tramonti.

 

 

Titolo immortale che da sempre affascina gli spettatori di tutto il mondo Madama Butterfly di Giacomo Puccini ritorna al San Carlo domenica 13 luglio alle ore 18 con la regia di Pippo Delbono e sarà in scena fino al 26 luglio. Sul podio Tito Ceccherini alla guida di Coro e Orchestra stabili. Ancora una volta Delbono metterà al centro del dramma il tema dell'abbandono e della solitudine, centrale in tutta la sua poetica così come nell'opera di Puccini, e ancora una volta lo farà a suo modo, rompendo il realismo e creando sulla scena prima di tutto uno spazio mentale dentro il quale si muovono e agiscono i personaggi. <<Questa è la seconda opera lirica che allestisco al San Carlo – afferma Delbono che ha esordito all'opera proprio al Massimo napoletano nel 2012 con Cavalleria – ed è la terza della mia vita. Come sempre faccio quando mi avvicino a questo genere artistico, tento di farmi assorbire totalmente dalla musica e di rendere appunto musicale sulla scena ogni singolo gesto di ogni personaggio, silenzi inclusi, in modo da far convergere il tutto verso un'unica, grande partitura. Anche qui metterò in scena Bobò col Kimono, credo sia l'unico in grado di sventolare il ventaglio senza banalmente “fare la recita”. Il mio intento infatti è trasgredire ma senza toccare l'opera di Puccini. Trasgredire non è modernizzare, ma guardare questo dramma da un altro punto di vista >>. In linea con questo sguardo diverso, le scenografie di Nicola Rubertelli che contribuiscono a creare una sensazione di astrazione, gli splendidi costumi di Giusi Giustino e il sapiente disegno luci di Alessandro Carletti.

La candida Cio Cio San sarà interpretata dal soprano Raffaella Angeletti, accanto al tenore Vincenzo Costanzo che vestirà i panni di Pinkerton. Nel cast figurano anche Anna Pennisi nel ruolo di Suzuki, Marco Caria in quello di Sharpless, Andrea Giovannini (Goro), Abramo Rosalen (zio Bonzo), Nino Mennella (Principe Yamadori), Alessandro Lerro (Commissario imperiale), Miriam Artiaco (Kate Pinkerton) e Paolo Marzolo (Ufficiale del registro)

Alla guida di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo (preparato quest’ultimo da Salvatore Caputo), salirà sul podio Tito Ceccherini, concentrato ad esaltare le più suggestive frasi dell’opera pucciniana con profonda espressività.

Scritta dopo il grande successo di Tosca, la tragedia giapponese in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giocosa, ebbe una composizione decisamente travagliata e la sua prima assoluta, il 17 febbraio 1904 alla Scala di Milano, fu uno dei più clamorosi insuccessi della storia dell’opera: «con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni», così scriveva Puccini all’amico Camillo Bondi e così fu, l'eroina pucciniana divenne una delle più amate e affascinanti protagoniste della storia dell'opera.

Il San Carlo Opera Festival prosegue con la sempre sicura musica di Mikis Theodorakis per Zorba il Greco(in programma dal 18 luglio al 1 agosto), coreografia griffata made in New York del “figlio d'arte” Lorca Massine. Schierati per il Festival tutti i comparti artistici del Teatro di San Carlo: Coro, Orchestra e Corpo di Ballo. Chiude la rassegna, in ottobre, Elisir d'amore di Donizetti. Sul podio Giuseppe Finzi, regia di Riccardo Canessa, altro regista apprezzato in Italia e all'estero, già applaudito interprete di riletture di successo del titolo donizettiano.

 

Biglietti a partire da 20 euro

per info: 0817972331 – 412 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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