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Quale ricordo di Berlinguer

berlinguer 2

Su “Piazza Foglia” (Ottobre 2014, N. 5, p. 3) e su “Vivi Rozzano” (Ottobre 2014, p. 3) leggo un ricordo di Enrico Berlinguer, a trent’anni dalla morte. Il “VR”, in particolare, rievocando una visita (1982) del Segretario del PCI nel nostro Comune, vi dedica una intera pagina divisa in due pezzi firmati da politici concittadini rozzanesi. Ambedue i brani parlano, fra l’altro, della caduta del Muro di Berlino (1989) anche se in uno si afferma che Berlinguer “aveva previsto tutto” e nell’altro che “sicuramente non vide e non prefigurò nulla”. Ma, diversità di interpretazione a parte, è sul secondo che, a mio avviso, occorre soffermarsi per puntualizzare e magari integrare alcune notizie che in esso non compaiono; ciò per evitare confusione.

L’Autrice, infatti, affastella molte cose: il “mito così amato” di Berlinguer, “moderno Noè”, le “fondamenta di quel grande movimento popolare”, comunista, che a Rozzano si troverebbero senza “crepe o lesioni” e che, quindi, lui venne a visitare come una sorta di luogo santo da cui trarre nuova linfa per il Partito, etc. etc… Dice pure che “l’anno terribile [1982] per Berlinguer fu conseguenza della sconfitta patita [dal PCI] alle elezioni del 1979, ma ancora di più la rottura con la DC che aveva distrutto in pochi mesi […] il compromesso storico”. L’articolo, ovviamente celebrativo, forse per mancanza di spazio, ignora, però, i rapporti intercorsi tra il Segretario del Partito e il mondo cattolico, e che precedettero quegli eventi di 40 anni fa; essi, comunque, possono riassumersi, emblematicamente, nelle due famose (per alcuni “famigerate”!) “lettere aperte”: l’una (7-VII-1976) di mons. Bettazzi, vescovo di Ivrea, al Segretario del Partito comunista e l’altra (7-X-1977), in risposta di questi “al signor Vescovo”. Ora, a me pare che senza una, anche se veloce, introduzione intorno a tali “precedenti”, il lettore rischi di non capirci nulla e di ignorare di cosa si stia veramente parlando. Io, dei fatti, ho conservato memoria e appunti precisi e, pertanto, credo di poter dire “la mia” per “puntualizzare” e “integrare”.

Ci fu – ricordo – presso i cattolici, specie “di sinistra” (molto prima di quell’evento, qualcuno li qualificava già “cattolico-comunisti”), un gran rumore favorevole per questo scambio “benevolo” di missive che tuttora – a tanti anni di distanza – suscita perfino qualche nostalgia: così, ad esempio, su “Avvenire” (9-XI-2014), quotidiano dei Vescovi italiani, si può leggere che con Berlinguer c’erano stati “i primi passi dell’apertura, vera e chiara alla revisione ideologica che doveva accompagnare il compromesso storico, non solo evento politico, ma anche esplicitamente ideale”; l’articolista di “Avvenire” continua dicendo della “Lettera al vescovo Bettazzi” di cui sembra dare interpretazione positiva perché, secondo lui, segno di quella prima “apertura” verso i cattolici etc. etc.

Certo, gli anni di Berlinguer – 1970 – non erano più quelli di Togliatti che, nonostante il discorso di Bergamo (1963) cosiddetto della “mano tesa” (ai cattolici) ancora alla fine della vita (1964), nel “Memoriale di Yalta” diceva che era necessario conoscere la Religione e la Chiesa Cattolica ma per “superarle”, cioè per non tenerle in alcun conto; né erano gli anni di Gramsci che, nel 1916, sull’ “Avanti!” scriveva chiaro e tondo: “il socialismo è precisamente la religione che deve ammazzare il cristianesimo”. Molta acqua era passata sotto i ponti e le stesse feroci persecuzioni dei cattolici, in paesi di secolare tradizione cristiana, non avevano sortito alcun effetto, anzi ne avevano rafforzato la fede (vedi i “Cristeros” nel Messico, 1920-1930; i 7 mila martiri, preti e suore, uccisi in Spagna dagli anarco-comunisti durante la Guerra Civile del 36-39…); e, poi, c’era stata la vittoria cattolica, schiacciante, del 18 Aprile 1948 (passata per vittoria “democristiana”) che aveva consigliato ai capi comunisti una strategia più cauta. In parole semplici: in Italia, perché potessero prendere quel potere per cui si battevano con disciplina militare fin dal Congresso di Livorno (1921), i comunisti dovevano mostrarsi diversi coi cattolici e, soprattutto, trovare una sponda accomodante presso costoro che, nonostante le remore di PIO XII, avevano delegato completamente alla Democrazia Cristiana la loro rappresentanza politica; e nel Partito “cristiano” c’erano fior di personaggi che guardavano a sinistra con attenzione fin da prima del 1948 e su di essi il Partito comunista sperava di appoggiarsi; col post-Concilio questa “attenzione” aveva subito tale accelerata che negli anni 70 molti frequentatori di chiese e sagrestie votarono a testa bassa per il partito di Berlinguer. Vi era poi, recentissima, la “lezione cilena”, da molti non studiata o travisata o dimenticata, con il marxista-massone Allende che aveva sperimentato, in un paese a maggioranza cattolico – speculare, quindi, all’Italia – il primo “compromesso storico”; un esperimento fallito miseramente perché Allende, buon’uomo in fondo, s’era lasciato prendere la mano dalla parte più rivoluzionaria del comunismo cileno varando riforme azzardate e portando, così, alla fame e alla rivolta i cittadini: primi a insorgere furono i minatori de “El Teniente”, poi i camionisti e, quindi, le “massaie con le pentole vuote”…; insomma quel “basso popolo” che la Sinistra si prefigge sempre di proteggere. Per il generale Pinochet e i suoi militari, foraggiati o meno dalla CIA e dagli Americani, fu facile impadronirsi del potere!

Tutto ciò in Italia non doveva accadere e, quindi, il “compromesso storico”, forte dell’esperienza “cilena”, sarebbe dovuto passare liscio come la paglia e senza inconvenienti. Ecco perché Berlinguer cercò una sponda non solo nel Partito “cristiano”, dove sapeva di trovare ormai molti consenzienti, ma più in alto, e meglio, nel clero e nell’Episcopato. Mons. Bettazzi, con la sua lettera, gliene diede il destro. Forse il “nostro” monsignore, negli anni “convulsi” immediatamente dopo il Concilio, potè rappresentare, magari senza volerlo, la punta di diamante di una situazione diffusa nella Chiesa a livello di clero e di laici “qualificati”; diversi di essi, infatti, non credevano più alla “dottrina sociale” e la dicevano superata; qualcuno equivocava sull’aggettivo “sociale” e lo traduceva solo con “socio-economico”, mentre esso ha pure significato, ovvio, di “socio-politico”; altri – ricordo come esempio tra tanti – raccolse un’antologia di documenti del Magistero (“La dottrina sociale della Chiesa. Origine e sviluppo, 1891-1971”), da LEONE XIII a PAOLO VI, saltando a piè pari PIO IX e, addirittura, PIO XII! Tutto ciò può essere riassunto “bene” da un articolo di un cattolico “qualificato” dal titolo significativo “Esiste ancora una dottrina sociale cattolica?”, uno scritto subito pubblicato, guarda caso, da “l’Unità”, il 10-X-77. Berlinguer, che non era un politico “di dozzina” direbbe il buon Manzoni, ovviamente, approfittò di questo status confusionale di cose. Aggiungo qui, di passaggio, che qualche anno dopo il grande Papa Polacco ribadì la vigenza di tale dottrina, anzi, affinché non ci fossero equivoci, usò parole latine: “Doctrina socialis”, con grande gioia di quanti in essa avevamo sempre creduto!

Domande legittime, dopo 40 anni: ma l’“apertura vera e chiara nelle intenzioni di Enrico Berlinguer alla revisione ideologica” del Partito, ci fu o no?

bastava la sua affermazione di avere un Partito e un Stato “non ateo, non teista, non antiteista” per mettere in pace il cuore dei buoni cattolici e far loro accettare il primo (dopo il 1947) governo demo-comunista Andreotti-Berlinguer?

A quanto pare no, se è vero che per i due compari “compromissori” le successive elezioni del 3-VI-79 furono un insuccesso su tutta la linea. Non fu “la DC che aveva distrutto in pochi mesi la sua prospettiva politica” etc. etc. come vorrebbe l’Autrice dell’articolo del “VR”, ma il vero popolo italiano refrattario, da sempre, al Comunismo. Tale refrattarietà in Italia non è mai mancata, essa, infatti, ripolla in momenti “nodali” come un fiume carsico: ne è prova, ad esempio, il fatto che nel 1994 una maggioranza di Italiani, fra cui molti cattolici praticanti, voterà per l’“arrivato” di Arcore, soprattutto perché questi sciorinava ancora (insieme a tante promesse) la bandiera dell’anti-comunismo: e dire che non era più quello di Stalin, il noto tiranno di popoli sulla cui coscienza v’erano milioni di ammazzati in Europa, e manco quello di Togliatti suo ligio aiutante a Mosca negli anni 30-40, e neanche quello annacquato e “compromissorio” di Berlinguer, ma una semplice e bonaria “gioiosa macchina da guerra” oleata e pronta per vincere, di ochettiana memoria…!

Io ho riletto la “lettera” famosa di Enrico Berlinguer e ne ho capito che il Segretario, usando giri di parole raffinate, chiedeva ai cattolici che accettassero un “compromesso culturale” (prima di quello “politico”, in gergo detto “storico”); accettassero, cioè, di attenuare un po’ la professione e la pratica integrali dei principi immutabili della loro dottrina sociale e politica, insomma un compromesso tra verità cattolica ed errore comunista. I comunisti, in cambio, avrebbero rinunciato a professare “esplicitamente” e “dogmaticamente” il marxismo-leninismo bastandogli applicare la sua filosofia materialistica ed ateistica. Nella sostanza, nel loro campo non sarebbe cambiato nulla se non, forse, la forma; molto, invece, doveva cambiare in quello cattolico: ecco perché io non ho alcuna nostalgia di quell’“esperimento”, né degli illustri “statisti” che lo pensarono e lo stavano imbastendo in Italia.

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