Grecia e Turchia sono a un passo dallo scontro armato nel Mediterraneo orientale. Le loro navi da guerra si confrontano con i missili pronti al lancio al largo di Cipro e presso l'isola greca contesa di Kastellorizo, a 3 km dalla costa turca. Uno scontro figlio di antiche rivalità sull'orlo della deflagrazione. Da mesi il braccio di ferro tra i due Paesi membri della Nato si fa sempre più serrato. Oggetto del contendere: la definizione dei confini delle rispettive acque territoriali e dei diritti per lo sfruttamento di giacimenti sottomarini di gas e petrolio. Ma il punto di non ritorno sta diventando una tragica realtà. E a poco paiono servire gli sforzi di mediazione europei
"Noi riteniamo le sanzioni alla Turchia assolutamente necessarie". Lo ha detto il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias,durante le giornate di lavoro del Gymnich, in corso a Berlino di qualche giorno fa. "Contiamo sulla solidarietà europea", ha aggiunto ai giornalisti prima dell'avvio della ministeriale informale dei ministri degli Esteri, che si e occupata proprio della crisi del Mediterraneo orientale.
La percezione senza precedenti della Turchia, continua il Ministro Dendias,di poter minacciare i paesi vicini con l'uso di forza quando esercitano i loro diritti legittimi è contraria alla cultura politica moderna e ai principi fondamentali del diritto internazionale. Chiediamo alla Turchia che si renda conto che il diritto internazionale e i valori su cui è costruita la moderna internazionale ordine sono vincolanti per tutti i paesi del mondo. Non possono essere applicati selettivamente e la comunità internazionale è obbligata a proteggerli, poiché la loro violazione indica gravi pericoli", si legge in un comunicato del ministero degli Esteri greco.
Atene aggiunge nella sua dichiarazione che la Turchia è obbligata a rispettare l'articolo 2 (4) della Carta delle Nazioni Unite, secondo cui tutti i membri dell'ONU devono astenersi dalle minaccie o dall'uso di forza.
Secondo gli analisti economici, la crisi economica pesa sui conti pubblici di Ankara dopo una stagione turistica disastrosa mentre la lira turca si indebolisce e la pazienza degli investitori internazionali si sta esaurendo. Così Erdogan ha deciso di alzare la posta contro la Grecia per distrarre l’opinione pubblica dalle vicende interne ed economiche.
Le bordate di Ankara hanno avuto l'effetto di far i partner di Atene in questa partita che qualcuno vorrebbe anticipare a prima delle elezioni americane: dopo Tel Aviv e Il Cairo, ecco l'accoppiata Parigi-Abu Dhabi schierarsi con la Grecia.
La Francia ha saputo dimostrare coerenza in politica estera e di Difesa ma anche amicizia nei confronti della Grecia, che altri alleati nella UE, non hanno dimostrato, mandando un forte segnale, mostrando la determinazione e la leadership di Parigi ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
E così Emmanuel Macron ha fatto partire per il Mediterraneo la portaerei Charles de Gaulle, accompagnata da fregate e sottomarini, e punta anche a vendere 18 caccia Rafale ad Atene. Gli Emirati Arabi Uniti dopo l'Accordo di pace con Israele che riveste un peso specifico anche per tutti i paesi a cavallo tra l'euromediterraneo e il Medio Oriente, intende rafforzare il dialogo con Atene: lo ha confermato al telefono al primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, lo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti. Già ai tempi del lockdown Covid i due leader avevano avuto modi di interfacciarsi: gli Eau infatti avevano fornito assistenza medica alla Grecia, mentre nelle ultime settimane da Abu Dhabi sono giunti nell'Egeo i caccia F-16 per dare manforte all'Aeronautica greca contro le provocazioni turche
Secondo Globalist, uno dei principali avversari di Ankara nel risiko del Mediterraneo orientale è senza dubbio il Cairo annota Pierluigi Barberini in un documentato report per Affarinternazionali.it -. Nel corso degli ultimi anni le relazioni tra Turchia ed Egitto si sono progressivamente deteriorate, soprattutto da quando l'attuale presidente egiziano al Sisi prese il potere nel 2013 con un colpo di stato militare, rovesciando l’allora presidente ed esponente dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, politicamente vicino ad Ankara. La partita tra quest'ultima ed il Cairo non presenta solo caratteri ideologici, importanti ma secondari nel calcolo complessivo.
La posta in palio scrive Umberto De Giovannangeli sul globalist,consiste da un lato nella leadership del mondo musulmano a livello regionale e mediorientale, e dall’altro nell’estendere la propria influenza e nell’affermare i propri interessi sui principali dossier in gioco. Questi ultimi spaziano dalla partita sui giacimenti di idrocarburi scoperti nella Zee egiziana e di altri Stati adiacenti, fino alla guerra per procura in Libia, dove Turchia ed Egitto sostengono due schieramenti contrapposti (rispettivamente al-Sarraj la prima, Haftar il secondo). La forte condanna egiziana dell'intesa turco-libica e le minacce di un possibile intervento militare diretto nel conflitto testimoniano la centralità della posta in gioco anche per il Cairo, e in generale la grande valenza geopolitica delle dinamiche in corso nel Mediterraneo orientale”.
L'Italia non ha mosso un dito, continua globalist, forse intimidita dal “bullismo” turco in grado, ora che Erdogan ha l’egemonia in Tripolitania, di ricattare Roma minacciando di colpire gli interessi italiani in Libia. In Libia, l’Italia continua a essere visibilmente schierata (pur facendo ben poco sul campo) dalla stessa parte di Turchia, Qatar, Fratellanza Musulmana. Sul fronte opposto Francia, Egitto, Arabia Saudita e EAU, oltre alla Russia. Roma rischia di venire percepita ormai irrimediabilmente come assente e passiva su tutti i “dossier caldi” in quello in che una volta era il “Mare Nostrum”, dove oggi sembra aver abdicato a qualsiasi ruolo di rilievo.
l'atteggiamento turco allarma non solo l'UE ma anche la leadership degli Stati Uniti. All'inizio del 2019, Washington ha revocato l'embargo sulle armi a Cipro e ha inoltre concluso un trattato sullo spiegamento di basi militari, la modernizzazione degli aerei da combattimento F-16 e l'acquisto di nuovi jet F-35.
In risposta, la Turchia ha continuato ad aumentare la sua potenza militare nella regione. Ciò è dimostrato dall’adozione della nave d'assalto anfibia multiuso “Anadolu” per il servizio nel 2020 e la progettazione di sei sottomarini di tipo 214. Allo stesso tempo, Ankara ha istituito una base militare sul territorio della Repubblica turca di Cipro del Nord, dove vengono dispiegati gli ultimi UAV turchi “Bayraktar”.
Come confermano i più importanti analisti internazionali, il sogno e la determinazione turchi di appropriarsi delle acque comprese tra Creta, l’Anatolia e Cipro non svanirà quando il presidente non sarà più Erdogan. Ma se gli Stati Uniti indulgesse ulteriormente nel sostegno aprioristico ad Atene, Ankara uscirebbe definitivamente dall'orbita occidentale.
Come riferisce Globalist, annota Franco Palmas su Avvenire: “Erdogan ha gioco facile. Ha tessuto una trama circolare, quasi una tenaglia, avviluppando i potenziali nemici in una rete di basi navali, dal Corno d'Africa a Misurata, in Libia. Con il governo di Tripoli ha siglato un'intesa sulle zone economiche esclusive, dal potenziale esplosivo. L'accordo ha esteso la piattaforma turco mediterranea a 200 miglia nautiche, contro le 12 previste dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e le 6 relative al mar Egeo. Con Ankara esiste un ‘mega-problema’ a tratti irriducibile. La Turchia disconosce la Convenzione e, di conseguenza, non è possibile adire il Tribunale internazionale sul diritto del mare. La sua intesa con Tripoli è gravida di conseguenze, perché priva Atene di ampi spazi di mare, aperti a sud di Creta a promettenti ricerche energetiche; in seconda battuta, separa la Grecia da Cipro e, terzo, taglia in due il Mediterraneo, creando problemi geopolitici sulla libertà di navigazione e la posa di gasdotti fra Israele, Cipro, Grecia e l'Italia.
La tensione tra Grecia e Turchia coinvolge due partner della Nato e "questo non può lasciarci freddi". Lo ha detto Angela Merkel, affermando di aver "parlato molto intensamente" con Emmanuel Macron circa la situazione attuale. Merkel ha ricordato che la Germania "si è molto impegnata per evitare un'escalation".