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Un catasto che dia fiducia agli italiani

La notizia che, in un modo o nell’altro, si intende porre mano al Catasto, non è di quelle che possano passare inosservate. L’Unione europea preme, lo sappiamo, in questo senso e, specie in un momento topico come questo (fondi in arrivo), non si può certo fare orecchio da mercante. Ma, allora, al Catasto va posto mano seriamente, da capo a coda. Gli “aggiornamenti”, dal Dopoguerra in poi, si sono sempre risolti in aumenti di imposte e parlare di aggiornamenti non è proprio un bel segnale, che apra le porte a quella fiducia di cui si ha oggi bisogno (come ha sottolineato in un’intervista a questo giornale anche il presidente dell’ABI Antonio Patuelli).

Il vigente Catasto, è un Catasto patrimoniale. Di questo tipo erano i Catasti preunitari. Quando, col nuovo Stato, andò al governo la classe dirigente liberale, la prima riforma che essa mise in cantiere fu quella di provvedere all’erezione di un Catasto reddituale, di redditi cioè. Nacque così il termine di “rendite”, che persiste tuttora, peraltro in perfido spregio della realtà, che è quella di un Catasto che – provvisoriamente (cfr. sentenza Corte Costituzionale in tema) da più di 20 anni – misura non i redditi, ma i valori. Era semplice trasformare i redditi in valori con coefficienti fissi (1, 2 e 3) e inventati di sana pianta e così si fece. Ma sarebbe stato (e sarebbe anche oggi) altrettanto facile fare quanto aveva fatto il Parlamento dello Stato unitario: disporre che tutti i proprietari di casa autodichiarassero – anche ai fini impositivi – quanto rendessero in un anno le loro proprietà urbane, sotto comminatoria penale.

Anni fa, si tentò di rifare il Catasto e si parti subito male e sempre allo stesso modo. Dicendo che si volevano eliminare sperequazioni, cancellare errori, fare opera di giustizia. In realtà, si partì stabilendo – su insistenza dell’Agenzia delle entrate – che si sarebbe fatto un Catasto patrimoniale (anche contro l’insistenza della Confedilizia per un Catasto reddituale, come avevano fatto i Padri fondatori dell’Italia unita), per lo più basato su algoritmi anziché sopralluoghi come si fece nel bel tempo antico (l’unica cosa, in tema di trasparenza, che si riuscì ad ottenere fu che l’algoritmo di ogni zona censuaria sarebbe stato reso noto!). Tutto questo, comunque, senza che fosse ben chiaro che nessuno avrebbe recitato – come si suol dire – due parti in commedia, da tassatore cointeressato e da terzo indipendente. Il risultato fu che si insediassero persino le Commissioni censuarie provincia per provincia (convocate e controllate dall’Agenzia ed in cui si era dovuto sudare per inserire anche solo le rappresentanze, minoritarie, dei contribuenti diretti, sia urbani che rurali) ma dopo che l’Agenzia ebbe inviato tutte le carte all’Economia il processo si bloccò. Si spaventarono degli effetti che il nuovo Catasto avrebbe avuto sulle tasche degli italiani. Oggi, in un momento in cui occorre soprattutto che si crei, come si diceva, fiducia (primo motore immobile per una vera crescita), perché ripartano esportazioni e risparmio interno e dall’estero (come ha scritto Paolo Savona: le nostre vere risorse), bisogna stare molto attenti a non fare passi falsi. Bisogna anzi dare – anche con il Catasto – un segnale positivo, rassicurante. La riforma del Catasto (voluta là dove si puote, a Bruxelles, ma anche da tutti gli italiani che conoscono l’attuale realtà catastale, come già descritta) può anche essere lo strumento giusto. Ma non dicendo che si aggiornerà un ferro vecchio (da quando lo si è reso patrimoniale) com’è l’attuale Catasto. Ma dicendo anzi, bel chiaro che lo si rifarà ex novo, ne più ne meno che come lo si fece nell’800. Un Catasto che la classe liberale volle addirittura come strumento di crescita anziché meramente fiscale. Uno strumento, quindi, che premiava chi rinnovasse le case (dando lavoro) e chi – nel Catasto rurale in particolare – avesse messo a reddito terreni incolti. Così che più si produceva, e si guadagnava, più si abbassavano le imposte, esattamente a rovescio di quanto capita con – al posto di una mentalità realistica, tipicamente ottocentesca – la mentalità giustizialista che oggi va alla grande, insieme ad un pauperismo esibito e proclamato.

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