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Giovedì, 05 Dicembre 2024

Giustizia e globalizzazione: la prospettiva cristiana

Copertina del volume degli Atti del Pontificio Consiglio

Poco più di due anni fa, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (il dicastero della Chiesa istituito da Paolo VI che si occupa di promuovere le esigenze della giustizia sociale nel mondo confermemente al Vangelo) organizzò a Roma un Congresso internazionale in occasione del cinquantesimo anniversario dell'enciclica Mater et Magistra, la prima enciclica sociale di Papa San Giovanni XXIII. Gli atti vengono ora pubblicati ad opera dello stesso Consiglio in un corposo volume dal titolo - Giustizia e globalizzazione: dalla Mater et Magistra alla Caritas in veritate - che permette di avere un'idea completa del contributo originale di studi, riflessioni e analisi che i cristiani impegnati a vario titolo portano oggi nella società (cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Giustizia e globalizzazione: dalla Mater et Magistra alla Caritas in veritate, Città del Vaticano, Tipografia Vaticana 2012, Pp. 1009). All'inizio del libro – dopo la “Presentazione” firmata congiuntamente dal presidente (il cardinale ghanese Peter Turkson) e il segretario (il salesiano monsignor Mario Toso) del dicastero e il saluto che Papa Benedetto XVI rivolse ai partecipanti in occasione dell'incontro in Vaticano – spicca l'intervento inaugurale dello stesso Turkson che, parlando dell'attuale crisi economico-finanziaria globale, stigmatizza espressamente quei “gruppi economici e finanziari che dettano l'agenda della politica” (pag. 27) finendo sempre più col sostituirsi agli organi rappresentativi democraticamente eletti: un monito eloquente contro le derive tecnocratiche attualmente in corso, soprattutto in Occidente. Venendo poi al messaggio specifico della Mater et Magistra, il porporato riprende giustamente il primato della legge naturale che fa da àncora e vera e propria ossatura all'intera enciclica per sottolineare però come nel documento questa vada sempre calata nella viva realtà sociale e alle sue esigenze di giustizia. Si vede così come la verità non è mai qualcosa di astratto o utopico ma un'evidenza che ha invece a che fare con l'intimo dell'essere umano e le sue aspirazioni più profonde.

Da questo punto di vista paricolarmente rilevante appare l'intervento di monsignor Giampaolo Crepaldi (“La Parola che salva nella storia: il compito delle commissioni Giustizia e Pace”, pagg. 131-137), già segretario dello stesso dicastero in passato e attualmente Arcivescovo di Trieste, che mette a tema la questione dell'identità del laico cattolico nello spazio pubblico e quindi del dialogo con il mondo soffermandosi sui temi della pastorale sociale e sulla chiave di lettura offerta a tal proposito dalla Dottrina sociale come sapere ordinato che presuppone la Fede e si affianca al Magistero dei Pontefici. Si avverte come un punto delicato oggi sia quello costituito dalla tenuta complessiva 'dell'ecclesialità' degli organismi laicali cristiani perchè senza l'orientamento al primato perenne del Vangelo il rischio a volte è quello di trasformare la propria missione in ideologia o, peggio, in un'idea debole subalterna alle correnti filosofiche mondane dominanti. Oltre quarant'anni dopo la rivoluzione del 1968 insomma, e dopo il lungo pontificato di Giovanni Paolo II (ventisette anni) sulla 'nuova evangelizzazione', c'è ancora molto da fare per ri-dare coraggio alla missione pubblica dei laici che spesso appaiono ancora tentati dal ritorno al privatismo e a una testimonianza il più possibile innocua – ovvero pubblicamente accomodante – della dottrina cristiana. A seguire, notevole è anche l'intervento di Peter Klasvogt (“Gli attori della Dottrina sociale della Chiesa: la formazione dei futuri presbiteri alla luce della Dottrina sociale della Chiesa”, pagg. 138-150), presidente dell'Istituto sociale “Kommende Dortmund”, in Germania, che tratta della storia recente della sua accademia, legata alla rinascita economica e sociale della Ruhrgebiet (il famoso bacino della Ruhr, da sempre grande centro industriale della Nazione). Qui si vede come l'opera di formazione teologica e sociale – diretta a futuri sacerdoti - ha dovuto fare i conti soprattutto con le ferite causate dalla divisione in due del Paese durante la Guerra Fredda (1945-1989) e al lungo processo di riunificazione che ne è seguito. Oggi, invece, gli sforzi sono concentrati soprattutto sull'accoglienza dei sacerdoti provenienti dai Paesi orientali usciti dal comunismo e sull'accompagnamento del processo d'integrazione europea: un'esperienza comune di Weggemeinschaft (“comunità in cammino”), come si esprime significativamente lo stesso Klasvogt, che sta dando frutti notevoli sia dal punto di vista umano che spirituale facendo sentire tutti i partecipanti 'una cosa sola' dopo anni di dolorose incomprensioni e divisioni reciproche dovute a guerre e nazionalismi.

Tra gli interventi più centrati sulle tematiche economiche merita menzione invece quello del gesuita William Ryan, del Forum canadese per la giustizia sociale e la pace (“Verso un'economia sociale: pluralismo e partecipazione alla realizzazione del bene comune con esplicito riferimento alle opportunità, agli obiettivi e alle sfide affrontanti in Nordamerica”, pagg. 230-254) che presenta alcune esperienze di attività no-profit particolarmente riuscite, come quelle promosse dal movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich in Italia nel 1943. Lungi dal dedicarsi solo alla spiritualità, il movimento infatti ad oggi ha aperto più di 750 aziende in tutto il mondo che portano avanti praticamente nei rispettivi campi il lascito ideale della Lubich: 'unità' e 'comunione' tanto da affermarsi – a detta degli stessi studiosi – come buoni esempi di “economia di comunione” (pag. 238), fondati sulla condivisione degli utili e la diffusione della gratuità come principio sociale ponendosi in tal modo anche come alternativi al 'mainstream' commerciale oligopolistico che la fa da padrone in molte aree geografiche dove oggi i vincoli giuridici e normativi sono più deboli, o quasi inesistenti.

Savino Pezzotta, già segretario generale della CISL, attualmente membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel suo intervento affronta invece il tema dei diritti del lavoro declinati in un contesto di globalizzazione avanzata (“Valorizzazione e remunerazione del lavoro, politiche sociali: sussidiarietà e giustizia sociale in un contesto di globalizzazione”, pagg. 416- 428). Dopo avere ribadito che l'insegnamento sociale della Chiesa è, per sua natura, “strumento di evangelizzazione” (pag. 417), Pezzotta ricorda che la Mater et Magistrapropone la piena occupazione come obiettivo sociale fondamentale” (pag. 418) anche se molti oggi lo disattendono pregiudizialmente ritenendo che una disoccupazione parziale possa comunque permettere un buon funzionamento dell'economia. Ammesso e non concesso che questo sia vero, resta però il punto che nessuna persona sarà mai libera senza una rendita personale che contribuisca a costruirla anche umanamente: fare finta che non sia così significa porre le basi per futuri pericolosi scollamenti e frizioni (se non veri e propri conflitti) sociali. D'altra parte in Occidente stiamo attraversando anche una fase d'impoverimento capillare che colpisce soprattutto le fasce più deboli: “Fino a quando si può assistere al processo d'impoverimento dei lavoratori che ha coinvolto le loro famiglie e anche la classe media? Essere precario, non avere la prospettiva di un reddito stabile, inibisce la costruzione di forti relazioni sociali, crea competitività verso il basso, impedisce la mobilità sociale e finisce per paralizzare le dinamiche sociali ed economiche. Bastano solo alcuni dati per confermare queste affermazioni: nel 2010 il Pil pro capite è stato inferiore a quello del 2000; le risorse verso le famiglie sono diminuite e la percentuale destinata al risparmio si è contratta...” (pag. 421-422). Vi è poi il problema della rivoluzione tecnologica che sta assumendo branche sempre più importanti dell'economia: “è chiaro che siamo di fronte a un mutamento di paradigma e non possiamo certo diventare dei neoludddisti” (pag. 422), e tuttavia nemmeno per questo il problema può essere semplicemente eluso come se non esistesse affatto. Infine, restano le grandi disuguaglianze globali: “In un recente rapporto, l'OCSE ha messo in luce come il 10% più ricco della popolazione mondiale gode di un reddito nove volte superiore a quello del 10% più disagiato. In alcuni Paesi, soprattutto dell'America Latina, il dislivello è anche 27 volte superiore” (pag. 423). Come se ne esce allora?

Pezzotta suggerisce quattro chiavi: anzitutto il sostegno alla crescita economica perchè senza di essa diventa difficile parlare di occupazione, remunerazione e politiche sociali. Oggi occorre però mettere l'accento non più sulle ore o i giorni lavorati, come se più ore volesse dire automaticamente più produttività, ma sul tasso d'innovazione, cioè sul paradigma tecnologico che si vuole sposare perchè la battaglia competitiva a livello internazionale in ultima analisi si vince qui. Si tratta quindi d'investire – a lungo termine – in conoscenza e sapere, sulle nuove forme di know-how, più che sulle rendite di posizione che ormai non tutelano più nessuno. In secondo luogo c'è la famiglia: “le politiche famigliari devono essere il centro delle nuove politiche sociali e fiscali” (pag. 426). Qui la scala delle priorità e ben nota: “la questione della casa e l'emergenza abitativa, l'abbassamento della pressione fiscale e tariffaria in ragione della composizione famigliare. Andrebbe recuperato e aggiornato alle situazioni attuali il concetto di salario familiare. In una situazione di declino demografico, con tutto quello che significa sul piano economico e sociale, creare condizioni fiscali, tariffarie, salariali e dei servizi che aumentino il reddito famigliare, non è da considerarsi un aggravio del bilancio, ma un investimento di lungo periodo” (pag. 426). Poi un rilancio delle forme di valorizzazione del lavoro con una maggiore partecipazione (ad esempio) alla ricchezza produttiva d'impresa e quindi, come suggeriva da ultimo la Caritas in veritate, re-immettere nel circuito sociale “il sale della gratuità, del dono e della fraternità” (pag. 427) perchè una vita buona si nutre soprattutto di relazioni umane e forme di cooperazione e collaborazione.

A seguire, Antonio Fazio, economista ed ex governatore della Banca d'Italia, si sofferma invece lungamente sulla questione demografica in “Sviluppo demografico in Europa. Proiezioni e problemi. Conseguenze ecnomiche e sociali” (pagg. 759-778). Fazio osserva che dal 1950 ad oggi la vita-media è aumentata considerevolmente e ciò ha contribuito ad accrescere il numero degli abitanti dei nostri Paesi “anche in presenza di una tendenza a decrescere della natalità” (pag. 761) che è il dato più incisivo e inatteso degli ultimi anni (persino nell'immediato Dopoguerra il tasso era maggiore). In effetti, “in nessuno degli Stati [europei] considerati [l'indice di fertilità femminile] raggiunge l'equilibrio, cioè 2,0 nati per donna [...] solo in Francia il valore della fertilità è prossimo al valore di equilibrio, risultando pari a 1,9” (pag. 773). Questo alla lunga ha fatto sì che la quota dei giovani con meno di 15 anni di età finisse per essere numericamente inferiore (!) a quella di ultrasessantenni, provocando dei veri e propri terremoti sociali: per venire a noi, oggi la popolazione italiana “al pari di quella giapponese, è la più invecchiata del mondo” (pag. 775). Stando così le cose la proiezione futura, ad avviso di Fazio, è drammatica: “se non ci saranno aumenti nei prossimi decenni per l'indice di fertilità, nel corso di due generazioni il numero delle donne italiane e quindi degli italiani sarà dimezzato” (ibidem). Su questo sfondo il ricorso all'aborto volontario, permesso in Italia dalla nota legge del 1978 e aumentato nel frattempo a dismisura, non fa che aggravare la situazione: “sommando il numero degli aborti volontari a quelli delle nascite saremmo probabilmente in una situazione prossima a quella dell'equilibrio demografico” (pag. 777). Detta da un economista, la considerazione dovrebbe far finalmente riflettere tutti i soggetti politici e sociali che imputano solitamente ai cattolici di argomentare esclusivamente su basi confessionali: al contrario, se la matematica non è un'opinione “popolazioni con tendenze in atto come quelle rilevate e sommariamente descritte nei paesi europei sembrano condannare queste popolazioni nel giro di qualche generazione a una sorta di eutanasia sociale” (ibidem). Le Conclusioni del volume, a cura ancora di monsignor Mario Toso (pagg. 862-869), infine, sintetizzano così i vari contributi emersi dai lavori del Congresso Internazionale: “condizione imprescindibile dell'universalizzazione di una democrazia sostanziale, sociale e partecipativa è che essa sia sorretta da un ethos aperto alla Trascendenza, animato dalla fraternità e dalla logica del dono e, inoltre, sia poggiante su un quadro etico-giuridico certo, ossia su diritti e doveri radicati nella legge morale universale e non sull'arbitrio. In definitiva, occorre che la giustizia sociale mondiale non sia fondata su un mero consenso sociale, quale quello previsto dalle etiche neocontrattualistiche e neoutilitaristiche o del dialogo pubblico, bensì sul bene umano universale” (pag. 868).

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