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Martirio al santuario. Angelo Minotti e l’Avanguardia cattolica

Copertina

Fin da quel Venerdì Santo sul Golgota la vita dei cristiani in tutto il mondo è stata caratterizzata dalla realtà concreta del martirio. Il secolo appena passato, significativamente definito dal beato Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) come il "secolo di Caino", è stato il secolo in cui più si è versato il sangue dei cristiani. Anzi, stando agli studi più recenti, se si somma il numero dei cristiani morti tragicamente in odium fidei nei 1900 anni precedenti, non si raggiunge la cifra registrata nel solo XX secolo, segnato dall’esplosione radicale delle grandi ideologie totalitarie: circa quaranta milioni di morti.L’Italia, su cui certo vigila sempre in modo particolare la Provvidenza, presenta numeri inferiori alla media ma non fa eccezione. Lo dimostra, fra gli altri, l’ultimo saggio dello psicologo lombardo Roberto Marchesini (cfr. R. Marchesini, Martirio al santuario. Angelo Minotti e l’Avanguardia cattolica, D’Ettoris Editori, Crotone, Pp. 98, Euro 11,90), dedicato alla figura del giovane catechista di Rho, nei pressi di Milano, Angelo Minotti (1890-1920), assassinato sul piazzale antistante il locale santuario mariano dell’Addolorata da un gruppo di socialisti la domenica dopo l’ottava della festa del Corpus Domini del 1920. Eppure, come osserva Marco Invernizzi nell’Invito alla lettura del testo, "nella nostra storia nazionale, la presenza di martiri per la fede, cioè di cattolici assassinati perché cattolici militanti, pubblicamente impegnati nel difendere e promuovere la presenza della Chiesa, suscita un certo stupore" (p. 10). Nel sentire comune del mondo cattolico contemporaneo, infatti, raramente si coglie la consapevolezza della propria identità storica, anche recentissima, e temi come quelli dei martiri delle ideologie politiche — si pensi solo al "buco nero" costituito dai tanti preti uccisi dai partigiani comunisti sul finire della guerra civile italiana (1943-1945) e anche oltre —, anche a più di mezzo secolo di distanza, continuano a restare un imbarazzante tabù.

Il breve saggio storico di Marchesini, in questa ottica, ha il merito di fare luce su un periodo fra i più convulsi della politica italiana del 1900, ovvero quello seguìto alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918), la Grande Guerra, segnato dai violenti conflitti sociali del cosiddetto "biennio rosso" 1919-1920, quando una crisi socio-economica gravissima aveva dato luogo a occupazioni delle terre, espropriazioni coatte, scioperi selvaggi e agitazioni violente dal Nord al Sud della Penisola. Sono questi, peraltro, gli anni in cui nascono quelle grandi formazioni politiche che domineranno la scena politica del "secolo breve": dal Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo (1871-1959), d’ispirazione cristiana ma dichiaratamente aconfessionale — fondato il 18 gennaio 1919 — ai Fasci di Combattimento che Benito Mussolini (1883-1945) fonda il 23 marzo dello stesso anno e che avrebbero costituito il primo nucleo del movimento fascista, al Partito Comunista d’Italia, costituito a Livorno il 21 gennaio 1921 da una frangia di massimalisti usciti dal Partito Socialista Italiano. Su questo sfondo i cattolici, emarginati in toto dalla vita politica del Paese fin dall’aggressione perpetrata dal nuovo Regno unitario contro la Sede di Pietro con la celebre "breccia di Porta Pia" del 1870, umiliando il beato Papa Pio IX (1846-1878), cercano faticosamente di riguadagnare il loro posto nella società italiana. A questa "rinascita" del cattolicesimo organizzato si opponevano naturalmente, e con vigore, le nuove formazioni politico-ideologiche, che ricorrevano spesso a ogni mezzo, legale e illegale, perché la Chiesa non riconquistasse il terreno perduto. Quello che accade nella diocesi di Milano, la più grande d’Europa, è esemplare: "frequenti tentativi di invasioni delle Chiese e di incendio dei circoli e sedi delle associazioni, assalti alle processioni, sacerdoti e giovani cattolici vilipesi, parodie blasfeme erano all’ordine del giorno" (p. 53). Allora, su impulso dello stesso arcivescovo ambrosiano, il cardinal Andrea Carlo Ferrari (1850-1921), si costituirà, per tramite dell’Unione Giovani Cattolici Milanesi, "il primo nucleo dell’associazione denominata Avanguardia Cattolica, "la spada dietro l’armadio" dei cattolici milanesi, secondo una definizione del cardinale Montini" (p. 54). Si trattava di un gruppo di giovani, "[...] scelti tra quelli più attivi, con una intensa vita spirituale e dotati anche di una certa prestanza fisica" (ibidem), che avevano come compito principale "la difesa delle celebrazioni religiose e delle istituzioni cattoliche" (ibidem), ma che prestavano una particolare attenzione anche alla formazione culturale e spirituale delle giovani generazioni. Negli anni a seguire, l’Avanguardia si diffonderà fuori dal Milanese, "[...] arrivando a contare circa settanta gruppi con quasi 1500 iscritti" (p. 56), costituendo così un rilevante bastione identitario per la difesa della libertà di azione della Chiesa. Grazie a questi giovani — che ritroveremo impegnati attivamente anche nei Comitati Civici di Luigi Gedda (1902-2000) che faranno la loro comparsa in occasione delle fondamentali elezioni politiche dell’aprile del 1948, le quali sanciranno la scelta di filo-occidentale e anticomunista del nostro Paese — il cattolicesimo lombardo potrà continuare la sua encomiabile opera di evangelizzazione sociale nella stagione missionariamente più difficile per la Chiesa, quella fra le due guerre mondiali.

Angelo Minotti era uno di questi ragazzi che parteciparono giovanissimi alla Prima Guerra Mondiale e ne subirono le conseguenze drammatiche. Catturato dagli austriaci nel 1916, sarà inviato come prigioniero nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria, quindi trasferito a Brod, in Croazia. Potrà tornare a casa, a Rho, solo nel 1919, dopo otto anni di servizio militare e trenta mesi di prigionia. Eppure "appena tornato, riprese la sua attività nell’Unione Giovani Cattolici di Rho e come maestro di Catechismo presso l’oratorio di San Luigi" (p. 74) e sarà proprio svolgendo il suo apostolato catechistico che troverà la morte, il 13 giugno del 1920, sul piazzale del santuario della sua città per mano di un gruppo di socialisti armati che, piombati all’improvviso dinanzi la chiesa, spareranno alcuni colpi di rivoltella sui presenti, uccidendo appunto Minotti e ferendo altre persone. Sull’omicidio non ci sarà mai alcuna inchiesta.
Così, nonostante l’efferato delitto, della figura di Minotti, si è persa, fino a oggi, ogni memoria. Il libro di Marchesini, si spera il primo di una lunga serie sui "nostri" martiri dimenticati, ha il merito di colmare finalmente, con una notevole cura storiografica e l’ausilio di un apparato fotografico-documentale inedito di prima mano questo vuoto ingiustificabile.

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