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L’associazione culturale Art Revolution ha ufficialmente presentato, nella splendida cornice della Chiesa Santa Maria Alemanna, il progetto “Messina, 28/12/2016, la Rinascita” patrocinato da Assemblea Regionale Siciliana, dal Comune di Messina, dal Conservatorio Arcangelo Corelli, dal Teatro di Messina, dal Consolato Onorario della Federazione Russa di Messina e dall’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Messina.

La manifestazione, che avrà una durata di un anno (fino a gennaio 2018), si comporrà di 3 mostre, una rappresentazione teatrale, numerosi concerti e altri eventi collaterali quali congressi, dibattiti e conferenze. Questi gli eventi principali:

Il primo appuntamento è nel mese di marzo con la mostra sensoriale “Percorsi nella memoria”: l’esposizione condurrà i visitatori in un vero e proprio viaggio che rappresenta la Città dello Stretto prima e dopo il terremoto, con oggetti, musiche originali, interpretazioni attoriali e video che descrivono il tragico evento.

Nel mese di maggio è in programma la mostra di arte contemporanea dal titolo “NUR” (che in arabo significa luce), che vedrà la partecipazione di artisti internazionali, realizzata in collaborazione con Art Date e il Consolato Onorario della Federazione Russa di Messina.

La mostra “Trentasette”, che sarà inaugurata il 28 dicembre 2017, dove verranno esposte le illustrazioni del fumettista Gianluca Gugliotta che hanno come tema Messina prima, durante e dopo il terremoto del 1908. In particolare, saranno raffigurate strutture architettoniche che non esistono più, di cui tanti messinesi ignorano l’esistenza. Gugliotta è conosciuto al grande pubblico per le prestigiose collaborazioni con la casa editrice americana Marvel, con Bonelli e DC e per essere storyboard artist in importanti produzioni della Rai.

Nel mese di gennaio 2018 si chiuderà il progetto “Messina, 28/12/2016, la Rinascita”, con lo spettacolo teatrale “Il bambino che disegnava sotto il lampione” da cui sarà anche tratto un fumetto realizzato Gianluca Gugliotta, che verrà distribuito gratuitamente nelle scuole.

La serata di presentazione del progetto è stata aperta da una suggestiva e coinvolgente performance artistica, che ha visto protagonisti l’attrice catanese Elisa Franco, la cantante Sandra De Dominici, i musicisti Giovanni Alibrandi (violino), Adolfo Crisafulli (chitarra), Gianpaolo Villani (percussioni), le ballerine Monica Trupiano e Stefania Longo e numerose altre comparse.

Sul palco della Chiesa Santa Maria Alemanna sono intervenuti la giornalista Rosaria Brancato che ha presentato la serata, Gabriella Sorti che presiede Art Revolution, Nanni Ricevuto Console Onorario della Federazione Russa di Messina, l’assessore alla Cultura Daniela Ursino che ha elogiato l’iniziativa, Giovanni Lazzari, presidente dell’ordine degli architetti di Messina, Giovanni Tropeano studioso della storia di Messina ed il fumettista Gianluca Gugliotta che ha presentato in anteprima una delle opere che saranno esposte nell’evento che lo vedrà protagonista.

Gabriella Sorti di Art Revolution spiega: “Il nostro progetto parte da un evento tragico che rappresenta una delle pagine più dolorose della nostra città, che viene utilizzato come punto di partenza per una rinascita umana, artistica e culturale”.

“Messina, 28/12/2016, la Rinascita” è realizzato in collaborazione con Centro Ren, ASI - Associazioni Sportive e Sociali Italiane - Ente di Promozione Sportiva riconosciuto dal CONI, Multisala Apollo e Art Date ed è sostenuto da: Il Dolcetto, Giardini d’Amore, Bellezza e Benessere di Rossella Frassica, Agenzia pratiche automobilistiche Claudio Lisitano, MAS (Messina Audio Service), Acquamarina Gioielli, Heart Life Croce Amica s.r.l., O.G. Hydrothermoimpianti. 

Il pensiero cartesiano, come abbiamo visto, minando alla base i concetti di autorità e tradizione, provocava non solo un nuovo modo di fare filosofia, rompendo definitivamente i ponti col pensiero classico, ma aveva anche delle ripercussioni politiche notevoli. La grandeur francese, ‒ “costruita” nel tempo da personaggi come Enrico IV di Borbone (1553-1610), i cardinali Richelieu (1585-1642), Mazzarino (1601-1661) e Luigi XIV detto il Re Sole (1638-1715), che ne fecero la maggiore potenza europea ‒, necessitava, per mantenersi in vita, di un conservatorismo assoluto. Proprio il contrario  dei processi innescati da Cartesio, che con forza uguale, se non maggiore, negli stessi anni, si avviarono in Inghilterra, verso cui, gradatamente, iniziò a spostarsi il baricentro della politica e della cultura europee. Sul piano culturale, il passaggio dalla latinità alla britannicità, se così possiamo chiamarlo, avvenne grazie all’opera congiunta di Isaac Newton (1642-1727) e John Locke (1632-1704); il primo, basandosi sull’opera pionieristica di Galileo (1564-1642), rivoluzionò la scienza fisica, il secondo, forse il politico più influente dell’intero mondo anglosassone, rivoluzionò la scienza politica in chiave liberale. Possono essere considerati i fondatori del deismo- cui poi si ispirò Voltaire (1694-1778), una concezione che respinge il Dio della Fede e della Rivelazione, in nome di un Dio della ragione: l’unico accettabile dall’uomo moderno. All’umanità, per vivere prospera ed in pace, non serve più il Dio predicato dalla Chiesa Cattolica, ma bastano il Dio ed i precetti, che ciascun uomo può raggiungere con le sole forze della sua ragione naturale.

Sul piano politico, negli stessi anni, tutto questo si concretizzò nel 1688 con il compimento della cosiddetta Gloriosa Rivoluzione, all’interno di una lotta intestina familiare, che oggi sarebbe giudicata degna di una grandiosa fiction televisiva. Quell’anno, si realizzò la cacciata definitiva di Giacomo II Stuart (1633-1701) ‒ cugino del Re Sole ‒, l’ultimo monarca inglese cattolico, ad opera di Guglielmo d’Orange (1650-1702), il quale era, contemporaneamente, suo genero/nipote: infatti, aveva sposato sua figlia, la principessa Maria (1692-1694); al contempo, essendo figlio di sua sorella, la principessa d’Orange Maria Enrichetta Stuart (1631-1660), era cugino di primo grado di Maria, sua moglie e, dunque, suo nipote. A dire il vero, Giacomo II era perplesso circa il matrimonio di sua figlia Maria, col cugino Guglielmo: la storia gli darà ragione. Guglielmo d’Orange, calvinista olandese, invase l’Inghilterra e cacciò il suocero/zio, il quale trovò rifugio in Francia, presso il cugino, il Re Sole: salito al trono, instaurò la monarchia parlamentare. Da quel momento, per i cattolici, in Inghilterra, si aprì una lunga fase difficile, nonostante la sbandierata tolleranza. Uno dei primi atti di Guglielmo, infatti, già nel 1689, fu la pubblicazione del Toleration Act, con il quale si sanciva la libertà religiosa per tutte le confessioni protestanti: rimasero  esclusi i cattolici, i quali, fra le altre cose, non potevano ricoprire cariche pubbliche. Tale situazione si è protratta, poi, fino a metà dell’800’; nello stesso anno, veniva pubblicata da Locke, la sua celebre Lettera sulla Tolleranza, che includeva tutti, tranne due categorie: i cattolici, manco a dirlo, perché obbedienti ad un’entità sovranazionale come la Chiesa e gli atei, perché non in grado, a suo dire, di garantire la fedeltà ad un giuramento o ad un patto. La difficile situazione dei cattolici nella patria della “tolleranza” è ben descritta dallo scrittore e giornalista Vittorio Messori, il quale parlando dell’anglicanesimo, ha detto: «Non è sempre stato una cosa da gentleman, da elegante High Church: nei suoi periodi di furore (non furono né pochi né brevi) tagliò le teste dei cattolici che resistevano, distrusse le abbazie, passò la calce sugli affreschi nelle chiese, fracassò le meravigliose vetrate, sostituì il crocifisso con gli scudi del re e dei duchi». Il pensiero britannico si orientò decisamente verso la terra, convinto di trasformarla in un paradiso, mediante l’azione della nuova scienza e del susseguente progresso tecnico. L’Europa continentale, in primis la Francia, importò questo modello, declinandolo nelle caratteristiche proprie, prima fra tutte l’astrattismo dottrinario. Nacque, così, una nuova categoria umana: l’intellettuale, un individuo imbevuto di principi astratti, pronto a seguirli anche in caso di palese inadeguatezza di questi a descrivere il reale. Una sorta di neofilosofo, ricco in scienza positiva, interessato ai piaceri e, per definizione, ostile ad ogni Rivelazione divina. Ostile anche a quella sublime scienza, pienamente razionale, il cui oggetto di studio, la ricerca delle cause ultime delle cose, ha reso possibile alla ragione umana, la scoperta delle realtà soprasensibili. In pratica, mentre un astronomo si chiede come è fatta una stella, un fisico perché brucia idrogeno e un matematico ne calcola i parametri orbitali, il metafisico si chiede qual è il fondamento dell’essere della stella, così come di ogni altro ente creato. La metafisica consente alla ragione, di passare dalla stella o da ogni altra cosa creata, alla causa invisibile della sua esistenza, visto che nessun ente si spiega da sé: questo, come diceva san Tommaso, è ciò che gli uomini chiamano Dio. La metafisica, inoltre, occupandosi dei primi principi universali dell’essere, rende possibile ogni altra scienza particolare. Fu scoperta nell’antica Grecia da Platone (428/427-348/7), sistematizzata da Aristotele (384/3-322) e portata a compimento da san Tommaso d’Aquino (1225-1274). A partire da Cartesio, venne sempre più marginalizzata dalla cultura europea; possiamo, così, capire meglio l’eclissi di Dio nel mondo moderno. In realtà, questa crisi ha radici storico-filosofiche ancor più remote nel tempo, radici che affondano agli albori del XIV secolo. Come vedremo la prossima volta.

Ha ragione Giampaolo Pansa quando dice che da Lorenzetto è meglio non farsi intervistare: «scopre tutti i vostri peccati». Le sue domande spezzano il fiato. Marcano con schiettezza il confine tra bene e male, costringendo l’interlocutore a dichiarare da che parte si è schierato. È quello che ha fatto con Massimo Gandolfini, il neurochirurgo che da un po’ guida il popolo del Family Day. E che ha appena scoperto una nuova vocazione, la ricerca di un giudice a Roma. Già, «mi sono reso conto che c’è un disperato bisogno di giudici che abbiano come fondamento etico la dignità della persona. Oggi ho la sensazione che una magistratura autoreferenziale, terribilmente ideologizzata, stia modificando la struttura stessa della storia, dell’uomo della società».

In Europa e un po’ in tutto l’Occidente che fu Cristianità, «stiamo perdendo il senso del divino, in nome dell’umano, non si sa più cosa sia la persona, la libertà, l’amore, la famiglia, la vita, la morte. Tutto viene continuamente messo in discussione e tutto si dice deve essere ridefinito come se tutto fosse a nostra disposizione», come ha affermato abbastanza recentemente il cardinale Bagnasco. Tutto questo diventa tangibile leggendo ‘L’Italia del Family day’, edito da Marsilio. Eppure Gandolfini e Lorenzetto dribblano con abilità i luoghi comuni, la stucchevole banalità e la retorica pedante: i tranelli più insidiosi quando si parla di famiglia, figli, adozioni, omosessualità.

Massimo Gandolfini prende le distanze anche dalla ipocrita retorica pauperista che ha investito la Chiesa, e ammette con onestà intellettuale che i sette figli adottati – quasi nessuno immune da una patologia grave, a volte gravissima – sia stato possibile crescerli grazie al fatto che lui non è povero, ma è il professionista più conosciuto nel Bresciano. «Ho un contratto che mi permette l’extramoenia, per cui non ho mai avuto problemi ad arrotondare con visite specialistiche e consulti. Ringraziando il Cielo, almeno questo non è mai stato un assillo».

Quando ripensa al giorno in cui è nato il comitato “Difendiamo i nostri figli”, ricorda che era il 2 giugno 2015, festa della Repubblica. Una “coincidenza” significativa, perché lui sì che la cambierebbe la Costituzione, ma non come e con Renzi. La fonderebbe sulla famiglia, più che sul lavoro.

Del presidente del Consiglio, i due parlano a più riprese. E quando Lorenzetto domanda, forse retoricamente, «chi gliel’ha fatto fare [a Renzi] di arrivare a una prova di forza? Perché insistere con le adozioni alle coppie gay, quando i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria?».

Gandolfini non si affida alle mezze frasi, convinto com’è che il nostro premier non sia indipendente nelle sue prese di posizione, e che piuttosto prenda ordini da Obama. «Che importa a Obama se in Italia le unioni civili sono riconosciute dalla legge oppure no?».

«Importa, importa. Chi è stato il presidente che, appena rieletto, ha proclamato: ‘Adesso bisogna pensare ai diritti dei gay’, come hanno titolato tutti i giornali riferendo il discorso d’insediamento? Obama. Chi ha spinto affinché la Corte suprema degli Usa legalizzasse i matrimoni gay su tutto il territorio nazionale, nonostante la contrarietà di molti Stati? Obama. Chi ha nominato nell’aprile 2015 il primo inviato speciale degli Usa per i diritti umani dei gay, Randy Berry, omosessuale dichiarato? Obama. Chi lo ha spedito, alla prima missione ufficiale per promuovere la causa, presso la Segreteria di Stato della Santa Sede e il Consiglio pontificio per la giustizia e la pace, come ha rivelato Time? Obama. Chi lo ha mandato in giro per il mondo – in soli sette mesi aveva già visitato 30 Paesi – a propagandare presso i governi l’omosessualismo? Obama.  […]».

«Sarà mica un criptogay?».

«No. Però è al servizio dei padroni del mondo, che non sono certo i governi». Che ci siano multinazionali in grado di orientare l’opinione pubblica e determinare le sorti dei governi non è un’idea da complottista dell’ultima ora. Gandolfini sa bene, come chiunque sia dotato di buon senso, che una famiglia debole significa una società debole. E che una società debole, formata da figli con orientamenti sessuali incerti e mutevoli, non ha difficoltà a farsi condizionare. Quando la relazione familiare latita, viene a mancare la più forte delle relazioni che esista, e gli individui finiscono per vegetare in uno stato di anomia.

Sia l’intervistatore che l’intervistato sono d’accordo. Siamo alla dittatura della minoranza. D’altronde, Renzi si è impegnato con ardore a legiferare per lo 0,025% della popolazione!

Gandolfini non manca mai, in ogni risposta, di dimostrare quell’onestà intellettuale che lo rende un uomo di poche pretese. Eppure un “desiderio”, oltre al lieto fine, lo ha: una parola di «chiarezza da parte della Chiesa, una spinta». Qualcosa, insomma, che funga da artiglieria per vincerla questa battaglia. E Lorenzetto, che lo ha capito bene, lo pungola in più occasioni. Come quando gli ricorda come il Papa avesse telefonato a Emma Bonino («che negli anni Settanta svuotava uteri con una pompa per bicicletta, smaltiva i feti smembrati in un barattolo vuoto di marmellata e questo le sembrava “un buon motivo per farsi quattro risate” insieme alle sventurate che aveva appena aiutato ad abortire con tale metodo»), e a lui no. Poi, però, lo consola, «come sostiene un mio amico prete, innamorato di Francesco, un pontefice venuto dalla fine del mondo non può che dire cose dell’altro mondo». O almeno ci prova.

Il mestiere di fare domande presenta più insidie di quel che si pensi. E spesso le domande si finisce per farle anche un po’ a se stessi. Come a ricordarsi perché si stanno impiegando tante energie per qualcosa che il mondo reputa folle, sterile. Allora quando il più bravo intervistatore d’Italia domanda a Gandolfini perché «non ha continuato ad aprire scatole craniche invece di rompere le scatole a Renzi», nella risposta, forse (!), ha trovato quello che cercava anche per se: «Gesù ha comandato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni”. Non ha detto: statevene rinchiusi in casa vostra o in sala operatoria. E neppure: andate e costruite ponti, la famosa frase che oggi va tanto di moda. Ma poi quali sarebbero i ponti da gettare? Ci sono già, e belli larghi, mi pare. […] Il mio compito è innanzitutto quello di far crollare i ponti minati».

Famiglia naturale, omosessualità, “matrimonio” omosessuale, adozioni gay, utero in affitto, gender. Tutto quel che è oggi tema di discussione per benpensanti, nel libro intervista è affrontato nei dettagli, anche e soprattutto da un punto di vista scientifico.

E ai media di ogni sorta che ormai operano solo sotto lo stendardo di “gay è bello, gay è felice, gay è meglio”, Lorenzetto risponde affidando il cuore del libro – da dove arriva l’ossigeno del senso di queste pagine – all’intervista che fece lui stesso a Luca di Tolve. Il protagonista della canzone di Povia, tratta da un storia vera, finita sul palco del teatro Ariston. Per intenderci, l’uomo perseguitato da tutte le comunità Lgbt del caso perché racconta una verità che mette seriamente in crisi ogni loro “teoria”.

Che cosa pensa si aspetti, il Padreterno, da lei? «Che non mi sottragga al dovere di dare una rappresentanza a quella moltitudine d’italiani ben consci della deriva etica in atto e impossibilitati a fermarla».  L’Italia del Family day è viva, e non è stanca.

L’Europa, dunque, progressivamente, nel corso degli ultimi secoli, ha smarrito la sua coscienza cristiana, determinando l’attuale eclissi di Dio, magari non tanto nelle coscienze dei singoli, quanto, principalmente, nella sfera pubblica, così come auspicava il laicismo di stampo ottocentesco ed evidenziava, a suo tempo,  Papa Benedetto XVI  in un’omelia ‒ pronunciata il 2 ottobre 2005, in occasione dell’ apertura della XI assemblea generale ordinaria del  Sinodo  dei  vescovi , nella quale disse: «Vogliamo possedere il mondo e la nostra vita in modo illimitato. Dio ci è di intralcio. O si fa di Lui una semplice frase devota o Egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato». Come è avvenuto tale processo? A modesto avviso dello scrivente, sono due gli autori, che l’hanno descritto con maggiore efficacia e precisione: Plinio Correa De Oliveira (1908-1995) nel suo Rivoluzione e Controrivoluzione, e Paul Hazard (1878-1944) nel suo classico e sempre valido, La crisi della coscienza europea. Il primo autore ha preso in esame, soprattutto, l’aggressione perpetrata dal processo rivoluzionario, scandito in quattro tappe, alla civiltà cristiana occidentale, liberamente ispirata ai valori del Vangelo, senza essere teocratica,  nata ‒ secondo l’insegnamento dello storico Marco Tangheroni (1946-2004) che qui segue un’idea di sant’Agostino (354-430) ‒,  come un nuovo mondo non più inquadrato nelle plurisecolari strutture romane e imperiali, un nuovo mondo nel quale popolazioni romanizzate e popolazioni barbariche potranno fondersi grazie alla comune appartenenza al cristianesimo.  Queste, in sintesi, le tappe:1) Lutero (1483-1546) , nel 1517 rompe l’unità di fede; 2) 1789, la Rivoluzione francese scardina la sintesi fede-politica; abolisce i corpi intermedi, lasciando l’individuo solo di fronte allo strapotere dello Stato, divenuto oramai un’istituzione impersonale, a differenza del Re, persona in carne ed ossa, della quale si conoscono le generalità precise; 3) 1917, la Rivoluzione bolscevica spazza via l’ultimo potere rimasto all’individuo: la sua capacità economica, che attraverso l’uso della  proprietà privata, per quanto minima, lo proteggeva in qualche modo dall’intervento onnipervasivo dello Stato. Uno Stato, quello comunista, che requisendo tutti i suoi beni, lascia l’individuo alla completa mercé del potere centrale; 4) 1968, la Rivoluzione sessuale-culturale; attraverso la mediazione della Scuola di Francoforte, si comprende come la rivoluzione debba andare oltre il piano puramente socio-economico, riguardante il proletariato, divenendo culturale lato sensu. In questo modo, la rivoluzione travolse l’uomo stesso, fin nel suo intimo, mutandone radicalmente natura,  costumi, giudizi ed obiettivi da perseguire. In particolare, il filosofo George Lukàcs (1885-1971) teorizzò il rapporto eros-rivoluzione, individuando nel disordinato istinto sessuale dell’uomo, la forza necessaria per scardinare la famiglia cosiddetta tradizionale, a sua volta perno dell’ordinata società naturale e cristiana, vero obiettivo da abbattere per ogni forza rivoluzionaria. Già nel 1843, Karl Marx (1818-1883) nel segnalare gli ostacoli che si frapponevano al trionfo della rivoluzione proletaria, scrisse: «E di tutti questi ostacoli, i due più grandi sono Dio […] e la famiglia».  Da allora, è praticamente iniziata una lotta senza quartiere alla famiglia tradizionale ‒ tutelata, tra l’altro, anche dall’art. 29 della nostra Costituzione repubblicana ‒  la quale, più veemente che mai, continua, senza sosta, anche  ai nostri giorni. Paul Hazard, a livello di pensiero, pone la nascita della crisi a cavallo del periodo storico 1680-1715, cioè tra la fine del Rinascimento e la quasi immediata vigilia della Rivoluzione francese, quando grossi mutamenti di pensiero, avviati in primis da Cartesio (1596-1650), iniziarono a mettere in dubbio le credenze tradizionali, a tutto vantaggio della costruzione di qualcosa totalmente nuova. Il pensatore francese, fondatore della filosofia moderna ‒ con il suo Cogito, ergo sum ‒ pose le basi dell’idealismo, iniziando a dividere il pensiero dal reale. Ci troviamo, qui, dinanzi, ad una svolta epocale, giudicata tale, nientemeno che da San Giovanni Paolo II, che nel suo ultimo libro, Memoria e Identità, riflettendo sulle stesse domande oggetto di questo articolo, scrisse: «Nel corso degli anni si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo». Poi, chiedendosi come mai larga parte degli intellettuali europei reagì male alla sua enciclica sullo Spirito Santo, attribuì il fatto all’influenza esercitata dalla cultura illuminista, soprattutto quella francese; tuttavia, trovò la causa remota proprio nel pensiero di Cartesio. Queste le sue parole: «Il Cogito, ergo sum penso, dunque sono portò un capovolgimento nel modo di fare filosofia […] si abbandonava ciò che la filosofia era stata fino ad allora, ciò che era stata in particolare la filosofia di san Tommaso d’Aquino: la filosofia dell’esse. Dopo Cartesio, la filosofia diventa una scienza del puro pensiero: tutto ciò che è  sia il mondo creato che il Creatore rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. La filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa». Se Cartesio ‒ in cuor suo, probabilmente, un buon cattolico ‒ conserva ancora un reale dominante sul pensiero, perché fa dipendere questo direttamente da Dio, considerato come garante di esso, i suoi discepoli più radicali, tuttavia, traggono le dovute conseguenze dalla sua impostazione, esaltando la ragione a scapito dell’autorità e della tradizione. Il mondo moderno è definitivamente nato. Il discorso, ovviamente, deve proseguire.

In occasione di un recente evento letterario che ha avuto luogo a Roma, ho incontrato un letterato bilingue di cui avevo sentito molto parlare. Proprio così, finalmente, ho conosciuto Arjan Kallço e sono rimasta affascinata dal suo sincero interesse verso la lingua e la letteratura italiana. Nato in Albania alla fine degli anni ’60, egli si laurea in Lingua Italiana presso l’Università di Tirana, per poi dedicarsi all’insegnamento, dapprima in un Liceo Linguistico e dal 1998 presso l’Università Fan S. Noli di Korça. Inoltre, ha collaborato con l’Istituto Italiano di Cultura in qualità di docente ai corsi dell’Università Roma Tre e CELI. È stato borsista del MAE italiano a Perugia, dove ha effettuato ricerche e vari studi sulla lingua e la letteratura italiana. Ha partecipato a diverse iniziative culturali in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Tirana e scrive articoli inerenti ricerche e studi, che vengono pubblicati su giornali e  riviste non solo nel suo Paese, ma anche negli Stati Uniti, Grecia, Macedonia, Italia, Kosovo, Olanda.

 La sue più grandi passioni sono la poesia, la prosa, il giornalismo e la traduzione. Insomma, un umanistico a tutto tondo! Ha tradotto e pubblicato il libro “Proverbi della Lingua italiana” , “Poesie italiane sull’amore”, “Racconti di scrittori italiani degli anni ’80” , la novella di Italo Svevo “Il buon vecchio e la bella fanciulla”, poi tradotta nel 2010 anche in albanese e “Antologia di poeti contemporanei italiani 2015”. Nel marzo 2010 presenta il volume di poesie “La tua immensità m’inebria”, che raccoglie liriche scritte nel corso dei suoi soggiorni in Grecia  ed ancora le varie edizioni in due lingue. Nel 2013 il libro di poesie scritte in Italia “Immagini di vita sussurrate”, al quale seguiranno altre interessanti pubblicazioni. Ultimamente si sta dedicando alla poesia Haiku, un genere di componimento poetico molto breve, che in questi ultimi anni comincia ad essere più seguito anche in Italia. Nato in Giappone intorno al 1600, si basa su una struttura letteraria singolare, composta da diciassette sillabe disposte in tre gruppi, (per capirci versi), secondo regole metriche ben precise. Il segreto della poesia Haiku è quello di riuscire ad esprimere un’emozione, un concetto in modo estremamente breve. 

Anche in questo caso, il poeta Kallço si cimenta in un lavoro promettente e a tal proposito quest’anno ha pubblicato in lingua italiana il volume “La danza delle foglie”, subito dopo tradotto in albanese. In questi anni egli ha ricevuto molti premi nell’ambito di Concorsi letterari sia italiani, che albanesi e le sue poesie compaiono in numerose antologie.

Quali sono i motivi che l’hanno portata ad orientare il suo percorso accademico verso lo studio e l’approfondimento della lingua Italiana?

Imparare una lingua straniera è come aprire una nuova finestra sul mondo, un universo che sconvolge la vita. Inizialmente, mi trovai dinanzi ad un vero dilemma; sembrava una strada impercorribile, almeno finchè il livello della mia conoscenza dell’italiano era basso e seguiva un pò le orme del francese. Nonostante ció, direi che ci sono stati tre momenti topici nella mia vita, che mi hanno avvicinato alla lingua italiana:

1-I racconti di mio nonno sui soldati italiani durante la Seconda Guerra; tra loro ce n’erano molti che definiva come brava gente, che amava lavorare molto e bene. Nei loro occhi traspariva una specie di affetto per la popolazione albanese e se si lavorava assieme, questi rapporti diventavano amichevoli. Poi, una delle frasi rimasta nella mia memoria,  diceva che gli italiani non erano per la guerra, ma per l’amore, a differenza dei tedeschi. Ci si aiutava a vicenda come meglio si poteva; anche scambi di cose utili per la vita, per non parlare poi della solidarietà dopo la fine del fascismo.

2-La maggior parte di film trasmessi dalla nostra televisione era in lingua italiana, anche se di produzione americana o di altri paesi europei. Iniziavamo così, piano piano, a farci l’orecchio con una lingua che non avrei mai immaginato sarebbe diventata la mia lingua, nel bene e nel male e che mi ha dato tante soddisfazioni. Un amore che non è mai venuto meno, senza separazioni nè divorzi, che possano oscurarne l’orizzonte. Molte parole o battute le imparavamo a memoria e così, quando si giocava con gli amici, ognuno cercava di sfoggiare il suo bagaglio di conoscenza. La nostra generazione aveva sete; pertanto, assorbivamo tutto ciò che riuscivamo ad afferrare. Quando il leader Albanese di allora veniva a Pogradec, una citta’ situata attorno ad uno dei laghi più interessanti dei Balcani, noi conoscevamo il periodo in cui si trasferiva per le ferie, e le antenne erano subito pronte in un giorno.

3- La musica e la televisione italiana. A proposito della prima, ricordo che durante la settimana aspettavamo il weekend per ascoltare la hit parade o le canzone che le nostre radio trasmettevano a casa. Mi rimbombavano sempre nell’orecchio le parole e il loro ritmo e i commenti dei presentatori dei programmi. A casa scrivevo quello che si poteva ricordare, certamente con le lettere del nostro alfabeto, e come davanti ad una videocamera, recitavo. Quanto alla televisione, i giorni che trascorrevo a Tirana, durante le vacanze o quando mi capitava di andarci, li passavo in gran parte davanti alla Tv, non appena iniziava la trasmissione della tv albanese. Mi ricordo allora il grande Toto Cotugno, che conduceva ogni giorno la trasmissione su Raiuno. Oppure, quando andavamo al mare in vacanza e seguivamo i programmi che vedevano i nostri vicini, che talvolta ci invitavano ad assistere quanto trasmesso sui canali delle Tv  private. E’ bello seguire un percorso simile nell’apprendere una lingua, poiché, in alcuni casi, come per lo sport, in poco tempo, avevo acquisito una discreta conoscenza dell’argomento.

Quale periodo della Letteratura italiana la affascina particolarmente?

È una domanda difficile, molto difficile. Scegliere quale e chi, diventa per me un campo minato; poi “quando si tagliano le dita di una mano”, si dice dalle nostre parti, “fanno male ugualmente”. Dal sommo poeta Dante Alighieri al ‘900 assistiamo ad una storia letteraria italiana che non ha paragoni nel resto del mondo e commetterei un grave errore di cultura, se evitassi contesti storici e autori, poichè ogni cosa va valutata prendendo in considerazione la contingenza del momento, in quel preciso spazio. Tempo e spazio sono inevitabili, anche riguardo la storia e la cultura. Parafrasando un vecchio proverbio: “ditemi che cultura avete, vi dirò chi siete! ”. Inoltre, va sottolineato che la letteratura di oggi non esisterebbe senza tener conto di quella di prima, che costituisce la base, il pilastro sul quale si poggiano tutte le varie correnti ed aperture letterature. Comunque, e’ chiaro che non tutti gli autori possono piacere, poichè le loro opere rispecchiano periodi diversi. C’e’ qualcuno che ti ispira particolarmente, quando sei tu che scrivi poesie e prosa. Io sono innamorato della letteratura del ‘900 e la corrente che mi entusiasma ed esalta maggiormente è l’Ermetismo, per la geniale idea di non parlare direttamente, ma per simboli e altre figure. Inoltre, se fra i quattro giganti, due sono Nobel per la Letteratura, allora la storia diventa più interessante e magica. Un labirinto in cui non ci sono molti tempi, ma uno solo: il tempo della cultura e non ne esistono altri più significativi nella nostra vita, oltre a quello rigorosamente e meticolosamente registrato nelle pagine infinite della storia della cultura. Immaginate uno spazio ristrettissimo, ma quanto tempo dentro, quanta storia e quanta cultura creata e tramandata. Il nostro compito è quello di leggerlo con molta attenzione e realismo. Se evitassimo questi due fondamentali passaggi, non riusciremmo mai a conciliare le dialettiche del progresso. Poi, credo di aver tradotto e pubblicato su vari giornali albanesi i quattro padri dell’Ermetismo: Luzi, Montale, Quasimodo e Ungaretti. Per il 21 marzo, “Giornata Mondiale della Poesia”, abbiamo organizzato manifestazioni dedicate anche ad autori italiani, grazie alla collaborazione di professori italiani della sezione bilingue istituita nella mia città. Tradurli anche oggi è una meta che mi affascina e quando ho tempo libero, dedico tutta la mia anima a delle loro poesie, che poi pubblico anche sulla mia pagina facebook. Tradurre è un’arte che permette di far parlare un poeta in una lingua diversa e consente di portare avanti un interessante confronto interculturale. E oggi conoscere vuol dire anche far conoscere altri popoli, attraverso la storie, le tradizioni, gli usi che appartengono alle numerose identità culturali. Senza il passato, non possiamo interpretare come eravamo una volta e quello che siamo diventati.

Nel mio percorso ho conosciuto molti autori contemporanei tuttora viventi e certamente tra esse ci sono alcuni che mi stanno a cuore. La letteratura non si ferma mai! Accanto ai grandi nomi classici, ci saranno anche i nuovi. La letteratura e’ il fiume che non s’asciuga mai; in esso risiede la materia e l’anima e in ogni corrente questi elementi non mancano mai. Per usare un eufemismo, “il letto del fiume fa si che il suo corso non possa essere deviato”.

Nella sua esperienza di docente universitario, quale posto dovrebbe occupare la cultura nel bagaglio accademico degli studenti, iniziando dalla scuola primaria?

 

Per  fortuna durante i miei 27 anni di carriera ho avuto la possibilità di insegnare dalla scuola elementare all’Università.

I tempi moderni ci fanno capire che il concetto di cultura e’ molto cambiato e i poteri cercano sempre di attuare misure penalizzanti, tagli vari, quando si parla di cultura.

Sono rimasto scioccato da una dichiarazione di un grosso businessman, il quale con  fredda, quanto stupida schiettezza, ha dichiarato che la loro categoria non la capisce la cultura e di conseguenza non la ama. Assurdo fino all’inverosimile. Io penso che se ci riferiamo alla storia, l’unica cosa che viene tramandata è la cultura, per meglio dire, è l’unica componente della società che da sempre nelle varie epoche rimane, poiché rappresenta il punto di riferimento a cui ci aggrappiamo e ci consente di interpretare il nostro passato. Immaginate la società attuale che comincia da zero senza il passato? Sarebbe un bambino appena nato che non sa da dove viene e dove sta andando. Se poi volgiamo lo sguardo verso le società millenarie, non esiste confronto che tenga. Uno studente che non possiede cultura, è come un bambino smarrito in mezzo all’ immensità, dove non trova punti di riferimento e metri di paragone con i quali confrontarsi. E se poi questo studente fosse il popolo?

La cultura, intesa come il principio primario attivo, va insegnata, innanzitutto, dalla famiglia e poi a scuola,  dove i ragazzi trascorrono molte ore della giornata e della vita. Ma visto che in  famiglia, secondo le new generation, non si vuole comunicare con i propri figli, l’arduo compito tocca alla scuola.

Se poi le politiche dei governi “risparmiano” sulla scuola,  il risparmio sarà di sicuro sperpero in futuro.

Avremo sempre bisogno di investire sull’uomo, una corsa che non finirà mai, e questo ci costerà sempre più caro. Il mio motto è “più cultura, meno spese inutili sulle nuove generazioni”. Vorrei aggiungere che la vera cultura ci aiuterà a combattere i mali della società, una volta diventati tutti maggiormente consapevoli. I giovani dovrebbero essere i primi a rendersene conto, altrimenti ne risentirà la loro vita. Una vita non vissuta, è vita persa, battaglie perse delle società. Concentrarsi sull’uomo è e rimarrà il più nobile e sublime dovere di ogni Stato, indipendentemente da colori e forme. Oggi vediamo che la scuola si sta modernizzando e molto, svilendone il vero senso. Non e’ che sia contro l’alta tecnologia, ma togliere il lavoro ai ragazzi, intendo quello che devono fare con le proprie mani, vuol dire disorientarli completamente e farli diventare pigri. Se poi cancelliamo anche i compiti di casa, allora cosa faranno i nostri ragazzi nel tempo libero? Perderanno la cultura del lavoro, dell’impegno e con ciò anche l’idea del lavoro stesso. Alle nostre porte sta bussando a squarciagola la pigrizia, che vuol dire propensione ai vizi e i ragazzi viziati non servono a niente. Vogliamo spalancare le porte ai vizi?

La poesia è nutrimento dell’anima, è riflessione ed appagamento. Da cosa nasce il suo desiderio di scrivere poesie?

Nella vita ti può capitare di tutto e questo mi ricorda i miei maestri, familiari compresi, che ci dicevano sempre che la vita non e’ una aiuola di fiori, bella e profumata. Dopo l’Università, mi sono laureato nel 1990, appena tornato nella mia città pensavo ad un bel posto di lavoro, ma in realtà sono rimasto per un po’ di tempo senza un’occupazione. E potete capire cosa significasse in una Albania dopo la caduta del Muro di Berlino. Allora mi dedicai alla lettura dei libri che mi capitavano fra le mani in italiano e albanese, ma se erano in italiano meglio, così potevo concentrarmi attentamente sull’apprendimento maggiore della lingua e l’approfondimento della letteratura. Poi, un bel giorno prendo atto di essere rimasto solo, tradito da tutto. Isolarsi era l’unico modo per campare, e allora il tuo mondo e’ quello che ti gira intorno e cerchi di scoprire quotidianamente quello che non avevi mai immaginato di scoprire. Insomma, la ricerca di te stesso, palmo per palmo, giorno per giorno. Prendi la penna e cominci a buttare sulla carta le impressioni, che non sono ancora versi. Poi, nelle lunghe serate e notti d’inverno cerchi di aggiustare la mira. Niente si fa senza impegno e volontà. Più sei solo, più la volontà guadagna terreno e capisci che puoi vincere su tutto. Poi accade anche che, purtroppo, perdi le persone a te care e la lettura diventa più illuminante, anche se le sofferenze prendono il sopravvento e incombono. Perdi un amore e la tristezza invade ogni cellula del tuo essere. Perdi un fratello e la lettura ti occupa ore e ore attaccato, senza pietà, dallo sgomento e dalla solitudine. Momenti idilliaci di riflessione, di introspezione sulla vita. Fai un passo timido che sembra debole, poi azzardi di più, finchè la solitudine diventa la tua nemica. Risorgi e finalmente capisci che quello che potevi esprimere nelle chiacchiere infinite ai bar, puoi trascriverlo in versi, un po’ alla volta, pezzo dopo pezzo e parola dopo parola.

Quando sei pronto, poi arrivano anche le pubblicazioni e da quel momento la tua vita non ha senso se nella tua cartella che tiene sempre con te non è presente un taccuino e una penna su cui annotare quello che la tua mente riesce a mettere insieme alle parole; piccolo cenni che poi diventano poesie. Bussa l’ora del verdetto; ossia, quello che hai scritto e’ ben fatto? Serve? Ha messaggi da trasmettere alle persone? Allora viaggi e scopri mondi nuovi, che ti imprimono il coraggio e la forza di andare avanti, di cercare sempre di stare a galla, nonostante le avversità della vita.

Ma, ad un tratto, colpo di scena, bussano altri amori, altre ispirazioni, nuovi pensieri, idee e filosofie… Nella vita tutto è in continuo movimento.

 

 

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