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Gandolfini, una vita per la famiglia

Ha ragione Giampaolo Pansa quando dice che da Lorenzetto è meglio non farsi intervistare: «scopre tutti i vostri peccati». Le sue domande spezzano il fiato. Marcano con schiettezza il confine tra bene e male, costringendo l’interlocutore a dichiarare da che parte si è schierato. È quello che ha fatto con Massimo Gandolfini, il neurochirurgo che da un po’ guida il popolo del Family Day. E che ha appena scoperto una nuova vocazione, la ricerca di un giudice a Roma. Già, «mi sono reso conto che c’è un disperato bisogno di giudici che abbiano come fondamento etico la dignità della persona. Oggi ho la sensazione che una magistratura autoreferenziale, terribilmente ideologizzata, stia modificando la struttura stessa della storia, dell’uomo della società».

In Europa e un po’ in tutto l’Occidente che fu Cristianità, «stiamo perdendo il senso del divino, in nome dell’umano, non si sa più cosa sia la persona, la libertà, l’amore, la famiglia, la vita, la morte. Tutto viene continuamente messo in discussione e tutto si dice deve essere ridefinito come se tutto fosse a nostra disposizione», come ha affermato abbastanza recentemente il cardinale Bagnasco. Tutto questo diventa tangibile leggendo ‘L’Italia del Family day’, edito da Marsilio. Eppure Gandolfini e Lorenzetto dribblano con abilità i luoghi comuni, la stucchevole banalità e la retorica pedante: i tranelli più insidiosi quando si parla di famiglia, figli, adozioni, omosessualità.

Massimo Gandolfini prende le distanze anche dalla ipocrita retorica pauperista che ha investito la Chiesa, e ammette con onestà intellettuale che i sette figli adottati – quasi nessuno immune da una patologia grave, a volte gravissima – sia stato possibile crescerli grazie al fatto che lui non è povero, ma è il professionista più conosciuto nel Bresciano. «Ho un contratto che mi permette l’extramoenia, per cui non ho mai avuto problemi ad arrotondare con visite specialistiche e consulti. Ringraziando il Cielo, almeno questo non è mai stato un assillo».

Quando ripensa al giorno in cui è nato il comitato “Difendiamo i nostri figli”, ricorda che era il 2 giugno 2015, festa della Repubblica. Una “coincidenza” significativa, perché lui sì che la cambierebbe la Costituzione, ma non come e con Renzi. La fonderebbe sulla famiglia, più che sul lavoro.

Del presidente del Consiglio, i due parlano a più riprese. E quando Lorenzetto domanda, forse retoricamente, «chi gliel’ha fatto fare [a Renzi] di arrivare a una prova di forza? Perché insistere con le adozioni alle coppie gay, quando i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è contraria?».

Gandolfini non si affida alle mezze frasi, convinto com’è che il nostro premier non sia indipendente nelle sue prese di posizione, e che piuttosto prenda ordini da Obama. «Che importa a Obama se in Italia le unioni civili sono riconosciute dalla legge oppure no?».

«Importa, importa. Chi è stato il presidente che, appena rieletto, ha proclamato: ‘Adesso bisogna pensare ai diritti dei gay’, come hanno titolato tutti i giornali riferendo il discorso d’insediamento? Obama. Chi ha spinto affinché la Corte suprema degli Usa legalizzasse i matrimoni gay su tutto il territorio nazionale, nonostante la contrarietà di molti Stati? Obama. Chi ha nominato nell’aprile 2015 il primo inviato speciale degli Usa per i diritti umani dei gay, Randy Berry, omosessuale dichiarato? Obama. Chi lo ha spedito, alla prima missione ufficiale per promuovere la causa, presso la Segreteria di Stato della Santa Sede e il Consiglio pontificio per la giustizia e la pace, come ha rivelato Time? Obama. Chi lo ha mandato in giro per il mondo – in soli sette mesi aveva già visitato 30 Paesi – a propagandare presso i governi l’omosessualismo? Obama.  […]».

«Sarà mica un criptogay?».

«No. Però è al servizio dei padroni del mondo, che non sono certo i governi». Che ci siano multinazionali in grado di orientare l’opinione pubblica e determinare le sorti dei governi non è un’idea da complottista dell’ultima ora. Gandolfini sa bene, come chiunque sia dotato di buon senso, che una famiglia debole significa una società debole. E che una società debole, formata da figli con orientamenti sessuali incerti e mutevoli, non ha difficoltà a farsi condizionare. Quando la relazione familiare latita, viene a mancare la più forte delle relazioni che esista, e gli individui finiscono per vegetare in uno stato di anomia.

Sia l’intervistatore che l’intervistato sono d’accordo. Siamo alla dittatura della minoranza. D’altronde, Renzi si è impegnato con ardore a legiferare per lo 0,025% della popolazione!

Gandolfini non manca mai, in ogni risposta, di dimostrare quell’onestà intellettuale che lo rende un uomo di poche pretese. Eppure un “desiderio”, oltre al lieto fine, lo ha: una parola di «chiarezza da parte della Chiesa, una spinta». Qualcosa, insomma, che funga da artiglieria per vincerla questa battaglia. E Lorenzetto, che lo ha capito bene, lo pungola in più occasioni. Come quando gli ricorda come il Papa avesse telefonato a Emma Bonino («che negli anni Settanta svuotava uteri con una pompa per bicicletta, smaltiva i feti smembrati in un barattolo vuoto di marmellata e questo le sembrava “un buon motivo per farsi quattro risate” insieme alle sventurate che aveva appena aiutato ad abortire con tale metodo»), e a lui no. Poi, però, lo consola, «come sostiene un mio amico prete, innamorato di Francesco, un pontefice venuto dalla fine del mondo non può che dire cose dell’altro mondo». O almeno ci prova.

Il mestiere di fare domande presenta più insidie di quel che si pensi. E spesso le domande si finisce per farle anche un po’ a se stessi. Come a ricordarsi perché si stanno impiegando tante energie per qualcosa che il mondo reputa folle, sterile. Allora quando il più bravo intervistatore d’Italia domanda a Gandolfini perché «non ha continuato ad aprire scatole craniche invece di rompere le scatole a Renzi», nella risposta, forse (!), ha trovato quello che cercava anche per se: «Gesù ha comandato: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni”. Non ha detto: statevene rinchiusi in casa vostra o in sala operatoria. E neppure: andate e costruite ponti, la famosa frase che oggi va tanto di moda. Ma poi quali sarebbero i ponti da gettare? Ci sono già, e belli larghi, mi pare. […] Il mio compito è innanzitutto quello di far crollare i ponti minati».

Famiglia naturale, omosessualità, “matrimonio” omosessuale, adozioni gay, utero in affitto, gender. Tutto quel che è oggi tema di discussione per benpensanti, nel libro intervista è affrontato nei dettagli, anche e soprattutto da un punto di vista scientifico.

E ai media di ogni sorta che ormai operano solo sotto lo stendardo di “gay è bello, gay è felice, gay è meglio”, Lorenzetto risponde affidando il cuore del libro – da dove arriva l’ossigeno del senso di queste pagine – all’intervista che fece lui stesso a Luca di Tolve. Il protagonista della canzone di Povia, tratta da un storia vera, finita sul palco del teatro Ariston. Per intenderci, l’uomo perseguitato da tutte le comunità Lgbt del caso perché racconta una verità che mette seriamente in crisi ogni loro “teoria”.

Che cosa pensa si aspetti, il Padreterno, da lei? «Che non mi sottragga al dovere di dare una rappresentanza a quella moltitudine d’italiani ben consci della deriva etica in atto e impossibilitati a fermarla».  L’Italia del Family day è viva, e non è stanca.

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