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Grecia, altro che successo: Il Paese affonda

Il dramma ellenico è tutto in questo grottesco pertugio si farà di nuovo straordinaria voragine: e investe, quindi, la futura infrastrutturazione dell’Ue.  Non solo debiti alle stelle, prestiti in rosso, sofferenze bancarie diversificate, tessuto imprenditoriale ormai inesistente: ma buio pesto tanto sul presente quanto sul futuro. Certo, alla Grecia resta il turismo. Ma quanto è stolto quel marinaio che, anziché puntare al mare aperto in cerca di nuove terre, si accontenta del suo piccolo ruscello. Che finisce per prosciugarsi.

I super poveri hanno ricevuto un bonus natalizio, inoltre il governo offre contributi per olio combustibile e carburante, per la tassa di proprietà, per il salario minimo, per gli agricoltori. E i tagli alle pensioni previsti per il primo gennaio, almeno fino a oggi non sono stati confermati. In sostanza il governo di Atene fa vedere all’Europa un surplus che nella vita reale di cittadini e imprese semplicemente non c’è, con il rischio di far scattare le clausole di salvaguardia, che tradotto in soldoni vuol dire più tasse per il futuro senza una ripresa vera (oggi altamente improbabile). Ma alla classe dirigente, sciatta e senza visione, ciò non interessa, perché orientata sulla cosiddetta politica dello specchietto retrovisore.  

L’Albania ha accusato una crescita doppia rispetto alla Grecia ,figlia di una programmazione orientata all’ingresso nell’Ue, a favorire l’ingresso di investitori stranieri, all’internazionalizzazione degli atenei, a una nuova infrastrutturazione come aeroporti da far realizzare ex novo a quei player che intendono affacciarsi sul costone Balcanico con un determinato peso specifico.
 
Il nodo è sempre lo stesso: la politica non azzarda una mossa perché studiata, programmata e finalizzata verso un obiettivo di crescita ma solo perché tarata sulle prossime urne, contribuendo a peggiorare lo status quo e illudendo ancora una volta cittadini e imprese.La Grecia che ufficialmente e uscita dal programma di prestiti della troika  (Ue, Fmi e Bce) ma è attesa dalla prova del nove: riuscirà ad autofinanziarsi per “mandare avanti la baracca”? Potrà venire fuori dalla paralisi in cui versa la sua economia, asfittica, gravata oggi da una pressione fiscale record e senza un euro investito in formazione e sviluppo tecnologico?  

Il debito greco è al 178% del prodotto interno lordo: altro che successo, se si valutassero gli indici economico-finanziari si potrebbe azzardare che un nuovo default è non solo possibile ma anche probabile per la Grecia. Se ne sta accorgendo anche la stampa internazionale che il premier Alexis Tsipras, in vista delle elezioni anticipate (possibili a maggio con le europee), sta iniziando a distribuire prebende e bonus che però inficiano i conti pubblici già azzoppati dalle ruberie ante 2010 e dall’austerità post crisi.

Intanto 11 Ospedali in Grecia si trovano in difficolta di accendere il riscaldamento e la situazione diventa molto difficile per i malati.

la crisi è davvero profonda. Se la Germania avesse dovuto passare ciò che  passa la Grecia, una pensione di 1200 euro sarebbe ora ridotta a 750 euro, ad esempio, ci sarebbero 14 milioni di disoccupati, negli ospedali i pazienti sarebbero costretti a portare le bende da casa. Tanto per farsi un’idea. E per l’Italia, invece, Grecia è diventata sinonimo di quanto potrebbe essere peggiore la nostra situazione. Nel 2012, per l’Italia il momento più critico della crisi dello spread, i politici si affannavano a dire: non siamo come la Grecia. Quando parliamo di Grecia, però, parliamo di un pezzo di Europa. Come tale, l’Italia (contributore netto del bilancio europeo, NdR) ha partecipato ai pagamenti che l’Europa ha fatto finora, pur se questi non dovevano passare da nostro parlamento, come invece in Germania

Una bancarotta della Grecia potesse causare un effetto-domino, che avrebbe coinvolto altri Stati, in primo luogo quelli chiamati con l’arrogante acronimo P.I.I.G.S. L’Italia è la terza ‘I’.

Nel 2009 il governo greco ha mancato di riconoscere l’effettiva portata del problema, e ha quindi sprecato tempo prezioso. L’ex primo ministro Samaras rimprovera al suo predecessore George Papandreou di aver coperto il deficit con alcune modifiche al bilancio dello Stato, ritoccandolo artificialmente verso l’alto.

Ma anche il resto dell’Europa sembra aver mancato di visione. Le banche europee accordavano prestiti da anni alla Grecia, in particolare banche francesi e tedesche. Queste avrebbero perso un mare di soldi, in caso di una bancarotta. Quanti soldi esattamente è difficile stimare, dato che gli instituti di credito non sono obbligati a pubblicare il loro portafoglio di titoli di stato.

La Bank for International Settlements presume però che le banche tedesche avessero ca 23,8 miliardi di dollari, e quelle francesi 56,9 miliardi di dollari in titoli greci. E queste sono valutazioni piuttosto moderate. Se la Grecia fosse in bancarotta, queste banche, su tutte Société Générale e Deutsche Bank, avrebbero dovuto a loro volta registrare pesanti perdite. Questo i governi francese e tedesco non potevano permetterlo.

L’euro era, ed è ancora una valuta relativamente giovane. Non esiste una via definita per uno stato dell’eurozona di andare in bancarotta. La possibilità, semplicemente, non è stata prevista. Se la Grecia avesse una banca nazionale e una valuta propria, potrebbe semplicemente dichiarare bancarotta. Ma così non è.

Sono due maniere di vedere la questione. Alcuni credono che la crisi sia stata generata in casa, cioè quando la quota di debito ha superato la soglia del 3% del prodotto nazionale lordo, la corruzione, un apparato statale inefficiente, e spese militari sovradimensionate avrebbero portato al disastro attuale. L’altra opinione invece sottolinea che la crisi degli ultimi anni è stata una crisi dell’intero sistema euro, che ha poi colpito in maniera più pesante la Grecia, che ne è un membro debole.

Secondo fonti ben informate nel 2009 Il direttore generale del Fmi Christine Lagarde e la cancelliera Merkel erano pronte a considerare un'uscita di Atene dall'euro ma vennero frenati dall'allora governatore della Bce, Jean Claude Trichet, e dal ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schäuble che temevano ripercussioni per le banche tedesche, francesi e olandesi piene di bond greci (più redditizi dei bund) e ritenuti senza pericolo perché nell'eurozona (moral hazard). Germania e Francia decisero di non applicare l'haircut (il taglio del debito) come chiedeva insistentemente il Fmi per evitare di dover poi salvare a proprie spese le rispettive banche nazionali pesantemente coinvolte. Ci si limitò all'austerità e ai prestititi statali (non c'era ancora il Fondo salva stati) e a consentire alla Bce di acquistare bond greci sul mercato secondario venduti dalle banche francesi, tedesche e olandesi a piene mani.

Nel 2012 le cose erano cambiate: il debito greco non era più in mano a creditori privati che rischiavano a loro volta il default ma era in mani pubbliche e a piccoli risparmiatori e pensionati greci. Così si fece il più grande haircut (200 miliardi di euro) della storia moderna. Successivamente le posizioni di Merkel e Schäuble si invertirono nel 2015 e il ministro delle Finanze tedesco, esasperato dal ministro greco Varoufakis, preparò un piano che presentò a Bruxelles secondo cui Atene poteva uscire dall'euro per un periodo di 5 anni perché non era più preoccupato per la sopravvivenza dell'euro stesso. Era la fine di un tabù.

Schaeuble per essere certo della Grexit aggiunse una richiesta che Tsipras non avrebbe potuto accettare; chiese la creazione di un fondo che avrebbe dovuto incamerare i fondi delle privatizzazioni greche da collocare in Lussemburgo. L'Italia di Matteo Renzi e la Francia di François Hollande si opposero a questa proposta di Grexit che però venne fatta con il sostegno dei paesi nordici. I negoziati durarano 17 ore a margine del vertice di Bruxelles alla presenza di Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, la cancelliera Merkel, il presidente francese François Hollande, Alexis Tsipras e il nuovo ministro delle finanze greco Euclid Tsakalotos. Alle fine l'accordo fu trovato e Atene accettò il terzo piano di aiuti da 86 miliardi di euro con le relative richieste di aumentare le imposte e diminuire le spese sociali.

La Grecia, umiliata, accettò i patti e ora si appresta ad agosto ad uscire dal terzo piano di salvataggio con il ritorno sui mercati ma i controlli dei capitali sono ancora in vigore e senza avere nemmeno una linea di credito precauzionale così come richiesto dal capo della missione della Bce in Grecia, sostenuto per tale linea di credito cautelare dall'Fmi e persino della banca centrale greca.

Alcune cifre per capire cosa avvenuto: in 8 anni, la Grecia ha beneficiato di 326 miliardi di euro di crediti a disposizione, di cui 273,7 miliardi di euro erogati, e di cui 241,6 miliardi a carico dagli stati membri dell'area dell'euro. Una cifra enorme.

In cambio di questi prestiti, la Grecia ha attuato un'ondata di austerità senza precedenti e un maxi pacchetto di riforme. Il Pil è stato ridotto del 25%, le pensioni hanno subito tagli per 13 volte e al primo gennaio 2019 ce ne sarà un'altro con un altro aumento delle imposte dirette. L'Fmi ha ammesso di aver sbagliato i calcoli del moltiplicatore sottostimando gli effetti recessivi che hanno aumentato le fasce di povertà nella popolazione e ha chiesto inutilmente anche nell'ultimo report del 29 giugno 2018

La Grecia ha varato 450 riforme nel corso degli ultimi tre anni che hanno avuto l'effetto di consolidare le finanze pubbliche, ripristinare la stabilità finanziaria, modernizzare lo stato e l'amministrazione fiscale. Le ultime 88 riforme sono state varate la scorsa settimana ma restano dubbi sulle capacità di implementare queste leggi. Secondo Rania Ekaterinari, responsabile del fondo sulle privatizzazioni, la Grecia rispetto ai 50 miliardi di euro previsti dalle cessioni statali ha finora incassato solo 6,8 miliardi di euro: 3,4 nel 2016, 1,4 miliardi nel 2017 e 2 nel 2018. Noccioline.

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