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In questi giorni oltre a combattere il letale virus, molti osservatori ed editorialisti non allineati si stanno ponendo la domanda se il governo cinese può essere ritenuto responsabile di “negligenza criminale” a proposito del Covid-19. Come al solito ho letto diversi articoli, qui farò riferimento ad alcuni che ritengo tra i più interessanti.

Non ho preso in considerazione quelli che più o meno ipotizzano complotti o teorie fantascientifiche sulla creazione del virus. E forse non sarebbe neanche il caso prendersela con le strane abitudini alimentari cinesi, infine non è opportuno prendere in considerazione neanche l'eventuale distrazione di qualche ricercatore del laboratorio.

Tuttavia credo che ci siano precise responsabilità dei governanti cinesi che non devono essere sottovalutate né tanto meno perdonate.

«Quello che invece mi preme rimarcare è l’irresponsabile menefreghismo dimostrato dalla Cina nei confronti del resto del mondo quando sin da dicembre alcuni ricercatori cinesi, prontamente messi a tacere, avevano lanciato l’allarme sulla concreta possibilità che il COVID-19 potesse dar luogo a una epidemia globale, come poi è avvenuto».(Franco Londei, “COVID-19: l’irresponsabile menefreghismo cinese che non può essere perdonato” 10.3.2020, rightsreporter.org)

L'Occidente ha collezionato troppi errori nei rapporti con la Cina, pensava di fare affari, attribuendo alla Cina i caratteri democratici simili ai nostri. Anche se poi si sapeva che non era così. Si credeva che la guida di Xi Jimping potesse trasformare il regime in democrazia.

«Per almeno due mesi la Cina ha deliberatamente nascosto il COVID-19 lasciando che persone di tutto il mondo entrassero in contatto con le zone e le persone infette. Pechino ha lasciato che cinesi infetti portassero in giro per il mondo il COVID-19 quando invece poteva fermare il tutto sin dall’inizio o quantomeno poteva lanciare l’allarme». In un mondo globalizzato questo è stato un atteggiamento criminale imperdonabile.

«I cinesi sapevano del Coronavirus da diversi mesi, forse addirittura da novembre dello scorso anno, e non hanno detto nulla a nessuno, non hanno avvertito la comunità internazionale di un pericolo immane nato e cresciuto in Cina. E non è pensabile che gli scienziati di Pechino non abbiano valutato con attenzione le eventuali conseguenze di una sua possibile diffusione fuori dai confini cinesi. Non è possibile che non abbiano valutato la possibilità che quel tipo particolare di Coronavirus potesse trasformarsi in una pandemia». (Franco Londei, “Perché la Cina dovrebbe essere accusata di crimini contro l’umanità”, 24.3.2020, rightsreporter.org).

La Cina aderisce all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base a quanto stabilito dalla Costituzione della stessa OMS, Pechino «ha l’obbligo di cooperare in buona fede per favorire il perseguimento degli scopi e degli obiettivi dell’Organizzazione espressi nella sua costituzione».

Tradotto in soldoni, la Cina aveva l’obbligo di segnalare immediatamente il rischio all’OMS.

Abbiamo raccontato del giovane dottore cinese, Li Wenliang, il primo a scoprire il Covid-19 e a dare l'allarme al suo governo, che invece di occuparsi come rimediare al danno, fa di tutto per nascondere il pericolo e mette a tacere il medico, che poi morirà per aver contratto il virus.

La Cina rese noto il Coronavirus COVID-19 solo il 22 gennaio 2020 anche se oggi i dati ufficiali della OMS sostengono che l’epidemia nella regione di Wuhan nacque “probabilmente” nel dicembre 2019. Non solo, si venne a sapere del COVID-19 solo perché i cinesi furono costretti a mettere sotto quarantena una città di 6,5 milioni di abitanti. Nel frattempo questo virus mortale aveva girato e infettato per molto tempo, troppo tempo vista la facilità e la velocità con la quale oggi ci si muove in giro per il mondo.

In sostanza la Cina ha omesso deliberatamente di avvisare il mondo dell’esistenza e del pericolo che rappresentava il virus COVID-19.

Secondo la giurisprudenza moderna chi deliberatamente compie atti criminali che possono interessare e danneggiare l’intera umanità (o sono percepiti come tali) commette un crimine contro l’Umanità.

Più di un miliardo di persone rinchiuse in casa, decine di migliaia di morti, economie mondiali allo sbando sono decisamente un crimine contro l’Umanità.

Intanto il leader cinese, Xi Jinping, si vanta di aver sconfitto il virus mortale, «usare decine di migliaia di morti per fare una squallida propaganda sulle qualità tecnologiche cinesi quando invece dovrebbe essere portato di fronte a un tribunale internazionale per rendere conto dei sui crimini».

Dello stesso parere è il sociologo Massimo Introvigne, «In base al diritto internazionale, la Cina e/o il Partito Comunista Cinese possono e debbono essere citati in giudizio per i danni enormi causati al mondo intero». (M. Introvigne, Coronavirus, attento PCC che arrivano gli avvocati, 26.3.2020, in Bitter Winter)

Il professore cita uno studio condotto dal ricercatore statunitense del Diritto James Kraska, che ha analizzato la questione.

Secondo Introvigne, «è chiarissimo che la Cina abbia contravvenuto agli obblighi di comunicare quanto accadeva stabiliti dal Regolamento del 2005.(Regolamento sanitario internazionale  dell'OMS) La vicenda del dottor Li Wenliang (1986-2020), con la cui famiglia il PCC si è scusato quando l’uomo era già morto a causa della malattia, mostra chiaramente che Pechino non ha voluto che le informazioni a proposito del virus fossero rese pubbliche a livello mondiale e che chi ha osato parlarne è stato minacciato o incarcerato. Il PCC ha tenuto per sé per settimane delle informazioni cruciali, sia in patria sia in ambito internazionale, e vi è il consenso generale che se la Cina le avesse rese note in tempo migliaia di vite sarebbero state salvate».

Ritornando all'azione della Corte internazionale di giustizia che dovrebbe sanzionare la Cina, si fa riferimento a degli articoli al 34  e 39. Il 34, del “Draft Articles” stabilisce che uno Stato che abbia violato intenzionalmente un obbligo internazionale è tenuto a «risarcimento pieno per il danno creato da un’azione illegittima a livello internazionale», in «forma di restituzione, compensazione e soddisfazione». Mentre «l’Articolo 39, in base al quale, «nel determinare il risarcimento, si dovrà tenere conto di quanto abbia contribuito al danno un’azione o un’omissione intenzionale o involontaria da parte dello Stato leso e di qualsiasi persona o istituzione in relazione a cui sia richiesto risarcimento».

Questo significa per Introvigne che «oltre alla Cina in quanto Stato, istituzioni (come il PCC) e persone (come il presidente Xi Jimping e altri) che hanno quanto meno “contribuito” alla violazione dell’obbligo di condividere immediatamente con il resto del mondo le informazioni, attraverso l’OMS, ebbene sono anch’essi responsabili».

Pertanto secondo il sociologo «La Cina può escogitare molti modi per rifiutare la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, il cui presidente fra l’altro è il cinese Xue Hanqin». Tuttavia secondo Introvigne, «gli Stati hanno trovato vie alternative per punire i colpevoli. A partire dal 2016, i Global Magnitsky Act autorizza gli Stati Uniti d’America a intraprendere azioni contro chi viola i diritti umani. I tribunali di tutto il mondo, inoltre, hanno ammesso cause civili di richiesta danni da parte di funzionari stranieri. La fantasia degli avvocati occidentali è quasi priva di limiti. Debbono esserci molti modi per considerare la Cina, il Partito, Xi Jinping e tutti coloro che abbiano contribuito a insabbiare tutto come responsabili per l’enorme numero di morti, tragedie e danni economici che hanno causato. PCC, attento: gli avvocati stanno arrivando e questa è una buona notizia per il mondo».

Infine l'ultimo intervento dove si chiama in causa la Cina e il PCC per crimini contro l'umanità è un interessantissimo fondo di Giulio Meotti, su Il Foglio.

«'Può il governo cinese essere ritenuto responsabile di ‘negligenza criminale’ a proposito del Covid-19?”, si domanda l’economista Branko Milanovic. E’ la domanda che si fanno tanti editorialisti e osservatori. E’ quello che si sono chiesti anche i ricercatori dell’Università di Southampton». (Giulio Meotti, Se la Cina non avesse mentito, il contagio oggi sarebbe molto ridotto, 24.3.2020, Il Foglio).

«Quale grandezza e intensità avrebbe oggi la pandemia se Pechino avesse agito con trasparenza fin da subito, anziché occultare la verità da dicembre?».

Alla domanda rispondono i ricercatori dell'Ateneo britannico, bastava una risposta di qualche settimana prima, i casi di contagio potevano essere ridotti del 66% o del 95%, se rispondevano prima.

“E’ la censura del Partito comunista cinese per i primi due mesi ad avere creato le condizioni per una pandemia globale”, ha affermato anche Steve Tsang, direttore del Soas China Institute dell’Università di Londra.“Il nostro grande esperimento di portare la Repubblica popolare cinese nella comunità delle nazioni è fallito”, dice al Foglio».

Il presidente del newyorchese Population Research Institute, Steven Mosher, mette in discussione la democraticità della Cina, Con il coronavirus,  ogni giorno impariamo di più sul malvagio e incompetente regime che ha scatenato questo orrore nel mondo [...] Il mondo – dice Mosher – non è stato avvertito in tempo. Si stima che il 95 per cento delle infezioni in Cina, e quasi il cento per cento in tutto il mondo, avrebbero potuto essere fermate con un intervento tempestivo”.

Mosher è addolorato per gli anziani che hanno perso la vita nel Nord Italia, «Stanno morendo a causa dell’incompetenza e della malvagità del Partito comunista cinese». Mosher è durissimo nei confronti della Cina:

«Siamo chiari: tutti coloro che si ammalano a causa del coronavirus, che muoiono a causa del coronavirus, a cui sono negate le cure mediche, tutti coloro che perdono il lavoro o settimane di vita a causa di una quarantena, ognuno di questi individui è vittima del Partito comunista cinese».

Il presidente della Population Research Institute, punta il dito contro l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).Hanno aiutato la Cina a nascondere l’epidemia per un paio di settimane. I ricercatori dell’Oms sono stati tenuti fuori dalla Cina fino al 15 febbraio, più di due mesi dopo la scoperta dei primi casi. Ancora oggi, l’Oms non ha accesso a quei numeri che consentirebbero una comprensione completa della diffusione del virus. Senza queste informazioni, combattiamo al buio contro un nemico sconosciuto.

Avremmo dovuto sapere che il periodo di incubazione era di due-tre settimane, per quanto tempo è in grado di sopravvivere sulle superfici e quali farmaci antivirali erano efficaci. Non ci è stato detto nulla”, continua Mosher. “E quello che ci è stato detto si è spesso rivelato falso. Il numero di infetti e morti in Cina è molto più alto di quello ufficiale”.

Si lamenta anche dell'OMS un editoriale di Atlantico, dove rileva che le misure contro il Coronavirus prese da Taiwan, potevano essere utili alla comunità internazionale. «Per ragioni politiche, l’esperienza taiwanese è stata semplicemente ignorata dai vertici dell’OMS, impegnati invece a elogiare pubblicamente le strategie di risposta della Cina comunista». (E. Reale, “Dalla promozione del modello Cina all’esclusione di Taiwan, l’Oms si presta al gioco del regime di Pechino”, 31.3.20220, in Atlanticoquotidiano.it).

La strategia propagandistica del Partito comunista cinese volta a promuovere la sua influenza nel mondo può contare scrive Reale, «su un alleato di prim’ordine, nientemeno che l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata della protezione della salute pubblica nel pianeta. (OMS).L'articolo racconta di dichiarazioni rilasciate da un autorevole esponente come il canadese Bruce Aylward, che ha esplicitamente    lodato le misure adottate dalla Cina, invitando gli altri stati a prendere esempio dai “metodi vecchio stampo” del regime. «Più che una valutazione scientifica, una vera e propria adesione ideologica al cosiddetto modello politico cinese che avrebbe trovato un’eco favorevole in Europa nel corso delle settimane successive». E' interessante conoscere il caso Taiwan. Il governo di Taipei aveva informato l'OMS già a fine dicembre che il virus era trasmissibile tra persone. Ma nessuno prese in considerazione le preoccupazioni del ministero della sanità taiwanese.

Il Covid19 ha cambiato anche il modo di morire. Nel momento del distacco terreno verso il nulla si rimane soli, senza che figli, parenti ed amici possano dare l’ultimo abbraccio ai loro cari.

Non appena ci saremo svegliati dall’incubo e il Covid19 sarà storia, ci rimarrà un’immagine indelebile associata alla morte. Infatti ai tempi del Coronavirus è cambiato anche questo triste rituale. Ci siamo ritrovati da un giorno all’altro senza i nostri cari. Tra le migliaia di vittime ci sono parenti, amici e colleghi di lavoro a cui non abbiamo potuto dare nemmeno quel sostegno, quella vicinanza umana per alleviare le loro sofferenze nel momento della dipartita, un saluto, un ultimo abbraccio, una camera ardente ed un funerale. Ci ricorderemo della “Bestia” che fa morire da soli. Un caso su tutti, che ha commosso l’intera nazione, quello della coppia di anziani, lui 86 e lei 82, internati il 7 marzo all’ospedale di Bergamo moriranno tre giorni dopo, l’uno a distanza di due ore dall’altro senza aver potuto abbracciare i propri figli. Toccante a tal proposito il video diario di Alessio Lasta, un medico dell’ospedale di Treviglio, nella bergamasca, trasmesso nei giorni scorsi da La7 durante il programma “Piazza pulita”. “Mi sembra di vivere in un viaggio senza ritorno, stanotte si è presentato un uomo di 47 anni con una grave insufficienza respiratoria al quale ho dovuto proporre l’intubazione”. Mi ha detto: “Mio suocero é già morto, adesso tocca a me, faccia il possibile dottore, ora la partita è nelle sue mani, avvisi la mia famiglia”. Il medico continua tra le lacrime. “Una promessa, un patto con il paziente che non sapevo come difendere e poi la comunicazione ai parenti, arida e molto stringata che si conclude sempre con la frase auguri e ci risentiamo domani. E occorre anche essere preparati per quella domanda che non vorresti mai sentirti fare: Dottore quanto tempo mi rimane? Inoltre ciò che non volevo si sta avverando, devo curare conoscenti e amici del mio piccolo paese, persone con cui scherzavo fino a pochi giorni fa. “Un giorno del 194…” inizia così La Peste, l’opera più famosa di Albert Camus. Il racconto è ambientato ad Orano, una prefettura francese in Algeria dove scoppia una moria di topi. All’inizio nessuno ci fa caso, ma quando cominciano a morire gli uomini ci si accorge del terribile flagello. “Gli ammalati presentano febbre alta e muoiono dopo una delirante e breve agonia”. Gli abitanti di Orano reagiscono in modi diversi: alcuni non rinunciano ai piaceri della vita, del resto bar, ristoranti e teatri rimangono aperti. Altri invece si chiudono in casa per paura del contagio. Quando l’epidemia arriva al picco più alto e la sua violenza diventa devastatrice, da Parigi arriva l’ordine di chiudere la città per impedire altri contagi. “Si dichiari lo stato di peste, la città è chiusa, le case degli ammalati devono essere disinfettante e i congiunti sottoporsi ad una quarantena di sicurezza”.   Con l’arrivo dell’estate la peste da bubbonica si trasforma in polmonare, una forma molto più grave e altamente contagiosa. Mancano i posti in ospedale così scuole e palestre vengono adibite ad ospedali da campo. Quando il numero degli infetti e dei morti sale a dismisura, le autorità cittadine, vista la carenza di posti nei cimiteri, devono cercare nuovi siti dove scavare fosse comuni. Tutti gli italiani ricordano quei dodici camion militari con a bordo 70 bare che da Bergamo si spostano verso Modena, Bologna e Rimini, dove verranno sepolte. Scritto dopo la seconda guerra mondiale, il lavoro è una metafora del male, impersonato dal nazifascismo. Oggi invece noi ci ricordiamo della fedele narrazione dei fatti connessa al suo aspetto pandemico e sanitario, capace di cambiare letteralmente abitudini e rapporti sociali. Le Orano odierne si chiamano Codogno e Wuhan, luoghi dove la gente muore in solitudine. Il metro di distanza che bisogna mantenere tra una persona e l’altra non è nulla in confronto ai chilometri che ci sono nei rapporti tra il genere umano. Se domani, una volta debellata la “Bestia”, saremo capaci di ridurre queste distanze, allora sì che nessun altro uomo morirà mai più solo.

In questo momento difficile, il Santuario di Pompei invita tutti i fedeli a restare uniti nella preghiera che, oggi, più che mai, deve farsi più forte, così come più salda deve farsi la speranza. Sono tre i momenti di preghiera quotidiani attraverso cui il Santuario è vicino ai devoti della Madonna del Rosario. Oltre alla recita della Supplica, la preghiera simbolo della città mariana, guidata tutti i giorni dall’Arcivescovo, Mons. Tommaso Caputo, e trasmessa in streaming alle 12, sulla pagina Facebook ufficiale “Pontificio Santuario di Pompei”, i fedeli potranno seguire la santa Messa alle 10 e il santo Rosario alle 17.

Tante anche le iniziative nate nelle parrocchie della città mariana per far sentire la vicinanza alle proprie comunità. Dalla preghiera quotidiana in diretta streaming, agli incontri di catechesi via social, ai messaggi dei parroci indirizzati a grandi e piccini, l’obiettivo delle parrocchie di Pompei è unico: far sentire alla comunità “noi ci siamo” nonostante la distanza. E le modalità con cui esprimono questo senso di unione sono davvero tante: gli incontri di catechesi via social, videomessaggi di incoraggiamento e speranza, telefonate agli ammalati, la preghiera tutti insieme tramite web, le video chat dei giovani.

La parrocchia “Santissimo Salvatore”, guidata da don Giuseppe Esposito, propone tutti i giorni, in diretta streaming, a partire dalle 17.30, la recita del santo Rosario e, a seguire, quella della Novena d’Impetrazione alla Vergine Maria. La diretta streaming è visibile sul profilo Facebook della parrocchia (parrocchia SS. Salvatore Pompei).

Don Giuseppe Ruggiero, parroco della chiesa “San Giuseppe sposo della Beata Vergine Maria”, invita i fedeli a partecipare, via web, alla santa Messa delle 11, celebrata a porte chiuse, ogni domenica, fino al 3 aprile. Per seguirla bisogna collegarsi al sito www.sangiuseppepompei.it. Anche il 19 marzo, solennità di San Giuseppe, Patrono della parrocchia, la santa Messa delle 18 sarà trasmessa in diretta web. Durante la celebrazione il parroco affiderà tutta la comunità a San Giuseppe. Per l’occasione le famiglie sono invitate ad unirsi alla preghiera e ad esporre, dai loro balconi e dalle finestre, lenzuola bianche o candele accese.

L’attenzione alla famiglia e ai giovani e ai disagi che stanno vivendo in questo periodo, è al primo posto anche per la parrocchia “Immacolata Concezione”, guidata da don Sebastiano Bifulco. Il parroco e tutta l’équipe parrocchiale continuano, insieme, ad accompagnare il cammino dei fedeli della comunità con incontri di catechesi e di preparazione ai sacramenti tramite collegamento Skype. Lo stesso anche per gli incontri di Azione Cattolica. Per i più piccoli, invece, i catechisti realizzano video per continuare a crescere nella fede in questa Quaresima così particolare e per prepararsi a ricevere la Prima Comunione. Infine, don Sebastiano, ogni settimana, invia ai fedeli della sua comunità parrocchiale un video messaggio in cui esprime la sua vicinanza e il suo affetto. Tutto questo è visibile sulla pagina Facebook della parrocchia (Parrocchia Immacolata Concezione Tre Ponti – Pompei).

Ancora, la parrocchia “Santa Maria Assunta in cielo”, guidata da don Giovanni Russo, ogni domenica trasmette, in diretta streaming sulla pagina Facebook parrocchiale (Parrocchia Santa Maria Assunta in cielo – Pompei), la recita del santo Rosario alle 10.30 e, a seguire, la santa Messa. Alle 12, poi, la recita della Supplica. Ogni giorno, inoltre, propone la recita del santo Rosario alle 18 e, alle 18.30, la santa Messa.

Infine, i fedeli della comunità parrocchiale “Sacro Cuore di Gesù”, guidata da don Antonio Protano, si ritrovano tramite video chat di gruppo per condividere momenti di preghiera e di confronto.

Siamo ormai giunti all'emergenza totale in tutta la penisola, finora della questione coronavirus si è sempre posto l'attenzione sulla grave aspetto sanitario e quello economico. Almeno così si sono comportati tutti i Media. Quasi nessuno ha fatto riferimento a Dio, alla religione, alla preghiera, a ciò che riguarda l'aspetto spirituale.

Oggi, effettivamente l'attenzione è rivolta solo al corpo. Ma per noi cattolici può essere così? Se lo chiede suor Rosalina Ravasio, fondatrice della Comunità Shalom-Regina della Pace di Palazzolo Sull'Oglio.

«Cari amici è ora di dare la parola, lo spazio alla Fede, a Cristo, come diceva Don Bosco:“vivete in grazia di Dio, pregate la Madonna, andate pure ad aiutare gli ammalati, e niente vi colpirà…”!!

Certamente sono da rispettare le decisioni dei Vescovi, comprendiamo la preoccupazione per il bene di tutti che ne è all’origine, certo però che non posso non dire che ci manca molto il Sacramento Eucaristico, la privazione della Santa Messa, la Gioia di andare in chiesa, e insieme, all’ascolto della Parola di Dio, il salutarci, abbracciarci e condividere con i fratelli le nostre esperienze!».

(Rosalina Ravasio, “La vera emergenza. La capitolazione della Fede davanti al coronavirus”, 8.3.2020, in LaNuovaBQ.it)

Suor Rosalina come altri fa riferimento alla Storia della Chiesa, ai tanti cristiani, religiosi, monaci, monache, santi che in tutto il mondo nel nome di Gesù e con la forza della loro fede, «hanno guidato, per secoli, comunità per persone affette da ogni specie di malattia sociale, persone affette da disturbi mentali, possessione demoniaca [...], alla quale dedicavano la loro vita, curando e sanando tutti coloro che accorrevano a loro!»

Pertanto secondo la suora la chiusura delle Chiese e quindi la non celebrazione dell'Eucarestia con il popolo «dà la sensazione - per non dire quasi certezza - che la Fede, Dio, non sono più all’altezza di rispondere alle nostre necessità! Praticamente la Fede fatta di preghiere, suppliche, penitenze, con la certezza che Lui ci ascolta, è come se appartenesse a un modo arcaico e vecchio, non più credibile oggi». In questi giorni sono apparsi altri commenti, sempre con riferimento al passato della Chiesa. Spesso viene chiamato in causa Alessandro Manzoni ai suoi racconti sulla peste di Milano al tempo di S. Carlo Borromeo e di Federigo Borromeo. Allora si dice i vescovi risposero alle epidemie con processioni pubbliche, mentre oggi i nostri vescovi mostrano poca fede. Non solo, i vescovi non vengono coinvolti in questa crisi, com'era avvenuto in altre occasioni, dai terremoti alle guerre internazionali.

Sulla stessa linea della religiosa è un editoriale di Marcello Veneziani, anche lui vede una mancanza di “spirituale”. E si chiede se per caso «c'è una dieta spirituale da osservare in questi giorni d’incubo e d’incubazione? Non mi è parso di leggere o di ascoltare da nessuna parte riflessioni, consigli, terapie che avessero a cuore l’anima delle persone e che ponessero la questione virale dal punto di vista “spirituale”[...] Eppure mai come in questo caso necessaria perché laddove tornano in gioco la vita e la morte, la vecchiaia e la malattia, la solitudine e la solidarietà, torna l’urgenza di una preparazione spirituale agli eventi e alla nostra vita». (M. Veneziani, Manca una risposta spirituale al contagio”, 10.3.2020, La Verità)

Il giornalista in questo contesto evidenzia l'assenza della Chiesa e l'irrilevanza della Religione, forse è la prima volta. Certamente Veneziani non pensa che i sacerdoti debbano sostituire i medici e affidarsi alle preghiere sia meglio che affidarsi alle strutture sanitarie». Però vede una Chiesa «come se si fosse ritirata dal mondo per non contribuire a spargere il virus, come se avesse chiuso i battenti per ragioni di profilassi medica e precauzione sanitaria».

Di tenore diverso sono le riflessioni che ogni mattina propone padre Livio Fanzaga,  ai radioascoltatori di Radio Maria. Ieri ha pubblicato sul sito della Radio questa precisazione: “Cari amici, i cuori di milioni di credenti sono sconcertati e amareggiati per la decisione del Decreto governativo di rendere inaccessibili in tutta Italia le Sante Messe ai fedeli. Al riguardo ecco alcuni riflessioni del prof Andrea Riccardi sul Corriere della Sera on line del 9 Marzo 20: “Dopo un braccio di ferro, la Cei ha ceduto: funerali e messe sospesi in Italia. Chi conosce i toni cortesi della Cei coglie subito un forte disappunto nel comunicato, pur essendo sempre pronta a collaborare, tanto da dire che il decreto è stato accolto solo per «contribuire alla tutela della salute pubblica» e che si tratta di «un passaggio fortemente restrittivo»…. Non si capisce perché siano interdetti culto e preghiere, se celebrati in sicurezza…Mai nella storia della Penisola sono state sospese le Messe. Un segnale pesante. Nelle crisi, la Chiesa è sempre stata un riferimento. Lo furono le Chiese nel 1943- 45 di fronte alla violenza tedesca. Oggi c’è sbandamento e incertezza. In un tessuto di fragili relazioni, coltivare la fede e le motivazioni non è secondario anche per resistere e sviluppare solidarietà e autodisciplina, ora decisive. Proprio perché siamo tutti d’accordo che il momento è grave e c’è bisogno di tutte le risorse umane”.

Tuttavia non mi sembra che la Chiesa non stia facendo niente, Papa Francesco ha affidato l'Italia e il Mondo a Maria. Una preghiera alla Madonna in un video messaggio prima della Messa di mercoledì 11 marzo nella Chiesa del Divino Amore a Roma. A presiedere la celebrazione a porte chiuse il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis. Un messaggio forte quello del Santo Padre. Ecco il testo del Papa:

"Maria, siamo certi che provvederai perché come a Cana di Galilea possa tornare la gioia e la festa dopo questo momento di prova. Aiutaci Madre del Divino Amore, a conformarci al volere del padre e a fare ciò che ci dirà Gesù che ha preso su di sé le nostre sofferenze e si è caricato dei nostri dolori per portarci attraverso la croce la gioia della Resurrezione. Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di noi, che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e Benedetta".

Concludo con una significativa intervista a monsignor Antonio Suetta, arcivescovo di Ventimiglia-San Remo, pubblicata sul sito di Alleanzacattolica.org. (La buona battaglia contro il coronavirus).

Per l'arcivescovo è tempo dell'unità e della preghiera per combattere il virus che si diffonde. E' il tempo della speranza che nasce dalla preghiera ma anche dall'esempio di chi sta impegnando il suo ministero per aiutare il popolo a superare questa prova.

Il presule affronta subito l'interpretazione che «include rigorosamente le Sante Messe così disponendo la cessazione delle celebrazioni con la presenza dei fedeli. Questo fatto - ha detto Suetta - ha colpito e addolorato sacerdoti e laici, ha sollevato le solite polemiche da parte di chi vuole trovare un nuovo pretesto per criticare pubblicamente i vescovi, ma ha suscitato in molti anche la domanda se non poteva essere trovata una soluzione diversa, che salvaguardasse il bene della Messa, almeno nei giorni feriali, come ha sottolineato il Patriarca di Venezia, quando le chiese sono frequentate da un numero ridotto di fedeli ed è certamente possibile che si dispongano a un metro l’uno dall’altro, come prevede l’ordinanza governativa».

In un primo momento anche Suetta conveniva su questa possibilità.

Poi ha capito di trovarsi di fronte ad un problema molto serio soprattutto per la “novità” di questo virus. Pertanto serve  limitare il contagio «e il modo migliore è sicuramente quello di evitare il più possibile contatti e prossimità. Una siffatta linea di condotta ha portato inevitabilmente a considerare anche le situazioni di concentrazione di persone nelle chiese per la celebrazione della liturgia e per la preghiera [...]».

Pertanto ci si adegua alle norme del governo. L'arcivescovo ha «ribadito ai sacerdoti l’opportunità e il dovere di celebrare ogni giorno la Santa Messa, facendolo sapere ai fedeli, non perché vi partecipino, ma affinché si uniscano spiritualmente con la preghiera, aiutati anche dalla trasmissione in TV, in radio o sui social di Sante Messe o altre preghiere».

L'arcivescovo ha elencato alcune misure chieste ai sacerdoti, chiarendo che trova «eccessive le polemiche in quanto la Chiesa non rinuncia alla Santa Messa, che incessantemente viene celebrata per la sua edificazione e per la salvezza di tutti; la mancata partecipazione fisica dei fedeli dovuta alla necessità contingente può e deve essere colmata dalla loro preghiera, dal ricorso alla Comunione spirituale, dalla disponibilità dei sacerdoti all’incontro personale e soprattutto dalla convinzione che il valore del Sacrificio di Cristo offerto sull’altare ha efficacia e dona frutti anche nella impossibilità, eccezionale e involontaria, di prendervi parte».

Monsignor Suetta spiega, facendo riferimento ai testi conciliari, (Sacrosanctum Concilium, 7, 4 dicembre 1963) il vero significato della Messa, «che ha valore infinito, universale, pieno ed efficace in se stessa, per quello che custodisce e celebra, e non in dipendenza dalle circostanze, anche preziose e significative come la presenza e la partecipazione materiale del popolo cristiano».

Tuttavia per Suetta, «Si può dunque discutere sull’opportunità pedagogica di non privare i fedeli della partecipazione fisica alla Santa Messa, ma non si può dire che la Chiesa rimanga senza Eucaristia e neppure che i fedeli siano impediti ad una «fruttuosa e attiva partecipazione» in quanto, in questa circostanza grave ed eccezionale, possono e devono unirsi mediante la fede e la preghiera».

A questo punto l'arcivescovo presenta le disposizioni che ha dato nella sua diocesi.

«sinceramente non condivido le posizioni che da una parte leggono le norme come un’ingerenza indebita con eventuali secondi fini oppure che, dall’altra parte, considerano la risposta dell’episcopato come un segno di scarsa fede nella preghiera e nella Messa e come un inquinamento da secolarismo presuntuoso da attitudine scientista e tecnologica».

E' fondamentale per l'arcivescovo che in questo grave momento, i pastori e i fedeli devono recuperare quelle riflessioni di fede, «che consideri alcune tematiche oggi spesso dimenticate come il mistero del male, la assurda presunzione dell’autosufficienza umana, la provvidenza di Dio, la forza e il valore della preghiera, la gioia di formare un solo corpo nella Chiesa di Gesù e, non ultima, una riflessione sulla organizzazione della vita politica e sociale esaminando con rinnovata e coraggiosa attenzione i criteri che vengono posti a fondamento di essa». Infine l'arcivescovo chiarisce la questione sul divieto di celebrazione della Messa e di accesso ai sacramenti. Ribadisce che le chiese non sono chiuse e i fedeli non sono affatto privati del conforto della fede e dei sacramenti. Ribadisco - ha detto Suetta - che la celebrazione quotidiana della Santa Messa, garantita dai vescovi e dai sacerdoti per il popolo e “con” il popolo anche se senza il popolo, è la nostra grande risorsa spirituale, il baluardo contro il male, la speranza più sicura che il male sarà sempre sconfitto».

“Che idea ha, il Governo, delle famiglie che hanno scelto di investire i loro risparmi in una casa o in un locale commerciale? Viene da chiederselo, leggendo il decreto cosiddetto Cura Italia.

Certamente un’idea distorta. Non solo, infatti, in un periodo di crisi dei negozi, ai proprietari che li affittano viene negata persino la possibilità di non pagare le tasse sui canoni che gli esercenti non versano; quando servirebbero molti altri interventi, a partire dall’introduzione della cedolare secca per tutti i contratti in corso e da una riduzione dell’Imu, indispensabili per salvare il commercio di prossimità. In più, viene anche disposta una sospensione generalizzata degli sfratti, sia per gli affitti abitativi sia per quelli non abitativi, fino al prossimo 30 giugno. Una scelta, quest’ultima, puramente demagogica (figuriamoci se in questo periodo qualche locatore avrebbe trovato ufficiali giudiziari e forza pubblica disponibili…), che rimette in gioco un istituto dimenticato che per sessant’anni ha fatto danni incalcolabili e che contribuirà ad affossare definitivamente l’investimento immobiliare.

Se questo è l’approccio, non possiamo nutrire fiducia in miglioramenti positivi del decreto in sede parlamentare. Per scrupolo di coscienza, però, faremo una cosa: manderemo al Presidente del Consiglio e a tutti i Ministri i racconti che ogni giorno stiamo ricevendo dai proprietari in difficoltà economiche. Chissà che non inizino a rendersi conto della realtà”.

Giorgio Spaziani Testa, Presidente Confedilizia

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