Parte oggi la lettera della Commissione Europea al governo italiano in cui si chiederà quali fattori rilevanti giustifichino, secondo l'esecutivo, il mancato rispetto della regola del debito nel 2018, anno in cui il debito pubblico italiano, anziché diminuire in rapporto al Pil, è aumentato dal 132,2%, dal 131,4% del 2017, per via della crescita debole dell'economia italiana.
Si tratta di un passaggio formale previsto, propedeutico alla redazione di un rapporto ex articolo 126.3, in cui la Commissione valuta le ragioni che spiegano il mancato rispetto della regola del debito, per cui se uno Stato ha un debito superiore al 60% del Pil, come è il caso dell'Italia, deve ridurlo in misura soddisfacente. Il debito italiano, a causa principalmente della frenata dell'economia, è aumentato, anziché diminuire o rimanere stabile in rapporto con il Pil. Oltre all'Italia, anche altri tre Paesi membri riceveranno lettere analoghe, ma il caso dell'Italia è il più importante, vista la dimensione del nostro debito pubblico. La lettera, a differenza dello scorso autunno quando si lavorava su dati previsionali, terrà conto dei dati a consuntivo, certificati da Eurostat in aprile.
Ieri, mentre la finanza spingeva all'insù lo spread, Matteo Salvini ha avvertito le cancellerie europee che a questo giro le minacce non attecchiranno: "Ai signori di Bruxelles dico che è finito il tempo delle letterine e dei richiami, del 'sei stato cattivo e finisci dietro la lavagna'...". A rincarare la dose ci ha pensato oggi facendo notare che "l'equilibrio senza diritti è un freddo e sterile calcolo".
Il pressing sull'Italia è già iniziato La Commissione europea dà, infatti, un paio giorni di tempo al ministro dell'Economia, Giovanni Tria, per rispondere alla lettera che sarà inviata oggi per chiedere informazioni sul mancato rispetto della regola del debito nel 2018.
La lettera della Commissione Ue che chiede chiarimenti all’Italia sul debito pubblico, e Bruxelles darà al Governo 48 ore per rispondere. Secondo quanto si apprende, la risposta italiana deve quindi arrivare entro venerdì. La lettera conterrà l’entità della deviazione dagli impegni 2018 e 2019.
Nella lettera, come riporta l'Adnkronos, la Commissione europea dovrebbe contestare all'Italia il mancato rispetto nel 2018 della regola del debito e degli impegni sul deficit strutturali sulla base dei dati definitivi certificati da Eurostat. Il fatto che la valutazione sia effettuata su dati definitivi costituisce un elemento aggravante rispetto allo scorso novembre, quando la Commissione aveva minacciato una procedura per deficit eccessivo sulla base di semplici previsioni. "Nel documento - fanno sapere da Bruxelles - non dovrebbero essere contenute raccomandazioni su una correzione dei conti pubblici". La richiesta implicita di una manovra correttiva per evitare la procedura per deficit eccessivo dovrebbe, invece, arrivare il 5 giugno. Da Bruxelles partiranno le lettere anche per altri tre Paesi (la Francia, il Belgio e Cipro). Anche a questi viene contestato il mancato rispetto degli obiettivi sul deficit strutturale, ma la loro situazione è stata giudicata "meno grave" rispetto a quella dell'Italia
"Il confronto con le istituzioni dell'Unione europea - dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti - in particolare con la Commissione, costituisce un momento di raccordo nel quale l'Italia non si limita a recepire indicazioni provenienti dall'Ue. Al contrario è l'occasione nella quale le priorità dell'agenda politica italiana vengono coordinate con quelle dell'Unione". "In questo senso il governo potrà aprire un confronto sulla congruità dei vincoli stabiliti rispetto alla situazione concreta", ha aggiunto.
Secondo Bruxelles, tra il 2018 e il 2019 ci sarebbe stato uno scostamento finale dello 0,7% (circa 11 miliardi) rispetto agli obiettivi Ue. E questo a fronte di una richiesta di riduzione del deficit strutturale di 0,6 avanzata a maggio scorso dalla Commissione e di una promessa di taglio dello 0,3% fatta dall'Italia.
La richiesta di una manovra correttiva da parte dell'Ue e insieme l'assedio dei mercati. A urne chiuse, nel bel mezzo di una fase politica di grande fibrillazione, è questo lo scenario che il governo gialloverde si trova ad affrontare. La lettera a Roma che dovrebbe certificare uno scostamento rispetto agli obiettivi europei di ben 11 miliardi. Jean-Claude Juncker lo anticipa a Giuseppe Conte, in un colloquio a margine della cena dei leader Ue, a Bruxelles. Il 5 giugno, con ogni probabilità, verrà richiesta all'Italia una correzione dei conti se vuole evitare che scatti la procedura d'infrazione per debito eccessivo. Il premier, con il ministro Giovanni Tria, proverà a trattare per scongiurarlo. Ma Matteo Salvini parte all'attacco. Chiuse le urne per le europee, i mercati tornano in fibrillazione. Lo spread dell'Italia sfiora i 290 punti, per poi chiudere in leggero rialzo rispetto a lunedì, a 284.
"C'è qualcuno che ha convenienza a tenere il governo italiano vincolato a regole vecchie, che tengono il Paese sotto scacco", attacca Salvini, in una diretta Facebook dal tetto del Viminale. Poi non solo, dando segno di non curarsi della necessità di trovare 23 miliardi solo per evitare l'aumento dell'Iva, rilancia la proposta di una flat tax da ben trenta miliardi. Ma riparte lancia in resta contro le regole europee. Tanto da lanciare la proposta di una "grande conferenza intergovernativa europea su lavoro, crescita, investimenti, debito pubblico e sul ruolo della Banca centrale europea".
La Bce, secondo Salvini, deve diventare garante "di benessere", con iniezioni di finanziamenti agli Stati, e "garante del debito". Resta, sottotraccia, la minaccia di rispedire al mittente la richiesta Ue di correggere i conti. Il leader della Lega, che lavora in questi giorni per rafforzare il suo peso nel Parlamento europeo, prova a mettere in primo piano la proposta di cambiare alla radice le regole europee, sapendo di avere contro anche alcuni dei suoi alleati "rigoristi". Silvio Berlusconi, dopo aver incontrato i leader del Ppe, avverte Salvini che, alzando i toni, rischia solo di andare a sbattere: sarà Juncker, attaccato a più riprese dalla Lega, a gestire il dossier italiano almeno fino all'autunno. Pierre Moscovici, che è in contatto continuo con Tria, spiega che "misure aggiuntive potrebbero essere richieste" subito, mentre le sanzioni sono uno scenario che si cerca di evitare. Il commissario preannuncia insomma la richiesta di una "manovrina", che alcune fonti quantificano intorno ai 5 miliardi, con parole che per ora hanno l'effetto di frenare lo spread.
Il premier spiega che rivedere il mandato della Bce "è uno dei dossier aperti". Ci vorrà tempo. Nell'immediato Palazzo Chigi lavora per rispondere alle richieste che arriveranno da Bruxelles. Il presidente del Consiglio lunedì ne ha discusso in una riunione con il direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e il Ragioniere dello Stato Biagio Mazzotta, con Tria collegato in teleconferenza.
Il governo è convinto di aver dato già alcune risposte nel Def: da parte, ricordano dal governo, ci sono ancora i due miliardi congelati dalla manovra e pronti a diventare tagli. In più si sottolineeranno l'andamento dell'economia migliore delle previsioni, i risparmi stimati da misure come il reddito di cittadinanza e quanto si sta facendo su evasione e spending review. Quando arriverà la lettera della Commissione, il governo avrà due giorni per rispondere. Juncker ne anticipa le linee a Conte, nel colloquio di Bruxelles: la Commissione perfezionerà le sue richieste in una riunione prevista nelle prossime ore. Da lì partirà un negoziato che passerà da una possibile correzione dei conti per evitare le sanzioni. Ci lavoreranno Conte e Tria, come per la manovra, ma Salvini questa volta potrebbe rovesciare il tavolo.
Né il vincitore Matteo Salvini, né lo sconfitto Luigi Di Maio - né tantomeno il presunto «mediatore» Giuseppe Conte - hanno avvertito l`esigenza di sentire Sergio Mattarella. Cosa che di per sé potrebbe anche essere una buona notizia, se davvero fosse la conferma che per i due vicepremier niente è cambiato dopo il voto. E che il governo gialloverde è pronto ad affrontare coeso i prossimi temi in agenda, a partire da una legge di Bilancio che richiederà almeno 40 miliardi. O anche 50 se - come ha annunciato ieri, forte del suo 34% - davvero Salvini punta ad una flat tax su redditi di famiglie e imprese fino a 50mila euro, quindi da almeno 30 miliardi.
Nei corridoi del Senato e di palazzo Madama si fa un gran parlare di rimpasto di governo. Perché, come dice Gianluigi Paragone, «Di Maio ha troppi incarichi»: fa il vicepremier, il ministro del Lavoro, quello dello Sviluppo e il capo politico. E perché chi non ha avuto il posto prima, spera di ottenerlo adesso. Così tra i grillini c'è chi si candida a sostituire i ministri invisi a Salvini: Elisabetta Trenta (Difesa), Toninelli (Infrastrutture), Giulia Grillo Sanità. E nella speranza di addolcire l'orco leghista, gli si offre anche la testa di Giovanni Tria, il responsabile dell'Economia. «Potrebbe andarci Garavaglia, sarebbe bravo a gestire la legge di bilancio», dice un grillino di alto rango.
Eppure, se mai volesse mettere mano alla squadra di governo, il vero bersaglio di Salvini sarebbe Alfonso Bonafede. Il capo della Lega, nel suo programma, ha inserito la riforma della giustizia con la revisione del reato di abuso d'ufficio e la separazione delle carriere. Due temi indigeribili per i 5Stelle. Dunque, il Guardasigilli rappresenta un ostacolo obiettivo. Ma Salvini non vuole la crisi, si diceva, e dunque per ora non pensa al rimpasto. «Certo, se poi fossero loro a offrircelo», dice un ministro leghista, «non rifiuteremo di certo. Ora nel Paese il nostro peso è il doppio di un anno fa e avrebbe un senso riequilibrare i pesi nel governo».
Il problema è che presto il governo rischia di non esserci più: «Se Salvini crede che ingoieremo tutte le sue richieste sbaglia», dice un alto esponente grillino, «tra 5 mesi saremmo finiti, non arriveremmo neppure al 10%. Perciò si potrà andare avanti solo se il leghista smette di gonfiare i muscoli e siccome non lo farà...».
Ma Matteo Salvini si allarga le braccia. Il capo della Lega in giornata ha rinnovato «completa fiducia a Conte», ha detto e ripetuto che «per andare avanti basta rispettare il contratto». Ma Luigi Di Maio e Giuseppe Conte a suo giudizio «fuggono». E fuggono «perché non hanno seri problemi a rispettare gli impegni». Dal via libera al decreto sicurezza, all'inizio della discussione sulla flat tax, dal sì alla riforma dell'autonomia regionale alla Tav. Il problema è che monta anche l'irritazione di Conte. Il premier ha confidato di sentirsi tra due fuochi e di non voler stare sotto il ricatto quotidiano di elezioni da parte di Salvini: «Vanno create le condizioni per poter andare avanti», ha confidato, «oppure meglio lasciare perdere, io un lavoro ce l'ho, non resto a ogni costo». E ha detto di volere un vertice con i due vicepremier quanto prima. Da vedere quale sarà la reazione di Salvini
Però, Salvini a questo governo ci tiene, non fosse altro perché in un anno gli ha fatto raddoppiare i voti, non calca i toni. Non si arrabbia perché il Consiglio dei ministri previsto per oggi slitta e dunque il suo decreto sicurezza-bis dovrà ancora attendere. Non risponde neppure alle «provocazioni» di Di Battista.
Stesso schema sul caso di Edoardo Rixi. E' bastato che il capogruppo leghista Massimiliano Romeo dicesse ciò che pensa il grande capo e cioè che il viceministro alle Infrastrutture «non si deve dimettere e non si dimetterà» in caso di condanna, per scatenare la reazione irata del solito Di Battista e di Stefano Buffagni. Con tanto di minacce di crisi. A dire che la questione verrà affrontata quando (domani) si presenterà. «Bisogna stare calmi, non offrire il destro alle provocazioni», è stata la spiegazione del vicepremier leghista ai suoi, «è comprensibile che siano nervosi e sotto choc...».
Quello di Salvini è un garbo che durerà poche ore. Il leader leghista già va come un treno sulla flat tax e contro i parametri Ue, mettendo in serio imbarazzo Conte impegnato a Bruxelles. Martella sulla Tav. Picchia come un fabbro sull'autonomia. Detta, come aveva promesso, l'agenda. «Del resto dove vanno i grillini.....Se rompono c'è la crisi, si va alle elezioni, perdono stipendio e onori e al prossimo giro in Parlamento ne torna meno di un terzo», osserva il luogotenente di Salvini alla Camera Igor Iezzi, «noi invece eleggeremmo il doppio dei parlamentari».
In questo clima surreale, i 5Stelle alzano un muro di gomma. In attesa di riorganizzarsi, rinviano il Consiglio dei ministri. Provano a bloccare la Tav. Frenano sull'autonomia: «Ci sono grossi problemi...». E, soprattutto, litigano sul destino di Di Maio.