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Il rischio Weimar nella Grecia del quasi default: cause ed effetti del fenomeno Alba dorata"

"Il rischio Weimar nella Grecia del quasi default: cause ed effetti del fenomeno Alba dorata". Questo il titolo del simposio promosso dall'Associazione della Stampa Estera a Roma nella sede di via dell'Umiltà 83/c con il contributo di docenti universitari, manager, giornalisti ed esperti. L'obiettivo è puntare un fascio di luce sulla fenomenologia del partito neonazista ellenico, che alle scorse elezioni politiche con il 7% dei consensi ha fatto ingresso in Parlamento per la prima volta dopo 40 anni e che in questo biennio di“governo delle larghe intese con la troika” ha dato vita ad una serie di episodi inquietanti. Come la persecuzioni contro gli immigrati, fino all'arresto nel settembre scorso dei suoi massimi dirigenti, accusati di ordire un colpo di stato con i sostegno delle forze dell'ordine. Nel mezzo l'assassinio del 40enne rapper Pavlos Fyssas da parte di un militante di Alba dorata a cui i nuclei armati rivoluzionari hanno risposto freddando due esponenti del partiti dinanzi alla sede ateniese.

Il simposio ha avuto l'obiettivo di effettuare una panoramica, economica, sociale e politica, per andare alla ricerca di quegli elementi che hanno innescato il rischio Weimar nella Grecia sventrata dalla crisi, individuando tre macro aree: quella delle contingenze finanziarie dell'area euromeridionale, quella dei diritti negati da politiche di stampo nazista e quelle legate alla cronaca degli ultimi due mesi con la contrapposizione ideologica che fa tornare l'ombra degli anni di piombo.

Introduzione e moderazione: Maarten van Aalderen (Presidente dell'Associazione Stampa Estera);

  • Prof. Avv. Stelio Campanale (senior advisor of economics della PAM- Assemblea dei Parlamenti del Mediterraneo http://www.pam.int/ e docente di diritto degli scambi internazionali all'università LUM di Casamassima). Titolo intervento: "Come la crisi economica impatta nell'area sud europea";

  • Teodoro Andreadis Synghellakis, corrispondente tv greca Alpha e agenzia stampa Ana, Atene. Titolo dell'intervento: "Le ragioni politiche che hanno prodotto il caso Alba dorata".-

  • Dimitri Deliolanes (corrispondente in Italia dell'emittente greca ERT e autore del libro "Alba dorata" Fandango libri). Titolo intervento: "I nazisti all'assalto del parlamento greco: natura, funzione e breve storia di Alba Dorata";

  • Francesco De Palo (giornalista freelance per Il Giornale, Il Fatto Quotidiano, Formiche, Rivista Il Mulino, Air Press. Direttore di Mondo Greco e autore del saggio "Greco. Eroe d'Europa", Albeggi editore). Titolo intervento: "Tornano gli anni di piombo in Grecia: guerra di estremi o strategia della tensione?".

  • Katerina Giannaki (membro per l'Europa del SAE Consiglio dei Greci nel Mondo). Titolo intervento: "Le politiche antidemocratiche di Alba dorata: diritti negati e attacco agli ultimi".

  • Il Corriere del Sud era presente a questo simposio e questo e l intervento di Francesco De Palo che ha sinttizzato secondo me tutto il problema di questa crisi la paura del ritorno di anni di piombo in Grecia  :

L'Europa non è un tesoro che va scoperto – ha scritto Zygmunt Bauman ma una statua che deve essere scolpita”. Come dire che più che farsi carico di avvistare nuove terre o isole sconosciute, servirà plasmare abitanti e istituzioni. Ragionare analiticamente sul fenomeno Alba dorata in Grecia, e farlo alla luce degli ultimi fatti di sangue dei mesi scorsi, impone un quesito: forse pretestuoso, irriverente ma che aiuta a scavare per comprendere. Tornano gli anni di piombo in Grecia: una guerra di estremi o una strategia della tensione?

Ogni crisi che si rispetti porta con sé riverberi e disordini sociali, come quelli che si sono sviluppati in Grecia dal 2010 ad oggi. Lecito chiedersi: solo colpa di estremisti e anarchici? O dietro la nuova spirale di violenza si nasconde anche disinformazione o un preciso conflitto tra poteri? Prima dell'omicidio del 40enne rapper Pavlos Fyssas freddato da un militante di Alba dorata e della replica 50 giorni dopo con i due chrisìavghites uccisi dinanzi alla sede ateniese del partito da un sicario in moto, già nelle prime settimane dell'anno si erano verificati episodi preoccupanti.

Si prenda il duplice attacco contro esponenti e sedi del governo ellenico. Il lancio di una molotov artigianale contro l’abitazione ateniese del fratello del portavoce dell’esecutivo, Simos Kedikoglou, altre bombe contro diverse sedi nella capitale ellenica dei due partiti al Governo, i conservatori di Nea Dimokratia e i socialisti del Pasok. Sino ai nove colpi di kalashnikov esplosi contro lo studio del Premier Antonis Samaras, al terzo piano del palazzo che occupa la direzione nazionale del partito ad Atene. Per questo il quotidiano To Vima titolò in quei giorni“dalla pennetta alle bombe”, alludendo al fil rouge che sarebbe potuto esistere tra la chiavetta usb contenente i nomi della Lista Lagarde, l'elenco degli illustri evasori ellenici, e le molotov che hanno monopolizzato quel fine settimana.

Ma quale rapporto si snoda tra i due fatti di cronaca? Possibile che la tensione contro la politica sia da ritrovare esclusivamente nella disperazione di cittadini vessati da balzelli e memorandum? Il governo sottolineò in quella circostanza che la spirale di violenza era frutto della delegittimazione dell’opposizione e di chi rema contro “l’europeizzazione” del Paese. Ma la storia greca insegna che nulla è come appare, e che quel Paese è stato in svariate occasioni crocevia di interessi e dinamiche legate alla geopolitica.

Si pensi ad esempio alle brigate terroristiche del 17 novembre, il nucleo armato più misterioso del panorama europeo, sul cui esito molte domande sono ancora senza una risposta. Per 27 anni hanno agito in libertà senza nomi e volti fino alle condanne nel 2002 per il leader Alexandros Giotopoulos, professore di matematica. Avevano iniziato con l’assassinio di Richard Welch, capo della missione Cia ad Atene, e terminato nel 2000 con l’attacco a Stephen Saunders, addetto militare dell’ambasciata britannica.

Nel mezzo la lotta armata contro diplomatici statunitensi, britannici e turchi, le minacce di molti Paesi di non partecipare alle Olimpiadi del 2004 se quegli adepti non fossero stati ‘annullati’. Ma anche numerosi indizi di una strumentalizzazione di cui potrebbero essere stati vittime e tanti interrogativi circa un’impunità pressoché totale per tre decenni.

Si pensi all’omicidio del giovane giornalista Sokratis Giolias: fu ucciso il 19 luglio 2010 colpito da quindici colpi davanti alla sua abitazione in Ilioupoli, vicino Atene. Le armi usate erano legate a precedenti attacchi da parte della Setta dei rivoluzionari, un gruppo di terroristi che il giorno dopo fece perdere le proprie tracce e di cui mai più si è parlato.

Oggi si può unire il disagio sociale incarnato da violenti partiti anti sistema, come appunto Alba dorata, all'incubo degli anni di piombo che è tornato a circolare con insistenza nella capitale greca?

Alcuni analisti si spingono a ragionare sul fatto che il cambiamento delle circostanze, ovvero l’eliminazione delle principali minacce alla moneta unica rappresentate dal rischio default greco e il salvataggio de facto da parte della troika, possa essere stato controbilanciato dalla Lista Lagarde, deflagrata contro l’intera classe dirigente ellenica, vero elemento di disordine interno. Si pensi che l’ex segretario dello Sdoe (il dipartimento crimini finanziari), John Kapeleris, confutando le accuse fatte dal suo Ministro, il signor Papaconstantinou, ammise di non aver “mai visto la lista Lagarde e non ho mai ricevuto il mandato per un controllo approfondito”.

Ma come si intersecano le vicende legate alla xenofobia, al razzismo e al populismo applicato alla politica con la contingenza di un paese in fiamme, dove il ceto medio è scivolato verso la soglia di povertà, dove a pagare dazio sono solo gli statali e i pensionati? In quell'interstizio di ingiustizia si è annidata la proposta populista di Alba dorata, il cui elettorato non è stato composto esclusivamente da adepti di destra o pericolosi nazisti, ma alcuni voti sono giunti anche dal popolo degli astenuti, da cittadini di centro, di sinistra e di destra che semplicemente hanno scelto il voto di protesta perché delusi dalla politica che si dice democratica e che ha prodotto l'attuale voragine finanziaria greca.

Scelta sbagliata? Stando agli episodi di cui gli aderenti al partito si sono macchiati certamente sì. La nuova strategia della tensione in Grecia che ha avuto inizio con l’omicidio del 34enne rapper Pavlos Fyssas lo scorso settembre potrebbe non essere casuale, al pari della replica 40 giorni dopo con la doppia esecuzione. Dai primi rilievi degli inquirenti è emerso subito che a sparare furono due professionisti, freddi e determinati a portare a termine il lavoro. Sembrerebbero quindi esclusi dai sospetti anarchici “killer improvvisati”.

Non sono poche le penne che in questi giorni hanno fatto trapelare la possibilità che una delle piste sia anche quella dei servizi deviati o di una strategia della tensione per accendere ulteriormente gli animi in un contesto già sufficientemente terremotato dalla crisi, con la troika che chiede 2 miliardi di nuove tasse oltre ad altri cinquemila licenziamenti nel pubblico impiego entro Natale: pena la non concessione della nuova maxi rata di prestiti. Insomma, un film già visto, a cadenza trimestrale, dal 2010 a oggi ma con la novità rappresentata proprio dalla destabilizzazione degli estremi a pungolare la politica.

Ma si faccia un passo indietro nella storia violenta e urlante della Grecia finita al centro del buco nero europeo. L’omicidio del 15enne Alexis Grigoropoulos, morto durante un inseguimento con la polizia il 6 dicembre del 2008: in quei giorni la prima ondata di protesta si era diffusa per le strade di tutte le città del Paese, con una vera e propria guerriglia urbana ad Atene nell’ormai famosa piazza Syntagma, dove qualche anno dopo sarebbero stati i pensionati e i semplici cittadini, vessati dalla crisi, a protestare con il lancio di yogurt contro la sede della Camera dei deputati.

Come dire che non ci voleva poi molto ad infiammare ulteriormente un tessuto sociale già provato da un triennio di memorandum, con la povertà galoppante che rosicchia percentuali ogni sei mesi alla classe media, con l’emergenza sanitaria rappresentata dal pesante passivo del Servizio Sanitario Nazionale, con i medici della mutua “costretti” a visitare anche duecento pazienti al giorno per via dei tagli che sono stati fatti dal governo praticamente in ogni settore, anche in quelli nevralgici come la sanità o il welfare.

Ma non sui costi della politica, con una deputata del partito conservatore al governo che pochi giorni fa si è lamenta del fatto che 5000 euro al mese di rimborsi spese forfaittari non le sono sufficienti per fare politica sui territori.

Il signor Lambros il padre di Iorgos Fountoulis, uno dei due militanti di Alba dorata uccisi, nel giorno dei funerali aveva affidato a facebook il proprio sdegno dicendo di non volere che l’asfalto della città fosse innaffiato con il sangue. Per questo la famiglia del giovane ucciso non voleva la presenza di alcun politico, né corone né fiori. In precedenza, intervistato dall’emittente Antenna, il padre del giovane si era chiesto: “Cosa hanno risolto? Hanno sconfitto il fascismo? Hanno sconfitto Alba dorata? No, hanno solo ucciso il nostro bambino”.

E allora accanto ai reati di cui Alba dorata si è macchiata, gli episodi di violenza, xenofobia e razzismo, l'accusa di ordine un colpo di stato con l'ausilio delle forze di polizia, andrebbero valutate le cause scatenanti di questa ondata di illegalità e violenza.

La violenza – ha scritto Filippo Turati – è un metodo di lotta inferiore , brutale, illusorio, figlio e fonte di debolezza”. Ma tocca alle istituzioni che si professano civili e democratiche spegnere quei rigurgiti. E si badi bene, oggi la politica con la P maiuscola, quella che dice ai cittadini di perseguire il bene comune, quella che ad Atene esclude altri sacrifici ma nei fatti li ha già avallati un anno fa firmando il memorandum, è fra le concause di Alba dorata. Perché ha amministrato male un Paese per trent'anni, perché ha permesso che le sperequazioni sociali fossero legge, perché ha preso finanziamenti europei a pioggia senza i necessari controlli, perché non ha contrastato un sistema clientelare che oggi ha fatto crollare non solo la Grecia ma l'Europa stessa: certificando che la sovranità nazionale, dopo il caso greco e quello cipriota scomparso dai radar della comunicazione europea, non è un elemento fondante degli stati membri.

Alba dorata altro non è che la logica conseguenza di chi pensava di essere più furbo degli altri e che oggi si trova in casa la troika. Ma anziché essere chiamata sul banco degli imputati per decenni di bugie, malagestione, clientelismi, assenza di politica industriale che ha fatto importare alla Grecia di tutto, perfino olio e cotone, la politica greca -democratica e non violenta - oggi si erge a difensore del popolo e dei diritti, dei deboli e degli affranti. Quando invece è l'imputato numero uno dell'intera questione.

Giorgio La Pira, politico italiano, sindaco di Firenze, terziario domenicano, ebbe a dire che “nel destino del Mediterraneo, la tenda della pace”. Quasi a voler intendere che la risposta è nel mare nostrum, non per una volontà romantica o per un tentativo meridionalistico di risolvere i nodi. Bensì perché fisiologicamente non può che essere quello il baricentro di un continente che per la smania di numeri e trend, ha perso la meta più preziosa: una visione.

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