Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Lunedì, 29 Aprile 2024

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:324 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:782 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:827 Crotone

La serie evento internazi…

Mar 27, 2024 Hits:965 Crotone

L'I.C. Papanice investe i…

Mar 01, 2024 Hits:1521 Crotone

Presentato il Premio Nazi…

Feb 21, 2024 Hits:1626 Crotone

Prosegue la formazione BL…

Feb 20, 2024 Hits:1442 Crotone

Si firmerà a Crotone il M…

Feb 14, 2024 Hits:1611 Crotone

L’eroismo nascosto di uomini e donne indomiti

antonio socci

 

Da anni seguo con attenzione gli articoli di Antonio Socci, grande giornalista, combattente cristiano da sempre controcorrente, autore di diversi libri. Finalmente ho trovato l’occasione di leggere il suo ultimo “capolavoro”, “Lettera a mia figlia”, edito da Rizzoli (2013) il 2° libro dedicato a sua figlia Caterina, entrata in coma, per una grave malattia nel 2009. Antonio Socci in questo libro oltre a raccontare il risveglio di sua figlia presenta diverse storie, particolarmente toccanti, lui stesso scopre “la bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto soprattutto di giovani, che sono per l’autore la ‘meglio gioventù’”.

Il libro diventa una lunga lettera dove Socci racconta il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere, a cominciare di quella di sua figlia Caterina, ma poi anche di altre donne e uomini che vivono il dramma di malattie gravi e lottano per la vita. Senza ombra di dubbio queste vite possono essere definite eroiche.

Socci racconta con un pizzico di polemica, quell’episodio triste e emblematico del programma televisivo di Fabio Fazio insieme a Roberto Saviano che nel 2010, esaltavano le vicende Welby ed Englaro, ma nello stesso tempo, hanno rifiutato di dare spazio anche ad altre testimonianze di gente che lottava contro malattie gravi. A questo proposito scrisse una lettera aperta a Roberto Saviano, lui diventato stella del regime mediatico del politically correct invitandolo a visitare sua figlia Caterina, pensava che “con una persona in gamba e intelligente come Roberto, si potesse finalmente parlare in modo diverso di malattia, eutanasia, di “fine vita”. La lettera-articolo non ebbe risposta. “E’ tutta una cultura che rifiuta il dialogo”, afferma Socci; mi sembra che sta avvenendo la stessa cosa in questi mesi con una certa cultura gay omosessualista, che rifiuta qualsiasi dialogo con chi manifesta per la famiglia naturale.

Tempo fa mi hanno colpito le dichiarazioni di una esponente gay lesbica a Radio 1, dove rifiutava categoricamente la misericordia e magari la compassione che gli offriva la Chiesa, anzi con tanta arroganza, invitava piuttosto la Chiesa a cancellare nel Catechismo le frasi omofobe.

Numerose sono le storie presentate nel libro, a volte esprimono un vero eroismo nascosto, una in particolare mi ha colpito, proprio perché procura emozione e nello stesso tempo speranza. Anche se bisogna riconoscere che lo stesso Socci, come padre dà tanta emozione e speranza, per la pazienza e la serenità, e per come sta affrontando la malattia di sua figlia Caterina. Soltanto chi ha tanta fede, chi ha veramente conosciuto Cristo Signore, può vivere pieno di speranza.

Tra le storie che mi hanno maggiormente colpito c’è quella delle suore della Sacra Famiglia dell’ex ospedale “Pizzardi” di Bologna, della giovane sposa Chiara Corbella e di Asia Bibi, naturalmente.

La prima quella delle suore dell’Ospedale Pizzardi, una quarantina di ragazze che hanno consapevolmente accettato di morire, per di più con atroci sofferenze, per poter curare e (letteralmente) servire degli ammalati gravi che neanche conoscevano.”Nessuno, nell’Italia che conta, che parla che scrive, sembra si sia mai accorto di queste giovani donne straordinarie - Scrive Socci con toni polemici - Forse perché erano delle suore? Eppure è accaduto tutto alla luce del sole, addirittura in un’istituzione pubblica di una città importante e attenta ai valori civili ( e alla ‘questione femminile’) come Bologna, dove queste ragazze sono vissute e morte fra il 1930 e il 1960”.

Nell’ospedale Pizzardi si curava la TBC, e allora nel 1930 era una malattia mortale e assai diffusa, si contraeva per via aerea, anche con uno starnuto, era peggio dell’Aids.

“Queste ragazze erano tutte consapevoli di andare a vivere, e a servire, in un ambiente ad altissimo rischio”. Infatti vi morirono circa 40, di queste la gran parte di morte dolorosa e drammatica in età compresa fra 25 e 35 anni. Alcuni di queste suore morirono in odore di santità come suor Maria Rosa Pellesi, Francescana Missionaria di Cristo, recentemente beatificata.

Socci con toni polemici denuncia il silenzio della cultura ufficiale su questo vero e proprio martirio rimasto nell’ombra fino ai nostri giorni. “Oggi i media trasformano in divi e miti certi personaggi solo perché canticchiano, tirano calci a un pallone o appaiono in tv, mentre nessuno fa conoscere ragazze così straordinarie e la loro storia, che svela con quale grandezza si possa spendere la vita”. Peraltro a Bologna “esiste tuttora un viale intitolato a Lenin, un tiranno che ha fondato il regime dei gulag dove sono stati massacrati milioni di innocenti. Ma nemmeno un vicolo ricorda queste giovani eroiche che hanno dato le loro esistenze per gli ammalati della città”.

L’altra storia che mi ha commosso è di una ragazza romana, Chiara Corbella, definita dal cardinale Vallini, “la nuova Gianna Berretta Molla”. Chiara era proprio una ragazza del nostro tempo, sposata con Enrico, ha dovuto affrontare in poco tempo delle pesanti prove, due figli morti subito dopo la nascita, il terzo figlio Francesco nasce, ma lei è affetta da un tumore che la porterà in breve tempo alla morte che affronta con grande dignità e serenità a soli 28 anni.

Chiara Corbella, puntualizza Socci è una figlia del GMG 2000, i due milioni di Tor Vergata a Roma. Allora i giornali sbeffeggiarono quei giovani, malignarono per giorni su di loro dicendo che quella era una fede da stadio, superficiale, di facciata.

La terza storia è quella di Asia Bibi, la madre coraggio, madre tra l’altro di cinque figli, una storia che qualche anno fa ho presentato ai lettori. Incarcerata il 14 giugno 2009 nel Punjab in Pakistan, per aver bevuto un bicchiere d’acqua, lei cristiana, non può bere dove bevono i musulmani.

Così da quel giorno, la povera donna è rinchiusa nel carcere di Sheikhupura dove continua a subire umiliazioni e atrocità, in isolamento totale in una cella senza finestre, senza luce del sole e senza aria, una cella umida e gelida, una vera e propria tomba. Ma lei resiste, “preferisco morire da cristiana, che uscire dal carcere da musulmana”. Parole impressionanti, se consideriamo che Asia è una povera donna inerme, alla mercè dei suoi aguzzini. “Sembra davvero di leggere gli Atti dei martiri dei primi secoli cristiani”, annota Socci.

 

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI