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Joseph de Maistre: maestro della contro-rivoluzione

Un primo piano del conte


Una conversione traumatica e dolorosa

Il conte Joseph de Maistre nacque il 1° aprile 1753 a Chambéry, nell’Alta Savoia, da una famiglia originaria della Linguadoca. Risentendo del clima illuminista del tempo, il giovane Joseph restò influenzato dai philosophes; tuttavia il suo spirito fortemente religioso lo tenne lontano dalla corrente razionalistica e materialistica dell’Encyclopédie e lo avvicinò invece alle idee della setta misticheggiante nota come Martinismo. In questa prospettiva nel 1773, a soli 20 anni, Joseph aderì ad una loggia della Massoneria sabauda, loggia non segreta ma autorizzata dal Re di Sardegna e comprendente suoi uomini di fiducia, anche ecclesiastici. Nel 1782, nell’imminenza del congresso massonico di Wilhelmsbad, al suo promotore, il duca Ferdinando di Brunswick, Joseph inviò una lettera-memorandum che rivela come egli avesse una personalissima concezione della missione massonica, visto che auspicava non il deismo e la “repubblica universale”, bensì una unificazione spirituale basata sul Vangelo e una federazione delle monarchie europee guidata dal Papa.

Divenuto conte e senatore del Regno alla morte del padre, Maistre era giunto alla soglia dei 40 anni senz’aver fatto nulla di clamoroso e avrebbe portato a compimento la sua carriera politica, se non fosse scoppiato il grande dramma dell’epoca: la Rivoluzione francese del 1789. Essa fu il trauma che svegliò molti moderati e benpensanti dalle loro ottimistiche illusioni, costringendoli a fare scelte drammatiche e quindi a revisionare completamente le loro idee. Maistre fu il più illustre di costoro. Tra il 1789 e il 1790, anch’egli aveva accolto la Rivoluzione liberale come una occasione per riformare il regime assolutista. Ma ben presto capì che si aveva a che fare con una sfinge enigmatica e sanguinaria che stava soggiogando i popoli con l’inganno, la corruzione e la violenza. Questa sfinge, egli ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, considerandola non tanto nei suoi aspetti o nelle sue conseguenze quanto nelle sue cause prime e nei suoi fini ultimi, che ne rivelavano la vera essenza anticristiana e diabolica. Una volta scoperta e rifiutata l’essenza satanica della Rivoluzione, Maistre ebbe il coraggio di combatterla senza compromessi, dedicandosi alla missione di smascherarne idee e strategie, parole d’ordine e insidie. Convinto che i princìpi valgano ben più di opportunità, convenienze e tattiche, egli s’impegnò in questa lotta con coraggio e determinazione, pur sapendo di mettere in pericolo i propri interessi personali e familiari.

Mosso da quello spirito di lealtà che lo caratterizzò lungo tutta la sua vita, per mantenere la sua fedeltà al Re di Sardegna e per non giurare sulla Costituzione giacobina imposta dalle armate francesi, nel 1793 Maistre andò in esilio in Svizzera, subendo così la confisca dei beni. A Losanna, egli s’impegnò a intervenire sulla opinione pubblica per spingerla a reagire alla Rivoluzione; egli era difatti convinto che «è l’opinione che perde le battaglie oppure che le vince». A questo scopo, nel gennaio del 1797, egli pubblicò anonime le sue Considerazioni sulla Francia, ossia sulla rivoluzione francese. Fu un libro-bomba che ebbe un rapido e notevole successo, con 4 edizioni stampate non solo a Losanna ma anche a Lione, Basilea e Londra. Esso diventò il testo fondamentale dei nascenti circoli contro-rivoluzionari e il manifesto politico della sperata restaurazione; ma soprattutto esso svolse un ruolo provvidenziale, perché aprì gli occhi a molti e permise alla neonata Contro-Rivoluzione di fare un salto di qualità, passando dalle lamentele e condanne alla prospettiva di riscossa e di ricostruzione. Sul fronte opposto, anche i rivoluzionari s’interessarono al libro; ben comprendendone la pericolosità, il già potente Napoleone Bonaparte dapprima ne vietò la diffusione in Francia e nel Regno sardo; successivamente Vincenzo Cuoco fece a suo modo tesoro dell’analisi maistriana, correggendo l’astratto elitarismo e cosmopolitismo che aveva fatto fallire le repubbliche giacobine italiane del 1799.

In sintesi, Maistre dimostrò che la Rivoluzione francese ebbe le seguenti caratteristiche: 1, fu un fenomeno radicalmente sovversivo, poiché minò le basi politiche, morali e culturali della società, preparando «una generazione la cui sola idea fa tremare»; 2, realizzò un programma fondamentalmente anticristiano, poiché mirò a distruggere le basi sociali della Chiesa cattolica; 3, si svolse in un processo unitario, coerente e progressivo, mosso da un interno dinamismo “meccanico” che s’impose anche contro le intenzioni dei suoi protagonisti; 4, fu favorita da una occulta cospirazione settaria, che seppe legare forze sovversive prima divergenti (protestanti, giansenisti, gallicani, illuministi, liberali, democratici) in un un patto scellerato e in una comune strategia; 5, fu il risultato di una operazione plurisecolare, che tradusse il soggettivismo religioso protestante e il razionalismo filosofico illuminista nel naturalismo politico liberale. Pertanto, la rivoluzione francese costituì solo «un aspetto secondario del grande piano che si svolge», ossia di quella misteriosa lotta tra Chiesa divina e anti-Chiesa satanica che anima l’intera storia umana; il 1789 va quindi considerato come l’ultima fase della Rivoluzione totale, ossia di quel fenomeno unitario e universale che sogna d’instaurare il paradiso in Terra mediante l’ “assalto al Cielo”, ossia riappropriandosi dei poteri divini “alienati” nel trascendente e costruendo una società senza Chiesa, senza Cristo e in ultima analisi senza Dio.

 

Personalità ed eredità di un contro-rivoluzionario

Dell’anziano Joseph de Maistre, il poeta Lamartine ci ha lasciato questo espressivo ritratto: «Era un uomo di alta statura, dalla bella e virile figura militare. Il suo occhio era puro, vivo, franco. La sua bocca aveva quell’abituale espressione di fine umorismo tipico della sua stirpe. Il suo portamento manifestava la dignità del suo rango, del suo pensiero, della sua età. Era impossibile vederlo senza restarne colpiti, consci d’incontrare un grande personaggio».

Incarnazione estrema dello spirito aristocratico dell’Ancien Régime, nel conte la squisita raffinatezza dei modi e il sottile umorismo del linguaggio moderavano il rigore dei princìpi, l’austerità dei costumi e il vigore dell’azione; il suo carattere, forgiato dalle lunghe e dure prove, dava l’ìmpressione di una serena grandezza che non intimoriva l’interlocutore ma lo conquistava. Spirito eletto, profondo pensatore, grande letterato, affascinante polemista dallo stile brillante ma incisivo, la sua penna e la sua conversazione erano tanto ricercate dagli amici quanto temute dai nemici. Sia come uomo che come scrittore, egli era l’esatto rovescio dell’empio Voltaire, al quale viene spesso paragonato per contrapposizione: se questi eccelleva nell’arte scellerata di banalizzare e sporcare tutto usando sarcasmo, invettiva e calunnia, il conte invece sapeva abbellire e nobilitare ogni argomento di cui parlasse o scrivesse, portando al culmine quella politesse che era vanto della civiltà del suo tempo e che oggi è andata quasi del tutto persa nella barbarie in cui siamo ricaduti. Inoltre, evitando la saccente e atrofica mania della specializzazione, egli univa nel suo discorso storia e filosofia, politica e teologia, scienza e letteratura, sposandole in un’armonica visione del mondo che era animata dalla sua fede nella Divina Provvidenza.

Dopo due secoli di damnatio memoriae, oggi molti ammettono che Maistre ha fatto onore al proprio cognome: è stato cioè davvero maestro di saggezza intellettuale, di rigore morale e di acume politico. Ma soprattutto bisogna ricordarsi ch’egli contribuì potentemente alla rinascita degli studi apologetici e storico-politici in ambito cristiano, dopo un lungo periodo in cui erano stati trascurati o subordinati a correnti di pensiero estranee o avverse alla Chiesa In tal modo, egli preparò quella condanna ecclesiastica del naturalismo, del liberalismo e del democratismo, poi formulata soprattutto da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII e san Pio X. Non fa dunque meraviglia che questi Papi abbiano considerato il conte come un “profeta” inviato da Dio per illuminare la Cristianità in tempi bui. Insomma, come sintetizza Rino Cammilleri, Maistre può essere considerato come «il maestro dei maestri della Contro-Rivoluzione».

 

 

 

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