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Scalfari e Cartesio

scalfari-e-bergoglio

 

Lo scorso 1 ottobre il quotidiano, la Repubblica ha pubblicato un resoconto del colloquio avvenuto la settimana precedente -il ventiquattro settembre-, tra il regnante pontefice Francesco e il fondatore dello stesso giornale, Eugenio Scalfari. Un discorso a tutto tondo, che meriterebbe di essere approfondito in più punti. In questa sede mi soffermerò su quella che a me pare l’affermazione più importante fatta da Scalfari; raccontando qualcosa di sé a Papa Francesco, ha detto: “Sono stato educato da una madre molto cattolica. A 12 anni vinsi addirittura una gara di catechismo tra tutte le parrocchie di Roma ed ebbi un premio dal Vicariato. Mi comunicavo il primo venerdì di ogni mese, insomma praticavo la liturgia e credevo. Ma tutto cambiò quando entrai al liceo. Lessi, tra gli altri testi di filosofia che studiavamo, il Discorso sul metodo di Descartes e rimasi colpito dalla frase, ormai diventata un’icona, «Penso, dunque sono».. L’io divenne così la base dell’esistenza umana, la sede autonoma del pensiero.”Considero questa affermazione cruciale, perché sia il Beato Giovanni Paolo II (1978-2005), sia il filosofo e padre stimmatino Cornelio Fabro (1911-1995), in tempi e modi differenti, ne hanno fatto un cardine del proprio pensiero. Entrambi individuano nel principio cartesiano, il punto di partenza che ha portato progressivamente al relativismo imperante, categoria interpretativa imprescindibile per capire il nostro tempo.

Giovanni Paolo II ne parlò così nel suo ultimo libro, Memoria e Identità: “.

”Nel corso degli anni si è venuta formando in me la convinzione che le ideologie del male sono profondamente radicate nella storia del pensiero filosofico europeo (…) alla rivoluzione operata nel pensiero filosofico da Cartesio. Il cogito, ergo sum –penso, dunque sono— portò con sé un capovolgimento nel modo di fare filosofia. Nel periodo precartesiano la filosofia, e dunque il cogito, o piuttosto il conosco, era subordinato all’esse, che era considerato qualcosa di primordiale (…) Dopo Cartesio, la filosofia si occupa degli esseri in quanto contenuti della coscienza, e non in quanto esistenti fuori di essa.…) Nella logica del cogito, ergo sum Dio si riduce a un contenuto della coscienza umana (era rimasta soltanto l’idea di Dio come tema di una libera elaborazione del pensiero umana (…)L’uomo era rimasto solo: solo come creatore della propria storia e della propria civiltà; solo come colui che decide di ciò che è buono e di ciò che è cattivo, come colui che esisterebbe ed opererebbe etsi Deus non daretur—anche se Dio non ci fosse”. Sembra un’impressionante “fotografia”delle nostre complesse società postmoderne: “liquide” e/o “coriandolari”, dove mancano valori largamente condivisi. Partendo da Cartesio, vediamo a grandi linee, come si è giunti alla caleidoscopica società contemporanea. Secondo questa lettura, dunque, la filosofia abbandonando il realismo tomista per il soggettivismo cartesiano, ha “partorito” la modernità; questa, attraverso vari passaggi, ha generato via via un “superuomo” autoproclamatosi re e signore del mondo: autogiustificato a fare tutto, senza alcun limite, né in basso, né in Alto. L’atmosfera culturale all’interno della quale ci muoviamo e che finisce per condizionarci, è figlia diretta dell’idealismo tedesco e indiretta del cogito cartesiano o principio d’immanenza. Fabro rilevava alla base di tutto la Diremtion—distinzione— originaria del rapporto essere—pensiero, tra pensiero classico e pensiero moderno, una agli antipodi dell’altra; per il primo l’essere fonda il pensiero; per il secondo, l’essere è ridotto alla spontaneità del soggetto. Con queste basi—notava il grande filosofo friulano—l’ateismo è inevitabile è l’unica conclusione coerente (…) in quanto coincide con l’affermazione radicale dell’io come fondamento e coinvolge perciò per contraccolpo l’espulsione radicale di Dio secondo l’intera qualità intenzionale della coscienza. Sempre per Fabro gli esiti di queste formule erano ancora più radicali, passando dall’idealismo fino a Heidegger; per il primo “un “al di là della coscienza è del tutto impensabile”; per il secondo, come sviluppo coerente del primo, un “al di là del mondo è impensabile”. Semplificando, l’uomo conosce il conoscere, il cui contenuto è ridotto al soggetto: un circolo —completato da Heidegger—, chiuso a ogni trascendenza. Rahner partì da qui per sviluppare la sua gnoseologia; l’idealismo, infatti, può applicarsi solo a Dio, il quale conoscendo se stesso, crea il mondo, divenendone così causa e misura. E’ il solito peccato d’orgoglio, travestito con una raffinata veste intellettuale: è sempre l’uomo che, istigato da Satana, vuol farsi uguale a Dio. La lotta per affrancarsi dalla schiavitù nei confronti delle cose, dell’oggetto, era iniziata.

Il principio d’immanenza, in fondo, aveva ancora qualche venatura di realismo, ma implicitamente ne portava scritte, all’interno, tutte le conseguenze; fu il punto dal quale si originò una cultura che avrebbe subordinato l’essere al pensiero e, nei giorni nostri, Dio al desiderio. Cartesio col Cogito cerca di dare una risposta definitiva, al bisogno, —sempre presente nell’uomo—, diffuso di certezza: credette di averla trovata, puntando sulla prevalenza del soggetto (Io) sull’oggetto. Il pensiero, in questo modo, divenne primo e anteriore ad ogni cosa, contemplante se—stesso e centrato esclusivamente sulla propria autonomia- come giustamente ha colto Scalfari- e sui propri diritti, del tutto dimentico dei propri doveri.

La nuova “mela” era servita: l’Io, credendosi increato e, dunque, regola e misura di se stesso e del mondo, aveva usurpato il posto di Dio. A questo punto, l’autostrada verso l’ateismo era spalancata. Lo stesso Heidegger lo riconosce nella sua opera dedicata a Friedrich Nietzsche (1844—1900), rendendo omaggio, da par suo, a Cartesio: “In vista della liberazione dell’uomo dai vincoli della dottrina rivelazionistica della Chiesa— cioè, che l’essere dell’ente consiste nell’essere creato da Dio—, la questione della filosofia prima viene enunciata così: per quale via arriva l’uomo, da se stesso e per sé stesso, a una prima verità incrollabile? E qual è questa prima verità? Il primo a interrogarsi in questo senso in modo chiaro e deciso è Descartes, il quale risponde: “Ego cogito, ergo sum” (…) Nella proposizione (…) si esprime un primato dell’io umano in generale; quindi una nuova posizione dell’uomo. Adesso l’uomo non accetta una dottrina con un atto di fede, anzi neanche prende una qualche strada per procurarsi una conoscenza del mondo. Qui viene alla luce qualcosa di diverso: l’uomo si sa assolutamente certo lui stesso di essere quell’ente il cui esistere è la cosa più certa. ‘uomo diventa il fondamento e la misura che egli stesso ha collocato per fondare e misurare ogni certezza e ogni verità”. L’opposizione con san Tommaso e il pensiero classico, non poteva essere maggiore; per l’Aquinate, infatti, l’uomo avendo ricevuto —receptus— l’essere per partecipazione ed essendo, dunque, radicalmente dipendente dall’Esse ipsum subsistens, non può ergersi a misura di tutte le cose. Questo è compito dell’Intelletto divino; per illustrarlo San Tommaso ricorse a un’interessante analogia: “Le cose naturali, da cui il nostro intelletto riceve la scienza, misurano il nostro intelletto (…), ma sono misurate dall’intelletto divino, nel quale tutte le cose si trovano come tutti gli artefatti nella mente dell’artefice: così, dunque, l’intelletto divino è misurante e non misurato, la cosa naturale invece misurante e misurata, il nostro intelletto infine misurato e non misurante le cose naturali, ma misurante solo quelle artificiali”. In sintesi, per il pensiero naturale e cristiano, l’intelletto dell’uomo, per conoscere, dipende totalmente dall’ordine ontologico, cioè dalle cose create; la dipendenza, non essendo regola e misura di se stessa, si esplica anche nel campo morale: l’intelletto non può decidere da solo cosa è bene e cosa è male. La nascita, in nuce, dell’idealismo era avvenuta: lo spirito umano si credeva autonomo e capace di costruire ed elaborare ogni cosa indipendentemente dalla realtà. Scalfari, l’ha capito benissimo; ora, sta a noi cattolici, ma anche ai non credenti di retta ragione, ciascuno secondo le proprie possibilità, far virare nuovamente il mondo verso un sano realismo. Quanto a Scalfari…ricordiamo la Grande Promessa del Sacro Cuore di Gesù a chiunque avesse fatto almeno una volta i primi nove venerdì del mese…

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