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Papa Francesco: è la terza guerra mondiale

Dalla guerra giusta alla necessità di fermare l'aggressore ingiusto, con una forte indicazione di multilateralismo e del ruolo dell'Onu. Ancora la denuncia della "crudeltà inaudita" dei conflitti non convenzionali e della tortura. Infine una constatazione: "siamo nella Terza guerra mondiale, ma a pezzi". Si può sintetizzare così la visione del Papa davanti al precipitare della situazione irachena e del conflitto in Terrasanta, mentre è in volo da Seul a Roma dopo il terzo viaggio internazionale del pontificato. Papa Francesco riceve una domanda molto diretta: "è d'accordo se gli Stati Uniti bombardano l'Iraq per prevenire il genocidio?".

Come riferisce l agenzia ansa : "In questi casi dove c'è un'aggressione ingiusta posso solo dire che è lecito fermare l'aggressore ingiusto, sottolineo il verbo, dico fermare, non bombardare o fare la guerra", e "i mezzi con i quali fermare l'aggressore ingiusto dovranno essere valutati". Ma "quante volte - ammonisce - con questa scusa di fermare l'aggressore le potenze hanno fatto una vera guerra di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore". Papa Bergoglio ricorda che "dopo la Seconda guerra mondiale è nata l'idea della Organizzazione delle Nazioni Unite, è là che si deve discutere: 'Come facciamo a fermarlo?'".

"Fermare l'aggressore ingiusto - ha spiegato il Papa - è un diritto dell'umanità, ma è anche un diritto che ha l'aggressore di essere fermato perché non faccia il male". Racconta anche che ha studiato con i collaboratori tutti i passi da fare per la situazione irachena, ha emesso un comunicato, ha scritto al segretario dell'Onu Ban ki-moon, ha mandato il card. Fernando Filoni quale suo inviato in Iraq e Kurdistan, e ha deciso di essere "disposto ad andare in Kurdistan" e che "c'è questa possibilità", che è stata valutata prima di partire per il viaggio in Corea e per il momento resta una possibilità. "Questi sono i frutti della guerra", dice il Papa ricordando le vittime di oggi, e di ieri, e "il fumo delle bombe" che in Terrasanta non fa vedere la "porta" che si è aperta con la preghiera comune nei giardini vaticani dei presidenti israeliano e palestinese Shimon Peres e Abu Mazen, ma il fumo delle bombe "è congiuntura", mentre la porta resta aperta.

Conferma inoltre il viaggio a Filadelfia di settembre 2015 e spiega che, avendo ricevuto inviti anche dal presidente e dal parlamento americano e dal segretario dell'Onu si potrebbero visitare "forse le tre città insieme", cioè Filadelfia, Washington e New York.

Spiega poi che andrà in Albania il 21 settembre per due motivi "importanti": in Albania "sono riusciti a fare un governo nazionale" fra diverse componenti, cattolici, ortodossi, "e questo va bene - sottolinea il Papa perché vuol dire che è possibile lavorare bene insieme". Altro motivo è che "l'Albania è l'unico Paese comunista che aveva l'ateismo pratico nella costituzione, se andavi a messa era anticostituzionale". "Sono state distrutte - ha aggiunto - 1820 chiese, voglio citare il numero preciso, sia ortodosse che cattoliche, in altre sono stati fatti cinema e teatri".

In ottima forma al termine dell'impegnativo viaggio in Oriente, il Papa racconta anche alcuni aspetti della sua vita in Vaticano, alla ricerca di normalità, e senza abbandonare la abitudine di non fare vacanze ma ritrovare un ritmo più disteso, leggendo e dormendo di più e ascoltando musica. Contento anche della popolarità di cui gode, "se il popolo è felice per quello che faccio". "La vivo come generosità - spiega - ma cerco di pensare anche ai miei peccati, però cerco anche di godermela, perché so che durerà poco tempo e poi sarò nella Casa del Padre".

La tortura è diventata un mezzo quasi ordinario", ha detto Papa Francesco. "Di fronte al dolore umano non si può essere neutrali", ha poi spiegato parlando delle vittime del naufragio del Sewol. Alcuni parenti gli hanno regalato un fiocchetto giallo in ricordo dei morti che il Papa porta appuntato su petto. Qualcuno, ha detto, gli ha consigliato di toglierlo per essere neutrale. "Ho sentito di dovermi avvicinare, il dolore umano è tanto forte, e insieme ci aiutiamo".

Parlando poi dei rapporti con Pechino ha aggiunto: "Se ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro, domani. Rispettiamo il popolo cinese, soltanto la Chiesa chiede libertà per il suo mestiere, il suo lavoro. Poi non dimentichiamo quella lettera fondamentale di Benedetto XVI al popolo cinese che oggi è attuale, ha attualità, rileggerla fa bene, e sempre la Santa Sede è aperta ai contatti, perchè ha una vera stima per il popolo cinese".

Ma, assicura, l’incontro di preghiera in Vaticano con i presidenti israeliano e Palestinese Shimon Peres e Abu Mazen "non è stato inutile anche se oggi la situazione del conflitto in Terrasanta e ulteriormente degenerata". "Si è aperta una porta, adesso il fumo delle bombe non ci fa vedere quella porta, ma il Signore la vede e quella porta c’è", ha aggiunto il Papa.

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