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Giorgetti a Vespa: "Se non resta Mattarella, Draghi al Quirinale"

Nessuno vuole fare il toto-nomi, ma tutti ne parlano. La corsa al Quirinale è apertissima. Lo dimostrano le diverse posizioni espresse all'interno del centrodestra. Se infatti Matteo Salvini e Giorgia Meloni si dicono disposti a fare il nome di Silvio Berlusconi, poco più in là Giancarlo Giorgetti rilancia Mario Draghi. Intervistato da Bruno Vespa per il suo nuovo libro "Perché Mussolini rovinò l'Italia e perché Draghi la sta risanando", il ministro leghista dello Sviluppo economico conferma chiaro e tondo che "Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale".

Un'ipotesi a detta di Giorgetti da tenere a mente nel caso in cui Sergio Mattarella rifiuti come ha già fatto il bis: "Già nell'autunno del 2020 - spiega il vicesegretario della Lega - dissi che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non è possibile, va bene Draghi". In fondo, "sarebbe un semi presidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole".

Se vuole istituzionalizzare in modo definitivo - dice nel libro Giorgetti - Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l'alleanza con l'AfD non ha una ragione". Per Giorgetti la svolta europeista di Salvini "è un'incompiuta". Quanto all'ipotesi di un ingresso della Lega nel Ppe "è un'ipotesi che regge se la Cdu non si sposta a sinistra".

"Non ci sono due linee. Al massimo - dice Giorgetti - sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche, direi che in una squadra c'è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere". "Lei mi chiede - dice ancora Giorgetti a Vespa - se io e Salvini riusciremo a mantenere un binario comune. Continueremo a lavorare così finché il treno del governo viaggia veloce, altrimenti rischiamo noi di finire su un binario morto. Il problema non è Giorgetti, che una sua credibilità internazionale se l'era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo. Matteo è abituato a essere un campione d'incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar. È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso…". Intanto, però, la Meloni continua a mordervi il fondo dei pantaloni, obietta Vespa. «È vero, ma i western stanno passando di moda. Secondo me, sono finiti con Balla coi lupi. Adesso in America sono molto rivalutati gli indiani nativi.

"Io mi sto occupando di salvare le pensioni e tagliare le tasse. Del resto mi occupo dopo. Stiamo lavorando per un grande gruppo che metta insieme il centrodestra in Europa. Non è nessun vecchio gruppo". Così il segretario leghista Matteo Salvini, parlando a margine dell'inaugurazione di una sede del Carroccio a Pistoia, ha risposto a chi chiedeva se ritenesse giusto, come propone il ministro Giancarlo Giorgetti, di completare il processo di avvicinamento della Lega al Ppe.

Intanto in Italia nel 2019, prima della pandemia, circa 5 milioni di persone avevano un salario effettivo non superiore ai 10 mila euro lordi annui, tutte con "discontinuità lavorativa".

E' quanto emerso durante la presentazione del rapporto della Fondazione Di Vittorio-Cgil su "Salari e occupazione".

Oggi risultano circa 3 milioni di precari e 2,7 milioni di part-time involontari, ovvero che lavorano a tempo parziale non per scelta, che si aggiungono a 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. Il salario dei part-time italiani, emerge ancora, è percentualmente più basso della remunerazione part-time nella media dell'eurozona di oltre il 10%.

La percentuale di part-time involontario in Italia è la più alta a livello europeo: nel 2020 arriva a segnare il 66,2% sul totale degli occupati a tempo parziale, contro il 24,7% dell'Eurozona. Durante la presentazione del Rapporto è stato inoltre ricordato come il cosiddetto tasso di disoccupazione "sostanziale" calcolato dalla Fondazione Di Vittorio nel 2020 risulti pari al 14,5% rispetto al 9,2% del tasso di disoccupazione ufficiale, che corrisponde a quasi 4 milioni, un numero che ai 2,3 milioni di disoccupati aggiunge coloro che sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano perché sono scoraggiati, bloccati per la cura di figli o anziani o sono sospesi, in attesa di riprendere l'attività. "Risulta evidente che il tema del lavoro riguarda la quantità di occupazione ma anche tanti aspetti della sua qualità", ha sottolineato il presidente della Fondazione, Fulvio Fammoni, richiamando l'attenzione sulle modalità di utilizzo del Pnrr e dalle scelte della legge di Bilancio. "Se davvero si punta ad uno sviluppo duraturo - ha affermato - il problema non può essere semplicemente l'utilizzo totale e tempestivo delle risorse a disposizione, ma come questa situazione straordinariamente favorevole per le quantità di risorse, risolve o meno questi problemi strutturali".

Nel 2020, con l'esplodere della pandemia, il salario medio di un dipendente a tempo pieno in Italia è diminuito del 5,8% rispetto al 2019, con una perdita in termini assoluti di 1.724 euro nell'anno. Il calo più ampio nell'Ue (-1,2% in media) e nell'Eurozona (-1,6%). Il ricorso alla cassa integrazione e ai Fondi di solidarietà ha tuttavia più che dimezzato la riduzione del salario medio annuale che così 'integrato' si è fermata a 726 euro in meno (-2,4%). Emerge dal rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil su "Salari e occupazione", che sottolinea la funzione positiva del blocco dei licenziamenti e degli ammortizzatori.

 

Fonti varie agenzie

 

 

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