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Continua il testa a testa tra Donald Trump e Joe Biden per decidere chi sarà eletto come prossimo presidente degli Stati Uniti d'America. Nelle scorse ore, in questo senso, potrebbe essere arrivata un'importante svolta.

Come riporta la CNN, al termine di un'altra lunga nottata di spoglio delle schede arrivate per posta, l'ex vice di Barack Obama ha messo la freccia in Georgia, dove attualmente è avanti di appena 917 voti. Ora Biden, con il 3% delle schede ancora da scrutinare, è al 49,39% con 2.449,371 voti a suo favore. Trump è al 49,37% con 2.448,454 voti in uno stato che, lo ricordiamo, assegna la bellezza di 16 grandi elettori.

Una lotta voto su voto che continua anche in Pennsylvania, dove Joe Biden continua la sua rimonta ed è ora vicinissimo a Trump, il quale conserva un esiguo vantaggio di circa 18.000 voti, pari allo 0,3%,quando le schede ancora da scrutinare sono pari al 5% del totale.

Arrivati a questo punto, il presidente uscente Trump ha a disposizione un solo scenario per portarsi a casa la vittoria nelle presidenziali, ovvero quella di aggiudicarsi tutti e cinque gli stati ancora in bilico per arrivare a 275 grandi elettori dagli attuali 213.

A Biden, invece, stante la situazione attuale basterebbe portarsi a casa uno tra Nevada, Pennsylvania, North Carolina e Georgia per poter avere la certezza di superare la fatidica quota 269.

Le elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti. Vengono definite elezioni indirette, ovvero gli elettori sono chiamati ad eleggere i cosiddetti grandi elettori che il 14 dicembre 2020 si riuniranno nel Collegio elettorale per eleggere il nuovo presidente e il suo vice presidente.

Se dal Collegio elettorale non ci sarà una maggioranza assoluta di almeno 270 voti a favore di un candidato (il quorum necessario per l'elezione), la nomina del nuovo presidente verrà fatta dalla Camera dei rappresentanti, che sceglieranno a maggioranza fra i tre candidati che hanno ricevuto più voti nel Collegio elettorale. Il vice presidente, invece, verrà nominato dal Senato: scelto fra i due nominativi che hanno ricevuto più voti nel Collegio elettorale.

Il presidente Trump ha parlato ancora una volta di possibili brogli nel conteggio dei cosiddetti voti in assenza, cioè inviati per posta .

L'elezione del 46° presidente degli Stati Uniti potrebbe spostarsi dalle urne ai tribunali. Donald Trump sta infatti valutando un ricorso a livello federale contro i risultati elettorali, accusando i democratici di frode.

“Stanno lavorando sodo per far sparire 500.000 voti in Pennsylvania il prima possibile. Allo stesso modo in Michigan e in altri stati” ha scritto ieri Donald Trump.

Tramite il suo direttore della campagna elettorale, Bill Stepien, Trump ha fatto sapere di voler richiedere un riconteggio in Wisconsin e di voler bloccare quello in Michigan. Inoltre ha annunciato azioni legali in Pennsylvania e in Georgia.

Secondo i scenarieconomici,negli USA i Democratici sono stati sempre molto abili in questo tipo di attività. Un caso clamoroso, che ha influenzato profondamente la storia americana,  è quello delle elezioni di Lyndon B. Johnson a senatore del Texas.

Questo super broglio avvenne nel  1948, quando LBJ si candidò per i democratici al Senato degli Stati Uniti contro il governatore del Texas Coke Stevenson, fra i più ammirati e rispettati nella storia dello Stella Solitaria.

Al primo turno elettorale Stevenson superò Johnson di 70.000 voti, ma non avendo la maggioranza assoluta dei voti, fu costretto al ballottaggio che si tenne un sabato. La domenica mattina dopo il ballottaggio, Stevenson era in testa per 854 voti.

il giorno dopo lo spareggio elettorale fu “scoperto” che non erano ancora stati conteggiati i dati  di una determinata contea e la maggioranza dei nuovi voti era a favore di Johnson. Poi il lunedì, dopo due giorni, arrivarono dei dati dalla Rio Grande Valley.

Nonostante tutte queste aggiunte tardive il martedì, l'Ufficio elettorale di Stato annunciava che che Stevenson aveva vinto per 349 voti. Nulla cambiò il mercoledì e il giovedì, ma il venerdì i distretti della Rio Grande Valley  apportarono “correzioni” ai loro conteggi, riducendo il vantaggio di Stevenson a 157.

Il venerdì arrivò la sorpresa:  la contea di Jim Wells, che era governata come feudo personale da un potente allevatore del Sud del Texas di nome George Parr, presentò delle “correzioni” per quello che  diventò famoso come “Box 13” che diede a Johnson altri 200 voti. Alla fine, Johnson  “Vinse” le elezioni con 87 voti.  

Pensiamo conclude scenari economici, alle conseguenze di questo broglio elettorale. Se LBJ non fosse diventato senatore per il Texas non si sarebbe fatto notare a Washington, non sarebbe stato scelto da Kennedy come vicepresidente e quindi non sarebbe diventato presidente prima al posto dei John Fitzgerald, quindi facendosi eleggere. Non avremmo avuto le politiche sociali, ma probabilmente non avremmo avuto neppure neanche l'ampio intervento nel Vietnam.

L'unica vera differenza fra Trump e Stevenson è che Trump ha nominato tre giudici della Corte Suprema. Per il resto i brogli saranno anche peggiori che nel 1948.  

Intanto punta il dito Trump,affermando che gli osservatori del processo elettorale non hanno potuto monitorare il conteggio, e ribadisce la sua linea battagliera: "Vinco facilmente la presidenza degli Stati Uniti con i voti legittimamente espressi. Agli osservatori non è stato consentito, in alcun modo o forma, di svolgere il proprio lavoro e quindi i voti accettati durante questo periodo devono essere considerati voti illegali. La Corte Suprema degli Stati Uniti dovrebbe decidere!". In un altro tweet preannuncia che "ci saranno ricorsi legali in tutti gli stati rivendicati da Biden per frode elettorale. Siamo pieni di prove, controllate i media. Vinceremo, America first".

La battaglia legale va avanti a tappeto, praticamente in tutti gli stati chiave, con risultati alterni. Lo staff di legali che guida i ricorsi di Trump, capeggiato dall'ex procuratrice della Florida Pam Bondi, affiancata dall'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e da Eric Trump, ha ottenuto dalla Corte di appello la possibilità di entrare in un seggio di Filadelfia (Pennsylvania), per "supervisionare lo spoglio", restando a distanza di un metro e mezzo anziché i 15-30 metri inizialmente previsti eccessivi per controllare davvero la regolarità. In Georgia la richiesta di annullare alcuni voti giunti per posta è stata respinta.

Più di trecentomila voti postali mancano all'appello, secondo il Sole 24, forse smarriti nei centri di distribuzione, e rischiano di non essere mai contati. Oltre 80 mila di questi sono stati spediti in Stati contesi, abbastanza da poter influenzare il risultato finale nel duello per la Casa Bianca.

Le schede via posta negli Stati Uniti sono state quasi 65 milioni, due terzi di un voto anticipato che ha superato i cento milioni e ha spinto l’affluenza complessiva alle urne al record di 160 milioni. Le 300mila schede all'apparenza svanite esistono, sono state ricevute e scannerizzate nelle sedi dello United States Postal Service. Ma non esiste traccia della loro uscita e del recapito agli uffici elettorali dove avrebbero dovuto essere scrutinate.

Da giugno lo USPS è guidato da un controverso finanziatore del partito repubblicano e fedelissimo di Trump, il Postmaster General Louis DeJoy, che ha fatto scattare tagli dei costi e frenate nel lavoro, rallentando la gestione dei crescenti volumi di voti nelle mani dei postini

Secondo Il Sole 24 ore, DeJoy è finito in tribunale per la nuova debacle. Martedì un giudice federale aveva ordinato a ispettori postali di perquisire 12 centri che servono 15 Stati a caccia dell'esercito di schede perdute. DeJoy ha ignorato l'ordine con la protezione del Dipartimento della Giustizia. Il magistrato, Emmett Sullivan, ha risposto definendo «scioccante» il comportamento e affermando che «qualcuno dovrà pagare» per quanto avvenuto.

Lo scandalo ha scosso le Poste americane, controllate dal governo federale e sotto assedio perché le loro carenze potrebbero avere un impatto squilibrato sull’esito delle urne, dato che il voto “remoto” ha favorito il candidato democratico Joe Biden su Donald Trump

Di fronte ai giornalisti radunati alla Casa Bianca, il tycoon ha poi accusato la stampa di aver diffuso "falsi sondaggi necessari per tenere a casa" gli elettori repubblicani e "creare l'illusione di una situazione favorevole per Biden". Trump, in questo senso, ha espressamente nominato le previsioni fatte alla vigilia dell'election day da Quinnipiac e Washington Post.

"Non c'è stata nessuna onda blu, semmai c'è stata un'onda rossa", ha detto ancora il presidente, con chiaro riferimento al fatto che il suo avversario Joe Biden non sia riuscito a sfondare in molti stati, come si pensava guardando ai sondaggi pre-elettorali.

Il tycoon ha lanciato pesanti accuse anche contro le amministrazioni di Philadelphia, in Pennsylvania, e Detroit, nel Michigan, asserendo che i voti di queste due importanti città "non possono contare per la costruzione del risultato elettorale".

Da parte sua, il candidato democratico alla presidenza americana  Joe Biden ha mostrato ancora una volta fiducia circa le proprie possibilità di vittoria al termine del conteggio dei voti nei quattro stati che non hanno ancora annunciato l'esito elettorale:

"Non ho alcun dubbio che vincerò queste elezioni", sono state le parole del vice di Barack Obama, che ha poi cercato di predicare calma tra i suoi affermando che il risultato definitivo delle elezioni sarà reso noto "molto presto".

Le elezioni presidenziali si sono svolte negli Stati Uniti martedì 3 novembre. I risultati delle votazioni di diversi Stati quali Pennsylvania, Georgia, Nevada e North Carolina non sono ancora noti.

Secondo i calcoli dei principali canali televisivi americani, il candidato democratico Joe Biden è in testa, per la vittoria finale ha bisogno di ottenere almeno 6 grandi elettori. In questo senso, potrebbe risultare decisivo lo stato del Nevada, che da solo basterebbe a consegnare le chiavi della casa Bianca all'ex vice di Barack Obama.




Sfida in Usa è tra due personalità praticamente agli antipodi: Joe Biden e Donald Trump. Un duello tra due uomini che hanno un'idea completamente diversa degli Stati Uniti e della posizione americana nel mondo. 

Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Sono questi tre gli Stati che eleggeranno il presidente degli Stati Uniti per il prossimo quadriennio. Dopo che i seggi sono chiusi dappertutto, solo alcune cose si sanno con certezza, di molte altre si sa ancora molto poco. Le poche certezze: i sondaggi hanno fallito di nuovo, in modo clamoroso. I molti punti di vantaggio attribuiti a Biden si sono volatilizzati nella notte del voto. Nonostante le dichiarazioni dello staff di Biden, secondo cui i voti e i delegati della Florida non sarebbero così interessanti 29 preziosissimi grandi elettori... lo stato del sole è rimasto in mano ai repubblicani con una bruciante debacle proprio a Miami, dove pure Hillary vinse comodamente.

"Voglio ringraziare il popolo americano per il grande sostegno. Milioni di persone hanno votato per noi stanotte. E un gruppo triste di persone sta cercando di mettere in ombra il nostro risultato", ha detto Trump in conferenza stampa. "Abbiamo vinto l'elezione" ha affermato senza mezzi termini il candidato repubblicano. E ha accusato di frode i suoi oppositori ribadendo di essere pronto ad andare davanti alla Corte Suprema per affermare la sua vittoria.

"Eravamo pronti a celebrare un grande successo" quando "la nostra vittoria è stata improvvisamente sospesa". Donald Trump parla alla nazione come se fosse già nuovamente presidente degli Stati Uniti. Una vittoria che però gli avrebbero tolto i meccanismi elettorali che, secondo il presidente Usa, verrebbero utilizzati dai democratici per privare il suo popolo della presidenza degli Stati Uniti.

Braccio di ferro tra Repubblicani e Democratici nell Election Night negli Usa che si chiude senza un vincitore ufficiale in attesa che in alcuni stati chiave vengano contati nei prossimi giorni le schede arrivate per posta. "Dobbiamo essere pazienti e aspettare che tutti i voti vengano contati", ha commentato Joe Biden, dicendosi fiducioso su una sua vittoria: "Siamo sulla strada giusta, ma non spetta ne a me ne' a Trump decidere chi ha vinto queste elezioni. Spetta a voi, alla gente".

Trump e Biden sono testa a testa in Georgia e North Carolina, due Stati che secondo le proiezioni sono ancora 'too close to call'. Biden recupera in Wisconsin ed è ora a testa a testa. L'ex vicepresidente ha il 49,3% dei voti contro il 49% di Donald Trump, secondo le proiezioni di Cnn

I democratici Usa hanno scelto in massa per il voto per corrispondenza, i repubblicani hanno preferito quello tradizionale recandosi alle urne: l'ondata rossa repubblicana, come definita da molti osservatori, potrebbe quindi essersi abbattuta sull'America proprio il giorno dell'election day. E si tratta dell'affluenza più alta dal 1908.

A mezzanotte si sono chiusi i primi seggi in Kentucky e Indiana da cui Trump ha incassato quindi i primi 19 grandi elettori. Chiusi anche i seggi in Georgia, South Carolina, Virginia e Vermont, primo Stato nettamente pro Biden.  

I primi numeri ufficiali sono arrivati da Indiana, Kentucky, South Carolina, Vermont e Virginia. Dopo mezz'ora è il turno di West Virginia e Ohio, con quest'ultimo a poter già essere un primo ago della bilancia per capire chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti.

Lo spoglio è poi proseguito in Florida e in Georgia. In quest'ultimo Stato, Biden appariva invece in testa ma con un vantaggio che è diventato sempre più sottile fino a che Trump ha saputo ribaltare il pronostico. Il West Virginia viene invece dato per certo come feudo repubblicano. Idem per il South Carolina che sembra saldamente in mano rossa. Dubbi ancora sul North Carolina, che potrà invece rivelarsi importantissimo.

I sondaggi hanno mostrato da sempre un Biden in vantaggio rispetto al presidente Trump. Pochissimi gli analisti che invece hanno dato per probabile o addirittura per certa una vittoria dell'attuale inquilino della Casa Bianca. I risultati definitivi non sono arrivati nell'arco di questa lunga notte elettorale. Il record dei voti per posta (102 milioni di elettori si sono espressi prima dell'Election day del 3 novembre) ha cambiato completamente il modo di leggere i risultati elettorali.

Si va verso un'affluenza alle urne da record negli Stati Uniti, la più alta da oltre un secolo. Secondo lo Us Electoral Project dell'Università della Florida, oltre 101 milioni di americani hanno votato già prima dell'Election Day, di cui oltre 65 milioni per posta. L'affluenza alle urne, secondo dati preliminari, potrebbe raggiungere il 67%, la più alta da oltre un secolo. In almeno sette Stati l'affluenza ha già nettamente superato quella del 2016. Quattro anni fa votarono complessivamente 139 milioni di americani, il 59,2% della popolazione che aveva i requisiti per votare

Sarah McBride è diventata la prima senatrice apertamente transgender nella storia degli Stati Uniti. E' stata eletta con l'86% dei voti a distanza (absentee) nel Delaware diventando così il politico trans di più alto profilo negli Usa.

"Chiunque si preoccupi che la propria realtà e i propri sogni si escludano a vicenda, sappia che il cambiamento è possibile.
 Sappia che la sua voce è importante. Sappi che puoi farlo anche tu", ha scritto McBride sul suo account Twitter.

Incognita sulle elezioni per il nuovo presidente degli Stati Uniti. Testa a testa fra i due candidati e ci vorranno forse giorni perché si arrivi a un risultato finale. Biden: "Siamo sulla strada per la vittoria, va contata ogni scheda". Trump: "Vogliono rubarci le elezioni, andremo alla Corte Suprema". In Pennsylvania posticipato conteggio 275 mila voti: ciò renderà difficile dichiarare nelle prossime ore il vincitore nello Stato che conta 20 grandi elettori. Anche Michigan e Wisconsin non annunceranno il vincitore oggi.

Stati Trump: Utah, New Hampshire, Kansas, North e South Dakota, Montana, Louisiana, Nebraska, Wyoming, Indiana, Iowa, West Virginia, Kentucky, South Carolina, Texas, Alabama, Arkansas, Oklahoma, Missouri, Tennessee, Idaho e Mississippi.

Stati Biden: Arizona, Oregon, Washington, California, Colorado, Hawaii, Illinois, Connecticut, Virginia, Vermont, Massachusetts, Maryland, Minnesota, Delaware, New Jersey, Rhode Island, New York, New Mexico e il District of Columbia.

I mercati cinesi cominciano a prezzare una possibile conferma di Donald Trump alla Casa Bianca e a farne le spese è lo yuan. La moneta nazionale cinese, infatti, ha perso fino all’1,4% nel cambio con il dollaro, che in queste ore ha acquisito forza nei confronti di tutte le valute mondiali. Lo moneta offshore, a differenza di quello onshore che è pesantemente regolamentato e ha perso lo 0,6%, ha toccato quota 6,7 yuan per dollaro riuscendo in parte a ricucire le perdite. Tuttavia, si tratta del maggiore calo giornaliero della moneta cinese dal febbraio 2018, in piena guerra dei dazi, a testimonianza del nervosismo di Pechino e del mercato cinese nei confronti dell'ipotesi di vittoria di Donald Trump.

 

 

 

 

In un comunicato del 30 ottobre, Alleanza Cattolica intervenendo sull'attentato nella Basilica di Nostra Signora dell'Assunzione di Nizza, ricorda, riferendosi al jihadismo islamista che: «l’antidoto a questa ideologia che usa la religione per diffondere l’odio contro i cristiani non può essere il laicismo utilizzato dallo Stato francese, che umilia ogni religione ritenendole tutte pericolose e relegandole nella sfera privata dei singoli cittadini». Inoltre afferma che «soltanto la preghiera, la fortezza e l’attaccamento alle radici cristiane dell’Europa potranno sconfiggere questa malattia ideologica che è già presente da decenni in tutta l’Europa».

La stessa indicazione viene data in un interessante post su facebook dallo storico Francesco Agnoli: «Al terrore la Francia della laicite' non risponde, o peggio risponde con il dileggio dissacrante delle vignette di un giornale osceno di sinistra, coccolato da Macron e compagnia.

Viene in mente Voltaire, autore di una commedia contro Maometto more suo: non ragionamenti, confutazioni serie, ma derisione. Poi però, poiché odiava soprattutto il cristianesimo, nel Trattato sui costumi Voltaire spiegava che i musulmani sono molto ma molto più intelligenti e tolleranti dei cristiani.

La Francia del massone Macron è uguale: distrugge il senso religioso cristiano del suo popolo, annienta la famiglia e poi, davanti al terrore, risponde con tutta la sua inutile stupidità "progressista", favorendo nuovo terrore. Che ricade però sugli innocenti, sui discepoli di Colui che ha preso su di sé la croce per i peccati degli altri».

E' dello stesso parere Leone Grotti sul Tempi, «Dopo l’attentato di Nizza, ancora una volta, la Francia si riscopre incapace di guardare in faccia la realtà e si rifugia nel laicismo aggressivo. Ma non sarà questo a salvarla». (Leone Grotti, “Se la Francia non riscopre le proprie radici, cederà al terrore islamico”, 31.10.20, Tempi)

Il presidente Macron cerca di rassicurare i cattolici, ma secondo i sondaggi dopo la decapitazione del professore Samuel Paty, soltanto il 26 per cento dei francesi si è detto fiducioso sulle capacità del governo di difenderli dagli attentati. Tuttavia Grotti intravede una preoccupante incapacità di guardare la realtà, di quello che sta accadendo.

L'articolo fa riferimento a un manifesto su Le Monde, firmato da 50 intellettuali su come combattere il razzismo e soprattutto come rispondere agli attentati. Per i firmatari occorre evitare qualsiasi contrapposizione tra i francesi e affermano che, «È urgente che ci mobilitiamo attorno ai principi laici e repubblicani. Se noi falliamo, l’islamismo radicale avrà riportato, insieme all’estrema destra, una vittoria decisiva facendo della questione religiosa, e più precisamente dell’islam, il punto focale della politica francese, a detrimento delle urgenze sociali, ecologiche e democratiche».

Sostanzialmente questi intellettuali per Grotti «non contemplano neanche la possibilità che l’obiettivo dei terroristi islamici non sia «seminare l’odio», ma «vendicare l’onore del profeta» uccidendo i «blasfemi» o gli «infedeli» di turno. Non vogliono vedere che le chiese sono colpite per uccidere i cristiani e perché la Francia, volenti o nolenti, è ancora identificata come un paese cristiano».

In una intervista, l’importante studioso Gilles Kepel afferma che i terroristi islamici che colpiscono la Francia «si sono nutriti dell’atmosfera in cui sono nati e cresciuti. Le loro azioni sono dettate dai messaggi che leggono in Rete. Così è stato per l’assassino di Samuel Paty». Peraltro Grotti precisa che «il video che incitava all’odio verso Paty, giustificando indirettamente la sua eventuale uccisione, non era stato postato su generici siti, ma sulla pagina Facebook della Grande moschea di Pantin. Che non a caso è stata poi chiusa dal governo, al contrario delle oltre 150 moschee salate che continuano a operare indisturbate».

Il giornalista di Tempi rileva che dopo ogni attentato assistiamo a un esercito «negazionista», molto attivo in Francia come in Italia, «sempre pronto a ribadire che la religione non c’entra (mentre è vero il contrario), che è un accidente che non influisce sull’identità dei «cani sciolti» (per usare la terminologia del Corriere) o dei «ragazzi con il coltello» (copyright La Stampa).

Ma la risposta al terrorismo non può neanche essere quella rivendicata su Repubblica dal filosofo Marek Halter, che definisce «il laicismo», non la laicità, «uno dei valori fondanti della République» ed esalta le vignette di Charlie Hebdo al pari di Macron, che non perde occasione per rivendicare il «diritto alla blasfemia» dei francesi.

Il servizio ripropone le interessanti dichiarazioni che padre Pierre-Hervé Grosjean ha rilasciato a Tempi.it nel 2015 dopo gli attentati del Bataclan, «l’integralismo laico è il miglior alleato degli integralisti islamici perché nega la dimensione spirituale della persona umana e vuole far sparire la dimensione religiosa dalla società. Vuole soffocare le religioni.

Ma una nazione che dimentica le sue radici e la sua eredità spirituale - continua il religioso - è fragile davanti alla forza delle convinzioni degli integralisti islamici. I media si domandano come dei giovani francesi possano partire per la Siria, rischiando la loro vita, a combattere per lo Stato islamico. E non si accorgono che parte della risposta è in questo vuoto spirituale nel quale facciamo crescere i nostri giovani. Chi risponderà alla loro sete di assoluto, al loro bisogno spirituale? Di certo non il nichilismo, la denigrazione permanente delle religioni o l’odio verso la propria cultura e identità. Queste cose, insieme al relativismo morale, non hanno mai portato felicità né costruito una civiltà né tanto meno unificato un paese».

Pertanto per padre Grosjean l'unica alternativa per non cedere al terrore è quella di riscoprire le proprie radici, bisogna «condurre senza debolezza una guerra culturale, politica e militare contro questa ideologia mortifera» senza aver paura di guardare in faccia la realtà e «senza buonismo». Allo stesso tempo, però, scrive sempre il sacerdote su Le Figaro, «bisogna rispondere al male con un bene ancora più grande. Ma che cosa significa? Per noi cristiani significa innanzitutto pregare e farlo sul serio. Per tutti significa promuovere ciò che costituisce la nostra identità. La forza di un Paese risiede nella sua storia, cultura, fede e radici. Dobbiamo tornare a essere eri di tutto questo. Come possiamo fare amare la Francia a coloro che la raggiungono se la Francia non sa più amare se stessa e si scusa in continuazione di essere e di essere stata ciò che è?».

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