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Cerimonia, stamattina, in via Mario Fani in occasione del quarantesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell'uccisione degli agenti della sua scorta. Diversi i rappresentanti istituzionali presenti: dal capo dello Stato Sergio Mattarella al capo polizia Franco Gabrielli, dalla sindaca di Roma Virginia Raggi al presidente della Regione Nicola Zingaretti, fino alla presidente della Camera Laura Boldrini. Sul posto molti rappresentanti delle forze dell'ordine. Applauso alla scoperta della lapide in via Fani, davanti alla quale il presidente Mattarella ha deposto una corona dai colori bianco rosso e verde

Il capo della Polizia, Franco Gabrielli, parlando dei brigatisti coinvolti nel sequestro Moro durante l'inaugurazione del giardino martiri di via Fani. Gabrielli ha parlato di "una sorta di perverso ribaltamento" in cui "si confondono ruoli e posizioni. Dobbiamo ricordare chi stava da una parte e chi dall'altra". Il rispetto della memoria è anche dire parole chiare - ha sottolineato Gabrielli nel suo discorso pubblico -. 

In via Fani c'erano 6 uomini dalla parte delle istituzioni, cinque sono morti subito e uno dopo 55 giorni, e un commando di brigatisti, terroristi e criminali. Scrivere 'dirigenti della colonna delle brigate rosse' è un pugno allo stomaco. Non so se sia stato scritto mai di Riina dirigente di Cosa Nostra. La parola 'dirigente' nobilita, sarebbe stato più giusto dire criminale e terrorista". 

Cosi Franco Gabrielli, in merito ai brigatisti coinvolti nel sequestro Moro durante l'inaugurazione del giardino martiri di via Fani, ha parlato di "una sorta di perverso ribaltamento" in cui "si confondono ruoli e posizioni". "Oggi riproporli in asettici studi televisivi come se stessero discettando della verità rivelata credo sia un oltraggio per tutti noi e soprattutto per chi ha dato la vita per questo Paese". 

Il 16 marzo 1978, poco dopo le 9, un commando delle Brigate Rosse entra in azione in via Fani, a Roma: blocca le auto del presidente Dc Aldo Moro, uccide i 5 uomini di scorta e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l'azione con una telefonata all' Ansa. Il sequestro terminerà 55 giorni dopo, il 9 maggio, con l'uccisione dello statista.

Il bersaglio Moro appare più semplice, inizia un pedinamento giornaliero, viene tracciato un piano di attacco in base alle criticità del percorso che quotidianamente compie l'auto del Presidente della Dc. 

L'orologio segna le 9.02, è giovedì, all'incrocio tra Via Mario Fani e Via Stresa, dove c'è lo stop, la Fiat 130 blu del presidente della Democrazia Cristiana con due carabinieri di scorta, seguita da una Alfetta con tre agenti di polizia, viene bloccata dall'auto dei brigatisti che tagliano improvvisamente la strada e si fanno tamponare. 

Seguono momenti concitati: in pochi minuti gli agenti della scorta cadono sotto il fuoco dei terroristi. Moro viene spinto su una seconda auto e portato via. Tutto avviene come da copione. L'organizzazione porta a segno il colpo e lascia a terra cinque cadaveri. Aldo Moro è nella mani delle Brigate Rosse. 

Quei minuti concitati sembrano interminabili. Gli spari scandiscono il tempo e quei tragici fatti rendono a colori la visione opaca dei malcapitati che si trovano nella zona. È il caso di Ernesto Proietti, netturbino in servizio, che pochi minuti prima vede in via Fani un'autovettura con degli uomini a bordo vestiti da aviere; trenta minuti più tardi li rivede nascosti dietro la siepe di un bar: sono immobili, in silenzio. Ernesto non immagina che siano membri delle Brigate Rosse in procinto di rapire Moro. 

L'avvocato romano Lorenzo Vecchione sta prendendo l'auto per recarsi in ufficio quando si imbatte in alcuni uomini vestiti da steward. Francesco Pannofino, all'epoca dei fatti studente universitario, legge il giornale a pochi metri dal luogo del sequestro. Non vede la scena, ma sente tutto: la frenata delle auto, il tamponamento, gli spari dei mitra. Si nasconde, e quando tutto è finito è tra i primi a raggiungere il luogo dell'agguato, a camminare, senza fiato, tra i corpi esamini degli uomini della scorta. Sergio Vincenzi, residente nella zona, si trova a pochi metri dal punto dell'agguato. 

Assiste all'esecuzione degli uomini della scorta. Fissa negli occhi un brigatista, prima di trovare riparo dietro un'auto. Successivamente, di fronte alle foto segnaletiche di alcuni ricercati, riconosce Prospero Gallinari. Seguono rivendicazioni e comunicati: quella foto scattata con la Polaroid a Moro resta impressa nella memoria collettiva. La forza delle Brigate Rosse si consuma nei 55 giorni di prigionia dello statista democristiano. A poco serve la trattativa con i partiti di maggioranza, a poco servono i tre scritti di Moro, tra i quali una lettera di cinque pagine al ministro dell'Interno, Francesco Cossiga. La decisione è presa: la morte di Moro è l'ultimo atto di una crisi irreversibile delle Brigate Rosse.

Aldo Moro era il garante presso americani, inglesi e francesi del grande compromesso fra comunisti italiani e la Democrazia cristiana che rappresentava tutto il potere politico ed economico.

Scrive il quotidiano il Giornale che Moro per questo e soltanto per questo fu catturato con una operazione da commando, rapito, torturato attraverso il terrore e abbandonato da chi poteva salvarlo.

I verbali dei suoi interrogatori furono ritrovati anni più tardi a Milano dietro un termosifone in via Monte Nevoso, trasferiti al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il quale fu a sua volta abbandonato e giustiziato a Palermo con la povera moglie in un modo che non si era mai visto prima. Né dopo. Fu non uno solo, ma una catena di delitti vincenti perché impuniti malgrado le apparenze.

La Cia, continua il Giornale come hanno dimostrato i documenti, era totalmente a favore perché Berlinguer accettava di tagliare il cordone ombelicale con l'Unione Sovietica in cambio della patente di accesso al governo. Aldo Moro aveva accettato di essere il notaio e garante dell'accordo detto «Compromesso Storico» avviato dalla pubblicazione di alcuni articoli di Enrico Berlinguer sul settimanale Rinascita come riflessione sul colpo di Stato in Cile che aveva liquidato il governo filocastrista cileno di Salvador Allende nella crudele logica della guerra fredda. La maggior parte dei dirigenti comunisti italiani aveva più paura dei sovietici che degli americani e alcuni già collaboravano con gli Stati Uniti. Mosca vide la minaccia e decise di disinnescarla seguendo il vecchio adagio di Stalin: «Dove c'è uomo, c'è problema. Non più uomo, non più problema».

Secondo il Giornale i due uomini chiave erano Moro e Berlinguer. Un attentato a Sofia in Bulgaria con il solito camion di traverso, per poco non costò la vita a Berlinguer che fu prontamente recuperato da forze speciali mandate da Francesco Cossiga, braccio destro di Aldo Moro. Coloro che volevano bloccare il compromesso decisero allora di liquidare il garante Moro usando un nucleo di brigatisti rossi agli ordini dei servizi tedeschi orientali della Stasi e del Kgb sovietico. Quando nel 2005 mi recai Budapest con la Commissione parlamentare Mitrokhin di cui ero presidente, il Procuratore generale ungherese ci mostrò una valigia di cuoio verde piena di carte: «Qui ci sono disse tutte le prove sui brigatisti rossi diretti dal Kgb. Purtroppo non ho la libertà di consegnarveli senza l'autorizzazione russa a causa dei trattati bilaterali firmati dopo la fine della guerra fredda».

La posta in gioco, come riferisce il quotidiano allora come oggi, era un grande compromesso non a caso definito «storico» perché era giocato come una carta nel conflitto fra Est e Ovest. Il Pci cambiò linea e seguitò a rifornirsi di finanziamenti sovietici mentre Moro finì sepolto sotto tonnellate di ipocrisia e di menzogne. È così che oggi celebriamo quaranta anni di imbrogli e insabbiamenti che hanno fatto apparire gli agenti brigatisti come bravi ragazzi che avevano un po' esagerato. Oggi assistiamo alle prove generali o almeno ai tentativi di prova per un compromesso che nelle intenzioni non gridate dovrebbe portare al distacco dell'Italia dal nucleo fondante europeo, che non potrà mai essere riformato se non restando fortemente e saldamente in Europa.

I tempi sono diversi, le poste in gioco però non sono troppo lontane. La recente uscita del Regno Unito dall'Europa ha ricucito una nuova grande alleanza anche commerciale fra i popoli di lingua inglese sulle due sponde dell'Atlantico mentre in Europa l'asse franco-tedesco comanda come club esclusivo ma pronto ad accogliere l'Italia in condizioni di sicurezza. Su quel ticket d'ingresso si gioca oggi la partita italiana, senza più mezze misure: dentro o fuori?

Oggi come quaranta anni fa si prospetta però una disarticolazione italiana nella rete dei grandi compromessi su cui ruota il benessere e l'indipendenza del nostro Paese. Quaranta anni fa finì male: non solo Moro fu ucciso insieme al progetto che tutelava, ma si instaurò il sistema ferreo di falsi storici trasformati in religione di Stato che ancora comanda nelle televisioni statali che manipolano conoscenza e memoria di chi quaranta anni fa non c'era, non sa e non saprà mai.

Secondo informazioni della agenzia di stampa Italiana ansa a Castelgandolfo, residenza pontificia, 6 maggio 1978. Aldo Moro è prigioniero delle Brigate Rosse da oltre 50 giorni e Papa Paolo VI ne parla con monsignor Cesare Curioni, responsabile dei cappellani carcerari, il quale aveva attivato molteplici contatti per arrivare alla liberazione dell'ostaggio.

 Al colloquio assiste anche mons. Fabio Fabbri, segretario di don Curioni. D'improvviso il Papa, nel suo studio, si avvicina ad una consolle coperta con un panno di ciniglia azzurra e solleva un lembo: compare una montagna di soldi, mazzette di dollari, con fascette di una banca ebraica, del valore di circa dieci miliardi di lire, messi a disposizione per il riscatto. 

Ma tre giorni dopo, il 9 maggio, il corpo senza vita di Moro viene ritrovato in via Caetani, nel centro di Roma. Il fatto è riportato sia in atti giudiziari, sia in atti parlamentari ed è stato ribadito due anni fa davanti alla commissione Moro dallo stesso mons. Fabbri. Ma da dove provenivano tutti quei soldi? E, rimasti inutilizzati, che fine fecero? Nessuno lo sa. Don Curioni è morto nel 1996 senza che quel mistero fosse svelato, mons. Fabbri ha detto di non saperlo, e autorevoli fonti vaticane, recentemente interpellate, hanno ribadito di ignorare chi 40 anni fa procurò quella provvista e dove finì quel fiume di denaro.

 La vicenda di quei soldi si lega direttamente a due foto di Moro ostaggio delle Br e al ruolo di don Curioni che - secondo il racconto del suo segretario mons. Fabbri - investito direttamente da Paolo VI dopo il sequestro del presidente della Dc, nel tentativo di arrivare alla liberazione dell'ostaggio, aveva attivato numerosi canali sia con i brigatisti in carcere, sia con un misterioso interlocutore che incontrava nella metropolitana di Napoli e in alcune città del nord Italia. Peraltro, durante una telefonata notturna, Paolo VI - sempre secondo il racconto di mons. 

Fabbri alla commissione Moro - lesse proprio a don Curioni, che suggerì qualche correzione, la celebre lettera "agli uomini delle Brigate Rosse", che ha la data del 21 aprile 1978, con la quale il Papa invitava a rilasciare Moro "senza condizioni". Attraverso i suoi canali, don Curioni ricevette le due foto di Moro prigioniero, che furono mostrate al Papa. Paolo VI sostenne che la prima non provava che il presidente della Dc era in vita, mentre la seconda - con il presidente della Dc che mostrava la prima pagina del quotidiano la Repubblica - fu ritenuta indiscutibile: Moro era vivo.

Cominciò allora la trattativa, con previsione di un riscatto, e il Papa si fece portare il denaro. All'obiezione che le Br volevano un riconoscimento politico e non una contropartita economica per liberare Moro, Paolo VI replicò che accettare i denari del Papa sarebbe stato già un riconoscimento importante per i terroristi. E così i soldi furono procurati e posati su quella consolle a Castel Gandolfo. 

Da dove arrivarono? Dallo Ior, la banca vaticana? No, non erano soldi dello Ior, ha riferito due anni fa mons. Fabbri alla commissione Moro, aggiungendo interrogativi e allusioni inquietanti: "Chi aveva interesse ad avere in mano il Santo Padre a livello estero? Quale nazione poteva avere interesse a farsi avanti?". E non si sa neppure dove finì quella montagna di dollari. Ancora mons. Fabbri: "Non so dove sono andati a finire. Chi li ha portati li avrà ripresi. Non so". Il giallo resta, ormai quasi irrisolvibile.  

Ma vediamo come sono le tappe del piu grande attacco terroristico delle Br alla Repubblica Italiana : 

 - 16 marzo: poco dopo le 9 un commando delle Brigate Rosse entra in azione a via Fani, a Roma. In pochi minuti, dopo aver bloccato con un tamponamento le auto del presidente Dc Aldo Moro, le Br uccidono i 5 uomini di scorta e portano via Moro su una Fiat 132 blu. Poco dopo rivendicano l'azione con una telefonata all' Ansa. Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale. In serata il governo Andreotti, il primo con il voto favorevole del Pci, ottiene la fiducia alla Camera e al Senato.

 - 18 marzo: Arriva il 'Comunicato n.1' delle Br, che contiene la foto di Moro e annuncia l'inizio del 'processo'.

-  19 marzo: Papa Paolo VI lancia il suo primo appello per Moro.

- 20 marzo: al processo di Torino, il 'nucleo storico' delle Br rivendica la responsabilita' politica del rapimento.

- 21 marzo: Il governo approva il decreto antiterrorismo.

- 25 marzo: Le Br fanno trovare il 'Comunicato n.2'.

- 29 marzo: Arriva il ''comunicato n. 3'' con la lettera al ministro dell'Interno Cossiga in cui Moro dice di trovarsi ''sotto un dominio pieno e incontrollato dei terroristi'' e accenna alla possibilita' di uno scambio. Moro non voleva renderla pubblica, ma i brigatisti scrivono di averla resa nota perche' ''nulla deve essere nascosto al popolo''. Recapitate anche altre lettere indirizzate alla moglie e a Nicola Rana.

- 4 aprile: Arriva il 'Comunicato n. 4', con una lettera al segretario della Dc Benigno Zaccagnini.

- 7 aprile: Il ''Giorno'' pubblica una lettera di Eleonora Moro al marito. La famiglia tiene un linea del tutto autonoma rispetto alla ''fermezza'' del governo.

- 10 aprile: Le Br recapitano il 'comunicato n.5' e una lettera di Moro a Taviani, che contiene forti critiche.

- 15 aprile: Il 'Comunicato n.6' annuncia la fine del 'processo popolare' e la condanna a morte di Aldo Moro.

- 17 aprile: Appello del segretario dell'Onu Waldheim.

- 18 aprile: Grazie ad un' infiltrazione d' acqua, polizia e carabinieri scoprono il covo di via Gradoli 96. I brigatisti (Moretti e Balzerani) sono pero' assenti. A Roma viene trovato un sedicente 'comunicato n.7' in cui si annuncia l' avvenuta esecuzione di Moro e l' abbandono del corpo nel Lago della Duchessa. Il comunicato, falso in modo evidente, e' ritenuto autentico e per giorni il corpo di Moro sara' cercato, con un grande schieramento di forze, in un lago di montagna, tra le province di Rieti e L'Aquila, ghiacciato da mesi.

- 20 aprile: Le Br fanno trovare il vero 'Comunicato n.7', a cui e' allegata una foto di Moro con un giornale del 19 aprile.

- 21 aprile: La direzione Psi e' favorevole alla trattativa.

- 22 aprile: Messaggio di Paolo VI agli ''Uomini delle Brigate rosse'' perche' liberino Moro ''senza condizioni''.

- 24 aprile: Il 'Comunicato n.8' delle Br chiede in cambio di Moro la liberazione di 13 Br detenuti, tra cui Renato Curcio. Zaccagnini riceve un' altra lettera di Moro, che chiede funerali senza uomini di Stato e politici.

- 29 aprile: E' il giorno delle lettere. Messaggi di Moro sono recapitati a Leone, Fanfani, Ingrao, Craxi, Pennacchini, Dell' Andro, Piccoli, Andreotti, Misasi e Tullio Ancora.

- 30 aprile: Moretti telefona a casa Moro e dice che solo un intervento di Zaccagnini, ''immediato e chiarificatore'' puo' salvare la vita del presidente Dc.

- 2 maggio: Craxi indica i nomi di due terroristi ai quali si potrebbe concedere la grazia per motivi di salute.

- 5 maggio: Andreotti ripete il 'no alle trattative'. Il 'Comunicato n. 9' annuncia:''Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza''. Lettera di Moro alla moglie:''Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunge incomprensibilmente l'ordine di esecuzione''.

- 9 maggio: Verso le 13,30, in via Caetani (vicino alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa. Era in corso la direzione Dc, dove sembra che Fanfani stesse per fare un discorso aperto alla trattativa. Moro sarebbe stato ucciso la mattina presto nel garage di via Montalcini, il covo usato dai brigatisti come ''prigione del popolo''.

 

In Conferenza Stampa, Matteo Salvini alla Stampa Estera ha confermato che la Lega non farà patti «al di fuori del centrodestra», però pensa a un programma (di governo) «che parta da quello del centrodestra ma sia aperto a contributi e proposte, senza stravolgimenti», così da potersi «arricchire e confrontare con gli altri partiti». Tutti ? No: «Fatto escluso il Pd, sconfitto dalle elezioni, tutto è possibile».

«lavoriamo per una solida maggioranza politica, non recuperando questo o quel transfuga». Quindi, M5s ? «Con loro c’è una differenza culturale di fondo, ma bisogna capire e approfondire la loro proposta, vedere quando dalle parole si passa ai fatti». Forse per cominciare a capire, ieri ha avuto un primo cordiale colloquio telefonico con Di Maio. Si parla anche di un appuntamento per mercoledì 21, ma prima nega il leghista e poi si accoda il grillino. Tutto smentito. L’appuntamento, non la telefonata. Quella c’è. Qualche particolare di quello che si sono detti lo rivela Di Maio: per amore della trasparenza, dice. «Ho ricordato a Salvini che il Movimento 5 Stelle è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti, pari a quasi 11 milioni di italiani». Il succo è che vogliono la presidenza della Camera, «questo ci permetterà di portare avanti la nostra battaglia per l'abolizione dei vitalizi e tanto altro».

Ieri Salvini è tornato a parlare del possibile sforamento del tetto del 3%, «se serve per aiutare la crescita quello zero virgola non sarebbe un problema»; del presidente Juncker, «primo degli euroscettici che hanno governato l’Europa affamando i cittadini»; della Germania della Merkel «che non può dare lezioni, ma imparare a rispettare i vincoli europei sul surplus commerciale». E di rincalzo, in politica interna, ulteriori accentuazioni sulla politica fiscale, quella migratoria e sulla sicurezza. Con una postilla che apre a una nuova legge elettorale, con premio di maggioranza. Se ne evince una strategia di bombardamento su ogni ponte attorno al centrodestra, salvo quello che porterebbe ipoteticamente alla forza sinergica dei Cinquestelle. Con il leader leghista impegnato, piuttosto, nel tentativo di «egemonizzare» il centrodestra prima che nuove elezioni a primavera ’19 o un ritorno in campo in prima persona di Berlusconi possano riportarlo a ruoli subalterni. Non a caso, per ora, è proprio l’eventualità di una rapida chiamata alle urne quella che Salvini esorcizza come extrema ratio.

Ieri, poco dopo le ore 20 ho ricevuto una telefonata da Matteo Salvini. Mi fa piacere raccontarvi cosa ci siamo detti perché voglio che tutto avvenga nella massima trasparenza". Lo scrive sul blog del M5S il suo capo politico, Luigi Di Maio. Lo scambio tra i due leader, in sintesi, li ha visti riconoscersi reciprocamente la vittoria che però passa, secondo Di Maio, attraverso "l'attribuzione al MoVimento della presidenza della Camera dei Deputati" in quanto l'M5S è "la prima forza politica del Paese".

"Ho ricordato a Salvini - si legge nel post di Di Maio - che il MoVimento 5 Stelle è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti, pari a quasi 11 milioni di italiani che ci hanno dato fiducia, e che alla Camera abbiamo il 36% dei deputati. Per noi questa volontà è sacrosanta - sottolinea - e vogliamo che venga rispecchiata attraverso l'attribuzione al MoVimento della presidenza della Camera dei Deputati. Questo ci permetterà di portare avanti, a partire dall'Ufficio di Presidenza, la nostra battaglia per l'abolizione dei vitalizi e tanto altro". Anche Salvini, conclude Di Maio, "ha riconosciuto il nostro straordinario risultato, e io ho riconosciuto il successo elettorale ottenuto dalla Lega".

Grasso ha ricevuto Danilo Toninelli e Giulia Grillo del Movimento 5 Stelle per un incontro interlocutorio in cui si è discusso del tema delle presidenze delle camere. Poi i capigruppo M5S hanno incontrato anche il segretario ad interim del Pd Maurizio Martina e il coordinatore della segreteria Dem Lorenzo Guerini.

Sono fiducioso che l'Italia sarà un alleato impegnato della Nato anche con il nuovo governo con cui aspetto di poter lavorare". Così il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a chi chiedeva se fosse preoccupato da un governo italiano guidato da partiti vicini alla Russia. "Abbiamo visto i risultati del voto ma è troppo presto per dire quale tipo di governo" sarà formato, in ogni caso "abbiamo visto nella storia della Nato che sono stati eletti governi diversi con idee diverse ma siamo sempre rimasti uniti".

Bisogna avere fiducia nel Paese". Così il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano un commento sui timori per l'instabilità dell'Italia. Gentiloni sta per intervenire alla presentazione del libro Sos Capitale di Marco Causi.

"Serve serieta' e coraggio - ha detto ancora - perche' senza di essi non si da' un futuro ad un Paese verso il quale dobbiamo avere il massimo della fiducia".

L'immagine di un centrodestra unito che Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno cercato di dare ieri sera con il vertice a palazzo Grazioli non dura nemmeno 24 ore. Nelle stesse ore in cui il leader della Lega conferma di guardare al Movimento Cinque Stelle come interlocutore principale, il Cavaliere riunisce i parlamentari per chiudere ad ogni ipotesi di intesa con i pentastellati: "Apro la porta per cacciarli", dice l'ex premier smentendo le voci in merito ad una sua disponibilità ad un esecutivo con i grillini.

Poche parole che evidenziano la divergenza di linea all'interno della coalizione. Davanti agli azzurri l'ex capo del governo ostenta tranquillità sulla compattezza del centrodestra ma è evidente che il suo progetto non è lo stesso di Salvini. L'obiettivo principale per Berlusconi è quello di evitare le urne, "dobbiamo scongiurarle a tutti i costi", è la premessa del lungo intervento nella sala della Regina a Montecitorio. 

E l'unica strada è quella di tentare un governo a tutti i costi, un esecutivo che ha nel Pd il suo principale interlocutore ma che non disdegna un eventuale sostegno da parte dei singoli grillini: Ognuno di voi convinca un parlamentare M5s a sostenerci, è la richiesta avanzata dal capo di Forza Italia ai suoi. Un'operazione che richiede tempi lunghi e che Berlusconi non ha nessuna fretta di accelerare con la speranza di poter convincere anche gli alleati a cambiare posizione. Salvini e Meloni infatti non hanno nessuna intenzione di aprire ad un'intesa con i Dem.

La preoccupazione in sala però è evidente soprattutto nei conciliabili post riunione emerge la consapevolezza che i piani di Salvini siano altri: ormai il dialogo con i Cinque Stelle è avanzato - è il ragionamento - e noi rischiamo di essere marginali. Già perchè è proprio il futuro che preoccupa la pattuglia azzurra in particolare chi è eletto al Nord dove il 'peso' del Carroccio è nettamente superiore a quello di Fi. Un dato che Berlusconi non nasconde anzi per l'ex capo del governo la 'colpa' del risultato di Fi è da attribuire alla sua incandidabilità. 

Ora però l'obiettivo del leader azzurro è quello di uscire dall'angolo sfruttando il fattore tempo con la convinzione in realtà che il leader della Lega più che un esecutivo con i pentastellati voglia ritornare alle urne. A temerlo sono gli azzurri convinti che con un nuovo voto la Lega possa consolidare il suo vantaggio e di fatto terminare l'opa su Forza Italia. Una preoccupazione che conoscono bene anche a Grazioli tanto che il leader di Forza Italia ha fatto sapere ai suoi parlamentari che uno dei punti discussi con Salvini e Meloni è proprio evitare il cambio di casacca anche dentro la stessa coalizione: "Chi vuole lasciare i gruppi si iscriverà al Misto". 

In attesa delle 'mosse' di Salvini e soprattutto del giro di consultazioni da avviare con gli altri partiti, Berlusconi congela anche la questione dei capigruppo. L'ex premier ha fatto sapere che in vista della fase delicata Renato Brunetta e Paolo Romani restano al loro posto ma che successivamente i gruppi dovranno riunirsi per procedere alle votazioni per eleggere i loro vertici.

Silvio Berlusconi è un uomo disperato. Sa, e lo ha ammesso, che se si dovesse tornare a votare questa volta il MoVimento 5 Stelle prenderebbe il 40% e questo lo terrorizza. Per questo sta già cercando di fare campagna acquisti presso gli altri gruppi parlamentari. Infatti, avrebbe detto ai suoi di convincere quanti più deputati e senatori del MoVimento 5 Stelle a passare con lui. All’ex premier diciamo subito una cosa: i nostri parlamentari non sono in vendita". Così Giulia Grillo M5S e Danilo Toninelli, capigruppo del MoVimento 5 Stelle alla Camera e al Senato nel 'blog delle Stelle'. "Sono stati eletti dai cittadini per fare,- dicono- in Parlamento, gli interessi degli italiani e per rispettare gli impegni presi in campagna elettorale. All’ex premier vogliamo dire che istituiremo il vincolo di mandato, come promesso, per evitare proprio i cambi di casacca e i voltagabbana. E’ una delle priorità del nostro programma che noi rispetteremo. Queste dichiarazioni di Berlusconi dimostrano che il centrodestra non parla di programmi, di contenuti, a differenza del MoVimento 5 Stelle, ma litigano fra loro per decidere chi sia il leader. E Berlusconi, che vuole fare campagna acquisti, dimostra che non ha imparato la lezione. 

 

E’ proprio di questi giorni, infatti, la notizia che la Corte dei conti ha aperto un’inchiesta sulla compravendita dei senatori che portò l’ex parlamentare Idv, De Gregorio, alla corte di Berlusconi, facendo così cadere il governo Prodi. L’organo di giustizia contabile, infatti, ha ipotizzato un danno d’immagine del Paese e, tradotto in denaro, un aumento dello spread valutabile attorno ai 6 milioni di euro. Denaro che il leader di Fi potrebbe dover pagare di tasca propria. 

 

Le cose sono cambiate. Il 4 marzo 11 milioni di italiani hanno partecipato, recandosi in massa ai seggi, ed hanno scelto il MoVimento 5 Stelle con un chiaro mandato: cambiare il Paese. Tutti i parlamentari del MoVimento 5 Stelle rispetteranno questo mandato in Parlamento. Berlusconi se ne faccia una ragione. Luigi Di Maio - ieri sera - ha comunicato 'in tutta traspareza' di aver ricevuto una telefonata dal leader della Lega, Matteo Salvini: "gli ho ricordato che il MoVimento 5 Stelle è la prima forza politica del Paese, con il 32% dei voti, pari a quasi 11 milioni di italiani che ci hanno dato fiducia, e che alla Camera abbiamo il 36% dei deputati. Per noi - sottolinea Di Maio - questa volontà è sacrosanta e vogliamo che venga rispecchiata attraverso l'attribuzione al MoVimento della presidenza della Camera dei Deputati. Questo ci permetterà di portare avanti, a partire dall'Ufficio di Presidenza, la nostra battaglia per l'abolizione dei vitalizi e tanto altro". 

 

"Così come Salvini ha riconosciuto il nostro straordinario risultato, anche io ho riconosciuto il successo elettorale ottenuto dalla Lega" ha ribadito. Di Maio inoltre ricordando la girandola di incontri di oggi di Giulia Grillo e Danilo Toninelli, che si stanno "anche con le altre forze politiche" ha ribadito che "l'interlocuzione sulle presidenze delle Camere è slegata da ciò che riguarderà la formazione del governo". Lega-M5S: una poltrona per due. Pd: chiediamo figure autorevoli e di garanzia Primo giro di consultazioni sulle presidenze delle Camere, e primi ostacoli nel percorso alla ricerca di una soluzione per individure i successori di Laura Boldrini e Pietro Grasso. 

 

Matteo Salvini e i Cinque Stelle, con i capigruppo Danilo Toninelli e Giulia Grillo, si muovono in parallelo: il leader della Lega per lo piu' per telefono, con contatti rapidi e informali ai leader degli altri partiti. I pentastellati con incontri faccia a faccia. Dal Pd, da Leu e dagli altri interlocutori arriva ad entrambi la richiesta di figure autorevoli e di garanzia, in un partita che deve tenere separate la questione delle presidenze da quella del governo. Ma a quanto apprende l'agenzia Dire, Lega e Movimento Cinque Stelle hanno annunciato ai gruppi parlamentari che hanno contattato in queste ore di rivendicare entrambi l'attribuzione della presidenza della Camera dei deputati. 

 

 

Confronto serrato nel centrodestra dopo la presa di posizione di ieri di Silvio Berlusconi che ha ieri di fatto aperto a larghe intese. Matteo Salvini, arrivando alla prima assemblea degli eletti del Carroccio chiude. "Senza un nuovo governo si torna a votare? - attacca Salvini - Una cosa alla volta. Sicuramente non si fanno pastrocchi".

Che Berlusconi e Salvini d'altronde giochino due partite diverse non è mistero. L'ex premier, che anche oggi nella missiva agli eletti non menziona direttamente il capo del Carroccio come candidato premier, non ha nessuna intenzione di riportare il partito alle urne. Uno scenario che consentirebbe alla Lega di ultimare la scalata sul partito degli azzurri e diventare assolutamente inarrivabile.

La lealtà alla coalizione non è messa in discussione ma in una lettera inviata a tutti gli eletti per convocarli mercoledì prossimo in assemblea, Silvio Berlusconi rompe gli indugi annunciando il suo impegno in prima persona per garantire un governo ed evitare che il Paese ritorni alle urne. A sentire i suoi fedelissimi non c'è nessun legame tra la presa di posizione del Cavaliere e l'appello alla responsabilità fatto dal capo dello Stato Sergio Mattarella la lettera di Berlusconi è stata scritta prima, precisano da Grazioli ma è evidente che la richiesta che arriva dal Colle trova nell'ex premier orecchie attente.

L'idea di tornare alle urne così come lo spettro di un governo M5s-Pd sono due scenari da incubo che ad Arcore vogliono evitare in tutti i modi. Poco importa dunque se l'obiettivo di Berlusconi ha come effetto quello di incrinare l'equilibrio all'interno del centrodestra e l'immagine di compattezza della coalizione

C'è poi un altro fattore che va considerato e cioè il 'peso' delle aziende di famiglia nelle decisioni che sono prese ad Arcore. Un governo stabile e soprattutto la possibilità di farne parte garantirebbero all'ex capo del governo una tranquillità anche aziendale. L'operazione però non è semplice visto che non è Berlusconi a dare le carte e dentro Forza Italia la pattuglia di parlamentari filo-Carroccio è decisamente più numerosa rispetto ad un tempo. E non è un caso che Giovanni Toti, capofila del cosiddetto asse del Nord rilanci la necessità di un "sano percorso di unita' per provare a fare un partito unico, una federazione stretta".

Le parole del leader di Forza Italia certo non lasciano spiazzato Salvini. Il capo del centrodestra è il primo ad dar ragione a Mattarella su quali siano le priorità del Paese ma, altra cosa, è la disponibilità di Berlusconi a fare un governo a tutti i costi. Quell'appello del leader di Fi "alla collaborazione di tutti per consentire all'Italia di uscire dallo stallo" suonano dalle parti del Carroccio come la volontà di riproporre un governo di larghe intese, o peggio, un governo guidato da un esponente della Lega che non sia Salvini. Nessuna disponibilità ad un esecutivo di inciuci - è il ragionamento che si fa a via Bellerio -, non può esserci nulla fuori dal perimetro della coalizione o dal programma che ci siamo dati. Insomma non un governo a tutti i costi è il leit motiv dei leghisti. Lo schema di Salvini è quello di cercare voti in Parlamento su dei punti programmatici mettendo però bene in chiaro l'indisponibilità a siglare "accordi organici col Pd, con i 5 Stelle o con la Boldrini".

"Stiamo lavorando - ha detto Salvini - entro aprile qualunque sia il governo c'è una manovra economica da preparare. Leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse". Secondo Salvini, "a Bruxelles saranno contenti perché tutti sono contenti se l'Italia cresce".

Per quanto riguarda, poi, l'eventualità di gruppi parlamentari unici del centrodestra, Salvini al momento mostra cautela. "No, leggo tante fantasie sui giornali, adesso ci prepariamo come Lega: la coalizione è quella conservatrice e poi ascolteremo tutti".

"Berlusconi ha detto che lo fa diventare premier e se lo ha detto Berlusconi...": così Umberto Bossi ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano se Matteo Salvini abbia la forza di diventare premier. "Lo vuole diventare - ha detto il fondatore della Lega arrivando all'assemblea dei neo-eletti del Carroccio con Salvini - ma può farlo se ha l'appoggio di Berlusconi. E molti possono dargli una mano. Chi? Tutti. Mica si può mandare per aria la Lega".

Intanto la partita sul Documento di economia e finanza, il Def, che di fatto definisce le scelte di politica economica dei prossimi anni e che dovrà essere approvato a maggioranza assoluta dal Parlamento entro il 10 aprile, è già iniziata. È su questo punto che il Movimento 5 Stelle e la Lega sono pronti a sfidarsi sfidano. Con Luigi Di Maio, che cerca convergenze politiche per portare a casa le promesse fatte ai suoi elettori, e Matteo Salvini che invece è già al lavoro per varare una manovra che tagli le tasse.

Di tutt'altro respiro la proposta che ha in mente Salvini. Anche lui sta lavorando a un documento da presentare in parlamento. L'obiettivo è lo stesso: andare a vedere chi è disposto ad appoggiarlo. "Entro aprile, qualunque sia il governo, c'è una manovra economica da preparare - fa presente il segretario del Carroccio - leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse". Con buona probabilità, la bozza ricalcherà il piano economico presentato dal centrodestra in campagna elettorale. Un piano che, oltre alla flat tax, aveva un nutrito elenco di gabelle e imposte da far saltare. "E - assicura Salvini - a Bruxelles saranno contenti perché tutti sono contenti se l'Italia cresce".

Pero di qui a un mese potrebbe concretizzarsi un esecutivo a termine, magari una prosecuzione dello stesso Paolo Gentiloni, dopo un breve passaggio alle Camere, oppure con una figura ancor più «neutra» che porti a casa la legge di Bilancio e la nuova legge elettorale. L'alternativa sarebbe un governo di maggioranza, quella che però né i Cinque stelle né il centrodestra a trazione leghista sono riusciti a conquistare, e che presupporrebbe un travaso di voti del Pd. L'ultima ipotesi è quella del «governissimo» che coinvolga i «responsabili» una volta tagliate fuori le estreme. Ipotesi molto labile e che prefigurerebbe soprattutto un esecutivo eterodiretto da Bruxelles e un ulteriore rafforzamento del populismo alle prossime elezioni. Che, prima o poi, ci saranno.

Non intendo trattenermi sulla querelle elettorale e su quale possibile governo sarà proposto o imposto agli italiani. Ormai si sa tutto sull'esito elettorale: chi ha vinto e chi ha perso. In queste settimane saremo sommersi delle varie proposte e formule per arrivare a qualche forma di governo.

In questo momento voglio fare delle riflessioni che riguardano i cattolici, i parlamentari eletti nelle varie formazioni partitiche.

Intendo partire dal peso politico che avrà la pattuglia parlamentare, che condivide la piattaforma valoriale del «Comitato difendiamo i nostri figli», di quel «popolo del Family Day», guidato da Massimo Gandolfini.

Partiamo da qui, il popolo del family day si è spaccato prima delle elezioni, alcuni dirigenti con alla guida di Mario Adinolfi hanno scelto di fare un partito identitario, etico, «Il Popolo della famiglia» (il PdF), altri, la maggioranza, con Gandolfini, hanno scelto di contaminare le forze politiche, criticando apertamente la scelta di Adinolfi e compagni. A Roma, in un convegno sull'inverno demografico, il Comitato insieme ad Alleanza Cattolica ha presentato dei punti programmatici a tutte le forze politiche, si sono presentati esclusivamente i rappresentanti di centrodestra. Nello stesso tempo alcuni uomini del Comitato sono stati candidati ed eletti il 4 marzo in queste forze, in particolare nella Lega.

In questi giorni si stanno facendo delle riflessioni sul risultato elettorale del Pdf, ne ha parlato l'avvocato Simone Pillon, eletto senatore nel Collegio di Lombardia 5: Monza, Brianza, Martesana. Ho tratto alcune informazioni dalla sua consueta esposizione su facebook.

In alcuni collegi il voto al PdF ha causato la sconfitta dei candidati del centrodestra. Sostanzialmente bastava quel migliaio di voti per far vincere il candidato della coalizione di centrodestra. E' successo in un collegio a Torino, ma anche in qualche altro. Inoltre da fonti sicure ascoltando Pillon, si può affermare con ampio margine di sicurezza che qualora i 220 mila voti, che ha preso in tutto il Paese il PdF(0,7%) fossero confluiti verso la Lega, si sarebbero guadagnati una trentina di parlamentari in più. Naturalmente potevano essere uomini vicini al family day, pronti a contaminare il centrodestra. Invece uomini di valore sono rimasti esclusi dal Parlamento. A proposito in questi giorni alcuni pidieffini sui social si sono permessi di fare dell'ironia sulla presunta contaminazione, alludendo che sono pochi e quindi non determinanti.

E' un dato di fatto su cui occorre riflettere, anche se Pillon con signorilità evita di fare polemiche, per quanto mi riguarda io non posso esimermi dal farle. In pratica la scelta di ghettizzare la famiglia in un solo partito, è stata dannosa e inutile. E' stato un errore politico. Questo poteva andare bene, forse, negli anni '50 o '60, quando esisteva ancora la società cristiana, oggi non c'è più, abbiamo una società «coriandolizzata», come sostiene Giuseppe De Rita. Certamente ancora persistono frammenti di cristianesimo nel nostro Paese, nonostante un certo mondo stia morendo. Tocca al Comitato e a chi vuole allearsi e condividere il suo progetto per rianimare il corpo sociale, risvegliando le tante famiglie sane presenti sul territorio, come abbiamo visto nelle due manifestazioni romane.

Tuttavia il voto coraggioso e generoso dato al PdF, sarebbe stato opportuno che venisse canalizzato verso la coalizione del centrodestra. Invece i dirigenti del Pdf si sono intestarditi, illudendosi di raggiungere chissà quali risultati. Questa debacle del Pdf ci porta ad ulteriori chiarimenti in merito all'impegno e al ruolo dei cattolici in politica.

Praticamente nel dopoguerra siamo passati dal partito unico per i cattolici (la DC) alla trasversalità, (Convegno di Palermo e Verona), il progetto culturale dei cattolici, che faceva riferimento a Scienza e Vita, al Forum delle Famiglie, sotto la tutela del cardinale Camillo Ruini. Con la trasversalità si cercava di  contaminare il più possibile tutti gli schieramenti politici. Per un certo tempo, finchè c'era il cardinale Ruini, la strategia ha funzionato, dopo, la struttura è implosa. Si è poi passati al partito «riserva indiana», in cui i cattolici sono stati rinchiusi all'interno di un piccolo partitino tipo l'Udc, Ncd poi. Partitini ininfluenti perché poco convinti di difendere le istanze valoriali. Alla fine la storia si conclude con Pierferdinando Casini candidato nel Pd a Bologna, che si ritrova a parlare sotto i ritratti dei gerarchi comunisti e ad Angelino Alfano che non ha il coraggio di candidarsi perchè sicuro di essere inseguito (ssigutatu) dalla gente.

Oggi siamo giunti a una nuova fase, che è quella del Family Day, dove i cattolici sono orfani dei vescovi pilota e forse questo è una buona cosa, e che si organizzano da soli. Pertanto i cattolici da queste elezioni non sono stati tagliati fuori, ora si apre una nuova stagione. Che i pastori, i vescovi, abbiano fatto un passo indietro, è un bene. Del resto i vescovi devono fare i pastori, non devono dispensare criteri di come muoversi in politica.

Secondo i calcoli di Pillon esistono una cinquantina di parlamentari, un buon 5% che hanno aderito alla piattaforma valoriale del Comitato e del Family Day, magari è gente che non per forza proviene da ambienti cattolici. Il Comitato guidato da Gandolfini per certi versi funge da sindacato che intende dare consigli, guidare questo nutrito gruppo parlamentare, a cui man mano si stanno aggregando anche sindaci, assessori, consiglieri comunali, regionali. Certo la politica, per sua natura, è divisiva, non fa comunione, ecco perché è auspicabile trovare un luogo extra-politico, pre-politico, dove trovarsi, dove ognuno porta il suo contributo.

Per Pillon grazie ai mille convegni organizzati dal Comitato, sta partendo dal basso un lavoro che potrebbe arrivare a una nuova edizione dell'Opera dei Congressi. La politica non sarà lasciata sola. Servono quelle «minoranze creative», come auspicava Benedetto XVI, per contagiare anche il mondo politico. E' un compito impegnativo e prioritario, occorre costruire «ambienti sani», per riconquistare i cuori a Cristo e per poter ricomporre i cocci di una società senza bussola. Oggi viviamo un periodo molto simile a quello vissuto dai benedettini, che seppero costruire un nuovo mondo a fronte dello sgretolamento dell’impero romano in Occidente.

A questo punto occorre però fare una premessa, bisogna tenere sempre in mente che la Politica non salverà questa generazione. La politica in sé non ha questa capacità di salvarla, perché se così fosse, quando Nostro Signore Gesù Cristo venne sulla terra, avrebbe assunto le sembianze di un uomo politico, o si sarebbe fatto nominare imperatore di Roma e così avrebbe salvato il mondo. Invece Nostro Signore ha scelto di salire sulla Croce e da lì regnare.

Tuttavia la buona politica può fare molto, anche se è uno strumento limitato. Pertanto non possiamo pensare che la politica è l'unico strumento per sostenere le istanze dei cattolici. E' uno dei tanti strumenti e peraltro neanche tra i più importanti. Ecco perché non conviene dividersi sulle questioni politiche, come se fossero questioni di fede. La politica rimane essenzialmente una delle strade da percorrere.

A questo proposito sono illuminanti le parole del pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Correa de Oliveira (1908-1995), maestro della scuola cattolica contro-rivoluzionaria del Novecento, che nel proprio scritto più importante, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (originariamente pubblicato nel 1959 e in forma ampliata nel 1977) annota: «[…] è necessario riconoscere che se qualcuno, per esempio, riuscisse a far cessare le proiezioni cinematografiche o le trasmissioni televisive immorali o agnostiche, avrebbe fatto per la Contro-Rivoluzione molto di più che se avesse provocato la caduta di un governo di sinistra, nella routine di un regime parlamentare» (Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario, 1959-2009, con materiali della “fabbrica” del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di Giovanni Cantoni, parte I, cap. X, n.4, Sugarco, Milano 2009, p. 92).

 

 

 

Il rebus per Mattarella non è facile. Infatti le alleanze possibili per ottenere una maggioranza solida sono tutte da studiare. I dati certi sono tre: il Movimento Cinque Stelle è il primo partito, la coalizione di centrodestra è prima e il Pd è crollato. Qualcuno negli scenari futuri ha profetizzato una alleanza post voto tra i leghisti e i pentastellati.

Ma proprio il Carroccio rifiuta in modo chiaro questa ipotesi. Massimiliano Fedriga, Capogruppo della Lega alla Camera ha le idee molto chiare: "Salvini Premier? Sono convinto che il Presidente della Repubblica terrà in considerazione il risultato elettorale essendo la Lega la prima forza politica della coalizione che esprime la maggioranza dei voti e dei parlamentari". E ancora: "Non vedo personalmente grande alternativa a una coalizione del centro destra, anche vedendo i numeri. Come ha detto ieri il vice Segretario Federale del partito Giorgetti, il nostro interlocutore sono gli alleati; noi andiamo in quella direzione". Dunque la Lega resta saldamente nella coalzione di centrodestra. Le strade con i grillini resteranno separate.

 

Raffica di flash all'arrivo di Matteo Salvini nella sala stampa del quartier generale della Lega, in via Bellerio a Milano. Il leader del Carroccio, sorridente, ha mandato baci verso le telecamere, prima di sedersi per commentare i risultati delle elezioni politiche.

"E' una vittoria straordinaria, che ci carica di orgoglio, gioia e responsabilità", ha detto il leader della Lega. "Lo vedo come un voto di futuro. Gli italiani hanno premiato il futuro", aggiunge il leader del Carroccio, che ha ringraziato la Lega. "La squadra con cui ragionare e governare è quella di centrodestra". "Sono uno che mantiene la parola data - aggiunge - e l'impegno preso riguarda la coalizione di centrodestra, che ha vinto e che può governare".

"Sono e rimarrò populista: chi ascolta il popolo fa il suo dovere. Di 'radical-chic' gli italiani non ne hanno più voglia", ha aggiunto Salvini commentando i risultati delle elezioni politiche. Il voto, aggiunge, ha "punito l'arroganza di Renzi e dei suoi". "No a coalizione strane. No, no no...". Ripete tre volte "no" Matteo Salvini ai giornalisti che, in conferenza stampa, gli chiedono se per la Lega sia possibile una coalizione diversa da quella del centrodestra.

"Sarà il presidente della Repubblica a scegliere qual è il presidente del Consiglio che ha numeri più vicini alla realtà", ha spiegato il segretario della Lega. L'accordo nel centrodestra, ha ricordato, prevedeva che chi aveva "un voto in più avrebbe avuto l'onere e l'onore di farsi carico di tirare il paese fuori dalle sabbie mobili".

Incassa il 35,7% alla Camera e il 36% al Senato. Il Movimento 5 Stelle è, invece, il primo partito del Paese col 32,36% alla Camera e il 30,91% al Senato. A piangere è Matteo Renzi che, dopo il tracollo del Pd al 18,84%, dovrà ora fare i conti con i malpancisti dem. Più in generale, il quadro che ne esce è complicato. Nessuna forza politica, né da sola né in coalizione, avrebbe dunque la maggioranza e, quindi, l'autosufficienza per poter governare. A meno che non vi siano "innesti" esterni.

 

"Si parte da noi - esultano in Forza Italia - il centrodestra è la prima coalizione". All'interno della coalizione, secondo le proiezioni di Tecnè, la Lega supera Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi è al 14% alla Camera e al 14,4% al Senato, mentre il movimento guidato da Matteo Salvini è al 18,47% al Senato e al 17,59 alla Camera. "È un momento storico per il Carroccio", chiosa Giancarlo Giorgetti che, escludendo "intese" post voto, avvia le trattative con gli alleati. Tra questi anche Fratelli d'Italia che incassa oltre il 4%. "Dopo cinque anni di governo della sinistra il centrodestra e non il Movimento 5 Stelle è l'alternativa vincente - fanno sapere da Forza Italia - gli italiani, come aveva chiesto il presidente Berlusconi, non hanno fatto prevalere la deriva grillina". La partita, poi, non è affatto finita. "Ci sarà la fila per entrare nel centrodestra...", commenta il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta.

Nelle prossime ore la palla passerà al capo dello Stato Sergio Mattarella. Che non potrà prescindere dall'exploit del Movimento 5 Stelle. Alessandro Di Battista ha già fatto sapere che non intendono aprire ad altre soluzioni se non quella di un governo pentastellato a cui altre forze potrebbero dare l'appoggio su determinati provvedimenti. Ovvero, in altre parole, solo alle condizioni dettate dagli stessi Cinque Stelle. Tutto, però, dipende dal computo (finale) dei seggi. Alla Camera il M5S ne conquista tra 230 e 240, il centrodestra tra 247 e 257, il centrosinistra tra 110 e 120 e Liberi e uguali tra 11 e 19. Al Senato, invece, al centrodestra vanno tra 109 e 119 seggi, ai Cinque Stelle tra 128 e 140, al centrosinistra tra 44 e 55 e a Liberi e uguali tra 7 e 11. A queste proiezioni, però, vanno ad aggiungersi quelli che sono ancora incerti.

Da queste elezioni è il centrosinistra a uscire con le ossa rotte. Alla Camera non arriva al 24%, mentre al Senato si ferma al 22,7%. E il primo imputato è Renzi. "Deciderà lui... ma prima pensiamo al Paese". Ettore Rosato, capogruppo piddì alla Camera, taglia corto quando gli domandano se Renzi lascerà la guida del Pd. "Voglio capire qual è la soluzione che il Parlamento può trovare per garantire un governo a questo Paese - si limita a dire - dopo discuteremo anche di cosa succede al Pd". Andando a guardare i singoli partiti della coalizione spicca, infatti, il crollo del Partito democratico. Che si ferma al 18,84% alla Camera e al 19,20% al Senato. Un abisso da quel 40,8% conquistato alle elezioni europee del 2014, ma anche dalla "non vittoria" di Pier Luigi Bersani nel 2013. Renzi assiste alla disfatta nel suo ufficio al Nazareno con un manipolo di big. Lo "schema" di buttare incolpare gli scissionisti regge solo fino a un certo punto, visti i risultati poco lusinghieri raggiunti dai bersaniani. Liberi e Uguali supera (di poco) il 3%, soglia di sbarramento per poter entrare in parlamento.

 

Oggi inizia la Terza Repubblica e sarà una Repubblica dei cittadini italiani". Così Luigi Di Maio in conferenza stampa all'hotel Parco dei Principi. "Questo è un risultato post-ideologico, che va al di là degli schemi di destra e sinistra: riguarda i grandi temi irrisolti della nazione. Insomma - ripete - temi, non ideologie".

"Siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche a partire dalle figure di garanzie che vorremo individuare per le presidenze delle due camere ma soprattutto per i temi che dovranno riguardare il programma di lavori", ha precisato.

Di Maio si è detto "fiducioso che il presidente della Repubblica saprà guidare questo momento con autorevolezza e responsabilità".

"Il M5s triplica il numero dei parlamentari eletti", ha aggiunto sottolineando che "ci sono intere regioni che sono andate al Movimento Cinquestelle".

"Sentiamo la responsabilità di dare un governo al Paese. Lo diciamo soprattutto agli investitori: noi questa responsabilità la sentiamo", ha aggiunto Luigi Di Maio in conferenza stampa dove ricorda: "oggi le coalizioni non hanno i numeri per governare".

"Per il M5s queste elezioni sono state un trionfo: grazie a circa gli 11 milioni di italiani che ci hanno votato e dato la loro fiducia", ha aggiunto il leader M5s.

"Quello che stiamo vivendo in queste ore è un'emozione indescrivibile". Lo annota sulla sua bacheca Fb Luigi Di Maio che pubblica anche la foto in cui appare con Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista e abbraccia Beppe Grillo.

"È stato un tracollo... una débâcle", si è lasciato sfuggire persino qualche renziano scorrendo i numeri davanti alla tivù. Al Nazareno, questa notte, Renzi è arrivato prima del previsto e si è chiuso nel suo ufficio con un manipolo di big: Maurizio Martina, Matteo Orfini, Francesco Bonifazi, Luca Lotti e Matteo Richetti. Anche con gli "amici" i numeri sono stati davvero difficili da digerire. Perché sono lontanissimi dal 40% delle europee e dal referendum, ma anche dalla "non vittoria" di Pier Luigi Bersani nel 2013. E persino lo "schema" di buttare la croce sugli scissionisti regge solo fino a un certo punto, visti i risultati poco lusinghieri raggiunti dai bersaniani.

"Lo abbiamo biodegradato", ha scherzato oggi Beppe Grillo. La delusione, tra i dem, è evidente. Così come la tensione. Nessun dirigente si è fatto vivo in sala stampa, disertata nonostante il numero record (300) di accreditati. La minoranza interna, anche fisicamente, ha subito preso le distanze da Renzi. Ieri sera Andrea Orlando ha disertato il Nazareno per seguire lo spoglio a La Spezia, nel suo collegio. E anche il premier Paolo Gentiloni ha scelto il suo ufficio a Palazzo Chigi per seguire lo spoglio. Il loro obiettivo era mettere mano alla composizione della delegazione da inviare al Quirinale per le consultazioni. "Dovrà essere meno renzizzata", è stata la richiesta avanzata dalla minoranza. Ma il segretario potrebbe prenderli in contropiede. Al Nazareno si parla di dimissioni imminenti. Voce che il portavoce Marco Agnoletti si affretta a smentire. Almeno fino alle 17, quando Renzi parlerà in conferenza stampa.

 

Il declino di Matteo Renzi è tanto veloce quanto la sua ascesa al potere. Si consuma in così poco tempo che brucia tutto quello che incontra. Persino il Partito democratico che scivola sotto la soglia psicologica del 20%. In questa caduta c'è dentro di tutto: una puntata al governo senza passare dalle elezioni, un flop devastante al referendum elettorale, una campagna elettorale fallimentare. E così quel sindaco di Firenze, che si riprometteva di rottamare tutta la vecchia classe dirigente comunista, finisce per rottamare se stesso e il partito che si è messo a guidare con un mezzo colpo di mano.

L'impennata di partiti populisti nelle elezioni in Italia mostra la misura in cui il Paese, in prima linea nella crisi migratoria, "si senta abbandonato dall'Europa": questa la 'lettura' dei risultati elettorali in Italia da parte del ministro francese per gli affari europei. L'Italia "è un Paese che ha affrontato il più grande afflusso di migranti nella sua storia e si è sentito solo, abbandonato da parte dell'Unione Europea", ha detto il ministro Nathalie Loiseau alla radio France Info. "È sorprendente come questo Paese, uno dei membri fondatori dell'Unione europea, sia in preda alla delusione per l'Europa".

 

"La spettacolare ascesa e l'arrivo in cima alla coalizione della Lega guidata dal nostro alleato e amico Matteo Salvini è una nuova tappa del risveglio dei popoli! Congratulazioni!". Lo scrive su Twitter la leader di Front National Marine Le Pen commentando il risultato della Lega Nord alle elezioni politiche.
 
L'Italia è un Paese profondamente amico e partner e ci auguriamo un governo stabile per il benessere del Paese e dell'Europa". Lo ha detto il portavoce di Angela Merkel,rispondendo alla domanda se la Cancelliera della Germania sia preoccupata che l'esito del voto italiano possa rallentare le riforme nella Ue.

 

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