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I rapporti della Chiesa con Galileo Galilei (1564-1642) sono stai travagliati anche se la sua condanna fu di tipo disciplinare senza che , da parte della Chiesa, ci fosse un pronunciamento di tipo dottrinale sull’eliocentrismo. Lo scienziato pisano aveva ragione, ma ancora i tempi non erano maturi per una dimostrazione scientifica delle sue teorie. Il 16 agosto 1820 è, però, l’anno che segna la svolta su questo spinoso tema: il pontefice Pio VII revoca il divieto di pubblicazione di un volume del canonico Giuseppe Settele (1770-1841), professore di ottica e astronomia alla Sapienza di Roma dal titolo “Elementi di astronomia” dove si faceva riferimento alla teoria copernicana come a qualcosa di ormai provato e non ad un’ipotesi. Questo gesto portò, due anni dopo, la Congregazione del Sant’Uffizio a rimuovere il divieto di pubblicazione ai volumi che trattavano il moto della Terra secondo i dettami della moderna astronomia. Si chiudeva il caso Galilei grazie a questo pontefice del quale ricorre il secondo centenario della morte (20 agosto 1823)[1]. Nato a Cesena il 14 agosto 1742, Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti, benedettino, divenne pontefice il 14 marzo 1800 durante un Conclave che si svolse a Venezia, Roma era occupata dai francesi, nel monastero di San Giorgio sull’isola omonima e fu incoronato non nella basilica di San Marco, per il veto di Francesco II, ma nella basilica di San Giorgio Maggiore. Pontificato travagliato per le vicende legate alle guerre napoleoniche fino al suo arresto e esilio a Savona (1809-1814). Famosa la sua risposta all’ufficiale francese che gli intimava di consegnare alla Francia lo Stato pontificio: «Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo».  Napoleone Bonaparte (1769-1821) gli imporrà un umiliante concordato (1813) che poi non rispetterà provocando altri dolori al pontefice. Pontefice che si distinguerà per la sua particolare attenzione anche nel campo scientifico, oltre alla questione di Galilei, nel 1816 fonda l’Università per ingegneri, nel 1822 si prodiga a favore delle vaccinazioni. Una nuova epidemia vaiolosa si diffuse nel 1820 e il Segretario di Stato, card. Ercole Consalvi, emise un editto che incoraggiava la profilassi vaccinale nei territori dello Stato della Chiesa attraverso la pianificazione di campagne generali di vaccinazione e la predisposizione di una complesso apparato organizzativo, avendo il Papa riconosciuto il vaccino come un dono che la «divina Provvidenza» aveva messo a disposizione di tutti i popoli e specialmente «dell’Amore Paterno a salvamento della prole», esprimendo una fiducia nell’arte medica a condizione che fosse posta al servizio della vita al fine di «eliminare i mali che minacciano la debole Umanità». all’inizio del documento del Consalvi si legge: “malignamente insidia l’uomo dal liminare della vita […] ed infierisce sulla specie umana quasi per distruggerla nel suo nascere. Questo tristissimo pensiero ognora avvivato ed inasprito dalle ripetute stragi del morbo avrebbe dovuto persuadere ogni popolo ad abbracciare con il più vivo trasporto e praticare con pari riconoscenza l’inoculazione vaccina, metodo quanto semplice altrettanto efficace a rintuzzare la venefica forza del malore”. Il pontefice istituì una Commissione centrale di vaccinazione per estenderla in tutti gli Stati Pontifici. Un Papa, un Pastore attento anche agli aspetti scientifici, specialmente quando legati alla salute, che riposa nella Basilica di San Pietro nella Cappella Clementina in un mausoleo, l’unico presente nella basilica eseguito da un non cattolico, lo scultore protestante Bertel Thorvaldsen.

Fonti

  1. Riabilitazione, un termine inadatto, Nicola Dallaporta, 1992

https://disf.org/riabilitazione-termine-inadatto

  1. Editto - Ercole della S. R. C. Cardinale Consalvi, Diacono di S. Maria ad Martyres, della santità di Nostro Signore Papa Pio VII Segretario di Stato, 20 giugno 1822 in Effemeridi letterarie di Roma, Tomo VIII, Roma, 1822

 

 

 

 

[1]Da sottolineare che durante i due secoli dalla condanna di Galilei (1633) fino al 1820 ci furono già segnali di comprensione delle teorie discusse: nel 1710 venne pubblicato l’edizione del Dialogo dei due massimi sistemi che, ricevendo l’autorizzazione ecclesiastica, risolve, di fatto, la questione galieliana. L’astronomo gesuita Giuseppe Boscovich (1711-1787) diffonde in Italia la teoria eliocentrica e quella della gravitazione universale formulata da Isaac Newton, e conduce importanti ricerche col supporto di Papa Benedetto XIV (1675-1758) che, nel 1757, decide di cancellare dall’elenco dei libri proibiti i volumi che parlavano di eliocentrismo.

Dopo lo straordinario successo di pubblico delle prime due giornate romane del Festival Treccani della Lingua Italiana – che lo scorso 27 e 28 maggio ha registrato oltre 3 mila presenze in Piazza Damiano Sauli nel quartiere Garbatella – dal 9 all’11 giugno sarà lo scenografico cortile del Museo di Roma a Palazzo Braschi (Piazza Navona), a fare da cornice al secondo appuntamento previsto nella Capitale.

Il Festival Treccani, il primo nel nostro Paese interamente dedicato alla lingua italiana, è un progetto ideato da Treccani Cultura per presentare i temi più rilevanti della costante ricerca di Treccani sulla lingua italiana, prestando particolare attenzione al valore delle parole come mezzo di espressione e di ragionamento, di condivisione e rispettoso confronto tra le diverse posizioni. 

Questa sesta edizione del Festival è dedicata alla memoria di Luca Serianni – insigne studioso, linguista e filologo scomparso a luglio dello scorso anno – e vede al centro la parola Stupore, termine con cui si nomina la sensazione che segue a un evento inusuale, l’effetto di meraviglia che può condurci a un risveglio.

Attraverso un approccio multidisciplinare in grado di spaziare dalla filosofia alla fisica, dalla geopolitica all’intelligenza artificiale, dalla letteratura alla storia dell’arte e al cinema, il lemma Stupore viene esplorato, nel corso dei diversi incontri, nelle sue differenti sfumature.

Ma Stupore è, prima di tutto, il mezzo attraverso il quale accedere all’ambito della ricerca linguistica, in un mondo in cui la proliferazione di nuove forme di linguaggio, la trasformazione delle strutture sintattiche tradizionali e le stesse nuove creazioni lessicali, spesso destinate a vita e circolazione effimere, non possono che meravigliare.

Durante le tre giornate a Palazzo Braschi sono previsti gli interventi di numerose personalità – tra studiosi di letteratura, docenti universitari, scrittori, giornalisti, artisti e musicisti – quali Enrico Terrinoni e Daniele Petruccioli, Giulia Antonia Zanon e Filippo Perfetti, Lucilla Pizzoli, Lorenzo Cantatore, Dino Baldi, Davide Conti, Edoardo Camurri e Agnese Codignola, Annalisa Metta.

A inaugurare gli incontri, venerdì 9 giugno, saranno la lezione del linguista Giuseppe Patota dal titolo Parola di Luca Serianni (alle 17) e la lectio magistralis sullo stupore nella poesia tenuta dal poeta Valerio Magrelli (alle 19).

Le tre giornate avranno poi diversi momenti musicali che andranno dagli Inni e Canti di lotta della Resistenza del Coro della Scuola popolare di musica di Testaccio, con Giovanna Marini e Sandra Cotronei (venerdì 9 giugno alle 20.30), all’incontro con il rapper Fasma che dialogherà con Paolo Di Paolo e Cristina Faloci sulle parole delle canzoni, preceduto dalla registrazione di una puntata speciale della trasmissione di Rai Radio 3 La lingua batte (sabato 10 giugno dalle ore 19), al concerto di Emanuele Schillaci Trio ed Elena Chiri (domenica 11 giugno alle 12). Il festival si concluderà con il concerto gratuito di Paolo Fresu e Daniele di Bonaventura (domenica 11 giugno alle 21.30).

La tappa romana del Festival – che segue quella di Lecce (5-7 maggio) e che anticipa quella conclusiva di Lecco (21-24 settembre) – è realizzata con il patrocinio di Roma Capitale, in collaborazione con il Municipio Roma VIII e l’Università Roma Tre, con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura, con il sostegno di Istituzione Biblioteche di Roma, Sacher, Dopolavoro Matematico, con il contributo di Treccani Reti, Edulia e Treccani Accademia e la media partnership di Rai Cultura e Rai Radio3.

 

Fonte Zetema

I Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale consegnano alla Soprintendenza di Venezia due pregiati reperti archeologici oggetto di ricettazione.

Un askos e un’anfora apuli sono stati confiscati e consegnati il 20 aprile 2023 alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Venezia e Laguna, dai Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Venezia, a parziale conclusione dell’indagine ‘Magna Grecia’, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma. L’individuazione dei beni, provenienti da contesti archeologici italici, è avvenuta a seguito di specifici servizi di controllo del mercato dell’arte, finalizzati a prevenire e contrastare il commercio di beni culturali di provenienza illecita.

Un primo reperto è costituito da un askos apulo a figure rosse, che si data tra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C. La forma della ceramica richiama un’anatra stilizzata, cui la testa è costituita dal bocchello del recipiente, e la coda da una testina decorativa suddipinta in ocra. Il ‘lato A’ è decorato da una coppia di cavalieri su cavalli rampanti e affrontati. Giustapposti sono altresì 2 cani in basso. Il ‘lato B’ presenta la classica decorazione fitomorfa.

Segue un’anfora apula a figure rosse con anse a nastro, databile alla metà del IV sec. a.C. La decorazione del ‘lato A’ è costituita da 2 figure umane giustapposte, ai lati di un plinto sormontato da un’anfora. A sinistra un giovane nudo regge una coppa e una corona; a destra una giovane donna stringe una fascia decorata e un ramo. Sul ‘lato B’ vi è una scena di conversazione tra 2 uomini affrontati e ammantati, di cui uno regge un bastone.

Entrambi i manufatti per classe ceramica, tipologia, produzione e dimensioni sono risultati essere, agli esami tecnico-scientifici effettuati, provenienti da contesti archeologici ubicati in territorio italiano. L’ottimo stato di conservazione degli oggetti suggerisce una verosimile provenienza da contesti funerari, come parti di corredo.

Le indagini sono state avviate nell’agosto 2021, su segnalazione di uno studioso veneziano, mentre i beni venivano posti in vendita all’incanto da una casa d’aste romana. I beni individuati, sono stati sequestrati a seguito di perquisizioni presso private abitazioni, nelle province di Crotone e Firenze: attività effettuate con l’ausilio dei Nuclei CC TPC competenti per territorio. L’azione prettamente investigativa, in cui è stata di fondamentale importanza la “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti” in uso ai CC TPC, si è avvalsa di esami tecnici e storico-artistici effettuati dai funzionari archeologi della Soprintendenza A.B.A.P. per il Comune di Venezia e Laguna, che collabora strutturalmente con il Nucleo CC TPC di Venezia. In particolare, gli accertamenti condotti dai Carabinieri TPC di Venezia hanno permesso di appurare che i reperti archeologici in questione, oggetto di varie alienazioni che hanno interessato anche l’estero, non erano all’origine accompagnati dalla necessaria documentazione attestante la legittima proprietà. La normativa vigente, infatti, prevede sui beni archeologici italici una presunzione di appartenenza allo Stato. Il privato che intenda rivendicare la proprietà di reperti archeologici è tenuto a fornire la prova che gli stessi gli siano stati assegnati in premio di ritrovamento, o che gli siano stati ceduti dallo Stato, o che siano stati in proprio, o altrui possesso, in data anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 364 del 20 giugno 1909.

Oltre al recupero dei beni descritti, le indagini hanno portato al deferimento all’Autorità Giudiziaria romana di 8 persone per ricettazione di beni culturali.

Il contrasto al traffico illecito dei reperti archeologici rappresenta una delle direttrici investigative che il Nucleo CC TPC di Venezia persegue, attraverso verifiche costanti presso gli esercizi commerciali di settore, mediante l’attenta raccolta di segnalazioni da parte di studiosi e appassionati, grazie alla collaborazione con gli uffici centrali e periferici del Ministero della Cultura. La restituzione al patrimonio pubblico di questi beni, testimonianze materiali aventi valore di civiltà, riporta alla fruizione collettiva oggetti che narrano la storia di territori e di comunità.

 
Fonte : Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale

Con un evento speciale all’Ambasciata d’Italia nella capitale austriaca, la città ha presentato le nuove edizioni del Monteverdi Festival e la riapertura di Casa Stradivari, parte di un ricco programma di eventi musicali e culturali

La città di Cremona, nota in tutto il mondo per la sua storia musicale e per l’arte del “Saper Fare liutario”, ha portato questa tradizione secolare a Vienna nel prestigioso Palazzo Metternich, con un gemellaggio culturale che proietta a livello internazionale la sua prossima candidatura a Città Creativa dell’UNESCO per la Musica.

Con un evento unico, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata italiana nella capitale austriaca, la città lombarda ha presentato la nuova edizione del Monteverdi Festival, in programma dal 16 al 25 giugno, lo Stradivari Festival in programma dal 7 al 22 ottobre, e la riapertura a luglio della storica Casa Stradivari.

Il legame indissolubile di Cremona con la musica va ben oltre la tradizione della liuteria e si estende alla promozione della cultura e dell'arte musicale in tutte le sue forme. La candidatura entro fine giugno a Città Creativa UNESCO per la Musica rappresenta un'opportunità unica per condividere e promuovere lo sviluppo delle attività musicali attraverso un progetto di cooperazione con le altre città creative a livello nazionale e internazionale.

Cremona ambisce, dunque, a diventare una destinazione unica nel panorama musicale internazionale e crede fermamente che investire nella cultura e nella creatività possa costituire un motore per la crescita economica e un'opportunità per rafforzare il ruolo della musica come strumento di promozione della sostenibilità, dell'inclusione sociale e della pace.

“Siamo tornati a Vienna con tanti progetti da raccontare, tra cui la candidatura di Cremona a Città Creativa UNESCO per la Musica. In questi anni Cremona ha costruito percorsi importantissimi, di cultura, lavoro, innovazione, sviluppo e futuro. Noi patria di Monteverdi e Stradivari, noi terra della liuteria e del saper fare cibo buono da terra buona, noi città di fiume e di natura, noi luogo che investe su conoscenza, ricerca e giovani. In particolare, il turismo è molto cresciuto in questi anni nella nostra città, e uno dei mercati principali è proprio l'Austria. Abbiamo tanto da raccontare e tanto abbiamo da ascoltare e imparare. Perché lo scambio tra città, l’incontro di paesi, il confronto tra progetti e visioni culturali, fonda la convivenza tra i popoli, unisce l’Europa, rende vera e concreta la volontà di pace”, ha detto il Sindaco Gianluca Galimberti.

L’Ambasciatore d’Italia in Austria Stefano Beltrame ha celebrato il gemellaggio ideale fra le due città nel nome della Musica, dando il benvenuto alla delegazione di Cremona e al suo sindaco a Palazzo Metternich.

“Vienna è la capitale mondiale della musica classica grazie ai grandissimi compositori che qui hanno lavorato nel passato, alle sue grandi orchestre e ai suoi celebri teatri. Alcuni sono dei veri templi della musica come il Musikverein e lo Staatsoper e la Konzerhaus. Cremona è la capitale mondiale del violino e della liuteria, tra i più grandi liutai cremonesi figurano Stradivari, Amati e Guarneri del Gesù. Oggi la città preserva questa tradizione e la celebra con il suo ineguagliabile Museo del Violino. Mi piace ricordare che un legame diretto tra Vienna ed i violini di Cremona fu intessuto proprio dal Principe di Metternich, ammiratore ed amico di Rossini e che qui invitò il grande Paganini”, ha commentato l’Ambasciatore Beltrame.

“La risonanza 'universale' dei violini di Antonio Stradivari è stata fonte di ispirazione non solo per i violinisti e compositori del suo tempo, ma per i musicisti di ogni tempo. Nel programma eseguito a Vienna ho cercato di spiegare il 'perché' del genio di Stradivari e l’influenza che la scuola cremonese del ‘700 ebbe nella storia della musica. Un racconto musicale tradotto con l’esecuzione di vari brani che attraversano tre secoli di storia. Da Bach a Vivaldi, da Paganini a Sarasate, fino ad arrivare ai nostri giorni. Antonio Stradivari nel corso della sua vita di rado ha viaggiato: i suoi strumenti l’hanno fatto per lui, portando il nome di Cremona in tutto il mondo.  Presentare a Vienna, una delle capitali mondiali della musica, lo Stradivari ‘The Angel - Ex Madrileno 1720’, che ha proprio come missione quella di essere messaggero di arte, cultura e bellezza è, per me, un grande onore”, ha dichiarato il Maestro Fabrizio von Arx.

Cremona è una città dalle caratteristiche uniche per qualità e quantità di tradizioni, istituzioni e patrimoni legati all’arte dei suoni, con una storia che conta personaggi del calibro di Claudio Monteverdi, Amilcare Ponchielli, Antonio Stradivari, le famiglie Amati e Guarneri.

Il mondo della produzione musicale è ben rappresentato dal Teatro Ponchielli, dal Festival Monteverdi, da STRADIVARIfestival, e da una vivace realtà di spettacoli ed esecuzioni musicali.

Le scuole, i centri di formazione, le masterclass, le università e i centri di ricerca che ruotano intorno ai temi della ricerca musicologica, dell’apprendimento della pratica musicale e della costruzione di strumenti costituiscono un unicum già diventato Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità nel 2012. La comunità dei liutai, con il Comune, il Museo del Violino e il Ministero della Cultura è ora impegnata nella scrittura del Piano di Salvaguardia del Saper fare liutario tradizionale cremonese.

Festival Monteverdi

Il 16 giugno inaugurerà la 40esima edizione che prevede un nuovo allestimento dell’opera “Incoronazione di Poppea”, sotto la guida del maestro Antonio Greco, e si concluderà il 25 giugno con la presenza di Sir John Eliott Gardiner per il concerto di chiusura.

La 41esima edizione, prevista dal 4 al 23 giugno 2024, proporrà Opera, concerti e proposte insolite e sarà aperta alla città e al mondo.

Un ricco calendario che inaugurerà con l’opera monteverdiana per eccellenza, L’Orfeo, con una nuova produzione e un nuovo allestimento. La direzione musicale sarà curata dal Maestro Francesco Corti che dirigerà l’ensemble Il Pomo d’Oro.

STRADIVARI

festival

È la principale manifestazione concertistica del Museo del Violino, nata nel 2013 per attirare un pubblico internazionale di appassionati della grande musica attraverso una rassegna che celebri – in tutte le sue sfaccettature – lo strumento simbolo di Cremona, oltre a esaltare le straordinarie caratteristiche dell’Auditorium Giovanni Arvedi.  Nel prossimo mese di ottobre, dal 7 al 22, va in scena l’undicesima edizione e il cartellone prevede stelle del violino quali Midori, Daniel Lozakovich, Nurie Chung, Julian Rachlin, Gilles Apap, e il ritorno di un violoncellista cremonese, Giovanni Gnocchi.

Casa Stradivari

L’antica dimora riaprirà le sue porte il prossimo 4 luglio. Una data non casuale poiché fu proprio il 4 luglio 1667 che Antonio Stradivari fece ingresso nell’edificio di corso Garibaldi a Cremona, in cui allestì il suo primo laboratorio di liuteria.

Grazie al progetto di restauro e rilancio voluto dalla Fondazione Casa Stradivari, la dimora in cui visse e lavorò il geniale liutaio tornerà a nuova vita: sarà un centro di promozione culturale e artistica e accoglierà giovani artigiani per percorsi di formazione e specializzazione, legati ai temi della tutela della trasmissione del sapere tra scuola e bottega e del rapporto tra musicisti e liutai.


Museo del Violino

Al Museo del Violino è possibile ripercorrere cinque secoli di liuteria cremonese attraverso l'incontro diretto con i grandi Maestri - Amati, Stradivari, Guarneri, Rugeri - e i loro capolavori, seguendo una traccia equilibrata di arte e artigianalità, creatività e tradizione che, dalle botteghe tardo rinascimentali, giunge fino a oggi.

Una collezione unica al mondo, strumenti preziosi, da ammirare nelle sale e ascoltare in Auditorium Giovanni Arvedi, installazioni multimediali, incontri e concerti consentono a ogni visitatore di realizzare un percorso suggestivo e coinvolgente dove strumenti, suoni, profumi e immagini concorrono a dar forma a storia, sogni ed emozioni.

Fonte Comune di Cremona

In molti hanno scritto che la scomparsa della regina Elisabetta II d’Inghilterra, con le immagini e le dirette televisive del suo prolungato funerale, hanno suscitato un certo interesse, addirittura fascino nei confronti dell’istituto monarchico. Antonino Sala, collaboratore della prestigiosa Fondazione Thule di Palermo, in un post su facebook ha invitato a leggere il libro del professore Tommaso Romano, “La Tradizione Regale. Singolarità fra Autorità e Libertà”, Fondazione Thule Cultura (2021, e.30,00. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) Ho accolto l’invito, lasciando in sospeso un libro che stavo leggendo per dedicarmi completamente alla monumentale Summa del professore Romano, sulla Regalità presente nella storia delle Civiltà dell’uomo. Una regalità ora vilipesa da infime volgarità e sprofondamenti nel buio delle catene degli interessi solo mondani. Un testo di 313 pagine, suddiviso in due parti, la prima in cui si sviluppa il concetto di  regalità, nella seconda si dà spazio ad una serie di dieci saggi ed interventi, contributi che confermano la prospettiva attraverso le opinioni e le analisi di esperti studiosi sul tema. Gli interventi presenti sono di Ignazio E. Buttitta, Manlio Corselli, Fernando Crociani Baglioni, Pier Felice degli Uberti, Vincenzo Guzzo, Gennaro Malgieri, Carmelo Montagna, Roberto Russano, Antonino Sala, Primo Siena. Nel testo troviamo un’ampia bibliografia e un Florilegio della Regalità, un mosaico variegato di citazioni, massime, aforismi, di personalità più o meno note della cultura tradizionale e conservatrice. Approntare una recensione esauriente di “quest’opera è estremamente arduo,- scrive Carmelo Fucarino -  se non impossibile, sia per la sostanza dei temi trattati sia per la profonda acribia dell’indagine che si avvale della ricerca storica dalle prime comunità antropologiche alla recente codificazione storica e soprattutto filosofica, per il rigore logico nella sua sincronia e diacronia”.(Carmelo Fucarino, The Crown o se volete la Corona, 2.2.22, culturelite.com).

Nel proemio l’autore esplicita e definisce la reale dimensione ideologica del trattato: «La regalità è la bellezza manifestata dal Sacro che si protende al superiore, il mito dell’ordine, un radicamento nel simbolo, l’umana trascendenza che supera il solo divenire del singolo e la consegna dell’Assoluto, al tempo della vita».

Il professore chiarisce subito che la «regalità è l’incarnazione di un Principio che si incarna in un Re» e dal «riconoscimento della corretta Origine del potere sovrano, generato e codificato nel Rito sacro, nei Simboli, nel Mito che è sorretto dalla Grazia e dalla Volontà di Dio, con la decisa e laboriosa volontà e determinazione di guida pastorale del popolo, delle nazioni, perseguita e fondata sul primato dello spirituale e del conseguente Diritto Naturale».

Pertanto, per Romano, “Il re è il mediatore per eccellenza. In senso orizzontale: fra corpi costituiti, i gruppi di interesse, le funzioni, le fazioni, fra gli stessi individui. In senso verticale: fra il divino, a cui ogni regalità si richiama, e gli uomini sui quali essa si esercita”. Se smette di essere un mediatore,“smette di essere re e diviene un capobanda”. Ma il re è anche un arbitro e non un despota, equo decisore nell’equilibrio fra le parti. Al re bisogna accostare la figura del padre. Non è un caso che la rivoluzione trionfa con la decapitazione del Padre del Regno nel 1793. Un odio al Padre della Patria, nello stesso tempo muore anche la paternità insieme al suo stesso fondamento che è la famiglia, quella tradizionale. Romano su questo tema fa riferimento al professore Claudio Risè, che ha scritto interessanti libri sulla figura del padre e sulla sua “scomparsa” nella società di oggi.

"Era naturale che, per secoli, la Chiesa e i suoi fedeli abbiano ravvisato nel re un’immagine di Dio Padre, e in ogni regno un’immagine del regno”. Intanto precisa Romano che la parola "regno" compare innumerevoli volte nel Vangelo, e quando Gesù ci insegna la preghiera ideale, ci insegna a pregare per l’avvento di un regno, non di una legislatura.

Anche lo stesso matrimonio inteso come istituzione superiore e non solo frutto del sentimento. Lo sposo diventa l’icona del principe quanto la sposa come principessa. La Madonna, madre di Dio e Corredentrice, Ella è Regina del cielo, madre del Dio vivente, di Gesù Cristo. E’ la regina dei supplicanti, dei vinti, dei condannati, dei cristiani che combattono. Maria è anche la regina che trasmette la vita.

Il testo si sofferma sull’importanza del mito e della sacralità, facendo riferimento alla tradizione greca da Omero in poi, la sacralità del mito è indicata dalla forma biblica, quel David straordinario antenato di Gesù, alla millenaria tradizione dei faraoni. Ci sarebbe da rilevare l’archè divina del re orientali, indoeuropei e persiani. Lo sviluppo diacronico del concetto sintesi di Regalità e Sacralità trova nel testo un’analisi puntuale e particolare, passando dalle società note attraverso l’archeologia e i reperti e monumenti per passare alla storia da Atene, a Roma e Bisanzio nell’evidenza della sacra unzione. Nel testo si raccomanda che lo studio del passato va contestualizzato, va sempre visto non con la mentalità di oggi.

Romano in particolare rivaluta il lungo periodo dell’Impero Bizantino, denigrato arbitrariamente da certi storici come Edward Gibbon. “Ancora oggi la marginalizzazione della storia bizantina, in tutti i suoi domini, è palese in ambito storiografico, teologico e anche artistico [...]”. C’è qualche eccezione, fra queste spiccano Marta Sordi, Ilaria Ramelli, Franco Cardini. Ma soprattutto la colossale opera su Bisanzio, A Short History of Byzantinum del 1997, dell’illustre storico John Julius Norwich. Lo storico segnala la figura di Costantino il “Grande”, che in appena quindici anni, prese due decisioni epocali, ciascuna capace di mutare il corso della storia: “l’adozione del Cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero e il trasferimento della capitale da Roma alla nuova città eretta sul luogo dell’antica Bisanzio [...]”. Sempre su Costantino, Romano cita lo storico Alessandro Barbero, col suo monumentale studio, “Costantino il vincitore”, Salerno editrice (2016). Qui vengono analizzate “tutti gli aspetti della vita, delle imprese, della pace religiosa e delle realizzazioni multiformi [...] sulla rappresentazione del trionfo e della fede di costruzioni celebrative, di basiliche, caserme, palazzi, città [...]”. Un giudizio su Bisanzio è complesso, non mancarono ombre e crociate, invasioni e pure vassallaggi imposti. Un grande impero Romano d’Oriente nato l’11 maggio del 330 e finito il 29 maggio 1453, in quegli anni ottantotto tra uomini e donne hanno indossato la corona imperiale. Pochi furono quelli spregevoli, “i più furono sovrani coraggiosi, retti, timorati di Dio che, con maggiore o minore successo diedero il meglio di sé". Certamente la civiltà bizantina non merita il giudizio negativo che gli addossa Gibbon, “quella bizantina fu, al contrario, una società profondamente religiosa in cui l’analfabetismo, almeno tra le classi medio-alte, era praticamente sconosciuto, e in cui numerosi imperatori acquistarono fama per la loro erudizione”.

Interessante il capitolo del libro dove si affronta il rapporto tra Romanità e Cristianità. Romano lamenta un rinnegamento e una marginalizzazione della Sacralità e del Diritto Naturale per colpa della sferzante pretesa del laicismo secolarizzato nel frattempo egemone nella ricerca filosofica e teologica. Tuttavia per Romano sicuramente il cardine della civiltà occidentale e cristiana, è stata la sacralità, la monarchica e l’impero.

A questo punto è fondamentale comprendere che cos'è la romanità? Attenzione ci tiene a precisare Romano, qui ci interessa, “non il rapporto tra Gesù e Roma, ma tra Gesù e la Romanità”. Anche perché Gesù ha voluto nascere, crescere e morire sotto Roma, “Gesù si fissa in quel tempo come suddito di Roma. Ma non essendo un suddito qualunque bensì il Figlio di Dio, Gesù consacra una volta per tutte la Romanità”. Romano segnala anche la lettura dottrinale su Romanità e Cristianità che hanno fatto altri Autori come per esempio Augusto Del Noce e tanti altri. A questo proposito sono significative l’interpretazione che ne dà Attilio Mordini, con il suo “Tempio del Cristianesimo”, in particolare il quinto capitolo, riproposto abbondantemente nel testo di Romano, dove riconosce il grande lavoro dell’impero romano che ha ordinato a sé tutte le nazioni del mondo allora conosciuto. In questo modo Roma raccoglieva nel suo Pantheon i simulacri di tutte le divinità. Ma questo era un sincretismo, sarà successivamente il Cristianesimo a fare la vera unità. Il testo del professore Romano si concentra nell’approfondire l’origine del potere attraverso il diritto romano. Anche in questo caso i riferimenti agli studiosi che si sono occupati del tema, è straordinario a cominciare dallo stesso imperatore e pensatore Marco Aurelio. E poi il direttore e animatore de “La Tradizione”, Pietro Mignosi. Infine al professore Salvatore Riccobono Jr., continuatore fedele del grande romanista Salvatore Riccobono, Accademico d’Italia (1864-1958) che ha coraggiosamente polemizzato con i teorici del nazionalsocialismo a Berlino, non assencando per nulla l’antisemitismo nazista, rivendicando l’originalità del Diritto Romano, poi innervatosi nel Cristianesimo.

Interessante la breve scheda su “L’Ancien Regime”, dove si cita il prezioso opuscolo dottrinale di Sant’Alfonso Maria dé Liguori, “La fedeltà dei vassalli verso Dio li rende fedeli anche al loro Principe”, del 1777. In quest’opera il santo napoletano ha indicato diverse figure esemplari di Sovrani Cristiani: Costantino il grande, San Luigi IX, re di Francia, Santo Stefano, re di Ungheria, Sant’Etelberto del Kent, ma anche le Sante Sovrane, come Brigida Regina di Svezia e altri. Romano ricorda la Profezia sul Gran Monarca nelle Tradizioni dei Re Taumaturghi e la trascendenza del Principio Monarchico. Qui si pone l’attenzione sul mito del Gran Monarca che lotta contro l’Anticristo e che avrebbe liberato la Terra Santa dagli infedeli attraverso una solenne, mistica e gloriosa crociata. Per il giurista Pierre Dubois, il Gran Monarca era Filippo il Bello. Mentre Francisco Elias de Tejada lo attribuiva al re Filippo II di Spagna, come si evince nella succosa opera La Monarchia Tradizionale.

“Il tema del Gran Monarca - secondo Romano - è ancora vivo nel mito, nelle visioni mistiche, persino in alcuni, fra i molti, messaggi mariani, specie quelli di Fatima, in don Bosco e in san Pio da Pietrelcina”. In “La Tradizione Regale”, c’è anche spazio per la descrizione dell’antichissima sacralità dell’imperatore giapponese in un’epoca che ha avuta imposta la sua dissacralizzazione.  Il penultimo capitolo presenta il tema dei Totalitarismi: Comunismo, Nazismo, Democratismo e dittature salutiste. Qui si affrontano le ideologie che hanno occupato il secolo scorso, il Novecento. Tutti intendono costruire un mondo nuovo, che diventa un mito, ben descritto da Eric Voegelin. Apparentemente contrapposte le ideologie che hanno infiammato e insanguinato il Novecento, hanno tutte una struttura comune. “Evidentemente - scrive Romano - il contenuto dell’espressione ‘mondo nuovo’ varia secondo le ideologie. Identica però è la ‘speranza’ di una possibile redenzione affidata all’uomo nella storia, identica è la fede nella rivoluzione intesa come grazia santificante, identica è l’attesa del Regno.

Romano si attarda nel sottolineare la traduzione pratica dell’ideologia marxista nel sistema sovietico, del Partito Comunista al potere, e del suo braccio armato e repressivo di polizia, dell’esercito, del terrore, dei gulag. Veniva promessa la “felicità per tutti”, eretta lucidamente sullo sterminio, sul carcere, sulla repressione, il tutto con la complicità morale dell’Occidente, che non voleva ascoltare i dissidenti come Bukowski, Zinoiev, Sacharov e poi il lucidissimo profeta Alexander Solzenicyn con il suo Arcipelago Gulag. Si critica l’egemonia culturale gramsciana che dura ancora, con le tonnellate di volumi, pubblicazioni, giornali. Fa notare Romano che la ricca Fondazione Feltrinelli non dedicò mai una parola ai dissidenti e ai “confortevoli” gulag.

Attenzione il professore Romano ci mette in guardia: la dottrina totalitaria comunistica è tutt'altro che defunta. Non è facile smascherare i bavagli imposti. Oggi, “servirebbero élites consapevoli, minoranze attive determinate, che sappiano rispondere con libertà e con strumenti adeguati (culturali, mediali e politici) a un tale stato di cose, che è il frutto coerente dello spirito della modernità, postmoderno compreso”. Necessiterebbe una una visione di risorgenza, servirebbe una “superiore visione e un principio unificante della sovranità Regale (che non è sovranismo)”.

L’ultimo capitolo (Fra Sovranità e Sovranismo. Vere e false identità) si offrono dei chiarimenti sul tema dell’istituzione monarchica. Il professore critica un certo tradizionalismo, conservatorismo monarchico che “vive di un pur ammirevole lealismo e/o nostalgismo romantico, chiuso, troppo spesso, in un recinto ideale, rispettabile ma a volte asfittico, che appare inamovibile e infruttuoso”. La Monarchia non è un moloch immodificabile, come pretende di essere la Repubblica. Bisogna rileggere la Storia e la dinamica delle idee e soprattutto “qualunque revisione si deve legare alla contestualizzazione, pena l’esercizio acritico della ricerca e lo stravolgimento passatista [...]”. Attenzione a come viene narrata la storia, è inutile affannarsi a far giustizia, a condannare e assolvere. A certe sterili rivendicazioni territoriali, ai cosiddetti sudisti, sicilianisti,papalini, padani, tirolesi,nazionalisti beceri. “Il fatto non è teoria che, ovviamente, non esclude la Tradizione (che è il contrario della mummificazione della storia che è sempre in divenire, come è nella natura stessa), e che non è la contemplazione della cenere (Gomez Davila), quanto un fuoco perenne, vivo, permanente, che ogni soggetto umano sostanzia, propone e consegna, senza per questo doversi ergere a misura di tutte le cose”. Questo non esclude, come ci ha insegnato Renzo De Felice, la lettura critica, il revisionismo necessario. “Un acritico e anacronistico restaurazionismo è tanto sterile, quanto inutile o addirittura deleterio al singolo quanto alle ‘patrie’, che si vorrebbero affermare o riaffermare”.

Interessanti le riflessioni finali del professore palermitano sulle spregiudicate oligarchie falsamente democratiche oggi presenti a livello planetario, che “condizionano dolcemente, usando soprattutto la tecnica, i media, l’informatica unita alla cibernetica e alla chimica, verso l’inquadramento del corpo sociale, addestrato come il cane di pavlov”. Queste oligarchie hanno una grande capacità di manipolazione e sorveglianza, costruiscono “emergenze”, risolvendo ogni dissenso e ogni disobbedienza civile. L’impero del nostro tempo, scrive Romano è il grande fratello che già Huxley, Benson e Orwell ci avevano profeticamente prospettato, oggi imposto con un potente Bio-potere in mano a pochi. Non vogliamo apparire complottisti o esagerati, basta solo osservare e non spedire al capestro l’intelligenza in pericolo di morte, come la diagnosticava Marcel de Corte.

Concludo la mia sintesi incompleta all’importante testo di Romano con le parole dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II di Savoia: “La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. E’ un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla [...] non posso essere il capo di una fazione. O le circostanze mi permettono di essere il Re degli Italiani o preferisco essere un signore privato, un Italiano in esilio”.

 

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