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Giovedì, 02 Maggio 2024

I(r)rispettabili, il consenso sociale alle mafie

Copertina libro

 

Si è svolta a Roma presso la sala della Regina di Palazzo Montecitorio, nella sede della Camera dei Deputati, la presentazione dell'ultimo libro dell'ex sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, scritto stavolta a quattro mani con il collega magistrato Domenico Airoma (cfr. D. Airoma - A. Mantovano, I(r)rispettabili – Il consenso sociale alle mafie, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2013, Pp. 155, Euro 14,00). Introdotti dalla giornalista RAI Monica Maggioni, hanno preso la parola diverse personalità di alto profilo istituzionale tra cui il Comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli, il Capo della Polizia di Stato, prefetto Alessandro Pansa e Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia. Ha preso per primo la parola Gallitelli, il quale ha sottolineato, in particolare, che il libro ha il “grandissimo merito” di fotografare uno dei fenomeni criminali storicamente più pervasivi nel nostro Paese (a livello di criminalità organizzata) identificandone a fondo il tipo di consenso sociale trasversale (dalla copertura dei latitanti alla gestione delle società sportive, dall'uso strumentale delle devozioni popolari alle canzoni apologetiche dei mafiosi, fino alla raffigurazione scenica degli stessi mafiosi nelle fiction) che per primo ne garantisce l’esistenza e la diffusione nell’entroterra dei posti più impensati. Tale consenso nasce anzitutto dal forte radicamento sul territorio “che è all’origine della ricchezza” delle differenti mafie nostrane (Cosa Nostra, N’drangheta, Camorra, Sacra Corona Unita) e nella fattispecie da fenomeni “parassitari capillari comeil pizzo’” tramite cui in molte aree le organizzazioni criminali iniziano la loro penetrazione e il successivo predominio economico (che diventa in breve aggressione quasi 'regolamentata', oltre che reiterata) verso le zone in cui poi proliferano. Le mafie, inoltre, a loro volta, “sfruttano la subcultura del degrado” sedimentata sul territorio che spesso trovano a livello popolare e ne manipolano ad arte gli aspetti più irrazionali e primitivi. E tuttavia la sfida si può vincere per Gallitelli facendo leva anzitutto sui buoni esempi di 'resistenza civile' che comunque ci sono ancora, sulle buone pratiche riscontrate – imitando anche i più recenti successi di cooperazione tra magistratura e forze dell'ordine, ad esempio nelle aree siciliane e campane – e in definitiva facendo leva sul senso naturale di responsabilità che ciascuno possiede e che ci fa dire che in quanto persone, prima ancora delle nostre scelte professionali e familiari, pubbliche e private – anche e persino in tempi di relativismo etico - siamo tutti degli “esseri morali”.

A seguire ha preso la parola Pansa che ha invece messo in evidenza il cambiamento di costume e di pensiero nella società civile seguito alle stragi di Palermo del maggio e luglio 1992 (in cui furono uccisi i due celebri magistrati antimafia Giovanni Falcone (1939-1992) e Paolo Borsellino (1940-1992)): è allora infatti che il “tifo contro” delle piazze siciliane storicamente più indifferenti e colluse si è trasformato in “tifo a favore” dando origine a una stagione di iniziative per la legalità, civili e culturali insieme sul territorio che contribuiranno anche a un inatteso cambio di mentalità. Oggi per Pansa bisogna lavorare principalmente sui luoghi di aggregazione e formazione giovanile come la scuola, l'ambito religioso e lo sport dove avvengono le prime, decisive (e spesso collettive) scelte radicali per il bene o per il male. Sono questi i settori da cui ripartire per iniziare a cambiare nel profondo le società dove le mafie hanno più consenso, a partire anche dagli esempi dei veri e propri martiri che pure nel frattempo non sono mancati, come don Pino Puglisi (1937-1993), il sacerdote palermitano assassinato da Cosa Nostra il giorno del suo cinquantaseiesimo per il suo infaticabile impegno di lotta alla mafia, beatificato appena lo scorso maggio, o il magistrato di Canicattì Rosario Livatino (1952-1990) assassinato dalla Stidda agrigentina (un’altra ‘storica’ organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra) di cui pure è stato avviato il processo il beatificazione. Infine, a conclusione della giornata, è intervenuto il Procuratore Roberti che ha messo in evidenza come “le mafie [contrariamente a quello che spesso si pensa] non siano unemergenza, ma un elemento costitutivo della nostra società”. Lo si vede bene dall’esteso controllo del territorio, della politica locale e pure di alcuni settori dell’economia (con intere aziende controllate dalla malavita, dal vertice alla più bassa manovalanza) che caratterizzano ordinariamente la presenza delle mafie, principalmente nel Mezzogiorno, ma non solo. Andando più a fondo, si vede che le mafie offrono poi un intero ‘sistema di servizi’ alla popolazione, alla stregua di una vera e propria associazione solidaristica: prima di tutto con la protezione (che può diventare raccomandazione, o segnalazione, sul luogo di lavoro, o anche direttamente assunzione nei casi delle aziende controllate dalle mafie di cui si diceva prima), poi con la sicurezza personale, la giustizia ‘alternativa’ (quando quella dello Stato, come accade oggi, spesso non funziona), quindi gli aiuti alle imprese (particolarmente nei periodi di crisi e di restrizione del credito da parte delle banche), insomma una vera e propria attività di ‘previdenza sociale’ o ‘welfare parallelo’ che così facendo supplisce all’assenza delle strutture dello Stato o della stessa società civile e genera un crescente consenso sociale proprio perchè viene incontro alle esigenze immediate della popolazione più debole e disagiata non soddisfatte dalle strutture deputate della res publica. Per sconfiggerle, quindi, a detta di Roberti la prevenzione, la formazione e la cultura a valle sono importanti ma non bastano, occorre rilanciare l’occupazione con programmi mirati nelle aree più colpite dalla criminalità mafiosa e anche fare una scelta di campo decisa da parte dello Stato (“la mafia deve diventare una priorità”) nell’azione di governo in modo che la battaglia della giustizia a tutto campo non abbia limiti di spese né di risorse, o uomini, da impiegare. Infine, e soprattutto, fare in modo che i procedimenti giudiziari ordinari funzionino e non facciano venire mai meno la certezza della pena.

Una sottolineatura, quest’ultima, ripresa anche dai due autori, Mantovano e Aroma, che intervenendo per ringraziare tutti i partecipanti alla presentazione, hanno messo in luce che pochi eroici magistrati non bastano più: ne servono tanti, formati e preparati, e che siano sempre sostenuti nella loro azione quotidiana, dai colleghi, come dalla società civile e dallo Stato. Anche e soprattutto nella lotta contro le mafie è l’unità d’intenti di un intero popolo che contribuisce a fare la differenza, e in definitiva a vincere la guerra, persino quando tutto il contesto e le circostanze esterne, a volte, possono spingere a far credere il contrario.

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