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L'offensiva di Erdogan scattata mercoledì nel Nord-Est della Siria contro i curdi, ritenuti da Ankara "terroristi", ha registrato la prima vittima tra le file turche. Il ministero della Difesa di Ankara ha confermato che un soldato turco è morto mentre altri tre sono rimasti feriti nel Nord della Siria durante l'"operazione Fonte di pace".

Il ministero ha dichiarato che il militare è morto durante gli scontri con i "terroristi" curdo-siriani delle Ypg, le Unità di protezione del popolo. "Il nostro fratello d'armi è caduto da martire il 10 ottobre in uno scontro contro i terroristi delle Ypg nella zona dell'operazione 'Fonte di Pace'". I miliziani curdi "neutralizzati" secondo lo stesso ministero turco sono 227. La Bbc riporta che sono almeno 11 i civili uccisi.

 L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, ha riportato che l'avanzata turca sta proseguendo lentamente attorno alle due località chiave di Tall Abyad e Ras al Ayn, nel settore centrale della frontiera tra Siria e Turchia. Per il momento, spiega l'Ong, undici località minori sono state conquistate dalle forze turche e dalle milizie arabo-siriane ausiliarie nel nord-est della Siria

Dopo che - secondo l'Osservatorio dei diritti umani in Siria - in meno di 24 ore oltre 60mila persone hanno lasciato le loro abitazioni al confine, il secondo giorno delle operazioni turche in Siria, in una giornata chiara e soleggiata, continua a concentrarsi sui due villaggi di Ras al-Ayn e di Tell Abyad, già colpiti nelle prime ore dell’attacco scattato nel pomeriggio di mercoledì e annunciato con un tweet dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Un’azione motivata dal Sultano con l’obiettivo di portare almeno 2 dei 3,6 milioni di profughi siriani ospitati in Turchia verso la loro terra. Il risultato di questo programma di ingegneria demografica è per ora la creazione di nuovi rifugiati. Donne e bambini, in maggiorparte, visti fuggire dai centri abitati per ripararsi dagli attacchi portati dai caccia e dall’artiglieria. E a chi parla di "invasione" o "occupazione", Erdogan ha risposto: "Apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati siriani e li manderemo da voi", aggiungendo che "109 terroristi curdi" sarebbero già stati uccisi.

Siamo scioccati e delusi dalle dichiarazioni del governo italiano". È la dichiarazione rilasciata dall'ambasciatore turco in Italia, Murat Salim Esenli. Con l'operazione militare nel nord della Siria, "stiamo difendendo le frontiere turche, ma anche quelle della Nato e dell'Ue, e vogliamo ricordare questi aspetti a tutti i nostri alleati", ha sottolineato, rispondendo così a distanza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al premier Giuseppe Conte che avevano giudicato inaccettabili i ricatti del presidente turco Erdogan di scatenare una invasione di migranti in Europa. Intanto, proprio Bruxelles sarebbe pronta a sanzionare Ankara. Ad annunciare il piano è stata la viceministra per gli Affari europei francese, Amelie de Montchalin, ai microfoni di France Inter, sottolineando che "non si può rimanere impotenti di fronte a una situazione scioccante per i civili, per le forze siriane per 5 anni al fianco della coalizione anti-Isis, ma soprattutto per la stabilità della regione", mentre Tusk ha ribadito che "non accetteremo che i rifugiati siano usati come arma per ricattarci".

Il “grande Kurdistan” è sempre stato un sogno. Niente di più. Anche quando una piccola parte di esso, il Kurdistan iracheno, aveva osato indire un referendum, il 25 settembre 2017, votando un’indipendenza dall’Iraq che non è mai avvenuta. Anzi, che ha decisamente peggiorato le cose rispetto a prima a causa dell’aperta opposizione di Iran, Iraq, Turchia, ma anche del mancato appoggio di Stati Uniti ed Europa. Nessuno voleva il Kurdistan iracheno. Nessuno pare volere un Kurdistan siriano indipendente. Soprattutto la Turchia. Ankara teme che un simile scenario possa rinvigorire le aspirazioni secessioniste degli oltre 20 milioni di curdi presenti sul suo territorio.

Il popolo curdo - 35-40 milioni - è forse il più grande gruppo etnico senza uno Stato, sparso su un territorio montagnoso che abbraccia Turchia, Siria, Iraq e Iran. Dalla scoppio della rivolta contro il regime siriano, nel marzo 2011, il Rojava, così come i curdi siriani (il 10% della popolazione) chiamano la zona dove abitano nel nord est della Siria, è divenuto di fatto autonomo. È qui che ieri è scattata la campagna turca volta a creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine.

Il primo grande tradimento risale al 24 luglio 1923, a Losanna quando le grandi potenze si rimangiarono quanto promesso tre anni prima in un trattato che gettava le basi per la creazione a uno Stato curdo indipendente. La storia successiva è costellata di tentativi di indipendenza, abbozzati o riusciti, come la Repubblica di Mahabad , fondata in una piccola regione del Kurdistan iraniano il 22 gennaio 1946. Un primo tentativo di autonomismo curdo a cui tutte le potenze alleate voltarono le spalle. E a cui Teheran pose fine dopo 11 mesi. 

"Mi spaventa il silenzio di questo governo sull'attacco militare della Turchia contro la Siria, ordinato via tweet da Erdogan". Così, Matteo Salvini , aveva esposto le sue preoccupazioni a Tgcom24, sottolineando la paura di vede una guerra locale trasformarsi in una guerra mondiale: "Il salto è breve", aveva avvertito.

E in tutto questo, il governo italiano, si chiede il leader della Lega, "cosa dice e cosa fa?". La guerra in corso tra Turchia e Siria, infatti, potrebbe avere conseguenze che "potrebbero riguardarci direttamente, con milioni di persone scappate dalla Siria che si trovano alle porte di casa nostra, e cosa dice il presidente del Consiglio? Cosa dice il ministro degli Esteri? Sosteniamo questo atto di guerra?". 

Ma il leader del Carroccio non si ferma qui e incalza: "Dove sono Conte e Di Maio? Possiamo dire no a questo atto di guerra che rischia di essere un crimine?". L'Italia, continua Salvini, dice no "alla Tav, al Tap, alla Gronda e poi scoppia una guerra non lontano da casa nostra ed è il silenzio".

Infine, Salvini precisa: "Noi, a differenza di Conte e Di Maio, non vogliamo essere complici delle stragi di Erdogan". Per questo lancia un appello, per "sospendere immediatamente ogni forma di finanziamento, italiano ed europeo, alla Tur
Nesrin Abdullah, comandate delle Unità Femminili di Protezione Popolare parla all’indomani dell’inizio dell’offensiva turca. «Nessuno si fidi più di Trump»

«Ci stanno attaccando. dichiara al Corriere della Sera Nesrin Abdullah
Sono in corso vergognosi bombardamenti. Noi curdi siamo pronti, ci difenderemo in ogni modo». È più determinata che mai Nesrin Abdullah. Comandante di spicco e portavoce delle Unità Femminili di Protezione Popolare (o Ypj), prospetta una «resistenza accanita, fondata sulla guerriglia».

Come potete far fronte a uno dei più potenti eserciti della Nato ?domanda il collega del Corriere alla Nesrin Abdullah «Lo sappiamo bene, quello turco è un esercito molto potente, addestrato, dotato di armi sofisticate. Ma noi curdi siamo abituati a combattere contro nemici più forti. Abbiamo 600 chilometri di confine in comune con la Turchia, un territorio dove è facile applicare le tecniche della guerriglia. Comunque non abbiamo scelta. Erdogan vuole creare una fascia di sicurezza profonda una trentina di chilometri. Ma nella realtà vorrebbe eliminare la nostra presenza organizzata. In passato abbiamo resistito ben 58 giorni prima di abbandonare alla furia criminale turca la piccola enclave di Afrin».

Ricevete aiuti militari? «No. risponde Nesrin Abdullah Siamo soli contro le mire neo-ottomane di Erdogan».Trump minaccia di strangolare l’economia turca. Gli crede?«Trump ha commesso un errore gravissimo nel ritirare le truppe dal confine. Anche se erano solo poche decine di uomini, rappresentavano una deterrenza simbolica. Toglierle è apparsa come una luce verde per Erdogan. Adesso le sue minacce d’embargo economico non servono. L’attacco va bloccato prima che avvenga, non punito dopo».

Come spiega il ritiro degli americani? domanda il Corriere la comandante «Vogliono proteggere i loro interessi e migliorare i rapporti con la Turchia. Sono pronti a sacrificarci, anche se noi siamo stati l’alleato più fedele nella lotta contro Isis. In fondo speriamo però ancora ci ripensino. In caso contrario, passeranno come traditori, come alleati inaffidabili per tutto il mondo. Ci lasciano nel momento del bisogno. Nessuno si fiderà più di loro»

Tradimento. Agli occhi dei curdi siriani il ritiro dei soldati americani dalla Siria settentrionale, annunciato domenica sera dal presidente americano Donald Trump - una sorta di semaforo verde all’invasione militare iniziata ieri dall’esercito turco - appare l’ennesimo voltafaccia di un grande potenza ai danni di un alleato considerato sempre troppo piccolo e scomodo. La storia dei curdi è la storia di grandi illusioni seguite da delusioni cocenti.

I piloti miliari sono una risorsa preziosa nelle guerre moderne. Addestrarli a volare sugli aerei da caccia, al combattimento e all’impiego di nuove tecnologie sempre più sofisticate, è un’attività molto complessa e estremamente dispendiosa, che richiede anni e numerose risorse. E dover rinunciare a loro a causa di un “tentato” golpe militare rappresenta un’enorme spreco di denaro. Senza contare che può arrivare a costringere a terra buona parte di una forza aerea. Questo è il caso dell’aeronautica turca, già sottoposta al congelamento della commessa per gli F-35 americani, che ora si trova a dover far fronte a un altro grave problema: molti dei suoi piloti sono finiti in carcere dopo il golpe militare che nel 2016 intendeva rovesciare il governo islamista del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Secondo quanto riportato dalla rivista National Interest, attualmente la forza aerea della Turchia potrebbe a malapena tenere in aria i suoi caccia F-16. E se “in nome della politica” vengono eliminati i migliori piloti, i “migliori aerei da combattimento” non servono a niente. A meno che non si tratti di “droni”..

 

 

 

Le forze armate di Ankara, non hanno ancora attraversato il confine turco-siriano,ma, sottolinea il capo della comunicazione della Presidenza di Ankara, Fahrettin Altun, "l'esercito turco, insieme all'Esercito siriano libero, attraverserà a breve il confine turco-siriano".

Le forze armate turche hanno effettuato pero attacchi contro il confine tra Siria e Iraq durante la notte per impedire alle forze curde di rafforzarsi in Siria nord-orientale, mentre Ankara si prepara a lanciare un'offensiva proprio in quella zona. «Uno degli obiettivi fondamentali era quello di interrompere prima dell’operazione in Siria la rotta di transito tra Iraq e Siria», ha detto a Reuters un funzionario della sicurezza turca. «In questo modo, il transito del gruppo in Siria e le linee di supporto, comprese le munizioni, vengono interrotti». Non è ancora chiaro quale danno sia stato causato o se ci siano state vittime.

L'Osservatorio precisa che i bombardamenti di artiglieria si sono verificati nella notte nella località di Ayn Issa, lungo il confine tra Turchia e Siria, e nella località di Minnagh, tra Aleppo e la frontiera turca.  

I militanti curdi dell'Ypg ha aggiunto Altun hanno due opzioni: 'possono disertare oppure noi dovremo fermarli dall'interrompere i nostri sforzi di contrastare l'Isis'. Parlando dell'imminente offensiva oltreconfine che sta preparando, la Turchia fa sapere che proseguono i trasferimenti verso la frontiera.  

Quando nel 2016 avviene la vera svolta nel conflitto in Siria, Bashar Al Assad mette in conto di perdere una parte del territorio settentrionale. Sono le settimane quelle che seguono il fallito golpe in Turchia, Erdogan si sente tradito da un occidente che, a senso suo, non lo difende abbastanza e dunque decide di virare verso la Russia. Iniziano gli incontri di Astana, vengono imbastiti tavoli diplomatici dove viene creata un’inedita convergenza tra Mosca, Ankara e Teheran. Erdogan rinuncia, anche se non ufficialmente, al progetto di destituzione del presidente siriano, ma teme due elementi in particolare: una nuova emergenza migratoria e, soprattutto, il rafforzamento dei curdi lungo il confine con la Turchia. Questi ultimi infatti avanzano contro l’Isis e guadagnano terreno: secondo Erdogan, si tratta di milizie legate al Pkk, il partito curdo di Turchia considerato come un’organizzazione terroristica.

Erdogan controlla, direttamente od indirettamente, una fascia di territorio siriano che va da Afrin fino a Manbji. In alcune di queste province, le scuole sono già gestite da personale turco, l’università di Gaziantep è in procinto di aprire alcune facoltà, un’annessione in piena regola de facto già accettata dai principali attori impegnati in Siria. Questo gli consente di avere una zona cuscinetto in grado di allontanare possibili contatti tra curdi siriani e Pkk, oltre che ad ospitare un gran numero di migranti siriani attualmente in Turchia. 

Per completare il suo progetto, illustrato pochi giorni fa con tanto di cartina geografica in mano, gli serve il nord della regione che i curdi identificano con il nome di Rojava. Come sottolinea Giordano Stabile su La Stampa, possibile che Erdogan pensi ad una sorta di “Cipro del nord” poco oltre il confine siriano. Con la scusa di dover alleggerire il peso migratorio dovuto ai tre milioni di siriani che vivono ancora in Turchia, il presidente potrebbe qui impiantare villaggi e paesi con cittadini siriani sunniti. In questo modo, i curdi diventerebbero minoranza e si sposterebbero più a sud ed Erdogan, dal canto suo, sistema i profughi che ha ancora in casa ed annette un’altra zona della Siria.

Il piano di Erdogan nel nord della Siria è chiaro da tempo. Il presidente turco mira a creare una “zona cuscinetto” al confine meridionale. Il “Sultano” ha fatto capire in diverse occasioni che non avrebbe ceduto nella sua rivendicazione. Ha minacciato l’Unione Europea di “aprire le porte” ai profughi siriani (la Turchia ospita oltre 3,5 milioni di rifugiati) e, in un messaggio rivolto agli Stati Uniti, ha detto di essere pronto ad agire da solo se Washington avesse continuato a rallentare il suo progetto. “Se non ci saranno risultati dal negoziato con gli Stati Uniti sulla formazione di una zona sicura – ha affermato Erdogan pochi giorni fa – inizieremo i nostri piani tra due settimane”. Per il presidente turco, quindi, il tempo è scaduto e le sue truppe sono pronte a sferrare l’attacco

Il secondo scopo della Turchia è consentire il ritorno in patria di almeno 2 milioni di rifugiati siriani. Da mesi, la questione dell’accoglienza dei profughi infiamma il dibattito politico. Con la “ricollocazione” di centinaia di migliaia di disperati in fuga dalla guerra, Erdogan pretende dare una risposta ai turchi allarmati dalla grave crisi economica che sta attraversando il Paese. “Dobbiamo prenderci cura della sicurezza delle nostre frontiere e assicurarci che i rifugiati siriani tornino alle loro case in modo sicuro e volontario”, ha dichiarato Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco.

Di fronte all'imminente invasione turca, i curdi siriani sono pronti alla “guerra totale”. “Risponderemo a qualsiasi tipo di attacco”, ha detto Dalbr Issa, comandante delle Ypg. “Le forze democratiche curde sono nate per difendere il nostro popolo. Come abbiamo risposto all'Isis sarebbe lo stesso anche contro un attacco dello Stato turco”. Al di là della prevedibile risposta armata, è in corso una mobilitazione di civili nelle città di Ras al-Ain, Tal Abyad e Kobane lungo il confine. “Saranno scudi umani per impedire l’avanzata turca”, ha detto Arin Sheikhmous, un attivista di Qamishli, dove in centinaia hanno manifestato fuori dall'ufficio delle Nazioni Unite. Oltre ad un nuovo disastro umanitario, in una regione che non conosce pace da oltre otto anni, a preoccupare è anche una possibile rinascita del fanatismo dello sedicente Stato islamico. “Un'invasione da parte delle forze turche – affermano i curdi – creerà circostanze che permetteranno all'Isis di riorganizzarsi e commettere crimini contro l'umanità, diventando ancora una volta una minaccia per tutto il Medio Oriente, l'Europa e il mondo causando morte e distruzione indicibili e costringendo milioni di persone a fuggire dalle loro case diventando rifugiati”.

"I militanti (curdi) dell'Ypg hanno due opzioni: possono disertare oppure noi dovremo fermarli dall'interrompere i nostri sforzi di contrastare l'Isis", ha aggiunto Altun, che ha pubblicato sul Washington Post un commento per esprimere il punto di vista del governo di Recep Tayyip Erdogan sull'imminente offensiva oltre confine. "Il mondo deve sostenere il piano della Turchia per la Siria nordorientale", è il titolo del suo editoriale sul quotidiano americano.

Intanto, citando fonti locali, l'Osservatorio nazionale diritti umani in Siria fa sapere che una serie di raid di artiglieria sono stati compiuti dalla Turchia nelle ultime ore su basi curdo-siriane nel nord della Siria, a est e a ovest dell'Eufrate.

La decisione di Trump ha comunque spiazzato la diplomazia internazionale oltre a creare malumori fra le file del suo stesso partito. Fronde del partito repubblicano accusano Trump di aver «sacrificato» un alleato prezioso e minato la credibilità della politica estera statunitense. Allo stato attuale, Trump ha dichiarato che gli Stati Uniti «si terrebbero fuori» in caso di attacchi della Turchia ai curdi, minacciando però via tweet di «distruggere l’economia curda» nel caso Erdogan si spinga troppo oltre. Il Pentagono sta escludendo la possibilità di convincere la Turchia ad abbandonare i suoi progetti di invasione del nord della Siria. La lira turca è colata a picco in seguito alle turbolenze politiche, evidenziando il timore degli investitori per un crollo dell’economia nazionale in caso di escalation belliche in Medio Oriente.

«Si comporta come Obama, in Siria fa quello che il suo predecessore ha fatto in Iraq,e abbiamo visto quanto siano state disastrose le conseguenze». Così il senatore Lindsey Graham, repubblicano come Trump, attacca il suo presidente e dà voce a quella parte del partito americano che sostiene Trump ma non è d’accordo con la sua decisione di lasciare che i turchi invadano il Nord est della Siria.

 

 

 

 

"Se la Turchia farà qualcosa che io, nella mia grande e ineguagliata saggezza, considererò oltre i limiti, distruggerò totalmente l'economia della Turchia l'ho già fatto!". Così il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha provato a 'rassicurare' i tanti critici, anche negli Stati Uniti, che considerano sbagliata la sua decisione di lasciare il Nord della Siria, dove la Turchia ha intenzione di attaccare i curdi.

Donald Trump pero non solo “scarica” i curdi, ma dà una precisa indicazione su quali sono le pietre angolari della sua agenda estera. Sia per quanto riguarda la Siria che per quanto riguarda altre crisi che in tutto il pianeta coinvolgono (direttamente o indirettamente) gli Stati Uniti.

La serie di tweet con il cui il capo della Casa Bianca ha definito il suo piano per il ritiro dallo scenario siriano è un messaggio che racchiude quanto già detto in questi anni di presidenza Trump per descrivere l’idea di politica estera dell’attuale amministrazione americana. 

L’idea per cui Washington non sente la necessità di confermare il suo essere “guardiano” delle crisi di tutto il mondo, ma esclusivamente garante dei suoi stessi interessi nella maniera più rapida e incisiva possibile. Nessun coinvolgimento nella crisi se non per necessità. E soprattutto patti chiari con i suoi alleati prima ancora che con i nemici. Trump può scendere a patti con chiunque (come dimostrato con gli accordo con Kim Jong-un) ma allo stesso tempo può cancellare o escludere accordi con i suoi partner più consolidati. Tutto in base a interessi effettivi e presenti, non in base a eredità del passato che per la Casa Bianca sono fardelli da eliminare il prima possibile: siano esse alleanze o guerre.

Del resto il messaggio successivo al semaforo verde verso Erdogan è stato di una chiarezza cristallina: “Come ho già detto in precedenza, e solo per ribadire, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia grande e insuperata saggezza, considero off limits, distruggerò e cancellerò totalmente la sua economia l’ho già fatto prima!”. Una minaccia chiara.

In molti hanno definito scrive il giornale questa mossa di Trump come un “regalo” a Vladimir Putin e Bashar al Assad. Difficile dirlo: l’ingresso della Turchia nel nord della Siria potrebbe anche scatenare l’ira di Damasco, che si vede una parte del proprio territorio occupata da forze nemiche. Così come non va sottovalutato il fatto che se da un lato Israele vedrebbe colpita in parte la strategia di Assad, dall’altro lato vede avanzare Erdogan e la sua leadership in Medio Oriente. Ma anche questo è Trump. Un continuo dinamismo teso a scolpire i soli ed esclusivi interessi della sua amministrazione. America (e Trump) First, prima di ogni cosa.

L'artiglieria turca ha colpito nella notte la regione nord-orientale siriana al confine con l'Iraq. Lo riferisce la Sana, l'agenzia governativa di Damasco, che mostra foto e video dei bombardamenti avvenuti nei pressi del valico frontaliero di Simalka, tra Iraq e Siria, e corridoio vitale per i rifornimenti militari e logistici della Coalizione anti-Isis a guida Usa e per le forze curdo-siriane. Questa notizia non ha trovato conferma da parte turca né dalle autorità curdo-siriane.

le truppe alla frontiera sono ferme. Trump ha minacciato «serie conseguenze» e «grossi problemi per l’economia turca» se militari Usa venissero coinvolti e feriti nell’operazione dei terra che Ankara sta per lanciare e se il presidente turco Rece Tayyip Erdogan andasse «oltre i limiti» nei confronti dei curdi. Nella notte il Pentagono ha ridimensionato il ritiro annunciato dal presidente americano: soltanto «50-100 soldati» saranno spostati dal confine «ad altre basi», a quanto pare sempre nel Nord-Est della Siria.

Intanto la Turchia risponde agli Usa "non cediamo alle  minacce di nessuno".  "Il nostro messaggio alla comunità internazionale è chiaro. La Turchia non è un Paese che agisce sotto minaccia". Lo ha detto il vicepresidente turco, Fuat Oktay, riferendosi alle parole di Donald Trump su eventuali choc all'economia turca in caso il governo di Recep Tayyip Erdogan superi "i limiti" nell'imminente operazione militare contro le milizie curde dell'Ypg nel nord-est della Siria. Quando si tratta della sua "sicurezza, la Turchia segue la propria strada" e lo fa "a qualunque prezzo", ha aggiunto Oktay, intervenendo a una cerimonia di apertura dell'anno accademico ad Ankara.

"La Turchia continuerà anche a combattere contro Daesh (l'Isis) e non gli permetterà di tornare in ogni forma". Lo ha scritto su Twitter Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, replicando così alle accuse delle milizie curde Ypg del nord-est della Siria su una possibile liberazione di miliziani jihadisti dopo che Ankara prenderà il controllo dell'area. "La Turchia sostiene l'integrità territoriale e l'unità politica della Siria. Non è interessata a un'occupazione né a un cambiamento demografico. 

Il Pkk/Ypg lo ha fatto nel nord-est della Siria. È ora di correggerlo. La Turchia combatte contro un'organizzazione terroristica che ha anche ucciso e oppresso i curdi", ha scritto inoltre Kalin, sostenendo che "la safe zone servirà due scopi: mettere al sicuro i confini della Turchia eliminando gli elementi terroristici e permettere ai rifugiati di tornare a casa".

L’Iran è contrario all’operazione turca nel Nord-Est della Siria. Il ministro degli Esteri Jawad Zarif ha chiamato il collega turco Mevlut Cavusoglu per esprimere la netta opposizione all’ingresso delle truppe di Ankara sul territorio siriano. Zarif ha ribadito il sostegno “all’integrità territoriale della Siria” e che sottolineato che nella “lotta al terrorismo” è essenziale “la stabilità della Siria”.

La presa di posizione di Zarif segna un’incrinatura nel cosiddetto patto di Astana che dovrebbe definire gli assetti futuri della Siria. Teheran non vuole che parti del Paese vengano di fatto annessi alla Turchia e punta a un accordo fra Assad e i guerriglieri curdi delle Ypg, finora sostenuti dagli Stati Uniti e considerate una "organizzazione terroristica" dalla Turchia, per riprendere il controllo dei territori nord-orientali.

Teheran è il principale alleato del presidente siriano Bashar al-Assad, pilastro dell’asse “della resistenza” che comprende anche le milizie sciite libanesi e irachene. I consiglieri dei Pasdaran, assieme ai combattenti di Hezbollah e iracheni, hanno permesso al raiss di restare al potere, ancor prima dell’intervento russo. L’Iran si è poi allineato all’asse fra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan ma non ha mai visto di buon occhio l’espansione turca nel Nord della Siria.

Intanto la Turchia invia truppe e blindati nelle città lungo il confine con la Siria La Turchia ha inviato truppe e mezzi blindati nelle città di Sanliurfa e Kilis, al confine con la Siria. Lo ha riferito l'agenzia Anadolu, secondo quanto riporta la Dpa. Stando ai media ufficiali turchi l'obiettivo è rafforzare le postazioni militari turche lungo la frontiera con il Paese arabo. 

"Risponderemo a qualsiasi tipo di attacco, ci difenderemo. Come forze democratiche curde ci siamo fondati per questo, difendere il nostro popolo. Come abbiamo risposto all'Isis sarebbe lo stesso anche contro un attacco dello Stato turco". Lo ha detto Dalbr Issa, comandante delle Ypg, la milizia curda nel nord della Siria. Se la Turchia invaderà il nord della Siria la coalizione internazionale avrà compiuto il suo tradimento, ha aggiunto Issa, a margine di un'audizione alla Camera dei deputati. 

"La comunità internazionale all'inizio ci ha dato un supporto per combattere l'Isis", con "aiuto logistico e motivazione. Se lo Stato turco verrà lasciato libero di invadere però potremmo parlare di tradimento; vorrà dire che la coalizione non voleva veramente proteggere la pace e la democrazia, la libertà di tutti i popoli, ma solo gli interessi di alcuni Stati alleati". Poi: "L'Italia si faccia portavoce presso la Nato, l'Unione Europea e le Nazioni Unite per trovare una soluzione democratica, pacifica e giuridica alla questione curda nell'ambito di una conferenza di pace internazionale".

La Francia esorta la Turchia ad astenersi da qualsiasi operazione militare dopo il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria. A detta del portavoce del ministero degli Esteri di Parigi, il ritiro delle forze Usa finirà per contribuire alla rinascita dell'Isis, tanto che la Francia chiede che si continui ad assicurare la detenzione dei foreign fighters nei campi controllati dai curdi nel nord-est del Paese. "Chiediamo alla Turchia di evitare un'iniziativa che vada contro gli interessi della coalizione globale contro lo Stato Islamico", afferma il portavoce, aggiungendo che la "detenzione sicura" dei jihadisti europei è un "imperativo di sicurezza". Il riferimento è alla presa di posizione della Casa Bianca, che suggerisce il loro trasferimento sotto la "responsabilità turca". In una nota diffusa dal ministero, la Francia si dice "molto preoccupata in merito alle informazione relative ad una eventuale operazione militare unilaterale della Turchia nel nord-est siriano". 

Secondo Parigi, "qualunque azione unilaterale potrebbe avere delle conseguenze umanitarie importante non permettere di creare le condizioni necessario al ritorno sicuro e volontario dei rifugiati nelle loro regioni d'origine". Per quello che riguarda l'Isis, è la valutazione della diplomazia francese, "in Siria l'organizzazione dispone ancora di risorse e di capacità d'azione importanti". 

"La Francia - conclude la nota - è in stretto contatto con i suoi partner europei in materia, nonché con i suoi partner nella coalizione globale contro lo Stato islamico". Ankara: per operazione non possiamo aspettare un minuto di più Il capo della comunicazione della presidenza turca, Fahrettin Altun, attraverso il proprio account Twitter, ha dichiarato che la Turchia "non può aspettare un minuto di più" per intervenire militarmente nel nord della Siria. 

"Siamo stati abbastanza pazienti nel rispettare i patti della coalizione, ma siamo giunti a un punto in cui non possiamo aspettare un minuto di più. È a rischio la sicurezza di civili turchi, arabi e curdi". Queste le parole usate da uno dei più stretti consiglieri del presidente, Recep Tayyip Erdogan, nel confermare il via libera a un'operazione a est del fiume Eufrate mirata a eliminare le postazioni dei curdi siriani del Pyd-Ypg.

L'Onu ha dichiarato di "prepararsi al peggio" alla luce dell'offensiva sul nord della Siria annunciata dalla Turchia. Critica anche l'Unione europea. "Alla luce dell'annuncio della Turchia e degli Usa sulla situazione in Siria, l'Ue ribadisce la sua preoccupazione" e ricorda di avere sempre detto che "ogni soluzione a questo conflitto non può essere militare bensì deve passare attraverso una transizione politica, in conformità alla risoluzione Onu ed il comunicato di Ginevra nel 2014". Così una portavoce della Commissione europea. "L'Ue ribadisce il sostegno all'unità, la sovranità e l'integrità territoriale della Siria".

 

 

 

 

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