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Siria, aumentano le vittime dell'offensiva turca


L'offensiva di Erdogan scattata mercoledì nel Nord-Est della Siria contro i curdi, ritenuti da Ankara "terroristi", ha registrato la prima vittima tra le file turche. Il ministero della Difesa di Ankara ha confermato che un soldato turco è morto mentre altri tre sono rimasti feriti nel Nord della Siria durante l'"operazione Fonte di pace".

Il ministero ha dichiarato che il militare è morto durante gli scontri con i "terroristi" curdo-siriani delle Ypg, le Unità di protezione del popolo. "Il nostro fratello d'armi è caduto da martire il 10 ottobre in uno scontro contro i terroristi delle Ypg nella zona dell'operazione 'Fonte di Pace'". I miliziani curdi "neutralizzati" secondo lo stesso ministero turco sono 227. La Bbc riporta che sono almeno 11 i civili uccisi.

 L'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, ha riportato che l'avanzata turca sta proseguendo lentamente attorno alle due località chiave di Tall Abyad e Ras al Ayn, nel settore centrale della frontiera tra Siria e Turchia. Per il momento, spiega l'Ong, undici località minori sono state conquistate dalle forze turche e dalle milizie arabo-siriane ausiliarie nel nord-est della Siria

Dopo che - secondo l'Osservatorio dei diritti umani in Siria - in meno di 24 ore oltre 60mila persone hanno lasciato le loro abitazioni al confine, il secondo giorno delle operazioni turche in Siria, in una giornata chiara e soleggiata, continua a concentrarsi sui due villaggi di Ras al-Ayn e di Tell Abyad, già colpiti nelle prime ore dell’attacco scattato nel pomeriggio di mercoledì e annunciato con un tweet dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Un’azione motivata dal Sultano con l’obiettivo di portare almeno 2 dei 3,6 milioni di profughi siriani ospitati in Turchia verso la loro terra. Il risultato di questo programma di ingegneria demografica è per ora la creazione di nuovi rifugiati. Donne e bambini, in maggiorparte, visti fuggire dai centri abitati per ripararsi dagli attacchi portati dai caccia e dall’artiglieria. E a chi parla di "invasione" o "occupazione", Erdogan ha risposto: "Apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati siriani e li manderemo da voi", aggiungendo che "109 terroristi curdi" sarebbero già stati uccisi.

Siamo scioccati e delusi dalle dichiarazioni del governo italiano". È la dichiarazione rilasciata dall'ambasciatore turco in Italia, Murat Salim Esenli. Con l'operazione militare nel nord della Siria, "stiamo difendendo le frontiere turche, ma anche quelle della Nato e dell'Ue, e vogliamo ricordare questi aspetti a tutti i nostri alleati", ha sottolineato, rispondendo così a distanza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al premier Giuseppe Conte che avevano giudicato inaccettabili i ricatti del presidente turco Erdogan di scatenare una invasione di migranti in Europa. Intanto, proprio Bruxelles sarebbe pronta a sanzionare Ankara. Ad annunciare il piano è stata la viceministra per gli Affari europei francese, Amelie de Montchalin, ai microfoni di France Inter, sottolineando che "non si può rimanere impotenti di fronte a una situazione scioccante per i civili, per le forze siriane per 5 anni al fianco della coalizione anti-Isis, ma soprattutto per la stabilità della regione", mentre Tusk ha ribadito che "non accetteremo che i rifugiati siano usati come arma per ricattarci".

Il “grande Kurdistan” è sempre stato un sogno. Niente di più. Anche quando una piccola parte di esso, il Kurdistan iracheno, aveva osato indire un referendum, il 25 settembre 2017, votando un’indipendenza dall’Iraq che non è mai avvenuta. Anzi, che ha decisamente peggiorato le cose rispetto a prima a causa dell’aperta opposizione di Iran, Iraq, Turchia, ma anche del mancato appoggio di Stati Uniti ed Europa. Nessuno voleva il Kurdistan iracheno. Nessuno pare volere un Kurdistan siriano indipendente. Soprattutto la Turchia. Ankara teme che un simile scenario possa rinvigorire le aspirazioni secessioniste degli oltre 20 milioni di curdi presenti sul suo territorio.

Il popolo curdo - 35-40 milioni - è forse il più grande gruppo etnico senza uno Stato, sparso su un territorio montagnoso che abbraccia Turchia, Siria, Iraq e Iran. Dalla scoppio della rivolta contro il regime siriano, nel marzo 2011, il Rojava, così come i curdi siriani (il 10% della popolazione) chiamano la zona dove abitano nel nord est della Siria, è divenuto di fatto autonomo. È qui che ieri è scattata la campagna turca volta a creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine.

Il primo grande tradimento risale al 24 luglio 1923, a Losanna quando le grandi potenze si rimangiarono quanto promesso tre anni prima in un trattato che gettava le basi per la creazione a uno Stato curdo indipendente. La storia successiva è costellata di tentativi di indipendenza, abbozzati o riusciti, come la Repubblica di Mahabad , fondata in una piccola regione del Kurdistan iraniano il 22 gennaio 1946. Un primo tentativo di autonomismo curdo a cui tutte le potenze alleate voltarono le spalle. E a cui Teheran pose fine dopo 11 mesi. 

"Mi spaventa il silenzio di questo governo sull'attacco militare della Turchia contro la Siria, ordinato via tweet da Erdogan". Così, Matteo Salvini , aveva esposto le sue preoccupazioni a Tgcom24, sottolineando la paura di vede una guerra locale trasformarsi in una guerra mondiale: "Il salto è breve", aveva avvertito.

E in tutto questo, il governo italiano, si chiede il leader della Lega, "cosa dice e cosa fa?". La guerra in corso tra Turchia e Siria, infatti, potrebbe avere conseguenze che "potrebbero riguardarci direttamente, con milioni di persone scappate dalla Siria che si trovano alle porte di casa nostra, e cosa dice il presidente del Consiglio? Cosa dice il ministro degli Esteri? Sosteniamo questo atto di guerra?". 

Ma il leader del Carroccio non si ferma qui e incalza: "Dove sono Conte e Di Maio? Possiamo dire no a questo atto di guerra che rischia di essere un crimine?". L'Italia, continua Salvini, dice no "alla Tav, al Tap, alla Gronda e poi scoppia una guerra non lontano da casa nostra ed è il silenzio".

Infine, Salvini precisa: "Noi, a differenza di Conte e Di Maio, non vogliamo essere complici delle stragi di Erdogan". Per questo lancia un appello, per "sospendere immediatamente ogni forma di finanziamento, italiano ed europeo, alla Tur
Nesrin Abdullah, comandate delle Unità Femminili di Protezione Popolare parla all’indomani dell’inizio dell’offensiva turca. «Nessuno si fidi più di Trump»

«Ci stanno attaccando. dichiara al Corriere della Sera Nesrin Abdullah
Sono in corso vergognosi bombardamenti. Noi curdi siamo pronti, ci difenderemo in ogni modo». È più determinata che mai Nesrin Abdullah. Comandante di spicco e portavoce delle Unità Femminili di Protezione Popolare (o Ypj), prospetta una «resistenza accanita, fondata sulla guerriglia».

Come potete far fronte a uno dei più potenti eserciti della Nato ?domanda il collega del Corriere alla Nesrin Abdullah «Lo sappiamo bene, quello turco è un esercito molto potente, addestrato, dotato di armi sofisticate. Ma noi curdi siamo abituati a combattere contro nemici più forti. Abbiamo 600 chilometri di confine in comune con la Turchia, un territorio dove è facile applicare le tecniche della guerriglia. Comunque non abbiamo scelta. Erdogan vuole creare una fascia di sicurezza profonda una trentina di chilometri. Ma nella realtà vorrebbe eliminare la nostra presenza organizzata. In passato abbiamo resistito ben 58 giorni prima di abbandonare alla furia criminale turca la piccola enclave di Afrin».

Ricevete aiuti militari? «No. risponde Nesrin Abdullah Siamo soli contro le mire neo-ottomane di Erdogan».Trump minaccia di strangolare l’economia turca. Gli crede?«Trump ha commesso un errore gravissimo nel ritirare le truppe dal confine. Anche se erano solo poche decine di uomini, rappresentavano una deterrenza simbolica. Toglierle è apparsa come una luce verde per Erdogan. Adesso le sue minacce d’embargo economico non servono. L’attacco va bloccato prima che avvenga, non punito dopo».

Come spiega il ritiro degli americani? domanda il Corriere la comandante «Vogliono proteggere i loro interessi e migliorare i rapporti con la Turchia. Sono pronti a sacrificarci, anche se noi siamo stati l’alleato più fedele nella lotta contro Isis. In fondo speriamo però ancora ci ripensino. In caso contrario, passeranno come traditori, come alleati inaffidabili per tutto il mondo. Ci lasciano nel momento del bisogno. Nessuno si fiderà più di loro»

Tradimento. Agli occhi dei curdi siriani il ritiro dei soldati americani dalla Siria settentrionale, annunciato domenica sera dal presidente americano Donald Trump - una sorta di semaforo verde all’invasione militare iniziata ieri dall’esercito turco - appare l’ennesimo voltafaccia di un grande potenza ai danni di un alleato considerato sempre troppo piccolo e scomodo. La storia dei curdi è la storia di grandi illusioni seguite da delusioni cocenti.

I piloti miliari sono una risorsa preziosa nelle guerre moderne. Addestrarli a volare sugli aerei da caccia, al combattimento e all’impiego di nuove tecnologie sempre più sofisticate, è un’attività molto complessa e estremamente dispendiosa, che richiede anni e numerose risorse. E dover rinunciare a loro a causa di un “tentato” golpe militare rappresenta un’enorme spreco di denaro. Senza contare che può arrivare a costringere a terra buona parte di una forza aerea. Questo è il caso dell’aeronautica turca, già sottoposta al congelamento della commessa per gli F-35 americani, che ora si trova a dover far fronte a un altro grave problema: molti dei suoi piloti sono finiti in carcere dopo il golpe militare che nel 2016 intendeva rovesciare il governo islamista del presidente Recep Tayyip Erdogan.

Secondo quanto riportato dalla rivista National Interest, attualmente la forza aerea della Turchia potrebbe a malapena tenere in aria i suoi caccia F-16. E se “in nome della politica” vengono eliminati i migliori piloti, i “migliori aerei da combattimento” non servono a niente. A meno che non si tratti di “droni”..

 

 

 
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