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Si svolgerà il prossimo venerdì 27 ottobre, presso la Sala Mappamondo della Camera dei Deputati, il Seminario "Le Donne Libiche: unire idee e sforzi per vincere le principali sfide interne ed esterne", promosso e organizzato da MINERVA con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Porteranno i saluti istituzionali:

Marina Sereni,Vice-Presidente della Camera dei Deputati; Luca Giansanti, Ambasciatore, Direttore Generale per gli Affari Politici e di Sicurezza – MAECI;

in rappresentanza dell'Ambasciatore Libico in Italia,H.E. Ahmed Elmabrouk Safar, parteciperanno il Primo Segretario d' Ambasciata, Ms Aml Alamushi e il Terzo Segretario, MrTayeb Elarbi. Per l’organizzazione non profit Minerva interverrà il suo Presidente, Pierluigi Severi.

Un qualificato panel di donne libiche, rappresentanti della società e delle istituzioni, sarà chiamato a proseguire la discussione e il confronto con esperti italiani e rappresentanti delle istituzioni sugli strumenti giuridici, economici, sociali che in una fase di “state-building” sono necessari per favorire il riconoscimento della parità di genere; le azioni di contrasto contro ogni fanatismo e violenza, incluso il traffico criminale dei flussi migratori tra Libia e Italia, e i ruoli di leadership femminile nel percorso democratico verso il nuovo Stato libico

In ordine di intervento:

Amal Altahir Alhaaj, Attivista e presidente dell’associazione “Free Communications Development.org”; Samira ElMasoudi, Presidente dell’associazione “Development Organization in Support of Youth and Women in Libya”; Piero Fassino, Presidente CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale); Turkia Alwaer, Membro del Dialogo Nazionale Libico; Lia Quartapelle, Parlamentare, Camera dei Deputati, Commissione Affari Esteri e Comunitari; Saleha Sdaga, Docente di Diritto Internazionale presso l'Università di Bengasi;

Annamaria Meligrana, Esperta di Cooperazione, Ufficio VII- Emergenza e Stati Fragili Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – AICS; Gawza Ali, Consulente legale del Ministero dell'Agricoltura in Libia; Daniela Melfa , Docente di Storia dei paesi dell'Africa Mediterranea e del Medio Oriente, Università di Catania; Omima Alfakhri, Avvocato; Angela Caponnetto, Giornalista Rainews24; Najat Elmalti, Attivista, “Nana Marin Organization”; Souadou Lagdaf, Docente di Storia dei Paesi Islamici,Università di Catania. 

E con la partecipazione di: 

Rahma Adam, Membro del Parlamento Libico; Soad Shelli, Membro del Parlamento libico; Naimah Alnaeli, Attivista, "Free Communication Development.org"; Zahiyah Ali,Attivista, "Limada ana Organization"; Nawal Hamroni, Attivista, "Ibsher Organization".

Il Seminario di Roma, che segue quello di Catania dello scorso giugno, è l’ultima tappa del percorso progettuale "A sostegno delle Donne Libiche per affermare Diritti e Cultura della Libertà nella Società e in Costituzione"

Nel tempo, l’attività di cooperazione bilaterale ha alimentato una rete di relazioni con una vasta rappresentanza del mondo femminile libico, con la finalità di favorire e consolidare nuovi canali di dialogo tra le donne libiche, l’Italia, l’Europa e la Comunità internazionale, e di far valere i richiami della Risoluzione ONU 1325/2000 dando voce alle libiche del Dialogo Nazionale, alle parlamentari e alle rappresentanti di associazioni e forum della società civile, riconoscendone il contributo di partecipazione al superamento in senso democratico della crisi in Libia, che investe la sicurezza e la pace nel Mediterraneo.

MINERVA è una cooperativa non profit che opera in Italia, in Europa e nel Mondo. Nel corso degli anni ha ampliato la sua missione alla realizzazione di progetti di cooperazione internazionale, attività internazionali sostenute dal Ministero Italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, dall'Unione Europea e da stake holders pubblici e privati.

Tra le manifestazioni più significative, ogni anno promuove e organizza il PREMIO MINERVA ANNA MARIA MAMMOLITI, primo riconoscimento italiano dedicato alle donne, giunto quest’anno alla 27esima edizione con l’adesione del Presidente della Repubblica Italiana, e istituito da Anna Maria Mammoliti, fondatrice dell’associazione Il Club delle Donne nel 1983 e del mensile Minerva.

 

 

'La politica è uscita da questa partita, adesso tocca al popolo'. E' un Luca Zaia raggiante quello che si presenta in conferenza dopo il  successo del veneto nel referendum per l'autonomia che ha visto una partecipazione del 57,2% degli elettori, che per oltre il 98% hanno votato sì all'autonomia della regione

Il risultato uscito dalle urne di Lombardia e Veneto conferma ciò che già si sapeva: e cioè che in tali regioni c'è una decisa aspirazione a gestirsi da sé e farsi carico in autonomia dei propri problemi. 

Le nuvole maggiori si addensano sul capo di Matteo Salvini, che per questa consultazione popolare si è speso poco, con discorsi di maniera, anche se ieri andando a votare si è augurato che tanta gente affollasse i seggi «per un referendum giusto che chiede cose giuste», una «novità che ci porterebbe all'avanguardia a livello mondiale». E in serata su Fb si è limitato a rimarcare con un «Sì» il risultato di Zaia, non quello di Maroni. Per il numero uno della Lega quello uscito dalle urne del «Lombardo-Veneto» rappresenta un successo del partito, «una grande partecipazione popolare, una prova di democrazia», come dicono i suoi. 

Lo rafforza sia come immagine nazionale che nelle trattative all'interno del centrodestra per le elezioni politiche, ma può anche essere un freno al progetto di costruire una nuova forza nazionale, oltre il Nord e alla conquista del Meridione, dov'è già nata senza troppo successo la sigla «Noi con Salvini». Perché tanta voglia di autonomia nelle più ricche regioni settentrionali, che può contagiare anche altre, può spingere il Carroccio verso un ritorno alla missione originaria, federalista se non secessionista, che Salvini vuole archiviare. Certo il voto di ieri è una vittoria dell'ala autonomista, che contrasta quella salviniana ed è più vicina a Berlusconi e a Forza Italia. Torna un po' in auge anche Umberto Bossi, per cui l'indipendenza della Padania resta «un sogno», come ha detto ieri al seggio vicino alla sede storica della Lega in via Bellerio

Per Zaia, c'è piena "collaborazione con la Lombardia sul piano delle metodologie da seguire nella trattativa con il governo, ma sarà inevitabile che la Lombardia avrà delle sue istanze e peculiariatà differenti a quelle del Veneto quando andremo al 'vedo'". Lo dice in conferenza stampa commentando l'esito del referendum. "Ogni Regione - sottolinea - ha la sua storia ma si va avanti nella trattativa assieme". Intanto mancano ancora i risultati definitivi del referendum in Lombardia. 

Il governatore della Lombardia Maroni non trionfa come Zaia, ma riesce nello scopo di superare l'asticella fissata al 34% dei votanti: «Con lo spoglio ancora in corso la proiezione è superiore al 40%», annunciava il governatore allo scoccare delle 23. Alle 12 qualche preoccupazione c'era stata per quell'11% di affluenza, metà che in Veneto, ma alla fine il risultato dovrebbe rafforzare Bobo nella corsa alla riconferma come presidente della Regione, anche se la sua candidatura non sarebbe blindata. E gli ruba un po' la scena autonomista Giorgio Gori, candidato in pectore del Pd per Palazzo Lombardia e sindaco schierato per il Sì di quella Bergamo che ha registrato il top di affluenza.

In una intervista a Reppublica  il ministro Maurizio Martina si affretta a far presente ai governatori leghisti Roberto Maroni e Luca Zaia che le materie fiscali, e anche altre (come la sicurezza), "non sono e non possono essere materia di trattativa né con il Veneto, né con la Lombardia e neanche con l'Emilia Romagna, che ha avviato un'interlocuzione con il governo senza passare da un referendum". Inizia così, in salita,la trattativa del Nord per avere piu soldi e piu poteri. Ma su un punto Zaia resta fermo: "Martina si occupa di agricoltura. Il nostro interlocutore sia il presidente del Consiglio". Quindi, la palla ora passa a Paolo Gentiloni.

"Non lo dico io. Lo dice la Costituzione...". Il renziano Martina passa subito all'attacco. I numeri dei referendum sulle autonomie di ieri parlano chiaro.In Lombardia l' affluenza ha superato il 40%  mentre in Veneto ha sfiorato il 60% . Ora il governo Gentiloni è obbligato ad aprire il confronto: non può rimanere sordo dinnanzi a questo voto. "Oggi approviamo la piattaforma negoziale - spiega Zaia a Rtl 102.5 - tratteremo su questa base direttamente con questo governo". Ma da Roma il ministro Martina già sventola gli articoli 116 e 117 della Costituzione per frenare gli entusiasmi dei lombardi e dei veneti. "Questi articoli - spiega a Repubblica - indicano chiaramente gli ambiti su cui ci può essere una diversa distribuzione delle competenze

È risaputo che il processo autonomista deve fare i conti con due difficoltà maggiori. In primo luogo, a Roma non c'è una maggioranza disposta a riconoscere a lombardi e veneti alcuna facoltà di autogestirsi, e d'altra parte non si capisce per quale motivo i parlamentari del resto d'Italia dovrebbero favorire l'autonomia altrui. In secondo luogo, se si vuole essere concreti e andare al sodo, è evidente che un'autonomia non solo di facciata implica che i soldi prodotti nelle due regioni e che ora spariscono dalla disponibilità dei lombardo-veneti restino (in tutto o in parte) sul territorio. E a questo punto l'ostilità dell'insieme di deputati e senatori è prevedibile, anche in considerazione dello stato pietoso dei conti pubblici.

L'unica strada, forse, è quella d'immaginare un processo di crescente autogoverno che riguardi l'Italia intera, e che localizzi competenze, prelievo e spesa. C'è insomma l'esigenza che quanti nel Mezzogiorno dovessero perdere quote di assistenzialismo possano poter ridefinire le proprie regole, facendosi maggiormente attrattivi. La Calabria difficilmente guarderà con favore una richiesta lombarda di non destinare più al Sud una parte del proprio Pil, ma le cose possono cambiare se essa è in grado di definire tassazione e regole tali da favorire la crescita locale e stimolare l'arrivo di investimenti. Ad ogni modo, non ci si faccia illusioni: la strada che lombardi e veneti devono percorrere per poter autogovernarsi è davvero tutta in salita.

Ieri in Lombardia e Veneto "è stata una lezione di democrazia per tutta Europa, abbiamo scelto la via legale, pacifica e costituzionale. La stessa opportunità la offriremo da nord a sud a chi ce lo chiederà". Lo ha detto il segretario della Lega, Matteo Salvini, in conferenza stampa in via Bellerio. "Quelli che dicevano che la linea nazionale della Lega avrebbe trovato problemi al Nord - ha proseguito Salvini - non ha capito un accidente. Richieste di autonomia hanno convinto 5,5 milioni persone a votare, e Maroni e Zaia avranno mandato pieno mandato a trattare. Rido quando leggo certe ricostruzioni di divisioni", ha aggiunto il segretario della Lega. 

"Adesso li pubblicheremo - ha detto il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni - abbiamo avuto problemi con 300 chiavette, problemi tecnici, che stiamo risolvendo, di collimazione di dati". Secondo la Regione Lombardia, la stima del dato finale sull'affluenza nel referendum sull'autonomia "oscilla tra il 38 e il 39% per un numero di votanti di circa 3 milioni" quando sono state esaminate il 95% delle 24mila Voting machine. Allo stato - spiega la Regione in una nota - l'affluenza è pari 37,07. Si sono registrate alcune criticità tecniche nella fase di riversamento dei dati della rimanenti Voting machine e pertanto i risultati completi potranno essere resi noti a operazioni concluse. .

Veneti e lombardi hanno forte la consapevolezza di dare allo Stato molto più di quanto non ricevano, dato che queste due regioni perdono complessivamente oltre 70 miliardi ogni anno, destinati ad altre aree del Paese. Che succederà, ora? Roberto Maroni e Luca Zaia ricevono dalle urne una decisa spinta ad avviare una vera trattativa con Roma: su soldi e poteri. Anche se fino a oggi ogni richiesta di applicare il titolo V della Costituzione è stata ignorata, a seguito del voto ci troviamo in una situazione inedita, poiché le uniche due regioni che nel 2006 avevano votato a maggioranza per la riforma costituzionale della «devolution» sono ancora in prima fila per chiedere che si rafforzino le autonomie e s'indebolisca il potere centrale.

La battaglia non sarà facile e c'è il rischio, naturalmente, che la montagna partorisca un topolino. Tutti sanno che alla fine ci si potrebbe limitare a chiedere e ottenere solo qualche limitata competenza regionale in più, ad esempio, sulla scuola. Va però ricordato che proprio al fine d'indebolire la posizione delle due regioni impegnate nel referendum, nei giorni scorsi il governo di Roma e l'Emilia Romagna hanno firmato una dichiarazione che formalizza un percorso volto a dare più competenze alla regione amministrata dal centrosinistra. L'obiettivo dell'esecutivo guidato da Gentiloni era chiaro: mostrare come i referendum fossero inutili e come si sia trattato di uno spreco che poteva essere evitato.

Il documento firmato lo scorso 18 ottobre, però, potrebbe essere un boomerang, poiché ormai ogni richiesta lombarda e veneta di avviare un percorso analogo deve essere presa in esame. E questo crea problemi a tutti: al governo, che dovrà mettere qualche contenuto nelle sue generiche intenzioni in favore delle autonomie; ai presidenti di Lombardia e Veneto, che dopo il voto devono mostrarsi molto determinati nei loro rapporti con l'esecutivo.

Renzi dice che 'il governo era d'accordo' e aggiunge: 'Galateo istituzionale? preferisco gli interessi dei risparmiatori'. Palazzo Chigi ribadisce che le scelte del premier 'saranno ispirate alla salvaguardia dell'autonomia dell'Istituto'. 'Piena fiducia' del premier alla sottosegretaria Boschi, mentre interviene anche Berlusconi, secondo il quale il governatore 'non ha svolto il controllo che ci si attendeva'. Durissimo Bersani: 'Si vuole dare addosso alle guardie per lasciare tranquilli i ladri'.

"Il governo non era semplicemente informato: era d'accordo. La mozione parlamentare non solo era nota al governo, ma come sa chi conosce il diritto parlamentare questa mozione prevedeva che il governo desse un parere. Che c'è stato. Ed è stato positivo". Matteo Renzi rilancia in una intervista a Qn e si chiede 'vogliamo dire che il Parlamento non ha diritto di discutere?', pur ribadendo di non avere 'una questione personale con il governatore Visco'.

"Innanzitutto questo è un incidente, prima rientra meglio è per il Paese". Così il ministro dello sviluppo economico a Repubblica Tv sulla mozione del Pd sui vertici di Bankitalia.

Per Calenda dietro alla mozione "non c'è una strategia, ma si è sottovalutato cosa si stava facendo e la sede dove lo si faceva. Se ci fosse stata una strategia sarebbe un errore gravissimo". Calenda ha anche detto ''penso che sia stata una leggerezza non ci sia stato il disegno di indebolire il governo''. 

Nessun asse con Renzi, come qualche giornale ha maliziosamente insinuato", ha affermato il leader di Forza Italia in una nota. "Sul caso Bankitalia la mia posizione è stata di massima trasparenza e chiarezza: ho denunciato l'antico vizio della sinistra per l'occupazione dei posti e ribadito, allo stesso tempo, che è comprensibile la volontà di controllo su quello che è successo in questi anni - spiega - Proprio per questo abbiamo chiesto per primi la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle banche che ha appena iniziato i suoi lavori". Berlusconi ha poi aggiunto: "Spetterà proprio alla Commissione Parlamentare indagare su comportamenti di banche e banchieri, e naturalmente anche su quello degli Organi di Vigilanza". E ancora: "Su Bankitalia tutto questo ho detto anche per invocare il rispetto delle regole, che qualcuno ha disinvoltamente dimenticato o addirittura violato. Un comportamento che svela appunto quell'antica cupidigia di potere della sinistra che mira solo ad occupare i posti. Prima lo faceva dopo le elezioni, adesso lo fa anche prima".

Certamente la Banca d'Italia non ha svolto il controllo che ci si attendeva, non sono del tutto senza senso le volontà di un controllo su quello che si è verificato". Lo ha detto Silvio Berlusconi sul caso Visco, al suo arrivo al pre-vertice del Ppe. "Peraltro - ha aggiunto - in questo si può vedere quella voglia della sinistra di occupare tutte le posizioni di potere una volta lo facevano dopo le elezioni ora lo fanno prima"

Intanto fonti di Palazzo Chigi fanno sapere che sul tema della Banca d'Italia le decisioni del Presidente del Consiglio "saranno basate sulle prerogative a lui attribuite dalla legge ed ispirate esclusivamente al criterio di salvaguardia dell'autonomia dell'Istituto". 

Poi il leader del Pd, Matteo Renzi, registrando Otto e Mezzo su La7 ha spiegato: "Anch'io me lo sono chiesto, il perchè di questo putiferio. Da sempre la politica discute se Bankitalia funziona o no. Che cosa ho toccato? Io ho due mutui. Questa è l'unico rapporto con le banche. Non so se sono poteri forti o deboli, ma sto con i risparmiatori". "Non abbiamo nessuno scheletro nell'armadio. Siamo i primi a essere interessati al fatto che la Commissione sulle banche lavori e faccia chiarezza". L'eventuale riconferma di Visco "non sarà una mia sconfitta - ha detto Renzi -. Io non ho posto una questione di nomi".  

"E' in corso l'eterno gioco tra guardie e ladri. Si vuole dare tutto addosso alle guardie per lasciare tranquilli i ladri. Faccio notare che negli Stati Uniti PRIMA hanno messo in galera Madoff e POI si sono chiesti se la Sec avesse fatto tutto il necessario". Lo scrive sulla sua pagina ufficiale di Facebook, Pierluigi Bersani (Mdp) 

"Noi difendiamo l'indipendenza di Banca d'Italia e allo stesso tempo aspettiamo la proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell'Economia e in base a quella giudicheremo". Lo ha detto il ministro degli Esteri Angelino Alfano al suo arrivo al pre vertice del Ppe. "Ci sembrano esagerate alcune reazioni contro il Pd - ha aggiunto Alfano - che è un grande partito e nel parlamento ha diritto di esprimere le proprie opinioni".

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