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Domenica, 02 Giugno 2024

“Storia di un presidente che si credeva un topo” di Giuseppe Tecce è un romanzo in cui si mescola realtà e fantasia per parlare di questa pandemia che ha cambiato per sempre le vite e i progetti di tutti gli esseri umani. Con una scrittura molto attenta a descrivere anche i gesti più semplici compiuti dal protagonista - che si chiude a causa del Coronavirus in una quarantena ad oltranza, ben oltre i limiti indicati dalle disposizioni governative - si narra la storia di un uomo le cui azioni, anche le più piccole, diventano fondamentali nella sua routine quotidiana, essendo l’appiglio a cui aggrapparsi per non perdere la lucidità.

Andrea è un uomo metodico e tranquillo; è il presidente di una cooperativa sociale ed è appassionato di testi medici, che divora nel tempo libero per mitigare la sua ipocondria. L’autore ci fa entrare nella sua vita nel momento in cui, agli inizi di marzo 2020, il mondo si è fermato per cercare di contrastare l’avanzata del Covid19; Andrea è confuso dai primi decreti che parlano di misure restrittive e di un numero di contagi sempre più elevato, ed è anche spaventato dalla possibilità di prendere il virus essendo affetto da diabete mellito. L’autore presenta quindi un diario del lockdown, sin dal giorno uno, in cui descrive l’atteggiamento maniacale adottato dal protagonista per affrontare quel periodo di smarrimento: ad esempio, ogni mattina si osserva attentamente allo specchio, come per essere sicuro di riconoscersi ancora. Lentamente, però, si abbandona alla monotonia della sua “prigionia”, diventando sempre più apatico e nervoso - «Il senso di peso psicologico che Andrea portava dentro di sé – ben oltre la solita sensazione di ansia – era un macigno, messo in bilico tra testa e cuore, che sbilanciandosi, verso l’uno o verso l’altro, lo portava a sragionare o ad avere le palpitazioni». Andrea non fa che pensare al virus e, quando scopre che si sta sperimentando un vaccino, è ossessionato dall’idea di trovare un modo per essere vaccinato al più presto, per «salvarsi dall’imminente distruzione del genere umano». Mentre il protagonista svela il suo esasperato individualismo che sfocia in un egoismo senza pari, un evento a dir poco surreale lo spinge a cambiare la direzione del suo sguardo; forse una possibilità di salvezza c’è, per quanto sia estremamente azzardata, e potrebbe anche redimerlo dalla sua codardia.

Giuseppe Tecce racconta una storia emozionante che si conclude con un finale profondamente amaro e audace, che lascia un pressante interrogativo sulla veridicità di ciò che ci è stato appena narrato.

SINOSSI DELL’OPERA

Andrea è lo storico presidente di una cooperativa sociale di Benevento. La sua routine, divisa tra gli impegni lavorativi e quelli familiari, subisce una battuta d'arresto che coinvolge buona parte della popolazione terrestre: la pandemia causata dal Coronavirus ridisegna le ascisse e le ordinate della quotidianità. Per Andrea è l'inizio di un periodo di forte disorientamento, poiché la sua salute è fragile e il timore del contagio lo porta all'auto reclusione, oltre i confini del lockdown. Quando cominciano a circolare le prime notizie relative a delle sperimentazioni in un istituto di Napoli, cresce in lui una speranza e in parallelo anche una consapevolezza: se fosse un topo, potrebbe avere un canale privilegiato per raggiungere il prezioso vaccino. E a desiderare troppo qualcosa, a volte, si ottengono risultati insperati.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Giuseppe Tecce (Benevento, 1972) è laureato in Giurisprudenza e dal 2001 è presidente di una cooperativa sociale di Benevento che si occupa di servizi dedicati a persone svantaggiate ed emarginate, realizzando strutture residenziali di accoglienza per minori temporaneamente allontanati dal proprio nucleo familiare, per persone affette da disabilità psichica e per migranti. Tra il 2012 ed il 2018 è stato presidente del Consorzio di Cooperative Sociali ASIS nella Regione Campania, specializzandosi nella realizzazione di progetti europei. Si occupa di tutela del territorio, valorizzazione e conservazione del patrimonio culturale e di paesaggio tra il Sannio e l’Alta Irpinia, attraverso l’associazione “I Coccioni”. “Storia di un presidente che si credeva un topo” è il suo primo romanzo, dopo “L’agente della Terra di Mezzo”, il diario di un viaggio in bicicletta nella terra Irpina, e due raccolte di poesie.

 

 

 

 

 

La consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, celebrata dal regnante Pontefice Francesco il 25 marzo 2022, solennità dell’Incarnazione, ha riportato all’attualità il ciclo di apparizioni e di rivelazioni mariane avvenute a Fatima, in Portogallo, fra il maggio e l’ottobre del 1917, ciclo rimasto alquanto in ombra nei decenni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II.

Alleanza Cattolica e, in particolare, il suo fondatore Giovanni Cantoni, hanno sempre considerato il Messaggio di Fatima come centrale per capire la storia del mondo nel Novecento, in particolare il dilagare del comunismo, per risalire alle origini della crisi dell’organismo ecclesiale e per leggere i pontificati di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

In coincidenza con il gesto del Papa, il Capitolo Nazionale di Alleanza Cattolica, propone una raccolta di articoli e di documenti ufficiali (“La consacrazione al Cuore Immacolato di Maria alla luce del Messaggio di Fatima. Testi e documenti. Pag.241, e. 10; 2022) e auspica che questo Messaggio trovi ascolto e che si possa giungere presto a una pace fra i due popoli fratelli, l’ucraino e il russo, affinché il mondo capisca finalmente dove porta l’apostasia, si converta e possa instaurarsi il dolce regno del Cuore Immacolato della vergine, che, nella storia, non potrà che avere connotati di una nuova, rinnovata e ancor più splendida cristianità.

Il gesto è stato ripreso da molti vescovi nelle rispettive diocesi, ma è passato abbastanza inosservato sui media, che faticano a cogliere il legame soprannaturale e la storia degli uomini, immersi come sono in una totale secolarizzazione della vita pubblica e, spesso, anche privata. Il gesto del Pontefice è di grande e fondamentale importanza, aiuta certamente a riprendere il contenuto del Messaggio di Fatima, che non si è concluso e non riguarda solo il passato, come ha detto il Papa emerito Benedetto XVI. Il Messaggio di Fatima era stato per decenni un pilastro dell’apostolato sociale e religioso del fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni.

Il Messaggio era indirizzato a tutti gli uomini per chiedere la conversione e sia allora che oggi si sarebbe scongiurato il flagello della guerra. Sia allora come oggi, presuppone da parte nostra la preghiera e la penitenza, nonché la pratica riparatrice dei primi cinque sabati consecutivi del mese, come richiesto da Maria ai pastorelli di Fatima.

Tuttavia chiarisce l’associazione cattolica che “il Messaggio ha anche un’evidente dimensione dimensione pubblica e politica - nel sensos nobile e alto del termine -, che riguarda tanto la Russia comunista, la quale ha diffuso i suoi errori in tutto il mondo nel corso del Novecento, quanto la Russia odierna, e quindi la guerra scoppiata dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo”.

Se Papa Francesco ha fatto questo passo, muovendosi in una prospettiva di teologia della storia ben precisa, questo significa che la guerra in Ucraina “non può essere letta soltanto in una chiave geo-politica, ma deve anche essere inquadrata necessariamente nel contesto del dramma dell’uomo ‘moderno’, un dramma che sembra giunto a un tornante epocale, dai risvolti imprevedibili”. Dopo quattro mesi ancora non si è visto nei vari talk show televisivi, una rappresentazione simile.

A questo punto il saggio offerto da Alleanza cattolica afferma: “E’ sempre difficile stabilire quando una guerra è giusta e inevitabile, soprattutto a partire dall’epoca moderna, quando le ragioni e i torti sono spesso presenti in entrambi i fronti e dove quasi sempre i protagonisti appartengono a partiti ideologici o non, diversi e contrapposti”.

Al tempo di Napoleone Bonaparte (1769-1821) era più facile attribuire ai popoli aggrediti, il diritto di reagire e di combattere, così come, “dopo la Rivoluzione russa del 1917, era difficile negare ai ‘russi bianchi’ il diritto di cercare di rimuovere dal potere il partito bolscevico,, il quale, una volta vinti i ‘bianchi’, avrebbe provocato decine di milioni di morti nel Paese e altrove”.

Finita l’epoca delle ideologie (1914-1989), tutto è diventato complicato, i “buoni” e i “cattivi” non sono più così facilmente identificabili. Anche nella guerra in corso fra Ucraina e Russia si riscontra la stessa difficoltà. Tuttavia c’è una verità sotto gli occhi di tutti: esiste un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina, che ha il sacrosanto diritto alla legittima difesa. Quello che sta subendo l’Ucraina è un’invasione militare immorale, quali che fossero i legittimi timori del presidente Putin. In questo panorama siamo consapevoli che i Paesi confinanti con la Russia temono di essere anche loro aggrediti, inoltre, teniamo conto che esiste un Occidente guidato da classi dirigenti corrotte (escluse quelle polacche o ungherese) che sono corresponsabili della corruzione morale di quella che è stata - e ora non è più - la civiltà occidentale e cristiana. Un Occidente, una Europa, che è arrivata a odiare se stessa, come ha più volte sostenuto Joseph Ratzinger.

Secondo Alleanza Cattolica bisogna essere chiari: la maggioranza dell’Occidente è “rivoluzionato”, corrotto, esiste un “piccolo resto” che ancora crede in Gesù Cristo, che si riconosce nella Prima Roma e che rivendica le radici cristiane dell’Europa. Pertanto, l’Occidente, non si salva, “abbracciando un’ideologia anti-occidentale, pseudo-’evoliana’ di ritorno, che in nome di un tradizionalismo ambiguo non pone la Tradizione della Chiesa, dalle origini a oggi, al centro della propria proposta e rievoca lo slogan ‘terzaforzista’, ‘né Usa né Urss’ di una certa ‘destra’ degli anni della Guerra fredda, contro cui Giovanni Cantoni ha passato buona parte della vita a metterci in guardia”.

E comunque non si salva l’Occidente cristiano diventando ortodossi, auspicando e favorendo il progetto della “Terza Roma”, in contrapposizione alla Roma dei Pontefici. Occorre stare molto attenti, vigilare sugli accadimenti, avere sempre il “quadro” davanti. Il militante controrivoluzionario deve essere attento nel valutare realtà e uomini che si presentano come risolutori di una crisi, consapevole che il modello di civiltà che intendiamo restaurare è quello cristiano, “che implica la preservazione dei valori peculiari di ognuno, e la convivenza fraterna di tutti”. A questo punto, possiamo giudicare la politica di Putin come autenticamente controrivoluzionaria, anche se lui si opponga a qualche aspetto della crisi? “Si può dire che il suo programma sia quello di restaurare le radici di una cultura e di una civiltà che hanno accomunato e reso fratelli tutti i popoli dell’Europa?”. Naturalmente la risposta è negativa.

Per Alleanza Cattolica Putin, è un nazionalista che vuole soltanto espandere la Russia, che rivendica orgogliosamente tutto il passato russo, compreso quello comunista staliniano.

Per quanto riguarda poi l’Occidente occorre prendere atto che non possiamo “salvarlo”, insistendo sulla strada del laicismo, “che per secoli ha corroso dall’interno la nostra cultura e ha ridotto l’Europa a un aggregato di nazioni unite da un progetto senz’anima, fatto solo di interessi materiali”. Una Europa, “che ha voltato le  spalle alle comuni radici cristiane e alla missione civilizzatrice del continente: un’Unione Europea che è stata il principale alfiere di un progetto di ‘pacificazione mondialistica’ e che ora vede nel conflitto russo-ucraino il suo ‘1989’, la sua implosione, forse definitiva, e segna il timido riaffiorare di valori che sembravano scomparsi, come la patria e la famiglia, che alcuni dimostrano di voler difendere fino al supremo sacrificio della vita”.

“La cronaca recente ci ha mostrato, talvolta, tristi immagini delle statue di Cristoforo Colombo sfregiate o addirittura abbattute, veri e propri atti di vandalismo operati da gruppi di militanti forsennati, accecati da un odio ideologico ed antistorico”, sto riprendendo dal testo che ho appena letto e studiato di Giorgio Enrico Cavallo, Cristoforo Colombo il nobile. L’epopea transoceanica dell’ultimo cavaliere medievale”, pubblicato da D’Ettoris Editori (pag.264, e.18,90)

“Si tratta - continua Cavallo - di un livore rabbioso. Fanatico. Colombo, specie in America, viene in alcuni casi visto come il primo degli schiavisti che tormentarono il continente”.

Il libro di Cavallo, vuole sfatare alcuni miti attribuiti al grande scopritore dell’America, amato e odiato nello stesso tempo. Colombo viene fatto passare come “una specie di eroe romantico, un mozzo che ‘si è fatto da sé’ e che da oscuro plebeo è diventato l’uomo più famoso della sua epoca”. Possibile tutto questo? L’autore per certi versi entra a gamba tesa nel dibattito su Colmbo, sostenendo una tesi coraggiosa: Cristoforo Colombo era un grande navigatore, un grande cavaliere cristiano, di origine nobiliare e soprattutto non era nato a Genova, ma nell’entroterra ligure, a Cuccaro, nelle colline del Monferrato. La sua famiglia era quella dei Colombo di Cuccaro, importante dinastia del Marchesato di Monferrato, con strettissimi legami con la Liguria.

Tutto questo è il risultato di studi, di ritrovamenti d’archivio, si tratta di precisi riferimenti documentali a cura degli studi ventennali del Centro Studi Colombiani Monferrini. Colombo era imparentato con le più blasonate famiglie della Repubblica di Genova e con alcune dinastie regnanti.

Il libro di Cavallo è prefato a cura del Centro Studi Colombiani Monferrini (CE.S.CO.M.) dove si evidenzia la collaborazione con le università di Torino e di Siviglia e le numerose ricerche presso gli Archivi Italiani, Spagnoli e Portoghesi sulla vita e le imprese del Grande Ammiraglio. Era necessario che venisse pubblicato un testo così divulgativo basato su documenti ben fondati che potessero spiegare la vera personalità di Cristoforo Colombo, personaggio complesso e spesso strumentalizzato. Il lavoro di Cavallo secondo il Centro Studi riscopre il vero carattere dello Scopritore del Nuovo Mondo, “che non era un umile marinaio ignorante che scoprì l’America per caso, ma un aristocratico istruito e religioso, che, ben immerso nella mentalità del suo tempo, seppe perseguire la sua meta con passione e razionalità”.

Certo il libro del giovane storico piemontese è utile per gli studiosi dell’argomento e amanti delle ricerche, è impregnato di molti dubbi, supposizioni, di tante domande, magari senza risposte, di ipotesi e controipotesi. Il testo è composto di XX agili capitoli. A partire dal I capitolo (Dalle colline del Monferrato al Mare Oceano) dove viene ricostruita la nascita e l’appartenenza nobiliare di Colombo. A questo proposito Cavallo ribadisce con chiarezza: “Nel Medioevo di allora era senza dubbio assai difficile che un povero figlio di nessuno, per quanto talentuoso, potesse accedere ai sovrani, essere ascoltato, essere da loro investito di un incarico così delicato (e costoso). Non soltanto: mentre Colombo era ancora il miserabile marinaio figlio del lanaiolo genovese, potè sposare la figlia del potente capitano di Porto Santo, l’aristocratico Bartolomeu Pirestrello. Un matrimonio semplicemente impossibile per l’epoca”. Inoltre ancora, un figlio dell’artigiano genovese era impossibile che potesse corrispondere con intellettuali come il geografo Paolo dal Pozzo Toscanelli. Difficile comprendere come un popolano come Colombo possedesse una cultura così vasta, ricca di lettere classiche, con una grafia pulita, limpida, da uomo di lettere più che da un lupo di mare. E come poteva un mediocre mozzo genovese concorrere con i navigatori tutti aristocratici, che frequentavano la corte del re del Portogallo? Sono domande scomode che ormai il mondo della cultura non se le pone più, soprattutto perché influenzato da Paolo Emilio Taviani, lo storico e uomo politico genovese, che ha escluso qualsiasi altra ipotesi su Colombo.

Tuttavia Cavallo sottolinea che alla fine della diatriba sulle origini di Colombo, è importante non tanto conoscere il luogo preciso dove è nato, ma è più “importante identificare la famiglia nella quale nacque il futuro scopritore dell’America”.

Il II capitolo, “Cristoforo Colombo e i suoi rapporti con Genova”, che certamente furono intensi. Qui l’autore del libro mette all’attenzione del lettore la figura del figlio di Colombo, Fernando, un uomo di cultura che viaggiava per mezzo Europa, raccogliendo libri. Ne collezionò quindicimila. Attenzione, li collezionò allora, cinquecento anni fa. “Si trattava della più grande biblioteca privata in Europa”: la Biblioteca Fernandina era lo stupore della sua epoca, scrive Cavallo, ponendosi una serie di domande in merito alla grande curiosità del figlio di Colombo. Uno che possedeva una sorta di biblioteca così fornita non poteva non sapere tante cose sul proprio e illustre padre.

Nel III capitolo (Colombo corsaro? 1460-1476) anche qui si pongono domande, risposte e inquietudini sulla vita di Colombo. Nel IV capitolo si occupa delle relazioni di Colombo tra Portogallo e Oceano Atlantico. L’attenzione del libro è sulla grande capacità di navigare ed esplorare del portoghesi e dei loro sovrani fortemente sensibili alle scoperte. Si fanno i nomi dei grandi esploratori, dei vari tentativi di trovare nuove terre.

Il V capitolo (La religiosità e l’aspetto di Cristoforo), Non si creda che Cristoforo fosse avido, sottolinea il giovane studioso. Sulla grande religiosità di Cristoforo Colombo ho letto e recensito anni fa un ottimo studio del filosofo argentino Alberto Caturelli, “Il Nuovo Mondo riscoperto”. Indicativo il sottotitolo: “La scoperta, la conquista, l’evangelizzazione dell’America e la cultura occidentale”. Il pregevole testo, è stato pubblicato dalle edizioni Ares nel 1992. E’ strano che Cavallo non lo abbia citato. Tuttavia anche il giovane studioso concorda con la tesi che Colombo intendeva trovare l’oro nei nuovi territori scoperti per finanziare la nuova crociata che avrebbe liberato Gerusalemme una volta per tutte dagli infedeli. “Una cosa sola pare essere certa: l’Ammiraglio, quando salpò da Palos, intendeva raccogliere quanto più oro possibile per finanziare l’estrema crociata, quella contro gli infedeli ottomani [...]”. Colombo era un uomo di fede profonda, quasi un mistico, per certi versi, si riteneva l’uomo della Provvidenza, chiamato ad un compito di centrale importanza per la storia cristiana. D’altronde, Cristoforo, letteralmente, significa portatore di Cristo. La sua firma è un criptogramma, dove spicca Xpo Ferens (portatore di Cristo) ecco perché si prodigò per la salvezza delle anime degli indios nelle nuove terre scoperte.

Il capitolo VI e VII sono dedicati all’impresa del nostro ammiraglio. Lo studio della prescoperta dell’America, attraverso veri o presunti viaggi, il continuo perorare per la sua causa presso le corti reali del Portogallo e della Spagna. Cavallo cerca di interpretare i vari rifiuti dei sovrani e dei loro collaboratori. Si cerca di capire perché Colombo non riusciva a convincerli del suo ambizioso progetto, in particolare il team scientifico di Giovanni II di Portogallo. Anche qui l’autore sfata qualche menzogna, come la mitologia il luogo comune della terra piatta. Una mitologia nata nel XVII secolo in ambienti ostili alla Chiesa cattolica. Ma è alla corte di Castiglia che Colombo trovò maggiore ascolto, in particolare dalla regina Isabella. Anche qui non fu un’impresa facile convincere i sovrani e i vari collaboratori, quella commissione spagnola che passò alla storia come un coacervo di oscurantisti in talare.

VIII capitolo (Finanziatori e obiettivi del primo viaggio. 1492) a questo punto subentrano le forti lobby genovesi che influenzarono la Spagna e il Papato e quindi l’impresa di Colombo. I genovesi erano presenti ovunque nella terra iberica e controllavano perfino il papato. Un aspetto taciuto nelle biografie colombiane è il rapporto strettissimo che legò Cristoforo ai papi Innocenzo VIII, Alessandro VI e Giulio II. Anche qui come si fa a credere alla favole del marinaio figlio di nessuno?

E’ importante questo aspetto dei finanziatori dell’impresa colombiana. “E’ fuorviante leggere la storia di Colombo alla luce dei soli rifiuti che ebbe in Portogallo e in Spagna; in realtà in tutti gli anni trascorsi alla ricerca del sospirato accordo con le Maestà Cattoliche Colombo fu in contatto con banchieri e commercianti italiani - genovesi - o uomini comunque a loro legati. Altro che marinaio solitario! Colombo, ben prima che essere membro della provinciale nobiltà monferrina, apparteneva per parentele e per interessi a questa potentissima rete d’affari, nella quale tutti commerciavano perché - per consuetudine - tutti membri dell'élite, anche quelli ai gradi più alti, dovevano contribuire all’accrescimento dell’impresa di famiglia ed al consolidamento della ‘cupola’”.

IL IX capitolo si racconta del viaggio che cambiò il mondo, naturalmente evito di descriverlo, ormai si conoscono i tratti essenziali del pericoloso viaggio. Poi il ritorno con il trionfo in Spagna (Capitolo X) e siamo nel 1493. Il festoso e trionfale corteo di Colombo con i suoi marinai e i suoi indios da Palos a Siviglia, dove lo aspettavano i reali Ferdinando e Isabella. Ormai Colombo era diventato una vera e propria star, una leggenda. Non si ricordava un simile onore riservato ad un mortale.

Intanto Alessandro VI si premurò subito che i reali iberici destinasse a queste nuove terre uomini probi, timorosi di Dio, periti, esperti, affinché istruissero i nativi. Per preparare il secondo viaggio questa volta bastarono pochi mesi, anche se per Colombo non fu facile rapportarsi con gli altri. La flotta, composta da 17 velieri, partì il 25 settembre 1493, in tutto c’erano dai 1.200 ai 1.500 uomini, per l’epoca, l’equivalente di una piccola città. Non era una flotta, ma un paese galleggiante. Per la maggior parte erano uomini senza scrupoli, che avevano afferrato al volo quella straordinaria occasione. Il viaggio durò 21 giorni, si formò la prima colonia, ma cominciarono i problemi con i nativi, c’era il problema dei cannibali, ma poi soprattutto cominciarono le liti tra gli stessi spagnoli. I rapporti si erano ormai incrinati nell’isola di Espanola, le tribù cominciano a resistere. Colombo non viene ascoltato, cercò di farsi rispettare, ma tutto era difficile, anche perché l’ammiraglio ormai era caduto in disgrazia presso i sovrani, che intanto avevano mandato un ispettore. Nei capitoli XII e XIII, si raccontano il terzo e il quarto viaggio. Non sto qui a descrivere, lascio alla lettura del testo. Sottolineo che Colombo addirittura ha dovuto subire l’onta della prigione, delle catene. Il XIV capitolo, tratta della vecchiaia, del testamento e morte di Colombo 1504-1506. Intanto muore la regina Isabella, Colombo non ha più la sua protettrice. Ora il suo scopo prima di morire, rimane quello di sistemare i propri figli, per questo supplica re Ferdinando per ricevere privilegi per i figli. Muore a Valladolid, il 20 maggio 1506, “moriva senza aver trovato l’oro per la crociata, convinto di aver subito torti ed ingiustizie proprio da quel sovrano che egli aveva contribuito a rendere il più potente monarca d’Europa”.

L’Ultima beffa fu quella di aver chiamato le nuove terre scoperte non con il suo nome, ma quelle di Amerigo Vespucci, l’artefice fu un cartografo tedesco, Martin Waldseemuller. Gli ultimi capitoli si interessano delle lunghe battaglie intraprese dai figli di Colombo per l’eredità del padre.

Il XVIII capitolo viene smascherata la cosiddetta Leggenda Nera del Nuovo Mondo Spagnolo. Ci sarà qualche altra occasione per soffermarsi sulle varie fack news in riguardo alla storia di Colombo. Certo non intendo proporre un leggenda aurea, della conquista spagnola del nuovo mondo, ci sono luci ed ombre come affermava papa Giovanni Paolo II. Avrò modo di presentare due ottimi lavori dello storico francese Jean Dumont, “Il Vangelo nelle Americhe, dalla barbarie alla civiltà”, Effedieffe e “La regina diffamata. La verità su isabella la Cattolica”, S.E.I. dove viene raccontata la vera storia della scoperta, della conquista e dell’evangelizzazione del nuovo mondo.

Un’ultima segnalazione riguarda la improbabile canonizzazione di Cristoforo Colombo. Due papi hanno cercato di beatificarlo, si tratta di Pio IX e Leone XIII, Colombo, per ora è riconosciuto come “Servo di Dio”. Il testo di Cavallo pubblica integralmente il discorso di Leone XIII, nel 1892, in occasione del quarto centenario della scoperta dell’America, riservando un altissimo encomio nell’epistola enciclica Quarto abeunte saecula all’ammiraglio Cristoforo Colombo.

 

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