L’esposizione, organizzata in collaborazione con la Fondazione Pompeo Mariani di Bordighera e curata da Enzo Savoia e Stefano Bosi, presenterà 100 capolavori, provenienti da importanti collezioni private italiane e straniere, in grado di documentare la ricerca di soluzioni stilistiche nuove e moderne e la varietà delle tematiche affrontate da uno dei principali esponenti della pittura italiana dell’Ottocento.
Pompeo Mariani fu felice interprete della società di cui fece parte, ne seppe cogliere l’eleganza e le sfumature più vitali; attraverso una tecnica coloristica vivace e armoniosa, rappresentò nei suoi quadri una molteplicità di soggetti che spaziano dalle vedute del parco di Monza a quelle del porto di Genova, dalle marine in burrasca di Bordighera alle sale affollate del Casinò di Montecarlo, sino alle sconfinate distese verdi delle lanche del Ticino. Tra i temi dipinti dall’artista vi furono anche i teatri, i caffè, le corse dei cavalli; luoghi preposti alla vita sociale, palpitanti di volti umani e ricolmi di quel dinamismo e di quella fiducia nel progresso che hanno caratterizzato gli anni ruggenti della Belle Époque.
Il percorso espositivo si snoderà attraverso una serie di opere di grande importanza storico-critica, come quelle dedicate al periodo della Belle Époque, di cui Mariani con ironia registrò i trionfi ed esaltò gli eccessi: nel Palco alla Scala (1900), Attenti alle pozzanghere (1904-1908), La lettera d’amore (1908), Le inglesi al Tè (1908), Le perdute a Montecarlo (1909 circa), I sistemisti alla roulette (1910).
Finito il concerto (1914) e Il tavolo verde-Montecarlo (1916 circa) documentano bene la lunga, quanto attenta riflessione dell’artista monzese per il rituale mondano della nobiltà, italiana e straniera, e superano l’elemento descrittivo per un’autonomia di costruzione di figure eteree tra gli interni lussuosi dei casinò di Montecarlo e di Sanremo, del caffè Cova o tra i verdi prati di San Siro a Milano.
Molto interessanti sono anche i “paesaggi d’acqua”, tra cui le vedute del porto di Genova, nelle quali Mariani coglie i più delicati effetti atmosferici delle ore estreme del giorno, e le “impressioni” marine dell’amata Bordighera, che frequenta a partire dal 1889 e dove si trasferisce definitivamente nel 1907. Esemplari, a riguardo, sono Effetto di luna (1885), La Lancia Reale alla feste Colombiane (1892), Umberto I Re d’Italia entra a Genova l’8 settembre 1892 (1892), Mare in burrasca (1906) e La calma (1918): lo studio attento del flusso e riflusso delle maree, il frangersi delle onde contro gli scogli, il volo dei gabbiani, il loro posarsi sulle onde, il veloce immergersi per procurarsi il cibo, testimoniano i lunghi appostamenti e le accurate osservazioni da parte di Mariani.
A queste vedute “pure” si affiancano i paesaggi animati dalla presenza umana ambientati alla Zelata – spiaggia inondata dalle acque del Ticino nei pressi di Bereguardo, vicino a Pavia – fra cui Cacciatori alla Zelata d’inverno (1894), dove il naturalismo degli anni precedenti si apre all’impressione del vero e si incanala verso una crescente libertà esecutiva che Mariani applica anche alle opere di soggetto orientale, realizzate durante il viaggio compiuto in Egitto nel 1881 e documentate in mostra da Mercato al Cairo (1881), Veduta delle Piramidi (1881) e da Ragazza del Cairo (1881); in questi lavori, la sua tavolozza si rischiara e si impreziosisce di gialli squillanti e di azzurri intensi.
L’esposizione si chiude idealmente con la sezione dedicata alla ritrattistica, genere al quale Mariani si dedica nel corso di tutta la sua carriera, giungendo a esiti straordinari sia nelle opere a olio, come il vigoroso Ritratto di Thea Rossi (1882), sia in quelle a pastello, come Ritratto femminile (1903 circa) e Ritratto di signora in azzurro (1908 circa), capaci di fissare in un attimo un’espressione, uno stato d’animo.
L’iniziativa milanese rappresenta un ulteriore contributo allo studio e alla conoscenza della lunga, quanto fortunata parabola artistica di Mariani, iniziata nel 1878 a Milano sotto l’egida del pittore Eleuterio Pagliano e conclusasi con tutti gli onori a Bordighera, in Liguria, nel 1927: nella sua carriera Mariani ha esposto infatti in ben 480 mostre, ottenendo – unico artista al mondo – quattordici medaglie d’oro e nove d’argento, mentre le sue opere hanno avuto acquirenti illustri quali, ad esempio, Andrew Carnegie, Charlie Chaplin, Max Linder, Giacomo Puccini, Arturo Toscanini, Adolph Thiem, lo zar di Russia Nicola II, la Real Casa di Savoia, le famiglie Bernasconi, Florio, Rockefeller e Rothschild.
Dal 30 ottobre 2013 al 16 febbraio 2014, il Museo Fondazione Roma, nella sede di Palazzo Sciarra, ospita la mostra IL TESORO DI NAPOLI. I Capolavori del Museo di San Gennaro, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei in collaborazione con il Museo del Tesoro di San Gennaro di Napoli.
L’esposizione curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente di Storia, economia e produzione della gioielleria presso l’Università La Sapienza di Roma, con la consulenza di Franco Recanatesi, è un evento unico di grande rilevanza storica e artistica: per la prima volta, quasi 70 opere provenienti da una delle collezioni di arte orafa più importante al mondo, sono presentate al di fuori delle mura della città partenopea accanto a documenti originali, dipinti, disegni, arredi sacri.
Per far comprendere l’impatto di questo appuntamento, basti dire che il Tesoro di San Gennaro, formatosi attraverso settecento anni di donazioni di papi, imperatori, re, ma anche di ex voto popolari, ha un valore storico superiore a quello dei Gioielli della Corona d’Inghilterra e dello Zar di Russia, come ha rilevato una ricerca pubblicata nel 2010 e compiuta da un’equipe di gemmologi coordinata dal Prof. Ciro Paolillo, curatore della mostra, che nell’arco di un triennio ha effettuato approfonditi studi su alcuni dei preziosissimi gioielli donati al Santo e che saranno esposti a Roma.
Inoltre, al contrario di quanto accaduto per altri patrimoni dinastici ed ecclesiastici, il Tesoro si è mantenuto intatto dalla sua nascita ad oggi, senza mai subire spoliazioni e senza che i suoi preziosi fossero venduti per finanziare guerre, in un processo di acquisizione e ampliamento continuo.
La Mitra, di cui quest’anno si celebra il 300° anniversario della realizzazione, venne commissionata dalla Deputazione per essere indossata dal busto durante la processione in occasione dei festeggiamenti nell’aprile del 1713. Vede la luce nell’Antico Borgo Orefici, voluto dai sovrani angioini, una vera fucina di talenti, fra cui l’autore: il maestro orafo Matteo Treglia. Il valore della mitra è enorme, sia per quanto concerne la materialità dell’oggetto, sia per la forte simbologia di cui è intrisa.
3964 pietre preziose tra cui diamanti, rubini e smeraldi ornano la Mitra, secondo una tradizione di costruzione di oggetti ecclesiastici legata alla simbologia delle pietre: lo smeraldo rappresentava l’unione della sacralità del Santo con l’emblema dell’eternità e del potere, i rubini il sangue dei martiri e i diamanti il simbolo della fede inattaccabile.
Inoltre, le pietre raccontano un’altra affascinante vicenda. Si è scoperto, infatti, che alcune provengono da antiche cave dell’America latina. Come afferma Ciro Paolillo: “Grazie alla dedizione del Treglia oggi ci troviamo di fronte a una delle più belle collezioni di smeraldi degli antichi popoli sudamericani esistenti al mondo e per tale motivo queste pietre acquistano un valore, non solo per la loro preziosità ma anche per la loro storia”.
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