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Da tempo in Occidente assistiamo ad una vulgata propagandistica contro il passato europeo, colpevole di aver colonizzato il mondo e di averlo reso una landa desertica. Questa lettura viene sostenuta da forze politiche di sinistra e anche da un certo mondo cattolico, facendo crescere sensi di colpa in Europa e negli Stati Uniti.

Questa vulgata «diffusa in molti circoli intellettuali ed accademici, punta a convincere gli studenti, e in genere le nuove generazioni, che i Paesi colonizzati erano, prima dello sbarco degli europei, un grande Eden pacifico e tranquillo, i cui abitanti conducevano una vita felice e spensierata, basata sull’eguaglianza e la condivisione pacifica delle risorse». (Michele Marsonet, I complessi di colpa dell’Occidente: il colonialismo non è causa di tutti i mali del mondo, 2.12.20, Atlanticoquotidiano.it)

Questi pensatori hanno manicheamente diviso il mondo: «Da una parte i “buoni”, vale a dire i popoli colonizzati, e dall’altra i “cattivi”, cioè noi che occupando i loro territori abbiamo causato la rottura di un equilibrio pressoché perfetto che Dio (o la Natura) avevano creato». E dove esistevano i “buoni”, cioè in Africa, in America, qui c'era una specie di Eden, poi diventato povero e degradato proprio a causa del colonialismo e dello schiavismo.

«Eppure, - scrive Marsonet - è la storia stessa a dirci che il succitato Eden non è mai esistito. Africa e America erano sede di conflitti permanenti e di lotte sanguinose tra popoli diversi anche quando, sul loro suolo, degli europei non v’era traccia». Il “buon selvaggio”, esaltato da Rousseau, non esisteva in Africa e neanche in America, si pensi agli imperi Inca o Azteco.

Che non sia una discussione soltanto accademica, lo si è visto nelle settimane prima del voto presidenziale americano, come i movimenti indigenisti americani e soprattutto i Black Lives Matter, hanno distrutto statue di colonizzatori e razzisti bianchi come quelle di Cristoforo Colombo e di tante altri. Inoltre, i complessi di colpa da cui l’Occidente è afflitto stanno generando una curiosa situazione. Peraltro per espiare i nostri peccati coloniali, secondo certa sinistra dovremmo accogliere senza alcuna limitazione immigrati non europei che, una volta giunti, cercano subito non solo di trasferire, ma addirittura di imporre, i loro costumi e la loro visione del mondo.

Non v’è dubbio che il colonialismo sia un fenomeno deprecabile e da condannare con fermezza. Gli europei lo hanno fatto, a volte anche esagerando.

A noi oggi spetta, studiare, raccontare ai nostri figli, ai nostri giovani, spesso indottrinate da libri di testo faziosi, la Verità dei fatti. Per fargli prendere «coscienza di far parte di una civiltà, come quella occidentale, che al mondo ha fornito contributi fondamentali in ogni campo del sapere umano».

Un ottimo studio ben documentato che ha lo scopo di raccontare la Verità sulle “conquiste” europee nel mondo è «Magna Europa. L'Europa fuori dall'Europa»,  curato da Giovanni Cantoni e da Francesco Pappalardo, (D'Ettoris Editori, Crotone 2006). L'opera raccoglie testi di relazioni presentate a un seminario organizzato nel 2002 a Bobbio da Alleanza Cattolica e parzialmente replicato nel 2004 a Crotone dalla Fondazione D'Ettoris e dalla Biblioteca Pier Giorgio Frassati - costituisce da questo punto di vista un autentico avvenimento culturale, da inquadrare e apprezzare come tale, prima ancora di addentrarsi nell'esplorazione dei singoli argomenti trattati nella ricchissima collezione d'invertenti. E' uno studio inteso a difendere la nostra identità politico-culturale, e per fare questo non si  può prescindere da un corretto riappropriarsi della storia, senza leggende né "rosa" né nere.

Magna Europa (470 pagine) è un testo abbastanza complesso che comporta fatica nel leggerlo, e soprattutto sarebbe presuntuoso e inadeguato anche solo tentare di riassumere nel normale spazio di una recensione. All'opera hanno contribuito dieci esperti, studiosi con contributi specifici, dove approfondiscono temi storici, sociologici, religiosi con buone conoscenze geografiche. Infatti si consiglia di accompagnare la lettura con un buon atlante storico-geografico.

Il volume è aperto da una presentazione di Cantoni, fondamentale per comprendere il senso del testo. Vi si trovano preziose indicazioni sull'origine dell'espressione "Magna Europa", e soprattutto una rivendicazione della legittimità del concetto, che Cantoni attribuisce allo storico della cultura, Henri Brugmans. «Magna Europa, Grande Europa, è dunque il nome con cui correttamente e significativamente si può indicare il mondo umano nato dall'espansione degli europei non solo in quel subcontinente dell'Asia che è l'Europa vero nomine, ma nelle Americhe, in Africa, nella stessa Asia e in Oceania, così come la Magna Grecia è stata anzitutto la 'Grecia di fuori', ma, in ultima analisi, la Grecia in tutta la sua maturazione».

Pertanto Cantoni, citando il grande papa Giovanni Paolo II, il termine Magna Europa, «non è in realtà un territorio chiuso o isolato, ma è un continente di cultura […] si è costruita andando incontro, al di là dei mari, ad altri popoli, ad altre culture, ad altre civiltà».

Questa è la nozione di Europa, non solo "penisola del continente asiatico" «che ospita popolazioni diversissime dal punto di vista etnico e linguistico - ma acquista un significato preciso solo se la si intende in senso culturale, con riferimento sia all'eredità storica greco-romana, sia (soprattutto) al cristianesimo, sia - ancora - alla traduzione di questa eredità e di questa religione in strutture politiche rappresentate da concetti come "feudalesimo" e "impero" che godono di cattiva stampa ma che possono e devono essere riletti al di là delle "leggende nere", ancorché "senza concessioni di sorta alle ‘leggende rosa'» (Massimo Introvigne, Testimonianza per l'Occidente, il Domenicale. Settimanale di cultura, anno V, n. 33, 19 agosto 2006)

Giovanni Cantoni nella premessa fa riferimento a una serie di studiosi che hanno affrontato l'argomento a partire da Pierre Chaunu, Gonzague de Reynold, il pensatore e uomo d'azione cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira, lo storico statunitense Louis Hartz, Jaime Eyzaguirre Gutierrez, ma soprattutto il compianto amico e maestro di scienza storica e di vita Marco Tangheroni, che avrebbe dovuto esserne un protagonista di questo studio sulla Magna Europa. E poi al politologo Samuel Huntington, lo storico francese Fernand Braudel, il pensatore cattolico colombiano Nicolas Gomez Davila, il pensatore nicaraguense Ycaza Tigerino e tanti altri. Peraltro alla fine di ogni capitolo sono presenti dei riferimenti bibliografici e a volte anche  sitografici, con un successivo orientamento bibliografico. Naturalmente tutto questo rafforza la scientificità dell'opera.

Entro nelle varie sezioni del libro aiutandomi con la splendida recensione che ha fatto il grande filosofo argentino Alberto Caturelli per la rivista Cristianità (“Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa”: lettura e bilancio di “un’opera che fa pensare”, n.341-342/ 2007, Cristianità)

La prima Parte (L'Europa che parte), inizia con il primo contributo di Luciano Benassi (Sviluppo tecnologico e conoscenza scientifica nel Medioevo) Non si può fare a meno di studiare e riscoprire il Medioevo tecnologico, quello dell'industria, delle invenzioni, della cultura. La civiltà cristiana romano-germanica, la cosiddetta civiltà medievale, più di altri hanno patito i silenzi e le falsità della “leggenda nera”. E' stata soprattutto Regine Pernoud con i suoi studi a regalarci il vero Medioevo, sgombro dai pregiudizi e dalle falsità. Proprio «in quest’epoca s’incrementò l’uso dell’aratro che smuove la terra, del cavallo, del nuovo sistema di coltivazione a rotazione triennale, dell’energia idraulica, della tecnologia metallurgica di cui furono maestri, in genere, i benedettini e, infine, vennero poste le radici della scienza moderna (cfr. pp. 48 ss.) grazie all’apporto essenziale delle università».

Segue il contributo di Ivo Musajo Somma che si occupa de (L’Europa di Carlo V e di Filippo II d’Asburgo); (pp. 59-80); mostra come un sovrano autenticamente europeo proiettò e realizzò l’idea dell’Europa sovranazionale, multiculturale e cristiano-cattolica insieme al primato dell’ordine soprannaturale: adoretur Eucharistia in orbe universo.

Incoronato Imperatore da Clemente VII il 24 febbraio 1530, Carlo V, rispettando le autonomie locali, pensa alla monarchia universale e, mentre il luteranesimo lacera l’unità religiosa, porta a termine la conquista del Nuovo Mondo. Suo figlio Filippo II lotta per conservare l’armonia della Cristianità, convinto che il sovrano esiste per i popoli non solo della Spagna ma anche di fuori dalla Spagna, come testimonia la vittoria di Lepanto il 7 ottobre 1571. L’autore passa in rassegna le guerre di Fiandra e d’Inghilterra, l’assenza della Francia e l’immenso sforzo di Filippo II e delle Spagne contro il protestantesimo e l’Islam, per consolidare la Cristianità con un ordine civile fondato sulle libertà concrete (cfr. p. 79).

La prima parte viene chiusa da Ignazio e Ugo Cantoni; il primo con uno studio sulla Ratio studiorum della Compagnia di Gesù (cfr. pp. 81-92) e il secondo con un saggio sulle regole del jus in bello in relazione al tipo di armamento (cfr. pp. 93-99). Nel caso della guerra moderna, il numero di vittime di quest’ultima aumenta in modo esponenziale (cfr. p. 98).

La Chiesa Cattolica ha, scrive Ugo Cantoni,«[...]progressivamente orientato verso un'umanizzazione degli scontri, imponendo una serie di divieti, concordemente riconosciuti e rispettati, che rendevano tale attività estremamente limitata nel tempo, con l'esclusione – fra l'altro – dei tempi liturgici detti forti e delle feste religiose».

La seconda parte (L'Europa fuori dall'Europa) costituisce un monumentale corso di storia delle principali espressioni della "Magna Europa". Il primo intervento è di Francesco Pappalardo (L'espansione europea dal secolo XIV al secolo XIX), pp.103-138.

 Nell’ampio percorso l’autore descrive […] il passaggio da un mondo composto da realtà chiuse a un universo in cui grandi aree geografiche, numerosissime popolazioni e civiltà diverse prima isolate entrano in comunicazione” (p. 104); per certo si tratta de “l’esplosione […] su scala mondiale della Cristianità latina” (Pierre Chaunu, p. 106) con momenti chiave come la presa di Granada (2-1-1492), l’esplorazione dell’Oceano Indiano da parte dei portoghesi, la scoperta dell’America (12-10-1492), l’epopea missionaria fino al viaggio di Magellano concluso da Juan Sebastián de Elcano, la coscienza dell’esistenza di un Nuovo Mondo come continente autonomo separato dall’Asia, come mostrato dalla carta di Giacomo Gastaldi (1565) (cfr. p. 129). Con vivacità trascinante vengono descritti i viaggi degli spagnoli, degli olandesi, dell’inglese Cook e del francese Bougainville (cfr. pp. 130-136), che illustrano l’espansione non solo geografica ed economica ma anche religiosa e culturale dell’Europa nel mondo. Nei decenni seguenti al secolo XV, «si verifica un mutamento radicale del panorama mondiale - scrive Pappalardo – il più inatteso. Da allora, nel corso di circa tre secoli, i navigatori europei riescono a collegare fra loro tutte le zone del globo terrestre e ad aprire ai traffici europei tutit i mari, tranne quelli circumpolari, perchè ghiacciati».

Giovanni Cantoni espone il tema (La conquista dell’Iberoamerica (1493-1573): i protagonisti, le modalità e i problemi); (pp. 139-185). Si tratta di una sintesi eccellente che inizia dal 722 con la battaglia di Covadonga, dalla riconquista della Penisola Iberica portata a termine nel 1492 alla Conquista ed evangelizzazione dell’Iberoamerica (1493-1573). Indugia sull’opera dei Re Cattolici, sul carattere del conquistador e sulla missionarietà cattolica dell’impresa; dedica pagine sintetiche ed esemplari alle comunità precolombiane (i conquistati), ai “capitolati” attraverso i quali si trasferiva nel Nuovo Mondo […] quel particolarismo medioevale che nella madrepatria si sta tentando di superare” (p. 165) e alla encomienda, simile al feudo medioevale e alla signoria castigliana, nella quale si realizzava […] una protezione della proprietà degli Indiani che va al di là dei limitati diritti riconosciuti ai contadini nell’Europa medioevale” (Jean Dumont, pp. 167-168).

Ma l’elemento essenziale fu l’evangelizzazione che Cantoni descrive con maestria servendosi di una bibliografia di autori da noi meno noti (come Chaunu, Powell, Dumont) e altri più familiari (come Corrêa de Oliveira, García Morente, Eyzaguirre, Morales Padrón). Caturelli è onorato di essere citato da Cantoni che segnala l'opera del professore argentino: Il Nuovo Mondo riscoperto, edito in Italia da Ares (1992), da me recensita recentemente.

Paolo Mazzeranghi si occupa de (Le tre colonizzazioni dell’America Settentrionale); (pp. 187-212). L’autore inizia con un breve ma preciso riferimento ai gruppi indigeni preesistenti e affronta le tre“colonizzazioni” europee: la spagnola — e la messicana fino alla conquista del Messico da parte degli Stati Uniti nel 1848 —, e la francese, che iniziò cercando l’inesistente passaggio a Nord-Ovest in quello che oggi è il Canada.

Senza entrare nei dettagli ci pare molto giusto sottolineare il lavoro evangelizzatore di francescani e di gesuiti e, soprattutto, l’opera del beato François de Laval de Montmorency, che fu vicario apostolico in Canada nel 1658 (cfr. p. 197). Dopo la Guerra dei Sette Anni e la caduta di Québec e di Montréal in mani britanniche (1758 e 1760), cessò la presenza francese nell’America del Nord. La terza colonizzazione fu quella britannica, che l’autore fa risalire alla probabile esplorazione di Caboto nel 1497. Mazzeranghi segnala che i futuri Stati Uniti furono dominati culturalmente dal puritanesismo (presbiteriani e congregazionalisti) (cfr. pp. 203-208); i caratteri di questo influsso furono indicati dal grande pensatore irlandese Edmund Burke che Mazzeranghi cita:“Ogni forma di Protestantesimo, anche la più fredda e passiva, è una forma di dissenso. Ma la religione prevalente nelle nostre colonie settentrionali è un raffinamento del principio di resistenza: è la dissidenza del dissenso e la protesta della stessa religione protestante” (p. 206; discorso del 22-3-1775). Questo spirito determina la politica britannica nei confronti degl’indiani (cfr. pp. 208-211).

Lo stesso Paolo Mazzeranghi traccia la storia della Guerra d’Indipendenza degli Stati Uniti (1776-1793) e della Guerra Civile (1861-1865) (pp. 213-242). È di grande interesse la sua critica all’opinione corrente sulla Guerra Civile: il Nord, centralista, detesta un Sud agrario e cavalleresco, che, a sua volta, detesta il Nord adoratore degli affari e della industrializzazione.

Ha girato il mondo una campagna propagandistica che fa del Sud un mondo schiavista; Mazzeranghi rettifica e ricorda anche l’accettabile modus vivendi dei sudisti con i pellirosse e non dimentica che proprio lì iniziò ad applicarsi la disumana concezione della “guerra totale”.

Così fece il Nord, come spiegava il generale Sheridan in un testo trascritto da Mazzeranghi: “È difficile piegare un popolo di combattenti risoluti e coraggiosi; ma mettete alla fame le loro donne e i loro bambini e vedrete i fucili cadere dalle mani dei soldati” (p. 238).

Reputo necessario un chiarimento che riguarda il carattere gravemente fuorviante di ogni assimilazione della cosiddetta Rivoluzione Americana alla Rivoluzione Francese all'interno di concetti comodi ma errati come quello di "epoca delle grandi Rivoluzioni". Cito ancora una volta Introvigne, «la Rivoluzione Americana non si batte per, ma contro il centralismo e la negazione delle autonomie locali e dei corpi intermedi che s'infiltrava anche nell'amministrazione britannica e di cui la Rivoluzione Francese costituisce al contrario la maggiore affermazione. Semmai, elementi di centralismo penetrano successivamente negli Stati Uniti d'America e determinano l'insurrezione degli Stati del Sud, che di queste spinte centralistiche sono vittima: la Guerra Civile del 1861- 1865, che non va assolutamente ridotta alla sola questione della schiavitù. Se le conseguenze della Guerra Civile si fanno sentire ancora oggi, è d'altro canto anche vero che la resistenza del Sud al centralismo, sconfitta sul terreno militare, non fu vana e contribuì alla preservazione di un sistema di autonomie locali che fa degli Stati Uniti d'America la realtà della "Magna Europa" che ancora oggi meglio conserva le vestigia di un ordine costruito sulla gelosa difesa delle prerogative delle città, delle contee e degli Stati che costituiscono la Federazione».

È eccellente la minuziosa esposizione di Sandro Petrucci su (L’Asia portoghese); (pp. 243-291), dall’arrivo di Vasco da Gama e dal riconoscimento dei cristiani dell’Apostolo san Tommaso (cfr. pp. 246 ss.) fino alle grandi figure come Francisco de Almeida e Alfonso de Albuquerque, fondatori dell’”impero” in Asia; Goa non fu soltanto la capitale (cfr. pp. 273 ss.) ma il centro d’irradiazione missionaria; l’autore mette in risalto la mirabile opera di san Francesco Saverio, del padre Matteo Ricci e di Johann von Bell, e studia tutti i particolari fino al nostro tempo.

Si occupa ancora Mazzerenghi della storia de (Il Sudafrica: l’incontro in Africa Australe di due frammenti d’Europa); (pp. 293-312).

In questa storia entra in scena l'Olanda, sebbene con un numero esiguo di emigrati. Poi arriva la Gran Bretagna, qui Caturelli invita il lettore a fissare l’attenzione sulle differenze essenziali fra i boeri, la cui fedeltà letterale alla Scrittura almeno non lasciava spazio al razzismo, e il carattere britannico che porta alla guerra totale e ai primi campi di concentramento (cfr. pp. 304, 310-311). L’Unione Sudafricana comprende le due repubbliche boere e le due antiche colonie britanniche (Capo e Natal).

Della storia appassionante de (Le Filippine spagnole “Estremo Occidente”); (pp. 313-360) si occupa Sandro Petrucci, dall’arrivo di Magellano (1521) fino alla perdita delle Filippine dopo la guerra della Spagna con gli Stati Uniti nel 1898. Prima Cebú (1565), poi Manila (1571) e il Pacifico come il lago spagnolo la cui rotta di ritorno al Messico (Acapulco) fu scoperta da Andrés de Urdaneta nel 1565.

Petrucci descrive l’enorme e bella opera della Spagna a partire dalla Nuova Spagna: l’organizzazione municipale, come la diocesi di Manila, dipese da quella del Messico fino al 1595. L’opera missionaria fece delle Filippine il più bel fiore della Cristianità Orientale. La Spagna si dedicò tutta all’opera più importante della Chiesa in Oriente; qui, non più “estremo Oriente” ma “estremo Occidente”.
Torniamo a leggere Paolo Mazzeranghi che studia un mondo diametralmente diverso: (Australia: l’uomo europeo alla conquista di un “mondo vuoto”); (pp. 361-381). Dopo la scoperta geografica, bisogna attendere il 1780, anno nel quale l’Australia interessa a qualche potenza europea; la prima popolazione formata da deportati dall’Inghilterra (fra il 1788 e il 1868) fu di 162.000 persone; s’incontrarono due civiltà: […] da una parte una civiltà dell’Età della Pietra, dall’altra una civiltà europea moderna in piena Rivoluzione Scientifica e Industriale” (p. 368); questa “società di frontiera” (p. 375) che si sviluppa dal nulla è forse il più lontano trapianto dell’Europa.

A proposito dell'espansione europea in queste nuove terre, è interessante il distinguo del sociologo delle religioni Massimo Introvigne: «Anzitutto, se è certamente vero che la Spagna e il Portogallo cattolici hanno inteso diversamente lo spirito e le modalità dell'espansione rispetto all'Inghilterra e ai Paesi Bassi protestanti, praticando su scala assai più ampia i matrimoni misti con le popolazioni locali, destinando risorse maggiori alle missioni, e quasi sempre offrendo (o almeno tentando di offrire) maggiore protezione e diritti ai nativi, non si deve però ritenere - quasi rovesciando le "leggende nere" ampiamente diffuse da una certa pubblicistica inglese in funzione antispagnola - che la conquista e la colonizzazione inglese e olandese si siano risolte in una semplice litania di massacri d'"indigeni" buoni e pacifici, sempre e comunque vittime della malvagità e del razzismo degli europei». (Ibidem)

Da ultimo Giovanni Cantoni dedica quarantasette belle pagine, quasi un piccolo libro, a (L’Indipendenza politica iberoamericana (1808-1826): dalla “reazione istituzionale” alla guerra civile); (pp. 383-430). L’autore mostra una grande conoscenza e condivisione della migliore bibliografia a partire da L’America e le Americhe di Pierre Chaunu e da quella di tanti autori iberoamericani come Icaza Tigerino; non è consueto trovare in ricercatori dell’Europa geografica questa comprensione intelligente, che rompe con lo schema convenzionale e falso dell’Indipendenza; sulla base della distinzione di Morales Padrón fra “emancipazione”, “indipendenza” e “rivoluzione”, si deve parlare di “indipendenza politica” (p. 385) forgiata sulla base dei princìpi del Sacro Ispanico Impero animato dalle istituzioni medioevali.

Come noi, Cantoni distingue anche una “storia ufficiale” da una “storia vera” (p. 387), che mostra l’impresa indiana come la figlia postuma del nostro Medioevo fondatore di un “feudalesimo amerindo” (p. 396), le cui fondamenta sono poste dalla Chiesa Cattolica.

In questo lungo capitolo sul tema, che va letto in continuità con quello dello stesso autore sulla conquista dell'Iberoamerica. «Qui la vulgata comune - scrive Introvigne - ci parla di una dominazione spagnola rapace, oppressiva, "medioevale" e negatrice delle autonomie dei coloni, e di un processo che porta all'indipendenza avviato e condotto sulla base dell'Illuminismo, dell'anticlericalismo, dell'avversione alla monarchia, delle idee massoniche e di un presunto entusiasmo per tutto quanto va sotto il nome di modernità. Sulla scia dell'intellettuale nicaraguese Julio César Ycaza Tigerino (1919-2001), più volte citato nel capitolo, Cantoni denuncia questa vulgata come una 'falsificazione grottesca e stupefacente'».

Cantoni è consapevole del fatto che la materia è assai complessa. «Tuttavia nella sostanza l'America Latina ispanica è un mondo a suo modo "feudale", attaccatissimo alle libertà locali e ai diritti dei corpi intermedi; ed è quando questi diritti sono negati sia dal centralismo della dinastia dei Borboni sia dall'occupante francese che s'impadronisce della Spagna nel periodo napoleonico che gli ispanoamericani insorgono».

Il libro di grande interesse storico-dottrinale si conclude e siamo alla III Parte con la descrizione attuale della Magna Europa e dei suoi vincoli istituzionali formali e informali: Ilario Favro si occupa degli (Organismi politico-militari dell’Europa Continentale); (pp. 433-443) e Mario Vitali di (Organismi economico-finanziari nella Grande Europa);(pp. 445-455).

Certamente ogni capitolo affrontato in questo grande Atlante o Dizionario di Storia della “Magna Europa”, andrebbe almeno adeguatamente approfondito. I saggi qui pubblicati dalla D'Ettoris Editori per il momento colmano una lacuna.

Termino con l'auspicio e il ringraziamento del compianto professore Caturelli, «Oggi siamo protagonisti di un’immensa tragedia: l’apostasia dell’Europa dello spirito, che equivale a un suicidio storico, lascia come orfani gli europei di “fuori” dall’Europa e gli europei della Magna Europa pensano che, forse, la Provvidenza vuole che parta dall’Europa “di fuori” (dal punto di vista geografico) la nuova evangelizzazione del Vecchio Mondo. Pare necessario un quinto viaggio di Cristoforo Colombo, che porti missionari della fede di Cristo al Vecchio Mondo affinché l’Europa sia nuovamente sé stessa. Dobbiamo ringraziare questo gruppo di ricercatori italiani, e specialmente Giovanni Cantoni, per un’opera che ha la somma delicatezza dello spirito: ci fa pensare».

 

La raccolta poetica di Adriana Gloria Marigo si presenta come una serie di brevi composizioni, quasi tutte ispirate dal bellissimo paesaggio del Lago Maggiore. Brevi perché tale è l’estensione  narrativa di un'emozione, e brevi perché mai si cerca di connotare con precisione l'ora del giorno o la stagione, sempre evocate per fuggevoli indicazioni o, meglio, per rapide annessioni sinestetiche con luce, acqua, aria, foglie.

Adriana Gloria Marigo è nata a Padova, vive a Luino (VA). Dopo gli studi universitari in pedagogia a indirizzo filosofico, ha insegnato per alcuni anni nella scuola primaria. Attualmente è direttrice della collana di poesia Alabaster per Caosfera Edizioni di Vicenza; collabora al blog di cultura letteraria Limina Mundi e alla rivista Re[a]daction Magazine. Sue poesie e articoli di critica letteraria sono reperibili in vari siti web, blog, riviste letterarie on line e cartacee. 

Numerose sono le prefazioni e le note critiche per poeti italiani e romeni: la prefazione più recente è al saggio di Gianluca Conte Il niente ineludibile, L'argolibro Edizioni, 2020. Ha curato la brochure La tensione del filo (2019) per la mostra della pittrice padovana Patrizia Da Re. È stata finalista al Premio Camaiore 2016, al Premio Lorenzo Montano 2016 e 2020 con la Menzione d’Onore. Ha tradotto alcune poesie di Anna de Noailles per il n.18 dei quaderni Traduzione Tradizione diretti da Claudia Azzola e in uscita a gennaio 2021. Ha pubblicato: Sillogi – Un biancore lontano, LietoColle, 2009; L'essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice, 2012; Senza il mio nome, Campanotto Editore, MMXV; Minimalia (aforismi), Campanotto Editore, MMXVII; Astro immemore, Prometheus 2020; Plaquettes – Impermanenza, Pulcino Elefante, 2015; Santa Caterina d’Arazzo, GaEle Edizioni, 2017; Uno, Caosfera Edizioni, 2017, collana libro d'artista Amaryllis; Neoterica (poesie), 2019; Tarsie (aforismi), 2020 entrambe FUOCOfuochino Editore; … del blu i pigmenti… (leporello in sole due copie con l’artista francese Caroline François-Rubino), 2020.

Scrive Andrea Matucci  :  Un luminoso “sentimento dello spazio”
Né si tenta mai, in questo percorso, di seguire un ordine temporale, quello breve dell'orologio o quello esteso del clima: le fulminee evocazioni si susseguono sconnesse e disperse, senza alcun legame consequenziale, a palesare ancora una volta quello che è sempre stato l'orrore della poesia pura per qualsiasi forma di serialità narrativa. Poco incline alle rime e alle assonanze, Marigo gestisce i suoi piccoli impianti metrici puntando più sul contrasto  e sull’interruzione ritmica che sull’armonia del verso isocrono. 

Più volte infatti continua Andrea Matucci al brusco succedersi di versi lunghi (talvolta endecasillabi perfetti, talvolta ipermetri, o endecasillabi privi di accenti) e versi più brevi, senari e settenari – e fino a far “suonare” un endecasillabo con un quinario – si affida il ricordo di quel blocco del respiro, di quell’istante di irripetibile fusione dell’io nell’armonia del mondo. Perché di questo si tratta: di un’armonia quale raramente si coglie fra mente corpo e natura, fra infinitamente piccolo e infinitamente grande, fra attimo e eterno, in una sapiente unione di un rinnovellato “Sentimento del tempo” con un luminoso “sentimento dello spazio”. 

Tanto che è rarissima, in questi versi, l’esplicita presenza di un “io” che vede, pensa, parla: solo in cinque dei quarantacinque componimenti troviamo un verbo alla prima persona, e due dei tre, come ci avverte la Nota dell’Autrice, non appartengono a “quel” paesaggio. Ma non si tratta solo dello storico rifiuto della soggettività ordinante proprio di tanto ermetismo novecentesco: qui c’è di più, come un nuovo passo oltre il confine della soggettività, nell’esperire una vera fusione sensoriale, e quasi sensuale, del sé con l’altro da sé.

Forse anche per questo è scarsissimo, come si diceva, l’uso della rima, quasi solo interna, e dell'assonanza, motivi che la Poeta separa da una classica ricerca di musicalità e riserva solo, in pochi memorabili casi, a una geminazione di parole che nascono, ungarettianamente, da un “porto sepolto” quasi inconscio di sensazioni: è il caso ad esempio di «si serra la sera sopra», incipit di un testo in cui è peraltro particolarmente evidente l'alternanza “emotiva” del verso lungo col verso breve; ed è il caso di «maestoso / ramoso / ramo» di Sopra un albero maestoso, dove il progressivo puntualizzarsi di uno sguardo non individualmente identificato ci trasporta improvviso dentro la chiarezza breve di una sensazione. 

Oppure si usano, le assonanze, per produrre legami fra i testi che costituiscono quelli più banalmente narrativi della cronologia e della vicinanza spaziale: come «Ora di fitto oro in festa», di Improvvisa una lucertola che introduce a «ora / orazione / oro» del testo successivo. Ma è sulla parola, sulla parola poetica, che Marigo prevalentemente lavora: prima di tutto nella ricerca di accostamenti inusitati e illuminanti, e fino dal titolo: Astro immemore che ci riporta di nuovo a una parola cara a Ungaretti, e alla sua magistrale capacità di provocare corti circuiti semantici, cosi come in questa raccolta un «esecrabile nullora», le «ere turbinanti», la «minuzia ventosa», le «volte virtuose», e gli esempi sarebbero innumerevoli: tutto il viaggio senza movimento di questo libro è un percorso di sinestesie estese e incessantemente rinnovate, e quindi di continua forzatura del normale uso della parola per valorizzare la sua capacità evocativa. Non solo negli accostamenti ma anche, come già si vede dalle precedenti brevi citazioni, nell'uso di termini desueti, o comunque il più possibile lontani da un vocabolario quotidiano: ed ecco «lucenza», «venetico», «iemale».  

E  se  la  fonte  di  quest’ultimo  termine   è sicuramente D'Annunzio, è l'ancora più alto magistero dantesco che insegna alla Poeta di oggi la possibilità di guardare una «incelestiata veste», o, ancora più bella, una «incorollata luce». Se dunque la poesia è l’arte della parola, nella sua inesausta  ricerca espressiva che sia evocazione, indicazione, emozione prima e oltre il normale comunicare, quella di Marigo è poesia vera, pura come un cristall, finisce la sua postfazione Andrea Matucci
 

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Ho incontrato lo scrittore romano Benedetto Scampone alla stampa estera, abbiamo parlato del sua opera prima , il suo primo lavoro come scrittore e mi ha portato in ufficio il suo libro molto interessante con il titolo, “L’archivio della coscienza”, un thriller ad alta tensione in cui si raccontano le indagini per catturare il primo serial killer della storia di Roma, e in cui si riflette sui tortuosi percorsi della mente di un assassino. Un romanzo coinvolgente che mette in scena una vicenda sanguinosa legata a un oscuro passato; una storia di disperata vendetta, di colpe mai espiate e di segreti inconfessabili, chiusi a doppia mandata nell'archivio della coscienza.

Parlaci un po del libro

L'archivio della coscienza è un thriller intrigante ambientato nelle strade della Città Eterna, sporcate da una serie di omicidi simbolici che sconvolgono e atterriscono la popolazione. Nell’incipit del romanzo si presenta una cruenta scena del crimine: un uomo sta contemplando l’orrore che ha causato; perso nelle sue febbrili elucubrazioni e con le mani imbrattate di sangue, afferma di non far più parte del mondo, e di aver attuato la prima fase della sua missione di vendetta. Ho riservato al killer dei capitoli brevi e incisivi, introdotti da citazioni che vanno lentamente ad arricchire la personalità dell’oscura figura. In questi tragici inserti costruisce non solo il presente ma anche il passato dell’omicida, indagando le motivazioni che lo spingono ad agire con tanta violenza.

Parlami dei protagonisti del tuo libro Benedetto

I tre protagonisti di questa affascinante storia, i cui destini vanno ad intrecciarsi profondamente, e il cui travagliato passato viene rivelato poco alla volta mostrando coincidenze inaspettate. Michele Pisano è il comandante della sezione Anticrimine della Polizia romana: un uomo burbero che ne ha viste tante, totalmente devoto al proprio lavoro anche se la sua professione sta diventando un peso sempre più insopportabile. La Dottoressa Maela Mannini è un’anatomopatologa intuitiva e sensibile, una donna estremamente forte, che si destreggia in un mondo maschile e maschilista. Alessandro Scantini, il personaggio più intenso di questa storia, è un criminologo specializzato in delitti seriali e in profiling; un professionista brillante, con un passato nell'FBI e un presente autodistruttivo: “Era un uomo erudito che aveva passato quasi tutta la vita a studiare gli altri senza preoccuparsi di sé. Completamente solo, affronta i giorni combattendo coi fantasmi che albergano nella sua mente”.

Parlami di te

Sono nato a Roma, nel 1979 e ho lavorato a lungo nell’ambito amministrativo rivestendo ruoli manageriali, fino ad approdare, circa cinque anni fa, nel mondo del Ministero della Pubblica Istruzione. Mi sono trasferito a Bracciano, una cittadina lacustre con paesaggi ameni e pittoreschi, e ho trovato la giusta ispirazione per scrivere la mia prima opera, il thriller “L’archivio della coscienza” (Gruppo Albatros Il Filo, 2019).

SINOSSI. Cos'è la coscienza se non il luogo dove memorizziamo quei momenti che ci hanno segnato o cambiato? Sono quelle situazioni che decidiamo di mettere da parte, di nascondere, di archiviare per non doverle più affrontare, poiché il solo pensiero di farlo ci distrugge. Spesso però, arriva il tempo in cui ognuno di noi deve farci i conti. È stato così per la Dottoressa Maela Mannini, anatomo patologo forense della questura di Roma, per il comandante Michele Pisano, capo della sezione Omicidi della Polizia romana e per il dottor Alessandro Scantini, ex agente dell'FBI ed esperto del comportamento umano. Tre destini apparentemente diversi, tre background diametralmente opposti che si incontrano e si intersecano durante un'indagine, dalla quale emergeranno sconcertanti episodi legati al loro passato, ma che delineeranno la strada per catturare il primo serial killer della storia di Roma.

Benedetto Scampone ci offre il ritratto di tre personaggi profondamente umani, dipinti con pennellate cariche dei colori della vita; ci permette di entrare nei loro archivi della coscienza e di conoscere anche i loro segreti più inconfessabili, mostrando sfaccettature del loro carattere assolutamente inimmaginabili. Nelle loro indagini scandite in apertura di capitolo dai giorni e dagli orari in cui si svolgono - tanto da avere l'impressione di essere in un film d’azione per la carica di tensione che tale espediente veicola - si entra in un mondo di violenza e di cieca vendetta dove le vittime del serial killer sono messe in posa come le donne dei quadri di Vincent Van Gogh, e le loro bocche vengono incollate per preservare dei messaggi criptici scritti in latino sulla pagina di un libro. Un enigma che aprirà più di un vaso di pandora e che costringerà i protagonisti ad affrontare i loro errori e le loro sofferenze; una frenetica corsa contro il tempo per salvare il vero e sconvolgente obiettivo del folle mostro.  

Padre Livio Fanzaga dai microfoni della sua Radio Maria non perde mai di vista di fare formazione, e azione apologetica per gli uomini e le donne che vogliono appartenere alla Chiesa senza se e senza ma. Nel settembre scorso la casa editrice Sugarcoedizioni di Milano ha pubblicato un saggio di padre Livio, sul Credo di san Paolo VI, il titolo dell’opera: “La Dottrina Cattolica. Il Credo antimodernista di San Paolo VI”.

Naturalmente il libro va letto e meditato passo dopo passo come sta facendo padre Livio ogni mattina in radio. E’ un testo che serve come nutrimento spirituale, che va completato attraverso un percorso di riflessione e di meditazione.

Nella prima Parte, il sacerdote, presenta il papa Paolo VI, un santo “vero”, come profeta del nostro tempo. Riconosciuto santo dalla Chiesa, non perché Papa, “ma per il suo alto profilo spirituale, morale e intellettuale, un profilo profetico straordinario, non compreso a suo tempo, ma che ora ci appare in tutto il suo valore”. Padre Livio, non manca di ricordare che Paolo VI, negli ultimi dieci anni ha vissuto una sistematica persecuzione, non tanto fuori dalla Chiesa, ma al suo interno. Pertanto, la sua elevazione agli altari gli restituisce giustizia e nello stesso tempo, la Chiesa propone un profeta di grande attualità.

Paolo VI, ha intuito, proprio dopo il Concilio Vaticano II che la Chiesa stava per essere investita da una crisi devastante. Per questo nel 1968 proclamò l’Anno della fede, compose lo straordinario documento che fu il “Credo del popolo di Dio”.

Secondo padre Livio, “non si comprende lo straordinario valore della Professione di fede di San Paolo VI se non la si colloca nel contesto del post-Concilio, quando i risultati di un lungo lavoro furono messi in discussione non solo dalle correnti tradizionaliste, ma anche da quelle moderniste, sempre più insidiose e virulente”.

Paolo VI viene eletto Sommo Pontefice nel conclave del 1963. Il nome scelto da Papa Montini indica il suo orientamento, quello di san Paolo, “l’apostolo delle genti, infatti, “il nome Paolo contiene già il suo programma: portare Cristo a tutti”.

Padre Livio accenna a quei tempi del Concilio a Roma quando lui giovane studente alla Gregoriana, iniziava a sentire e vedere ad affiorare i primi elementi della crisi di fede.

Il testo mette in luce il profondo amore per la Chiesa, nostra madre da parte del pontefice. “Essere membri della Chiesa è una grande gioia, amare la Chiesa è un dovere e servire la Chiesa è il compito di tutti noi. Come pure difendere la Chiesa, mai offendere la Chiesa, perché lei ci ha dato la fede”.

Del resto, questo è un imperativo che dovrebbe valere per chi si professa cristiano e in particolare per Radio Maria, nonostante gli scandali di certi uomini di Chiesa. “In ogni circostanza - scrive padre Livio - dobbiamo usare parole di figli, tenendo presente che dietro le debolezze umane c’è la presenza di Cristo, il Signore che vive nella Chiesa come l’anima nel suo corpo”.

Paolo VI chiude il Concilio, l’8 dicembre 1965, compiendo quasi un miracolo di equilibrio e di saggezza. Il testo di padre Livio pone la sua attenzione sulle due correnti che hanno messo in discussione il Concilio: la corrente tradizionalista e quella che lui chiama neo-modernista. La prima, puntava a uno scisma, come quella lefebvriana, la seconda metteva in discussione la stessa fede cattolica, ritenuta superata dalle conquiste della modernità. Il Papa è arrivato a sostenere che “il fumo di satana”, stava entrando all’interno della Chiesa stessa. In quell’occasione ha tenuto un discorso storico, profetico anche per il nostro tempo: “La religione del Dio che si è fatto uomo e la religione dell’uomo che si fa Dio”. Padre Livio evidenzia il secondo aspetto: “allora Paolo VI non immaginava che questa seconda religione sarebbe penetrata nella Chiesa, prima nelle élites e poi nel popolo, svuotando la fede e cercando di spingere la stessa Chiesa verso un sincretismo religioso, il cui fine ultimo sarebbe l’abolizione di Dio e il culto dell’uomo”.

Pertanto, oggi si può affermare secondo il direttore di Radio Maria, “che la religione che si fa Dio è quella vincente. Se in Occidente le chiese sono vuote è perché sta vincendo la religione dell’uomo che si mette al posto di Dio”.

Naturalmente padre Livio fa presente che per comprendere l’eresia modernista, contro il quale ha dovuto combattere Paolo VI, occorre risalire all’enciclica di Papa San Pio X, “Pascendi Dominici Gregis”, dove san Pio X, spiega che l’eresia modernista è la somma di tutte le eresie, perché nega la possibilità stessa della divina Rivelazione, in quanto ogni religione, compresa quella cristiana, sarebbe una proiezione dello spirito umano e quindi passibile di cambiamenti”.

Per avere un’idea della situazione odierna che sta vivendo la Chiesa per quanto riguarda l’Europa, il testo cita il cardinale di Utrech, Wilem Jacobus Eijk, il quale sostiene che il nostro tempo è segnato dall’impostura anticristica. Portando come esempio la sua diocesi che aveva aperte 280 chiese, ora ne ha soltanto 15.

Padre Livio sottolinea il carattere missionario di Papa Paolo VI, e ci invita a meditare le commoventi parole pronunciate a Manila dinnanzi a una folla immensa di poveri e diseredati, è quello che deve fare anche Radio Maria.

Ancora una volta nel testo il sacerdote descrive la Via Crucis che ha dovuto sopportare Paolo VI, subito dopo il Concilio negli anni, dal 1966 al 1978, anni in cui il papa ha coraggiosamente difeso l’integrità della fede cattolica, attaccata alla sua stessa radice dalle correnti neomoderniste. Sono gli anni della tanto discussa e contestata enciclica “Humanae Vitae”. E proprio sulla contestazione al Papa che padre Livio ci invita a soffermarci. Paolo VI si considerava segno di contraddizione. “La Chiesa, attraversa oggi un momento di inquietudine. Molti si esercitano nell’autocritica, si direbbe persino nell’autodemolizione”. Si fa notare come l’espressione “autodemolizione della Chiesa” risuona frequentemente nelle parole di Paolo VI e, successivamente, anche di Benedetto XVI. “La Chiesa oggi, - sottolinea il sacerdote – si distrugge dal di dentro, quando non è più fedele a Cristo e mette in questione la fede”. E’ questa l’autodemolizione. Tutti si aspettavano una fioritura della fede, “un’espansione serena dei concetti maturati nella grande assisi conciliare, e invece la Chiesa viene colpita da chi ne fa parte”.

Risuona la frase che in innumerevoli occasioni abbiamo sentito risuonare: “Si credeva che dopo il, Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ invece venuta una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza”.

Il 30 giugno 1968 nella basilica di San Pietro pronuncia il famoso Credo del popolo di Dio, una professione di fede di una luminosità impressionante e, in quell’occasione, pronuncia una frase che è passata alla storia: “il Papa ha la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di satana nel tempio di Dio”. Secondo padre Livio questa affermazione è attualissima, il fumo di satana si riferisce a un pensiero non cattolico che è penetrato nella Chiesa. Peraltro, è stato ben spiegato da Jean Guitton, amico del papa, con il quale ogni anno si trovava per un incontro fin da quando erano giovani. Tuttavia, è proprio al filosofo che Paolo VI confida i suoi timori “che un domani questo pensiero non cattolico diventi maggioritario, ma deve pur sussistere un piccolo gregge che rimanga fedele”.

Paolo VI muore il 6 agosto 1978, Andrè Frossard, grande intellettuale, comunista, convertito al cattolicesimo è lapidario: “la crudeltà del mondo lo ha ucciso”.

La seconda parte del libro è tutta dedicata alla “professione di fede di San Paolo VI”, che si apre con l’omelia in piazza San Pietro, dove il Papa, precisa che mentre si accinge a pronunciare il Credo, riprende sostanzialmente il Credo di Nicea, il Credo dell’immortale Tradizione della santa Chiesa di Dio.

“Noi siamo coscienti dell’inquietudine – afferma il Papa – che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità”.

Infatti, Paolo VI, senza nominare il modernismo, allude a quei cattolici che si lasciano influenzare dalle correnti egemoni del pensiero moderno, col rischio di mettere in discussione le verità rivelate e di intaccare gli insegnamenti della dottrina cristiana.

Così nell’attuale clima di “autodissoluzione della fede” e di “apostasia silenziosa”, “il Credo di Paolo VI, arricchito dagli insegnamenti del Catechismo della Chiesa cattolica, rappresenta una guida necessaria per non smarrire il cammino della verità e tenere accesa la lampada della fede mentre si estendono sempre più le tenebre della menzogna”.

 

 

A sentire i mass media sembra che durante il lockdown dei mesi scorsi, la diffusione della pornografia nelle case degli italiani è aumentata esponenzialmente. Con tanti problemi che affliggono la nostra società a chi può interessare occuparsi del fenomeno. Esiste un libro che affronta la questione in tutti i suoi aspetti dal punto di vista medico, psichico e sociale. Il testo scritto dallo psicoterapeuta Peter Kleponis, direttore di una clinica di consulenza a Conshohocken negli Stati Uniti, «Uscire dal tunnel. Dalla dipendenza da pornografia all'integrità», pubblicato dalla casa editrice calabrese, D'Ettoris Editori di Crotone (2019).

La pornografia è una delle piaghe sociali meno conosciute. Un gran numero di persone ne diventa dipendente, compromettendo l'integrità delle relazioni coniugali, familiari ed anche lavorative. Gli effetti di una esposizione frequente e prolungata ai video pornografici sono nocivi per la salute fisica e mentale. Tuttavia da questa dipendenza se ne può uscire. Questo libro conferma ampiamente questa tesi. “Uscire dal tunnel”, intende aiutare chi desidera conoscere il problema, informando sulle caratteristiche delle immagini pornografiche, sul loro impatto sul sistema nervoso, sulla dipendenza emotiva e chimica che ne deriva. Inoltre il testo indica la strada su come uscire da questa dipendenza «per riacquisire la libertà, riacquistando la propria integrità attraverso l'auto-aiuto, la terapia e il sostegno dei gruppi d'incontro».

Il testo ben documentato è prefato dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

«Questo libro – scrive il cardinale – è uno strumento utile per tutti coloro che si occupano di educazione, fornendo una copiosa quantità di informazioni a livello statistico, sociale, psicologico, sanitario e persino pastorale riguardo al fenomeno della pornografia[...]». Il cardinale ricorda il documento della CEI, “Educare alla vita buona del Vangelo”, dove si richiama ad una “emergenza educativa”, a cui bisogna provvedere a partire dalle famiglie, parrocchie, scuole, associazioni di ogni tipo, al fine di contrastare questa deriva diseducativa ormai presente da troppi anni. «A tale proposito - scrive Bassetti - il libro di Peter Kleponis è utile per farci riflettere su come la pornografia si insinua e invade la vita di ciascuno, di come essa può condizionare i nostri pensieri, le nostre azioni e le nostre relazioni».

Tuttavia per Bassetti questo libro non ha lo scopo di affrontare il tema dal punto di vista morale, ma è più importante considerarlo da quello sociale, sanitario e antropologico e pastorale. Bisogna esaminare soprattutto le conseguenze della pornografia. Leggendo questo libro si comprende come la pornografia «consente un costante bombardamento contro il sacramento che unisce l'uomo e la donna, cercando di distruggere la presenza e la benedizione di Dio nella famiglia».

Oltre al cardinale Bassetti, c'è un invito alla lettura di Stefano Parenti, che nel testo individua, finalmente, scrive, c'è qualcuno che osa proporre un percorso efficace per liberarsi dalla dipendenza della pornografia. In realtà lo studioso americano, pratica una vera e propria psicoterapia cattolica.

Infatti nell'introduzione, l'autore spiega perché è utile un libro sulla pornografia rivolto ai cattolici, ai credenti. «La pornodipendenza è un'epidemia in America ed in Europa. Milioni di uomini, donne e giovani ne sono affetti. La pornografia sta distruggendo la vita di singole persone, matrimoni, famiglie e carriere e, cosa più importante, sta rovinando la relazione delle persone con Dio. Nessuno è immune da questa epidemia. Sfortunatamente però solo pochi individui ne stanno parlando».

Kleponis si rende conto che la maggior parte della gente non comprende la pericolosità della deriva pornografica sulla nostra cultura.

Il professore Kleponis, invece, sostiene, che la pornografia gioca un ruolo significativo nel 56% dei divorzi. Su internet la fascia più numerosa degli utenti di pornografia, è quella degli adolescenti tra i dodici e i diciassette anni. Peraltro,molti lavoratori perdono il lavoro, perchè accedono a visioni pornografiche durante le ore di lavoro. Inoltre, «la maggior parte dei molestatori sessuali ha iniziato con la pornodipendenza».

Non solo, ma la pornodipendenza non è un fenomeno esclusivamente maschile, ma sta crescendo anche tra le donne. Il professore crede nella terapia per uscire dalla dipendenza e invita i credenti ad utilizzarla senza vergognarsi. La Chiesa potrà aiutarli, essendo fonte di amore e compassione.

Il testo del professore Kleponis si divide in due parti. La 1a (Capire il problema della pornografia); la 2a parte (Affrontare il problema della pornografia).

Nella prima parte del libro Kleponis illustra l'epidemia di pornografia e presenta i risultati più recenti relativi alla ricerca, facendo leva sulla sua attività professionale. Illustra la reale portata dell'epidemia, quali sono i soggetti che colpisce e quanto è diffusa. Il testo prende in esame gli effetti della pornografia sugli uomini, sulle donne, sui matrimoni, sui bambini, sugli adolescenti e anche sul clero. Infine il dottor Kleponis presenta l'insegnamento della Chiesa sulla pornografia.

Nella seconda parte del libro descrive come aiutare coloro che stanno lottando con la pornodipendenza e come proteggere le famiglie da questo flagello. In particolare presenta il programma riabilitativo:“L'integrità inizia ora!”.

Nei capitoli seguenti il professore indica percorsi di guarigione per singoli persone, per coppie e per il clero. Inoltre in questi percorsi, Kleponis dimostra come la Chiesa possa essere di sostegno al percorso riabilitativo. In questo contesto il professore americano incoraggia ad adottare come modello di sana sessualità, guardando a “la Teologia del Corpo”, e al testo “Amore e responsabilità”, del grande san Giovanni Paolo II.

Infine nel libro vengono offerte «strategie pratiche per proteggere le famiglie dalla pornografia, corredate con un ampio elenco di risorse per singoli, coppie e famiglie».

Nel testo si raccontano storie di persone reali, uomini e donne, che hanno lottato e hanno sofferto a causa della pornografia, intraprendendo un percorso di guarigione ritrovando la libertà. E' il caso di Tom e Janet, una coppia, sposati da vent'anni, con quattro figli. Il professore presenta la loro storia nel 1° capitolo. E' fondamentale per il professore cominciare a parlarne, non è un segreto per nessuno che viviamo in una cultura pornificata, dove abbondano le immagini sessualizzate. Li troviamo nei film, nella televisione, nella pubblicità, nelle riviste, nei cataloghi, nei videogiochi, nella musica pop, nella letteratura, nei social media e su internet. Il perchè è semplice: il sesso vende. «Il mondo della pubblicità lo capì decenni fa. L'attenzione degli uomini è immediatamente catturata dalle immagini sessualizzate. Quando un prodotto è sessualizzato, riceve la loro attenzione. E' sufficiente guardare gli spot televisivi durante una partita di calcio per vedere quanto il sesso sia usato dalla pubblicità». Tuttavia ancora oggi, in molti non riescono a comprendere quanto la pornografia porti alla dipendenza e quante vite stia mandando in rovina.

Il termine chiave per definire la pornografia è “usare”. Nella Teologia del Corpo e in Amore e responsabilità Papa Giovanni Paolo II, scrisse che il contrario di amare non è odiare, ma usare. Dio non ha creato i suoi figli affinché si usassero tra loro.

In tutti i casi in cui si presentano immagini nude o persone, possiamo definire come pornografia che porta le persone a “usare” gli altri. «Quando un uomo guarda pornografia, non sta pensando che la donna che sta guardando sia una persona con pensieri e sentimenti, non sta pensando che sia la figlia di qualcuno e neanche a quali possono essere le terribili circostanze che possono averla portata a lavorare nel mondo della pornografia». Sostanzialmente sta solo pensando che è lì per il suo piacere e che quindi per essere usata, sta solo pensando egoisticamente a se stesso.

La pornografia causa dipendenza e i suoi effetti sul cervello sono simili a quelli della droga e dell'alcol.

Kleponis considerando la pornografia ormai accessibile soprattutto in internet, individua cinque principi che portano alla dipendenza: “le cinque 'A'”: 1 Abbordabile, 2 Accessibile, 3 Anonima, 4 Accettata, 5 Aggressiva.

I danni causati dalla pornografia sono evidenti nel matrimonio e nella famiglia, «per la moglie scoprire che il marito consuma pornografia può essere molto traumatico, perché per anni ha pensato di conoscere il proprio uomo, e ora scopre che lui ha una vita segreta». I mass media hanno modificato la mentalità delle persone. Se prima il consumo di pornografia era considerato una vergogna e da nascondere al pubblico, ora è resa, soprattutto tra i giovani, assolutamente ammissibile.

La pornografia ormai è diventata un grande business, «i pornografi – per Kleponis - sanno che il loro prodotto conduce alla dipendenza e il loro obiettivo è quello di portare alla dipendenza il maggior numero possibile di persone [...]». Inoltre questi produttori di pornografia per giustificare il loro lavoro, «affermano che stanno semplicemente esercitando il loro diritto alla libertà di parola o che stanno facendo “arte”».

Sarebbe interessante documentare come il professore americano come ha descritto a partire dal 1940, come ogni dieci anni, un passo dopo l'altro i nostri valori culturali siano stati erosi e come hanno accettato la pornografia più sfrenata, fino ai nostri giorni. Comunque è utile ribadire che nella pornografia le vittime sono proprio le donne.

Kleponis è categorico sul tipo di donna che sceglie di lavorare nell'industria pornografica. «La risposta è: una donna profondamente ferita. Non conosco giovani donne sane che dicono di voler diventare pornostar. Non è raro che le donne della pornografia provengano da famiglie afflitte da abusi, dipendenza, rifiuto, abbandono e trascuratezza». Per Kleponis, «queste ragazze sono disperate e sono preda dei pornografi. In un primo momento accettano di fare pornografia per sopravvivere». Tra l'altro, secondo una ricerca, molte di queste ragazze, si è scoperto che la maggior parte di esse è morta prematuramente a causa dell'uso di droga, per suicidio, omicidio, abuso di alcol. Addirittura, «l'aspettativa di vita media di una pornostar è di soli 37, 43 anni» (Jennings, 2013).

Il professore chiarisce che sicuramente la pornografia non sarà mai messa fuori legge negli USA. «Per quanto possiamo aborrire la pornografia il sentiero che conduce alla vittoria non è evidentemente quello che passa dalle corti di giustizia. Piuttosto dobbiamo cambiare i nostri cuori e le nostre menti per denunciare la pornografia per la forza distruttiva che essa è». Si può fare qualcosa per quanto riguarda l'oltraggio al pudore, così come esistono leggi contro la pedopornografia, si possono emanare leggi anche per impedire la produzione di pornografia violenta, che degrada e abusa le donne.

I genitori e gli insegnanti devono educare gli adolescenti ai pericoli della pornografia e insegnare loro che è una dipendenza come la droga e l'alcol. Lo scopo del libro è aiutare la gente a scegliere una sana sessualità e di evitare la pornografia. 

 

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