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Più decentramento, più risorse sul territorio, meno tasse. Questa la piattaforma su cui sperano di lavorare da lunedì gli amministratori locali e regionali di Forza Italia. E su questa piattaforma di buon governo e autonomia si riconosce tutto il centrodestra lombardo, compattandosi in vista delle Regionali. Gli assessori regionali sono impegnati in questi giorni in iniziative di presentazione delle modalità elettroniche di voto. I partiti non si sono tirati indietro. 

Cosi alle 12 al teatro Piccolo, nel cuore di Milano, la conferenza stampa congiunta di Silvio Berlusconi e Roberto Maroni. Il leader di Forza Italia e il governatore, fianco a fianco, per far votare e per far votare Sì. Sì «a ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», quello che i cittadini delle Regioni più grandi e dinamiche del Nord, domenica potranno scrivere sulla scheda (anzi digitare sui tablet elettorali) per far partire una vertenza perfettamente inserita nei meccanismi costituzionali.

La conferenza stampa sul referendum di domenica prossima diventa l'occasione per riparlare delle alleanze politiche.Come anticipato ieri, resta saldo l'accordo con il Carroccio. "Non c'è mai stato motivo di distacco con la Lega - assicura - siamo consapevoli che insieme siamo più forti di altre forze politiche"

E svela di aver fissato un incontro con Matteo Salvini per stendere il programma del centrodestra la prossima settimana. Al centro del patto, poi, c'è un accordo molto semplice: "Il movimento politico che prenderà più voti nel centrodestra esprimerà il presidente del Consiglio - spiega lo stesso Berlusconi - è sempre stato così nel centrodestra e così sarà".

In una intervista al Corriere della Sera, in cui esclude invece larghe intese e prevede di "vincere le elezioni, governare e cambiare il Paese, con i nostri alleati del centrodestra", Silvio Berlusconi delinea i termini del patto stretto con il leader della Lega Nord.

Berlusconi e Salvini sono entrambi d'accordo sul fatto che la forza politica del centrodestra che prenderà più voti indicherà al capo dello Stato Sergio Mattarella il nome del presidente del Consiglio per l'intera coalizione. "Io non ho alcun dubbio sul fatto che quel nome lo dovremo indicare noi - chioda il Cavaliere - siamo valutando diverse figure ma naturalmente non ne nominerò nessuna, visto il polverone mediatico che si era sollevato quando in passato avevo citato qualche nome solo a titolo di esempio"

Per quanto riguarda il Rosatellum Berlusconi ammette che "non è la legge elettorale, ndr migliore possibile""Io - confida - avrei preferito un proporzionale puro sul quale in passato tutti si erano detti d'accordo. Ma oggi questa legge è il miglior compromesso possibile".

Poi l'ex presidente del Consiglio lo ha spiegato bene sabato: è intervenuto con un video alla manifestazione degli azzurri al teatro San Carlo e ha inquadrato le ragioni liberali e nazionali di una battaglia referendaria che non è solo leghista: «Se la Lombardia cresce, cresce tutta l'Italia, cresce l'intero paese - ha detto Berlusconi -. Questo non è un referendum di parte, tanto è vero che i consensi sono trasversali». «È una significativa occasione civile - ha spiegato - nella quale Forza Italia è schierata a fare la sua parte per spiegare ai cittadini le ragioni per andare a votare e naturalmente per votare Sì». E sono state moltissime le iniziative referendarie organizzate da Forza Italia fra Milano e provincia: 170 ne ha contate il coordinatore provinciale Graziano Musella, doppiamente coinvolto nella partita dell'autonomia, da dirigente politico e da sindaco.

Intanto gli assessori regionali sono impegnati in questi giorni in iniziative di presentazione delle modalità elettroniche di voto. I partiti non si sono tirati indietro. Due giorni fa Maroni ha partecipato a un evento referendario con Maurizio Lupi, leader di «Lombardia popolare», la costola lombarda di Area popolare. Oggi pomeriggio, fra le protagoniste di un'iniziativa tutta al femminile, è prevista anche Viviana Beccalossi, l'assessore regionale di Fratelli d'Italia che con la sua convinta adesione ha compensato le contrarietà del presidente di Fdi Giorgia Meloni. Più incertezza e confusione all'opposizione. 

Contrarissima la «sinistra-sinistra», mentre il Pd è diviso: c'è un comitato dei sindaci per il Sì, con l'adesione del primo cittadino di Bergamo e aspirante governatore Giorgio Gori; il collega milanese Beppe Sala invece si era pronunciato per il Sì ma poi non voterà, mentre il partito, con il segretario regionale Alessandro Alfieri, ha elaborato una posizione piuttosto cervellotica: astensione ma poi «se andasse male in termini di partecipazione si va avanti lo stesso». E i infine i 5 Stelle: hanno candidamente ammesso che la formulazione del quesito è stata «l'unica volta in cui siamo stati determinanti».

Un tema che Forza Italia ha in programma dal 1994 e che aveva inserito nella riforma costituzionale bocciata nel 2006. "Lo statalismo della sinistra deve essere sostituto con un vero federalismo - mette in chiaro il Cavaliere - lo Stato è sempre distante e le regioni possono garantire risorse e servizi ai cittadini".

"Ho chiesto ai miei avvocati se posso votare domenica... Non lo so". Berlusconi scherza con chi gli chiede se domenica andrà a votare per l'autonomia della Lombardia. Ma poi si fa subito serio e spiega l'importanza di un voto che chiama in causa due delle Regioni più produttive del sistema Italia. "Ci sono anche tanti sindaci del Pd - fa notare il leader di Forza Italia - che hanno espresso la loro simpatia per il 'sì' contro quella che è la posizione del partito centrale che vede nel referendum un'anticipazione delle elezioni del prossimo anno e poi perché la linea del Pd è centralista e statalista". Ed è anche per questo che il Cavaliere non alcuna possibilità di coalizione con il Pd. "Siamo distanti per storia, tradizione, ideologia e valori - mette in chiaro - per tutto".

Quello che Berlusconi ha in mente di costruire è un centrodestra "aperto e plurale, formato non da professionisti della politica ma da persone che nella vita professionale, nel lavoro, nell'impresa, nella cultura, nell'impegno civile, abbiano dimostrato onestà assoluta, serietà, capacità concrete di realizzare le cose". Niente larghe intese, dunque. Il leader di Forza Italia riparte dall'alleanza con il Carroccio. "Salvini è irruento all'esterno - spiega al Corriere della Sera - quello il suo stile e il suo modo di conquistare consensi, ma quando ci sediamo intorno a un tavolo è un interlocutore serio e ragionevole".

Con il 31,4% dei voti e i suoi 31 anni, a scrutini quasi finiti, l'ex ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz si appresta a diventare il primo millennial a capo di un Paese europeo. Tuttavia, il suo partito non raggiunge una maggioranza tale da poter governare da solo. L'estrema destra del Fpoe di Heinz Christian Strache si attesta al secondo posto con il 27,4%, i socialdemocratici finora al governo con il partito popolare di Kunz si fermano al 26,7%.

La vittoria di Sebastian Kurz non va imitata  ha detto Angela Merkel a Berlino, rispondendo a una domanda in conferenza stampa. Il risultato delle urne non è un segnale del fatto che "i problemi si risolvono se si fa come in Austria".

Dopo essersi congratulata con lui, la cancelliera tedesca si lascia andare ad alcune riflessioni non proprio positive. "Il risultato ha portato ai vertici l'Oevp (Partito popolare austriaco, ndr) ma l'esito elettorale non significa che i problemi siano già risolti". Poi pronuncia una frase ancora più dura, una stroncatura bella e buona: "La situazione in Austria non è tale da spingermi ad indicarla come esempio da seguire" per la Germania. La Merkel avverte così i tedeschi: stiamo attenti a pensare che l'Austria possa essere un esempio da imitare.

Merkel riflette anche sull'affermazione della formazione austriaca di ultradestra anti-immigrazione Fpö (Partito per la Libertà austriaca), osservando che rappresenta una "grande sfida" per gli altri partiti.

Chi invece festeggia senza alcuna esitazione il successo di Kurz è la destra ungherese, visto che con i risultati di domenica Vienna si avvicina al gruppo dei quattro Paesi Visegrad (V4): Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca. Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijarto, si congratula per il successo a nome del governo ungherese: "Sono certo che vedremo più formati di cooperazione 'V4 plus Austria' nel futuro".

Il cancelliere in pectore austriaco Sebastian Kurz esulta per la vittoria alle elezioni interpretando il risultato delle urne come "un chiaro mandato per realizzare le riforme e i cambiamenti voluti dai cittadini". "Kurz è il chiaro vincitore di questa tornata elettorale", ha detto il presidente Alexander Van der Bellen, ricordando che il risultato definitivo sarà comunicato solo giovedì, dopo lo spoglio dei voti per corrispondenza.

Lo scorso maggio, poco prima di compiere 31 anni, Kurz ha preso le redini del partito, dichiarata finita l'esperienza della grande coalizione con i socialdemocratici (Spö) del cancelliere Christian Kern e portato il Paese a elezioni anticipate. Elezioni che Kurz ha vinto con una vigorosa sterzata a destra della piattaforma centrista del partito in chiave anti-Islam e anti-immigrati: una linea premiata dai cittadini che attribuito all'Övp quasi otto punti percentuali in più rispetto al 2013.

A confermare la diffusa voglia di destra di tanti cittadini austriaci è anche la forte affermazione dell'ultraconservatore, xenofobico ed euroscettico Partito della Libertà (Fpö) che, sotto la guida di Heinz-Christian Strache, ha ottenuto poco meno del 26% dei voti, cinque punti e mezzo in più rispetto al risultato precedente. Tradizionalmente molto dura sui temi dell'immigrazione e dell'accoglienza, la linea dell'Fpö prevede la chiusura di ogni organizzazione islamica in odore di radicalismo «e l'espulsione dei suoi membri fuori dai confini nazionali», ha più volte ribadito Strache.

Leggermente meglio dell'Fpö ha fatto un po' a sorpresa il partito socialdemocratico: secondo le proiezioni, l'Spö di Kern ha raccolto il 27 per cento consolidando di qualche decimo di punto il risultato del 2013 e soprattutto smentendo i sondaggi secondo cui il partito del cancelliere sarebbe dovuto arrivare terzo, staccato dall'Fpö. Un risultato che fa onore a Kern soprattutto se si considera la disastrosa campagna elettorale dei socialdemocratici: pochi giorni prima del voto, il presidente del partito Georg Niedermuehlbichler si è dimesso assumendosi la responsabilità di aver assunto come spin doctor del partito Tal Silberstein. 

L'uomo è finito nell'occhio del ciclone per aver tentato di infangare con fake news diffuse sui social media l'immagine di Kurz, accusandolo a torto di antisemitismo. Il recupero dei socialdemocratici in zona Cesarini non cambia il significato del voto: in un'elezione caratterizzata dalla forte affluenza (il 79,1%), il 58% dei cittadini ha scelto due partiti contrari all'immigrazione, all'accoglienza dei profughi e alla diffusione dell'islam. Uno spostamento confermato dal tonfo dei Verdi: gli ecologisti, unica formazione favorevole all'immigrazione, precipitano dal 12,4 al 3,8% e sperano adesso che il conteggio dei voti espressi per corrispondenza (in Austria tradizionalmente più progressista) permetta loro di superare la soglia di sbarramento del 4%.

Chiusa la parentesi elettorale, a Vienna partono le consultazioni per la formazione del nuovo governo. Il cancelliere in pectore Kurz ha due strade davanti a sé: imbarcarsi in una nuova ma improbabile große Koalition con la sinistra o aprire all'ultradestra dell'Fpö. L'indicazione dei cittadini è stata chiara.

Si delinea una netta maggioranza per un governo di centrodestra formato dai popolari di Kurz e dai liberalnazionali Fpoe di Heinz Christian Strache. I socialdemocratici del cancelliere uscente Christian Kern, nel 2013 ancora primi, ora sono solo terzi. E' ormai tramontata l'ipotesi di un governo arcobaleno di Spoe, liberali, Verdi e lista Pilz, che si ferma al 40,5%.

L'amministrazione Trump "non ripeterà gli errori" di quella Obama. Lo sottolinea la Casa Bianca nell'anticipazione della nuova strategia Usa per l'Iran. La nuova politica del presidente affronterà quindi non solo il nucleare ma "la totalità delle minacce derivanti dalle attività maligne del governo iraniano e cercherà di determinare un cambiamento del comportamento del regime" di Teheran.

Negare a Teheran "ogni via per l'arma nucleare", contrastare la minaccia dei missili balistici e "di altre armi asimmetriche", "neutralizzare la sua influenza destabilizzante" nella regione e "contenere la sua aggressione, specialmente il suo sostegno al terrorismo e ai militanti": sono 3 dei 6 punti chiave della nuova strategia approvata da Donald Trump per l'Iran. Tra gli obiettivi negare a Teheran i fondi per le sue "attività maligne", "rivitalizzare le tradizionali alleanze" Usa e opporsi alle guardie della rivoluzione. "La nuova strategia Usa per l'Iran punta a neutralizzare l'influenza destabilizzante del governo iraniano e a contenere la sua aggressione, in particolare il suo supporto per il terrorismo e i militanti", e' il primo punto. 

Era ancora candidato per i repubblicani, aveva già detto di voler fare un passo indietro rispetto all'accordo sulla proliferazione del nucleare trovato con Teheran dall'amministrazione precedente. E oggi si apellerà al mondo, chiedendo di unirsi "nel chiedere che il governo dell'Iran metta fina alla sua ricerca di morte e distruzione".

"È il punto d'arrivo di nove mesi di discussioni con il Congresso e i nostri alleati su come proteggere meglio la sicurezza dell'America", mette in chiaro la Casa Bianca - in parole anticipate dalle agenzie di stampa - puntando a un triplice obiettivo: non solo rendere più difficile per l'Iran lo sviluppo di armi nucleari, ma anche contrastare il programma di sviluppo dei missili balistici e combattere quelle attività iraniane che Washington ritiene portino all'instabilità del Medioriente, dallo Yemen alla Siria.

Nel mirino ci sono anche le Guardie della rivoluzione, l'esercito dei pasdaran contro cui Washington starebbe preparando nuove sanzioni. Nei giorni scorsi sono arrivate invece taglie milionarie per informazioni su Talal Hamiyah, capo delle operazioni all'estero dell'Hezbollah e Fuad Shukr, uno dei comandanti militari. L'organizzazione libanese è vicine alle posizioni iraniane e combatte in teatri come la Siria e lo Yemen.

Gli Usa vogliono inoltre "rivitalizzare le loro tradizionali alleanze e partnership regionali come baluardo alla sovversione iraniana e ripristinare un più stabile equilibrio di potere nella regione". Washington lavorerà anche per "negare al regime iraniano, e specialmente al Corpo della guardia rivoluzionaria islamica (Irgc) , i fondi per le sue attività maligne, e per opporsi alle attività dell'Irgc che sottrae la ricchezza del popolo iraniano". Come quarto punto e' indicato il contrasto delle minacce agli Usa e ai suoi alleati derivanti "dai missili balistici e da altre armi asimmetriche". Gli Usa intendono poi "riunire la comunità internazionale per condannare le evidenti violazioni dei diritti umani dell'Irgc e la sua ingiusta detenzione di cittadini americani e di altri stranieri con accuse pretestuose". Infine, "soprattutto negare al regime iraniano ogni via per l'arma nucleare". Tra le attività nel mirino Usa anche il sostegno iraniano al regime di Assad, l'ostilità verso Israele, la minaccia alla liberta' di navigazione, in particolare nel Golfo Persico, i cyber attacchi contro Usa, Israele ed altri alleati e partner degli americani in Medio Oriente.

"E' tempo per il mondo intero di unirsi a noi nel chiedere che il governo iraniano metta fine al suo perseguimento di morte e distruzione": e' l'appello lanciato dal presidente Usa Donald Trump con l'approvazione di un nuova e più ampia strategia per l'Iran "in consultazione con il suo team per la sicurezza nazionale". "E' il punto d'arrivo di nove mesi di discussioni con il Congresso e i nostri alleati su come proteggere meglio la sicurezza dell'America", rende noto la Casa Bianca.

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