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Grande successo per l'VIII edizione del Premio internazionale di poesia  "Cipressino d’Oro", che si è svolta sabato 12 settembre 2020 presso l'auditorium della Parrocchia San Paolo della Croce di Follonica. L'evento ha avuto luogo  nel rispetto delle previsioni normative volte a contrastare la pandemia da Covid 19 che, fra l'altro, mesi fa ha costretto l'organizzazione ad annullare il consueto appuntamento di maggio per la cerimonia  premiativa della nota manifestazione culturale follonichese.
La vincitrice del Cipressino d'Oro 2020, promosso dal Club Kiwanis di Follonica, è stata Rosanna Spina con la poesia "Cum grano salis".
Il concorso kiwaniano, grazie al proficuo lavoro del responsabile Loriano Lotti, della giuria di qualità e dei collaboratori, anche quest'anno  ha raggiunto traguardi  inaspettati; le liriche pervenute sono state diverse centinaia e i partecipanti, di tutte le età, provengono da ogni parte  d'Italia e anche dall’estero.
Il tema di questa edizione, sicuramente molto impegnativo, era "Il pensiero omologato e la dipendenza emotiva nell'era tecnologica", sul quale ogni candidato ha dato libera espressione alla propria vena creativa,  restituendo contributi sui quali riflettere, al di là della sana competizione, connaturata nello spirito di ogni concorso.
Anche quest'anno Madrina d’Onore della manifestazione letteraria  è stata la giornalista e critico letterario Daniela Cecchini di Roma, che fa parte della giuria,  insieme all'editore e poeta Gordiano Lupi e allo scrittore Patrice Avella.
Terminato da parte dei giurati l'accurato lavoro di valutazione delle singole opere, è stata stilata la classifica generale ed ai  primi dieci classificati,  come prevede il regolamento del Premio,  nel corso della cerimonia di premiazione, il Kiwanis Club ha consegnato le diverse opere realizzate dall’artista Gian Paolo Bonesini, che ogni anno collabora al Premio internazionale di Poesia “Cipressino d’Oro” donando le sue creazioni.
Oltre alla vincitrice assoluta Rosanna Spina,  gli altri classificati fino alla decima posizione sono:

2° Gloria Venturini "Orizzonti caduti"
3° Sergio Pieri "La tastiera"
4°Cristina Biolcati "Il nuovo Medio Evo"
5° Alessandro Biagioni "Il libro"
6° Cristina Gorelli "Le mani che ho perso"
7° Maria Grazia Franceschetti "L'amico digitale"
8° Mara Righetti "Naviga il mondo su un computer"
9° Tiziana Munari "I giorni di Luca"
10° Emilio Ferro "Computer ben programmati"

Per la "Sezione Giovani" Il 1° premio è stato conferito ai fratelli  Riccardo e Gianluca Corapi con la poesia "I ragazzi del ventunesimo secolo"

Nel corso dell'evento, la cui conduzione è stata affidata come sempre alla bravissima Irene Scrivini, è stato riconosciuto  un “Premio all'Eccellenza” al missionario laico Claudio Turina per il costante impegno profuso nell'attività umanitaria che porta avanti da decenni in varie aree geografiche del mondo particolarmente povere e sottosviluppate. Istriano di nascita, ma residente a Venezia da diverse decine di anni, si occupa di volontariato nell’ambito sociale e una parte del suo percorso l'ha compiuto accanto a Madre Teresa di Calcutta, diventando Missionario laico della Carità (LMC). Attraverso l'Associazione "Gocce d'amore univarsale" di cui è il fondatore, attualmente sta portando avanti in Ghana iniziative volte dell'alfabetizzazione degli abitanti e alla loro assistenza medico-sanitaria, con l'obiettivo di insegnare loro anche un mestiere.
Quest'anno il "Premio alla Cultura" è stato conferito  allo scrittore viareggino Andrea Genovali per l'appassionata e cospicua attività letteraria orientata a tematiche sociali e culturali, attraverso la stesura di saggi storici e poesia d'impegno civile volti a salvaguardare e valorizzare la memoria storica, aulico patrimonio di verità da tramandare ai posteri.
Gli altri rivonoscimenti speciali sono i seguenti:
- Premio speciale "Emozioni in versi" al poeta fiorentino Carmelo Consoli, Presidente della Camerata dei poeti di Firenze.
- Il "Premio speciale alla poesia civile" è andato ad  Andrea Fanetti con la poesia "Alza la testa".
- Il "Premio alla filastrocca per bambini" è stato consegnato a Lucilla Lazzarini con la poesia "Il confine".
La serata si è conclusa con una cena conviviale presso il suggestivo ristorante "in mezzo" al mare "Piccolo mondo" di Follonica, dove è stato anche festeggiato il 33° Compleanno del Kiwanis.
Il servizio fotografico è stato realizzato da Massimo Batisti di Foto Apple.

Non so se i militanti dei Black Lives Matter, oltre alle statue, ai negozi, e a tutto ciò che si possa associare ai biechi bianchi, hanno preso di mira i libri che rappresentano il colonialismo e il razzismo. Certamente un libro che può essere metaforicamente bruciato da questi novelli talebani, nazisti, comunisti, (si, perchè anche loro hanno bruciato i libri e intere biblioteche) potrebbe essere l'originale studio del professore Alberto Caturelli, “Il Nuovo Mondo riscoperto”, pubblicato in Italia dalle Edizioni Ares (1992). Mentre tutti sono piegati o inginocchiati al politicamente corretto, vi invito alla lettura e allo studio, di questo straordinario saggio che ho letto con attenzione tanti anni fa, ma che ora rileggendolo mi ha ulteriormente edificato.

Caturelli in questo testo racconta la storia della scoperta, della conquista e dell'evangelizzazione dei popoli sudamericani, rispondendo alle varie “leggende nere”. Scritto proprio in occasione della celebrazione del quinto centenario della scoperta dell'America. «La scoperta è un atto della coscienza cristiana, - scrive Caturelli - cioè della coscienza dell'essere illuminata dalla fede che guidava Colombo, il cristoforo, e i re spagnoli nella conquista e nell'evangelizzazione del Nuovo Mondo. Il mondo precolombiano, era contrassegnato dalla corruzione, dalla magia e dall'idolatria. Con l'arrivo dei missionari tale realtà è stata prima purificata, attraverso un'opera di demitizzazione, quindi trasfigurata, mediante la conversione, in un mondo nuovo, redento da Cristo e liberato dal peccato». Pertanto la coscienza scopritrice di coloro che giungevano in America, era una coscienza cristiana, che implicava la tradizione greco-romano-ispanica, infatti, «la coscienza scopritrice implicava la cultura classica mediterranea e quella iberica», rigenerate dalla rivoluzione cristiana.

Il libro è suddiviso in tre parti (I, Il Nuovo Mondo e la coscienza cristiana; II, Il Nuovo Mondo e l'Evangelizzazione; III, Il Nuovo Mondo presente e futuro).La prefazione è del professore Piìàer Paolo Ottonello, che ha curato la traduzione dallo spagnolo.

Naturalmente non potremo affrontare tutte le prospettive storiche, culturali e religiose presenti nell'immensa opera del filosofo argentino. Porrò la mia attenzione su alcuni aspetti, più o meno fondamentali.

Innanzitutto occorre ribadire che «le prospettive che interpretano la scoperta dell'America in chiave essenzialmente colonialista sono in realtà figlie non dell'Occidente autentico, ma delle sue degenerazioni occidentalistiche, che sono non cattoliche, bensì dapprima figlie della Riforma e poi secolariste, scettiche, atee, pragmatiste, consumiste».

Infatti questa storia ha patito e continua a patire ancora oggi una sorta di leyenda nera, alimentata da storici anticattolici, soprattutto anglo-americani, «ambienti protestanti, movimenti indianisti, terzomondismi marxisteggianti, nostalgici inguaribili del catto-comunismo alla disperata ricerca di nuove cause e di nuovi complessi di colpa».

Secondo questi storici la scoperta dell'America è stata una “invasione”, la conquista degli spagnoli un “genocidio”, mentre l'evangelizzazione che ne è seguita “un'oppressione culturale”. Una faziosità e mistificazione che ha preso forza soprattutto nel 1992 in occasione del cinquecentenario della scoperta dell'America ad opera di Cristoforo Colombo. E' interessante leggere cosa ha detto allora Giovanni Paolo II: «una certa 'leggenda nera' che per un certo tempo orientò non pochi studi storiografici, concentrava prevalentemente l'attenzione su aspetti di violenza e di sfruttamento che si verificarono nella società civile durante la fase successiva alla scoperta. Pregiudizi politici, ideologici e anche religiosi, hanno voluto presentare solo negativamente la Storia della chiesa in questo continente».

Certo non si negano i riprovevoli errori da parte di singole persone, infatti, l'intento originario di Colombo e della Spagna, nell'esplorazione e nell'occupazione, è tutt'uno con la missionarietà costitutiva della Chiesa cattolica. E sempre Giovanni Paolo II a proposito della storia dell'America Latina, poteva scrivere, ci sono stati «più luci che ombre se pensiamo ai frutti duraturi di fede e di vita cristiana del continente».

Anche se non si può negare che la Corona Spagnola intendesse trarre dei profitti materiali, certamente il peccato fu presente, come in tutte le vicende umane, ci sono stati degli abusi da parte dei conquistadores, ma ci fu anche una grande capacità di autocritica che proveniva dai sovrani stessi e dal popolo spagnolo. Critica che mancò invece ai sovrani protestanti. «Di fronte alle deviazioni la voce della Chiesa si è levata dal primo momento attraverso la denuncia da parte dei missionari, le elaborazioni dottrinali dei teologi e dei giuristi nelle università e la sollecitudine dei sovrani spagnoli, che promulgarono molteplici leggi in difesa degli indios». (Francesco Pappalardo, “Nuevo Mundo! 1492-1992, in Cristianità, n. 218-219, 1993).

Tutto ha inizio nel 1492, quando Isabella la Cattolica, regina di Castiglia e Leon, dopo aver portato a termine la reconquista della penisola Iberica occupata dai musulmani per quasi otto secoli, credette e finanziò il viaggio di Cristoforo Colombo, con la speranza di condurre altri popoli alla vera fede.

«Il 12 ottobre 1492 - scrive Caturelli - comincia l'ampliamento dell'Occidente». Cristoforo Colombo, si sente  inviato, un messaggero da Dio. «Perciò è convinto che 'tutta la cristianità deve essere lieta' dal momento che tante genti potevano ora essere incorporate 'nella nostra fede'». Pertanto fin dal primo istante alle due del venerdì 12 ottobre Colombo, «sente questo ampliamento dell'Occidente cristiano e, con quel fuoco interiore di cui parlerà ai re, battezza le terre e le cose che scopre».

Del resto Colombo fin dal primo momento il 3 agosto 1492, ha posto la nuova ammiraglia sotto la protezione della Vergine Maria. «Le caravelle innalzano sulla vela bianca la croce scarlatta dei crociati. Come avviene in tutte le cose umane, i novanta uomini dell'equipaggio portano nel loro cuore (come lo stesso Colombo) le passioni, i peccati e i difetti propri della condizione umana [...]».

Scrive ancora Caturelli, «Senza dubbio, il carattere missionario dell'impresa, spogliata di ogni profetismo, è costante in tutti gli scritti di Colombo, dalla prima pagina della relazione del primo viaggio, dove manifesta la sua speranza che gli abitanti che colà ha incontrato 'abbiano a diventare cristiani'».

L'ammiraglio non ha dubbi, gli indigeni si convertiranno alla fede cristiana, perché, tra l'altro, «sono molto disposti». E' il motivo per cui, «Dio concesse questa vittoria ai Re cattolici, onde la cristianità deve rallegrarsi del fatto che popoli tanto numerosi già si siano convertiti alla fede».

Isabella dopo Colombo, fu la seconda protagonista di questa grande storia, ammirata e criticata, venerata come una santa e accusata di integralismo e intolleranza religiosa. «Isabella è una figura fra le più straordinarie – afferma padre Anastasio Gutierez Poza, postulatore della causa di beatificazione della regina spagnola – e la sua vita sembra costituire n capitolo importante dei piani divini sul mondo e sulla Chiesa».

Fu un personaggio straordinario, si impegnò nella riforma del clero e degli ordini religiosi, fu costretta suo malgrado ad allontanare gli ebrei dalla Castiglia e dall'Aragona, proibisce subito la schiavitù degli indigeni. «Con la 'cedola' reale dell'anno 1500 e con il suo testamento garantisce il diritto degli indios alla vita e alla libertà e sancisce il divieto delle conversioni forzate, […] inoltre, la regina, incoraggiando i matrimoni fra vecchi e nuovi sudditi, promuove un'autentica integrazione razziale, che si realizza sotto il segno del cattolicesimo, senza incontrare le difficoltà proprie della colonizzazione di marca protestante». (“La serva di Dio Isabella la Cattolica, modello per la nuova evangelizzazione”, intervista a padre Anastasio Gutierrez Poza C:M:F: di Francesco Pappalardo, in Cristianità, n.204, 1992).

Il fine principale della conquista per la regina era l'evangelizzazione. Ecco perchè il governatore Ovando il 16 settembre 1501 affermava: «vogliamo che gli indios si convertano alla nostra Santa fede Cattolica e che le loro anime si salvino, essendo questo il maggior bene che possiamo desiderare per loro, per cui debbono essere informati sui contenuti della nostra fede affinchè la conoscano, e si abbia perciò molta cura affinché, senza esercitare su di loro, alcuna forza, i religiosi che sono là li informino e ammoniscano con molto amore, in modo che al più presto possibile si convertano [...]».

Oltre ai conquistadores, i protagonisti dell'epopea evangelizzatrice del nuovo continente sono i missionari, che operano in libertà di fronte alle autorità civili e nonostante i limiti erano consapevoli di aprire la strada alla diffusione del messaggio di Cristo.

I conquistadores e i missionari insieme compiono un vero atto di fondazione, costruendo case e chiese, promuovono l'agricoltura e l'allevamento degli animali, creano scuole di arti e mestieri, aprono ospedali, numerosi centri di carità, fondano collegi e università, ben 33 in tutto il territorio iberoamericano, erigono intere città. E' interessante soffermarsi sulla fondazione dell'America, sul fondare mediante il meticciato, da parte di questi cavalieri-cristiani-conquistatori, Caturelli lo fa elencando minuziosamente per nome, anno dopo anno, la fondazione di città.

Un capitolo interessante è scoprire la metodologia della missione dei frati francescani prima e poi dei domenicani. In particolare nel libro si descrive come i religiosi hanno fatto abbandonare la barbara ferocia e crudeltà disumana dei cosiddetti sacrifici umani che abitualmente praticavano gli atzechi. Anche qui il libro riporta la polemica nata all'interno dei missionari tra il vero paladino degli indios, quel fra Toribio de Benavente, detto “Motolinia”, poco conosciuto, e l'altro frate, il noto, Bartolomè de Las Casas.

Sono fondamentali due lettere per comprendere la grande storia che stiamo raccontando. La prima quella di Julian Garces, primo vescovo di Tlaxcala al Papa Paolo III intorno al 1536 e poi quella di Motolinia inviata nel 1555 all'imperatore Carlo V°.

La lettera di Garces ha tre preoccupazioni fondamentali: il nuovo gregge, quello dell'America; il suo passaggio alla cultura cristiana e il futuro della nascente Chiesa. Quello che preoccupa Garces è la necessità di respingere l'opinione che gli indigeni sono incapaci «di ricevere l'evangelizzazione e perciò non idonei ad essere incorporati alla Chiesa». Questo è il contrario del comando di Cristo: “predicate a tutte le creature...”. Il battesimo non si può negare a nessuno.

Mentre la lettera del “povero” degli indios messicani,  Motolinea, contiene quattro temi, sui quali per Caturelli conviene riflettere: l'informazione sul vero stato degli indios prima della predicazione, la critica forte a fra Bartolomé Las Casas, la difesa di Cortes e in lui il conquistatore in generale, e infine una breve teologia della storia delle Indie.

Motolinea conosce bene gli indios sia storicamente che culturalmente al contrario di Las Casas. Motolinea ricorda che i messicani «'ogni giorno ed ora offrivano ai demoni sangue umano in tutte le parti e fra tutte le genti di questa terra': donde l'urgenza di 'impedire e di far abbandonare questa ed altre abominazioni', peccati, offese a Dio[...]». Motolinea nel suo trattato de la “Historia de los indios de la Nueva Espana”, descrive il grande numero di conversioni dopo la predicazione e l'esempio dei missionari. Ciò che indigna fra Toribio è la“Brevisima relacion sobre la destrucion de las Indias”, di Las Casas, una pietra fondamentale delle calunnie contro la Spagna, tradotta nelle principali lingue a servizio dei nemici della Spagna e della Chiesa cattolica.

Motolinea smonta tutte le calunnie di Las Casas, che non conosceva a fondo la lingua e la cultura degli indios. Nella lettera il frate, si occupa in modo speciale di Hernan Cortes e soprattutto di rendergli giustizia, dopo le calunnie raccontate da Las Casas. Sui cavalieri-conquistatori, Caturelli si basa sulle testimonianze di fra Toribio Motolinea, che su Cortes dice: «sebbene come uomo fosse peccatore, aveva fede, ed opere da buon cristiano». E questo è tipico della lotta del cristiano, che deve liberarsi dalla zavorra dell'uomo vecchio, che deve essere quotidianamente vinta dall'uomo nuovo. «Il militare spagnolo in America  - come ben dice Ramiro de Maeztu - aveva coscienza che la sua funzione essenziale e importante era prima solo in ordine di tempo, ma che l'azione fondamentale era quella del missionario che catechizzava gli indios[...]».

Sempre su Cortes, Motolinea racconta che egli «s'adoperò molto affinché si trasmettesse agli indios la conoscenza di Dio vero e affinché si predicasse loro il santo Vangelo. Con questo intento cercava di distruggere l'idolatria e gli idoli, elevava la croce dovunque arrivasse con i suoi stendardi che esponevano la rossa croce in campo nero». Motolinea insiste: «grazie a questo capitano Dio ci aprì la porta per predicare il suo santo Vangelo».

A questo punto Caturelli invita a riflettere sul significato della bandiera di Cortes,  «recava una croce rossa su un campo nero, tra fiamme azzurre e bianche, e la scritta diceva: 'amici, seguiamo la croce di Cristo, che se noi avremo fede, in questo segno vinceremo». Per Caturelli, naturalmente questa bandiera implica sicuramente che i conquistadores, erano convinti di fare una crociata. «Si tratta dunque di una 'militia Christi' simile a quella delle crociati [...]». Certo lo spirito dei crociati c'era nei conquistadores che avevano appena finito di combattere in Spagna per liberarla dai musulmani, e tra l'altro fa notare Garcia Morente: «il cavaliere spagnolo fu l'unico che non dovette uscire dalla sua terra per combattere per la propria fede».

Caturelli ricorda a noi credenti che «ogni cristiano in quanto 'cristoforo' porta impressa l'insegna della croce, non solo sull'abito, ma sull'anima [...]in questo senso si può dire che ogni cristiano cattolico che ha fede e opere in quanto tale è un crociato». Caturelli si rende conto che questa sua espressione genera come minimo l'ilarità da parte del mondo edonista e secolarizzato di oggi.

Certamente il professore sa che il conquistatore erano peccatori, c'erano quelli perversi, ben lontani dall'essere dei “cristofori”, era un'immagine del tutto contraria del soldato cristiano. A questo proposito Caturelli cita Francisco Morales Padron, uno storico che ha scritto un libro sui conquistadores, dove si evince che stanno agli antipodi sia del liberalismo capitalista, che del socialismo collettivista, pertanto questo cavaliere-cristiano-conquistatore oggi è rifiutato. Pertanto secondo Padron non bisogna diffondere “né leggende nere, né leggende rosa”. Quegli uomini erano figli del loro tempo, del loro ambiente, non erano scalmanati assassini. Essere “Conquistador”, anziché essere un titolo infame, come ripetono molti ancora oggi sotto gli influssi ideologici, «era un titolo d'onore e virile, da vero fondatore di popoli». E' una nozione che ha sostenuto Pio XII quando disse all'ambasciatore del Perù: «Quello peruviano è un popolo la cui storia fu forgiata con epiche forze da quei titani della fede, robusta come le loro braccia infaticabili nella lotta o come i loro petti fasciati d'acciaio...».

Infine Caturelli riporta le parole del Magistero, da Alessandro VI° a Leone XIII° e quindi fino a Giovanni Paolo II, dove emerge in sintesi che la Spagna è una nazione eletta da Dio come strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo […] vera 'proclamatrice del Vangelo ai popoli scoperti».

Infatti i teologi spagnoli come Vitoria, Soto, Carranza, Covarrubias e molti altri, vedevano nel fine dell'espansione ispanica, la conquista del mondo alla fede cattolica. «Il tema della storia spagnola nei due secoli XVI e XVII è la cattolicizzazione del mondo; conquistata la penisola per la fede restava da conquistare il mondo per Cristo. Don Chisciotte cristoforo si scaglia, in una mano la lancia in resta e nell'altra la croce di Cristo, per queste strade e mari di Dio, dal Rio Bravo a capo Horn, dal Messico alle Filippine, missione completamente estranea ai pusillanimi, 'prudenti' e 'ponderati'[...]».

Tutti i Papi hanno scritto e messo in rilievo l'opera benefica di evangelizzazione della Spagna nel Nuovo Mondo. Lo ha fatto Urbano VIII, Pio IX, Leone XIII quando promulgò l'enciclica “Quarto abeunte saeculo”, un documento che si concentra principalmente sulla figura storica di Colombo e sul fine evangelizzatore dell'impresa della scoperta: «l'impresa più grandiosa e bella che si sia potuto vedere».

Gratitudine verso la Spagna manifesta anche Pio X e poi Pio XI nell'allocuzione al re di Spagna Alfonso XIII, affermava che «il re e il popolo spagnolo si sono offerti 'come crociati veri' per la difesa della santa causa di Dio e della sua Chiesa e diedero impulso non solo alle ' sante battaglie della Reconquista' e alle prove dell'Elba e di Lepanto, ma anche nella 'meravigliosa epopea' della scoperta e della conquista che aprirono il Nuovo Mondo alla fede cattolica»(19 novembre 1923)

Poi Pio XII definito il papa dell'Ispanidad, non ha lesinato elogi ai re cattolici che con le loro imprese hanno propagato le fede e l'accrescimento del regno di Cristo sulla terra. E facendo riferimento ai conquistatori spagnoli, che diedero i nomi a città, li ha definiti tutti, “antichi e valorosi paladini”.

Anche Giovanni XXIII ha esortato i cattolici i fedeli dell'America a «coltivare la vostra fede, quella portata dai vostri missionari della cattolica Spagna».

L'opera di evangelizzazione e civilizzazione degli indigeni, è stata benedetta, appena dieci anni dopo la conquista del Messico nel 1531, dalla Vergine Maria, «quando già erano state deposte le frecce e gli scudi, quando da tutte le parti c'era pace fra i popoli», apparendo all'indio Juan Diego sul colle del Tepejac. I tratti del volto della Madonna non sono né di tipo europei, né di tipo indio, ma piuttosto meticcio, prefigurando la futura e originale civiltà, la Cristianità indiana (L'Ibero-America) nata dall'integrazione razziale tra spagnoli e indios. E' l'atto finale di questa lunga e suggestiva storia, «Maria è al centro della storia universale e all'inizio della storia del Nuovo Mondo», scrive Caturelli, in qualche altra occasione racconteremo il “Vangelo di Guadalupe”.

Non è esagerato scrivere che il libro di Caturelli oltre ad essere una apologia della scoperta e della conquista, è anche un'apologia della missionarietà della Chiesa. Inoltre è  anche un invito a tutti noi cristiani ad essere dei nuovi cristofori, per trasformare il mondo.

Ci siamo incontrati durante una sua breve visita a Roma, con la poetessa Roberta Calati, amante della cultura Greca, parla perfettamente la lingua Ellenica, e abbiamo parlato delle sue bellissime poesie, in esclusiva per il Corriere del Sud.

Ci spiega Roberta al nostro incontro "che la mia inclinazione naturale per la poesia nasce dall'infanzia, fin da allora sentivo un fabbisogno quotidiano di “dire dell'ardire”, continuando ad oggi incessantemente ad imperversare “fiumi di parole nel greto della vita”, sentendo lo scroscio dell'emozione posata su ogni lettera dell'alfabeto che definisco "greco antico", sinonimo di un tempo sublime (Kairos) origine, o meglio dirsi,“la culla della Poiesis”.

Il mio percorso letterario continua la Poetessa, ha un breve cammino, composto da passi felpati senza alcuna méta e ambizione, in modo fortuito, percorso iniziato nel “mondo parallelo” denominato social, mostrandomi e palesandosi incurante del giudizio altrui, al di là delle competenze o facoltà del lettore, in quanto le mie parole sono del colore del mare riflesso sulla superficie, parole che colgono gratificazioni mai immaginate lontanamente che accadono ad una come me che si presenta come "una persona qualunque", senza falsa modestia.

Mi è stato proposto mi dice Roberta nella sua intervista al corriere del sud, di essere giurata del concorso "AINMOS", evento che mi ha dato la possibilità di incrociare lo sguardo di tante anime che quotidianamente si incontravano per dare sfoggio, e di conseguenza elogio, alla poesia, ogni giorno, considerando che per me era ed è unico intento fare del giorno il “primo figlio della vita”, un compleanno per la poesia. Mentre scrivo le emozioni scuotono in me la voglia di dare e fare per quanto possono le mie capacità, trovando una forza immane grazie al soffio che da’ fiato all'anima (Anemos).                                                                                                                                    
Animata dal desiderio di confrontarmi con una realtà letteraria più ampia, ho partecipato, ricevendo una menzione d'onore al primo e una menzione di merito al secondo, al concorso "Vox Animae”, una associazione che unisce ai concorsi anche la beneficenza.

Ho organizzato “Tricase in Poiesis”, un premio letterario continua Roberta, nel mio paese nativo (Tricase) ma che ha avuto ampia risonanza in tutto il Salento, contenta di aver dato la possibilità ai miei “fratelli della poesia” di dar voce alla nostra terra, con l'unione di poeti presenti sul territorio italiano e non. L'evento è stato dedicato al poeta salentino Girolamo Comi.

Quest'anno ho pubblicato, il mio libro, “Poetessa pagliaccia”, un libro edito da “Susil edizioni”, e spero di riuscire ad entrare nel cuore dei lettori più vicini a me, nella vita di tutti i giorni. E vista la mia quasi inesauribile vene poetica continuerò a dedicarmi anche per il mio secondo libro di poesie.

Roberta Calati nasce il 9/9/1972 a Tricase dove vive ancora oggi, salentina dall'anima "tzigana", ha passato parte della sua vita in Grecia seguendo il marito per motivi di lavoro e coronando la sua storia d'amore con la nascita delle sue due “gemmele preziose”. Ha dedicato il suo tempo al lavoro e al mestiere più bello del mondo accudendo le figlie e la famiglia ma al contempo arricchendo ed integrando il suo bagaglio culturale nell'ottica di una mente aperta al mondo che la circonda ed al desiderio perenne di “mangiare” cultura.  Si è lasciata attrarre, innamorandosi, di quella ellenica. Nello spazio che la vita le ha concesso ha continuato nel tempo a perseguire la passione che l'ha sempre accompagnata sin da piccola, ritrovandosi oggi ad essere Poetessa.

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