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Il Ministro degli Interni Matteo Salvini è oggi a Vienna per il summit con i ministri dell'Ue e tra una stoccata e l'altra contro l'Onu ha dovuto pure far fronte ai borbotti dell'omologo lussemburghese.

Matteo Salvini stava parlando delle sue politiche sull'immigrazione quando il responsabile lussemburghese degli Esteri e degli Affari europei, Jean Asselborn, lo ha interrotto, dando vita ad uno scambio duro di parole di fronte agli altri colleghi europei.

Nel video della relazione di Salvini, si sente il ministro dire che "ho sentito qualche collega dire che abbiamo bisogno di immigrati perché stiamo invecchiando. Ma io ho una prospettiva completamente diversa". Il discorso del leghista è stato chiaro: "Io penso di essere al gtvoerno e pagato dai miei cittadini per aiutare i giovani per tornarli a fargli fare figli. E non per espiantare il meglio dei giovani africani e rimpiazzare i giovani eurpei".

Le parole del vicepremier italiano però non sono piaciute al ministro lussemburghese che era seduto al suo fianco. "Non so se in Lussemburgo ci sono queste esigenze, noi in Italia aiutiamo i nostri figli ad avere altri figli. Non ad avere nuovi schiavi per soppiantare i figli che non facciamo più". A quel punto, tolti qualche secondo di differita per via della traduzione, si sente Asselborn borbottare al microfono "Ale ale alè", facendo il verso a Salvini: "bla, bla, bla..."

Nell'immediato Salvini si è limitato a rispondere che quelle sono le sue posizioni, legittime. Poi però è iniziato lo scontro verbale vero e proprio. "Io non l'ho interrotta cortesemente", dice Salvini. Ma Asselborn perde la pazienza e sbotta: "In Lussemburgo, caro signore, avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, dei migranti, affinché voi in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli". E poi conclude con una espressione colorita: "Merde, alors".

Jean Asselborn, 69 anni, del Partito operai socialista, è dal 2004 ministro degli Esteri del Lussemburgo, l’unico Granducato esistente al mondo, con una superficie di appena 2500 km quadrati e una popolazione di circa 550 mila abitanti. Asselborn attualmente è il ministro degli Esteri dell’Unione europea in carica da più tempo. Nel settembre 2016 creò una polemica quando invocò la sospensione o l’espulsione dell’Ungheria dall’Unione europea a causa del suo trattamento dei rifugiati, suscitando critiche da parte di altri ministri europei.

Intanto un mese dopo il crollo del ponte Morandi Genova si ferma per rendere omaggio alle 43 persone morte nel disastro. Alle 11,36 con il cielo lacerato dalle sirene delle navi e dai rintocchi delle campane, i genovesi sono scesi in silenzio: i negozi hanno abbassato le saracinesche, taxi e bus hanno spento i motori, la gente in strada si è fermata in raccoglimento. Un girotondo in mezzo a piazza De Ferrari per ricordare la tragedia: lo hanno fatto alcuni figli delle vittime mischiati a decine di giovanissimi atleti genovesi, accompagnati dagli allenatori e dai dirigenti delle società in occasione del minuto di silenzio delle 11.36 in ricordo delle 43 vittime. "Ci è sembrato doveroso invitare il mondo dello sport a partecipare a questo momento così importante", ha spiegato Rino Zappalà, delegato Coni di Genova

Il nome del commissario arriverà tra due settimane, ha sottolineato il ministro Danilo Toninelli. "Il nome dovrà rappresentare l’intera Liguria, e dovrà dare a Genova entro il 2019 un risultato che io penso abbia dello straordinario, cioè un nuovo ponte che ricollega Genova e tutta l’Italia. Faremo l’impossibile per ricostruire il ponte entro il 2019. Autostrade pagherà ma non metterà un sassolino". Il decreto urgenze - spiega l’esponente M5s - è stato condiviso dal governo". Bisogna però ricordare che la Lega ha manifestato più di una perplessità sul decreto, che ha rischiato di slittare ed è approdato sul tavolo del cdm per un esame preliminare.

Non credo che importi a qualcuno il nome del commissario - ha detto il governatore e commissario per l'emergenza Giovanni Toti -. Il problema è fare le cose bene e presto. Non ingarbugliare le carte. Come istituzioni ci siamo fatti carico da un mese dell'emergenza facendo un lavoro straordinario e oggi chiediamo al Governo di poter continuare, di non avere disturbi ma aiuti, perché l'unico compito ora è riaprire il ponte".

"Non sarà la caduta di un ponte a piegare Genova - ha detto ancora Toti -, una città che ha voglia di tornare a correre nel più breve tempo possibile. Oggi in piazza De Ferrari, la piazza delle grandi adunate di quel popolo che ha saputo dire no ai terroristi quando fu ucciso Guido Rossa, ribadiremo a tutti questa volontà".

"La giustizia è la prima cosa, sapere cosa è successo, cos'ha prodotto una cosa così. La procura sta facendo uno straordinario lavoro e l'aula di giustizia ci dirà cosa è successo".

"Per noi genovesi il crollo del Morandi è stata una tragedia terribile - ha detto il sindaco di Genova, Marco Bucci -. Come ground zero per New York, città che ha saputo uscire dal disastro molto bene. Noi vogliamo fare la stessa cosa. Genova non è in ginocchio. Oggi ricordiamo le vittime e pensiamo alla ricostruzione per uscire dalla tragedia con la città più forti e grande di prima".

"Genova non attende auguri o rassicurazioni ma la concretezza delle scelte e dei comportamenti": lo ha scritto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un intervento sulla Stampa e Secolo XIX a un mese dal disastro: la città "è stata colpita da una tragedia inaccettabile" e "ricostruire è un dovere. Ritrovare la normalità, una speranza che va resa concreta. Bisogna farlo in tempi rapidi, con assoluta trasparenza, con il massimo di competenza". L'immagine che la città ha dato di sé, "in quei giorni di lutto e di smarrimento non è stata soltanto di profondo dolore, ma anche di grande solidarietà e di forza d'animo", scrive. "Quella stessa solidarietà, alta, responsabile, coraggiosa, disinteressata, che ha caratterizzato i genovesi e i soccorritori", afferma, è "la chiave di volta per superare la condizione che si è creata". Con un impegno collettivo, nazionale e locale, pubblico e privato, perché "ricostruire è un dovere. Ritrovare la normalità, una speranza che va resa concreta".

Partito democratico e Forza Italia attaccano Toninelli. "È stato capace - dice il portavoce dei gruppiazzurri, Giorgio Mulè - di nominare una persona condannata a due anni e quattro mesi per bancarotta fraudolenta nel gruppo di esperti chiamati a effettuare l’analisi costi/benefici delle grandi opere". "Toninelli - attacca l'esponente dem Alessia Rotta - dimentica l’onestà". Proprio dal partito del Nazareno arriva anche l’invito a evitare oggi polemiche: "Di fronte a quello che è accaduto - sottolinea il segretario Maurizio Martina - serve la reazione solidale e operativa del Paese intero; non divisioni. Noi ci siamo e continueremo con impegno il nostro lavoro per dare una mano".

Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia al Senato, su Facebook scrive che "un mese dal crollo del ponte Morandi Genova e l'Italia aspettano ancora di sapere perché quel viadotto si è sbriciolato come un castello di sabbia provocando la perdita di 43 vite. Il decreto Genova è vuoto, non ci sono le risposte che i cittadini chiedono e che il governo evidentemente non sa dare". "In quel decreto - sottolinea- non c'è il nome del commissario; non si dice chi ricostruirà il ponte disegnato da Renzo Piano, con quali soldi e in che tempi. Tutto il Paese è vicino al governatore Toti e al sindaco Bucci che hanno messo in campo tutte le risorse a loro disposizione per affrontare l'emergenza ma oggi non sanno più cosa rispondere ai cittadini che chiedono di sapere quando potranno rientrare nelle proprie case, quando questa ferita sarà rimarginata".

 

Nel nostro ordinamento non esistono giudici elettivi aveva detto il Presidente della Repubblica ieri, I nostri magistrati traggono legittimazione e autorevolezza dal ruolo che loro affida la Costituzione. Non sono quindi chiamati a seguire gli orientamenti elettorali, ma devono applicare la legge e le sue regole". Così il presidente Sergio Mattarella alla Camera ricordando la figura del capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. "Come spesso ebbe a ricordare anche il presidente Scalfaro, queste valgono per tutti, senza aree di privilegio per nessuno, neppure se investito di pubbliche funzioni, neppure per gli esponenti politici', ha aggiunto Mattarella. Il richiamo del Capo dello Stato avviene nel giorno in cui la Lega manifesta fuori dal Senato in difesa del ministro dell'Interno Matteo Salvini, indagato dai magistrati di Palermo per la vicenda della nave Diciotti.

Replicando il Ministro ha scritto su facebook : Mattarella oggi ha ricordato che “nessuno è al di sopra della legge”. Ha ragione. Per questo io, rispettando legge, Costituzione e impegno preso con Italiani, ho chiuso e chiuderò i porti a trafficanti di esseri umani. Indagatemi, io vado avanti!

Nel suo articolo Alessandro Sallusti tra l altro scrive al il giornale :"nel confronto a Scalfaro, infatti, Matteo Salvini appare come un dilettante - direi un'educanda - nel suo opporsi al corso della giustizia. Correva l'anno 1993, sera del 3 novembre. La Rai ha in onda la partita di coppa Uefa tra il Cagliari e i turchi del Trebisonda. Improvvisamente la trasmissione si interrompe e a reti unificate appare il faccione del presidente Scalfaro che sta per essere coinvolto nell'inchiesta sui fondi neri a disposizione dei ministri degli Interni, ruolo da lui ricoperto in precedenza. Livido di rabbia, Scalfaro pronuncia la famosa frase: «A questo gioco al massacro io non ci sto, non ci sto, non ci sto». Il giorno seguente gli accusatori di Scalfaro, alti funzionari del ministero, furono indagati per «attentato agli organi costituzionali», l'inchiesta sui fondi neri, di fatto, sospesa. E poco importa che l'anno seguente Scalfaro ammise la percezione di tali cifre «come tutti i miei predecessori» e che i funzionari furono poi prosciolti. Anche allora la legge avrebbe dovuto «valere per tutti, politici compresi». Ma per Scalfaro non fu così.

I soldi della Lega evidentemente hanno un odore diverso da quelli di Scalfaro, elevato a santo della politica quando in realtà parliamo del peggiore presidente nella storia della Repubblica. Un presidente che tramò non poco per fare cadere il primo governo Berlusconi a lui in odio, sia utilizzando i pm di Mani Pulite (il famoso avviso di garanzia recapitato al Cavaliere durante il suo primo G8), sia convincendo Umberto Bossi (in cambio di cosa resta un mistero) a mollare Berlusconi al suo destino.

Una ramanzina a Salvini da parte del capo dello Stato può far parte del gioco delle parti. Ma per favore non nel nome di Oscar Luigi Scalfaro, che parlandone da vivo non fu certo un esempio di etica politica."

Intanto nuovo attacco dal Europa : L'Italia è "un problema" nella zona euro: lo ha detto il commissario europeo agli Affari Economici, Pierrre Moscovici, in conferenza stampa a Parigi. "C'è un problema che è l'Italia", ha dichiarato il responsabile Ue, aggiungendo: "E' proprio l'Italia il tema su cui mi voglio concentrare prima di tutto".

Il commissario Ue agli affari economici  ha avvertito l'Italia che ridurre il debito pubblico è nel suo stesso interesse. Chi pensa che si possano rilanciare gli investimenti aumentando il deficit, ha aggiunto in conferenza stampa a Parigi, dice "una bugia". Rivolgendosi, più in particolare, a Matteo Salvini, ha poi sottolineato che Bruxelles non ha mai impedito all'Italia di "realizzare gli investimenti" e le "infrastrutture necessarie". "L'Italia è il Paese che più di tutti ha beneficiato di flessibilità".

"L'Italia - ha detto ancora Moscovici - ha un nuovo governo, entrato in funzione, credo, da circa 100 giorni. L'Italia ha anche un nuovo ministro dell'Economia e delle Finanze con cui lavoro regolarmente, in un clima costruttivo. Spero che questo clima costruttivo prevarrà"

Moscovici ha parlato anche dell'avanzare dei populisti in Europa, a meno di un anno dalle elezioni europee del 2019: "Oggi c'è un clima che assomiglia molto agli anni '30. Certo, non dobbiamo esagerare, chiaramente non c'è Hitler, forse dei piccoli Mussolini...": ha detto il commissario europeo, esprimendo preoccupazione.  "La storia, come diceva Raymond Aron, è tragica, bisogna evitare che sprofondi nelle sue ore più buie", ha continuato il responsabile Ue, sottolineando tuttavia che, almeno nelle prossime europee, i populisti non conquisteranno la schiacciante maggioranza dell'Assemblea Ue, ma otterranno comunque una "forte progressione".

E arriva la replica del vicepremier, Luigi Di Maio: "L'atteggiamento da parte di alcuni commissari europei è inaccettabile, veramente insopportabile. Dall'alto della loro Commissione europea si permettono di dire che in Italia coi sono tanti piccoli Mussolini, non si devono permettere!".

Negli ultimi mesi le parole sono cambiate molte volte e quello che ora aspettiamo sono i fatti, principalmente la legge di bilancio e la successiva discussione parlamentare". Lo ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, riferendosi all'Italia e alle dichiarazioni che hanno fatto impennare lo spread. "Purtroppo - ha detto - abbiamo visto che le parole hanno fatto alcuni danni, i tassi sono saliti, per le famiglie e le imprese" anche se "tutto ciò non ha contagiato granché altri paesi dell'Eurozona, rimane un episodio principalmente italiano". "La Banca centrale europea - ha proseguito - si atterrà a ciò che hanno detto il primo ministro italiano, il ministro dell'Economia e il ministro degli Esteri, e cioè che l'Italia rispetterà le regole". Così il presidente della Bce, Mario Draghi, rispondendo alla domanda se le politiche del governo e il rialzo dello spread possano richiedere misure da parte dell'Eurotower nel 2019 per evitare fenomeni di contagio. "Non abbiamo ancora visto alcun contagio", ha aggiunto Draghi.

Il mandato della Bce è la stabilità dei prezzi e il Qe è uno degli strumenti con cui lo perseguiamo. Non è nostro compito assicurare che i deficit dei governi siano finanziati in qualsiasi condizione'. Lo ha detto il presidente della Bce Mario Draghi in risposta a una domanda sui timori in Italia che la fine del QE equivalga a lasciare il paese a se stesso. Per il 
governatore, il Qe 'è ancora necessario per sostenere l'inflazione sono ancora necessarie misure di stimolo per via dei rischi legati a protezionismo e turbolenze sui mercati emergenti'.

Intanto quarantadue migranti che erano a bordo della nave Diciotti sono pronti a costituirsi parte civile in un eventuale processo. A renderlo noto i rappresentanti di Baobab Experience in una conferenza stampa a Roma. "I migranti hanno presentato delega ai legali che collaborano con Baobab per valutare se ci sono gli estremi per costituirsi parte civile al processo penale e per una denuncia civile per detenzione illegittima a bordo della nave" ha spiegato Giovanna Cavallo, Responsabile del Team Legale Baobab Experience.

"42 presunti profughi pronti a denunciarmi. Per me sono altre 42 medaglie! La pacchia è finita, prima gli italiani!" è la replica del ministro dell'Interno Matteo Salvini, commentando la notizia dei 42 migranti che erano a bordo della nave Diciotti pronti a costituirsi parte civile in un eventuale processo.

"I dati aggiornati a questa mattina sull'immigrazione ci dicono che l'anno scorso di questi tempi ne erano sbarcati già più di 100mila, quest'anno che abbiamo fatto capire che la musica è cambiata, siamo fermi a 20mila, 80 mila persone in meno da mantenere in giro per la Puglia e per l'Italia", ha detto il ministro dell'Interno a Bari.

 

La Svimez, l'associazione per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno, nelle anticipazioni del Rapporto 2018 lancia l'allarme sul "drammatico dualismo generazionale". E spiega: "il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)". Insomma, sintetizza, "si è profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani"

Nel 2019 "si rischia un forte rallentamento dell'economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud". E' quanto prevede la Svimez, nelle anticipazioni del Rapporto di quest'anno. Nel 2017, si spiega, "il Mezzogiorno ha proseguito la lenta ripresa" ma "in un contesto di grande incertezza" e "senza politiche adeguate" rischia di "frenare", con "un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo" nel giro di due anni (dal +1,4% dello scorso anno al +0,7% del prossimo).

il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila)". Così la Svimez che parla "di sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche". E definisce "preoccupante la crescita del fenomeno dei 'working poors'", ovvero del "lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all'esplosione del part time involontario".

"Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero. Quasi 800 mila non sono tornati". E' questo il 'bollettino' della Svimez sulla 'fuga' dal Sud, il cui peso demografico non fa che diminuire.

La forza lavoro è decisamente invecchiata, con un “dualismo generazionale” eclatante: nel Sud il saldo negativo di 310 mila occupati, tra il 2008 e il 2017, è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità). 

Ma il lavoro non è più in assoluto una garanzia contro la povertà. Lo Svimez segnala con preoccupazione la crescita del fenomeno dei working poors, i lavoratori poveri: “La crescita del lavoro a bassa retribuzione, dovuto alla complessiva dequalificazione delle occupazioni e all’esplosione del part time involontario, è una delle cause, in particolare nel Mezzogiorno, per cui la crescita occupazionale nella ripresa non è stata in grado di incidere su un quadro di emergenza sociale sempre più allarmante”. A tutto ciò vanno aggiunti “il divario nei servizi pubblici”, “la cittadinanza ‘limitata’ connessa alla mancata garanzia di livelli essenziali di prestazioni”, che incidono sulla “tenuta sociale dell’area” e rappresentano “il primo vincolo all’espansione del tessuto produttivo”.

Certo, se queste sono le tendenze generali, il Sud non è una realtà uniforme e presenta un “grado di disomogeneità” estremamente elevato per settori e regioni. Calabria, Sardegna e Campania nel 2017 sono cresciute, rispettivamente, del 2%, dell’1,9% e dell’1,8%. Appena sotto la Puglia (+1,6%) e un po’ più indietro l’Abruzzo (+1,2%). La Basilicata ha registrato un +0,4%, ma dopo alcuni anni di crescita intensa. Stesso incremento del Pil per la Sicilia, mentre il Molise è l’unica regione con un andamento negativo (-0,1%). 

Una ragione in più per battere sul tasto sulla necessità degli investimenti pubblici, un cavallo di battaglia dello Svimez e non da oggi. La pur lenta e insufficiente ripresa del Mezzogiorno deve molto agli investimenti privati, che nel 2017 sono cresciuti del 3,9%, consolidando il dato dell’anno precedente e superando, sia pure di poco, quello del Centro-Nord (+3,7%). 

Gli investimenti pubblici sono lontanissimi dai livelli pre-crisi e la stessa spesa pubblica corrente si è ridotta del 7,1% al Sud, mentre nel resto del Paese è aumentata dello 0,5%. In assenza di interventi di politica economica rilevanti, quindi a legislazione invariata, lo Svimez stima per il prossimo anno circa 4,5 miliardi di investimenti in meno rispetto al picco più recente, quello del 2010. Recuperando questa somma e “favorendo in misura maggiore gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha grande bisogno” – annota lo Svimez – si determinerebbe una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale, con l’effetto di annullare completamente il differenziale di crescita tra le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali. Sarebbero queste ultime, anzi, a crescere di più, “con beneficio per l’intero Paese”. 

Perché allo Svimez sono convinti: “Centro-Nord e Mezzogiorno crescono o arretrano insieme”. Non è una pur totalmente condivisibile enunciazione di principio, ma una conclusione basata su analisi e numeri. Un dato fra tutti: dei circa 50 miliardi di residuo fiscale che il bilancio pubblico trasferisce alle regioni meridionali, 20 ritornano al Centro-Nord sotto forma di domanda di beni e servizi.

 

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