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"Se la Turchia farà qualcosa che io, nella mia grande e ineguagliata saggezza, considererò oltre i limiti, distruggerò totalmente l'economia della Turchia l'ho già fatto!". Così il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha provato a 'rassicurare' i tanti critici, anche negli Stati Uniti, che considerano sbagliata la sua decisione di lasciare il Nord della Siria, dove la Turchia ha intenzione di attaccare i curdi.

Donald Trump pero non solo “scarica” i curdi, ma dà una precisa indicazione su quali sono le pietre angolari della sua agenda estera. Sia per quanto riguarda la Siria che per quanto riguarda altre crisi che in tutto il pianeta coinvolgono (direttamente o indirettamente) gli Stati Uniti.

La serie di tweet con il cui il capo della Casa Bianca ha definito il suo piano per il ritiro dallo scenario siriano è un messaggio che racchiude quanto già detto in questi anni di presidenza Trump per descrivere l’idea di politica estera dell’attuale amministrazione americana. 

L’idea per cui Washington non sente la necessità di confermare il suo essere “guardiano” delle crisi di tutto il mondo, ma esclusivamente garante dei suoi stessi interessi nella maniera più rapida e incisiva possibile. Nessun coinvolgimento nella crisi se non per necessità. E soprattutto patti chiari con i suoi alleati prima ancora che con i nemici. Trump può scendere a patti con chiunque (come dimostrato con gli accordo con Kim Jong-un) ma allo stesso tempo può cancellare o escludere accordi con i suoi partner più consolidati. Tutto in base a interessi effettivi e presenti, non in base a eredità del passato che per la Casa Bianca sono fardelli da eliminare il prima possibile: siano esse alleanze o guerre.

Del resto il messaggio successivo al semaforo verde verso Erdogan è stato di una chiarezza cristallina: “Come ho già detto in precedenza, e solo per ribadire, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia grande e insuperata saggezza, considero off limits, distruggerò e cancellerò totalmente la sua economia l’ho già fatto prima!”. Una minaccia chiara.

In molti hanno definito scrive il giornale questa mossa di Trump come un “regalo” a Vladimir Putin e Bashar al Assad. Difficile dirlo: l’ingresso della Turchia nel nord della Siria potrebbe anche scatenare l’ira di Damasco, che si vede una parte del proprio territorio occupata da forze nemiche. Così come non va sottovalutato il fatto che se da un lato Israele vedrebbe colpita in parte la strategia di Assad, dall’altro lato vede avanzare Erdogan e la sua leadership in Medio Oriente. Ma anche questo è Trump. Un continuo dinamismo teso a scolpire i soli ed esclusivi interessi della sua amministrazione. America (e Trump) First, prima di ogni cosa.

L'artiglieria turca ha colpito nella notte la regione nord-orientale siriana al confine con l'Iraq. Lo riferisce la Sana, l'agenzia governativa di Damasco, che mostra foto e video dei bombardamenti avvenuti nei pressi del valico frontaliero di Simalka, tra Iraq e Siria, e corridoio vitale per i rifornimenti militari e logistici della Coalizione anti-Isis a guida Usa e per le forze curdo-siriane. Questa notizia non ha trovato conferma da parte turca né dalle autorità curdo-siriane.

le truppe alla frontiera sono ferme. Trump ha minacciato «serie conseguenze» e «grossi problemi per l’economia turca» se militari Usa venissero coinvolti e feriti nell’operazione dei terra che Ankara sta per lanciare e se il presidente turco Rece Tayyip Erdogan andasse «oltre i limiti» nei confronti dei curdi. Nella notte il Pentagono ha ridimensionato il ritiro annunciato dal presidente americano: soltanto «50-100 soldati» saranno spostati dal confine «ad altre basi», a quanto pare sempre nel Nord-Est della Siria.

Intanto la Turchia risponde agli Usa "non cediamo alle  minacce di nessuno".  "Il nostro messaggio alla comunità internazionale è chiaro. La Turchia non è un Paese che agisce sotto minaccia". Lo ha detto il vicepresidente turco, Fuat Oktay, riferendosi alle parole di Donald Trump su eventuali choc all'economia turca in caso il governo di Recep Tayyip Erdogan superi "i limiti" nell'imminente operazione militare contro le milizie curde dell'Ypg nel nord-est della Siria. Quando si tratta della sua "sicurezza, la Turchia segue la propria strada" e lo fa "a qualunque prezzo", ha aggiunto Oktay, intervenendo a una cerimonia di apertura dell'anno accademico ad Ankara.

"La Turchia continuerà anche a combattere contro Daesh (l'Isis) e non gli permetterà di tornare in ogni forma". Lo ha scritto su Twitter Ibrahim Kalin, portavoce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, replicando così alle accuse delle milizie curde Ypg del nord-est della Siria su una possibile liberazione di miliziani jihadisti dopo che Ankara prenderà il controllo dell'area. "La Turchia sostiene l'integrità territoriale e l'unità politica della Siria. Non è interessata a un'occupazione né a un cambiamento demografico. 

Il Pkk/Ypg lo ha fatto nel nord-est della Siria. È ora di correggerlo. La Turchia combatte contro un'organizzazione terroristica che ha anche ucciso e oppresso i curdi", ha scritto inoltre Kalin, sostenendo che "la safe zone servirà due scopi: mettere al sicuro i confini della Turchia eliminando gli elementi terroristici e permettere ai rifugiati di tornare a casa".

L’Iran è contrario all’operazione turca nel Nord-Est della Siria. Il ministro degli Esteri Jawad Zarif ha chiamato il collega turco Mevlut Cavusoglu per esprimere la netta opposizione all’ingresso delle truppe di Ankara sul territorio siriano. Zarif ha ribadito il sostegno “all’integrità territoriale della Siria” e che sottolineato che nella “lotta al terrorismo” è essenziale “la stabilità della Siria”.

La presa di posizione di Zarif segna un’incrinatura nel cosiddetto patto di Astana che dovrebbe definire gli assetti futuri della Siria. Teheran non vuole che parti del Paese vengano di fatto annessi alla Turchia e punta a un accordo fra Assad e i guerriglieri curdi delle Ypg, finora sostenuti dagli Stati Uniti e considerate una "organizzazione terroristica" dalla Turchia, per riprendere il controllo dei territori nord-orientali.

Teheran è il principale alleato del presidente siriano Bashar al-Assad, pilastro dell’asse “della resistenza” che comprende anche le milizie sciite libanesi e irachene. I consiglieri dei Pasdaran, assieme ai combattenti di Hezbollah e iracheni, hanno permesso al raiss di restare al potere, ancor prima dell’intervento russo. L’Iran si è poi allineato all’asse fra Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan ma non ha mai visto di buon occhio l’espansione turca nel Nord della Siria.

Intanto la Turchia invia truppe e blindati nelle città lungo il confine con la Siria La Turchia ha inviato truppe e mezzi blindati nelle città di Sanliurfa e Kilis, al confine con la Siria. Lo ha riferito l'agenzia Anadolu, secondo quanto riporta la Dpa. Stando ai media ufficiali turchi l'obiettivo è rafforzare le postazioni militari turche lungo la frontiera con il Paese arabo. 

"Risponderemo a qualsiasi tipo di attacco, ci difenderemo. Come forze democratiche curde ci siamo fondati per questo, difendere il nostro popolo. Come abbiamo risposto all'Isis sarebbe lo stesso anche contro un attacco dello Stato turco". Lo ha detto Dalbr Issa, comandante delle Ypg, la milizia curda nel nord della Siria. Se la Turchia invaderà il nord della Siria la coalizione internazionale avrà compiuto il suo tradimento, ha aggiunto Issa, a margine di un'audizione alla Camera dei deputati. 

"La comunità internazionale all'inizio ci ha dato un supporto per combattere l'Isis", con "aiuto logistico e motivazione. Se lo Stato turco verrà lasciato libero di invadere però potremmo parlare di tradimento; vorrà dire che la coalizione non voleva veramente proteggere la pace e la democrazia, la libertà di tutti i popoli, ma solo gli interessi di alcuni Stati alleati". Poi: "L'Italia si faccia portavoce presso la Nato, l'Unione Europea e le Nazioni Unite per trovare una soluzione democratica, pacifica e giuridica alla questione curda nell'ambito di una conferenza di pace internazionale".

La Francia esorta la Turchia ad astenersi da qualsiasi operazione militare dopo il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria. A detta del portavoce del ministero degli Esteri di Parigi, il ritiro delle forze Usa finirà per contribuire alla rinascita dell'Isis, tanto che la Francia chiede che si continui ad assicurare la detenzione dei foreign fighters nei campi controllati dai curdi nel nord-est del Paese. "Chiediamo alla Turchia di evitare un'iniziativa che vada contro gli interessi della coalizione globale contro lo Stato Islamico", afferma il portavoce, aggiungendo che la "detenzione sicura" dei jihadisti europei è un "imperativo di sicurezza". Il riferimento è alla presa di posizione della Casa Bianca, che suggerisce il loro trasferimento sotto la "responsabilità turca". In una nota diffusa dal ministero, la Francia si dice "molto preoccupata in merito alle informazione relative ad una eventuale operazione militare unilaterale della Turchia nel nord-est siriano". 

Secondo Parigi, "qualunque azione unilaterale potrebbe avere delle conseguenze umanitarie importante non permettere di creare le condizioni necessario al ritorno sicuro e volontario dei rifugiati nelle loro regioni d'origine". Per quello che riguarda l'Isis, è la valutazione della diplomazia francese, "in Siria l'organizzazione dispone ancora di risorse e di capacità d'azione importanti". 

"La Francia - conclude la nota - è in stretto contatto con i suoi partner europei in materia, nonché con i suoi partner nella coalizione globale contro lo Stato islamico". Ankara: per operazione non possiamo aspettare un minuto di più Il capo della comunicazione della presidenza turca, Fahrettin Altun, attraverso il proprio account Twitter, ha dichiarato che la Turchia "non può aspettare un minuto di più" per intervenire militarmente nel nord della Siria. 

"Siamo stati abbastanza pazienti nel rispettare i patti della coalizione, ma siamo giunti a un punto in cui non possiamo aspettare un minuto di più. È a rischio la sicurezza di civili turchi, arabi e curdi". Queste le parole usate da uno dei più stretti consiglieri del presidente, Recep Tayyip Erdogan, nel confermare il via libera a un'operazione a est del fiume Eufrate mirata a eliminare le postazioni dei curdi siriani del Pyd-Ypg.

L'Onu ha dichiarato di "prepararsi al peggio" alla luce dell'offensiva sul nord della Siria annunciata dalla Turchia. Critica anche l'Unione europea. "Alla luce dell'annuncio della Turchia e degli Usa sulla situazione in Siria, l'Ue ribadisce la sua preoccupazione" e ricorda di avere sempre detto che "ogni soluzione a questo conflitto non può essere militare bensì deve passare attraverso una transizione politica, in conformità alla risoluzione Onu ed il comunicato di Ginevra nel 2014". Così una portavoce della Commissione europea. "L'Ue ribadisce il sostegno all'unità, la sovranità e l'integrità territoriale della Siria".

 

 

 

 

Abbiamo fatto i nostri preparativi, abbiamo compiuto i nostri piani operativi, abbiamo impartito le istruzioni necessarie”. Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan annuncia una nuove operazione militare nella Siria del nord, a est dell’Eufrate. L’operazione è stata coordinata con gli Stati Uniti, che stanno allontanando le proprie truppe dal confine: “Le forze statunitensi non sosterranno né saranno coinvolte nell’operazione e le truppe Usa, che hanno sconfitto il califfato territoriale dello Stato islamico, non saranno più nelle immediate vicinanze”, fanno sapere da Washington.

La Turchia, l'Iran e lo stesso Iraq da tempo provano a scongiurare, con ogni mezzo, una simile eventualità, dimostrando e hanno dimostrando di essere pronti anche ad aprire un nuovo fronte di guerra, pur di evitarla. Da una parte Ankara teme di avere ai suoi confini uno Stato che possa fomentare le rivendicazioni dei curdi turchi, dall'altra l’Iraq ha intenzione di vuole di tenere accorpata la regione settentrionale del Kurdistan all’interno del proprio asse politico-istituzionale, così da evitare una frammentazione statale e continuare a godere delle ricche rendite petrolifere che quella regione produce.  

Curdi sono una popolazione di origine iranica. La loro regione storica è il Kurdistan ("terra dei Curdi"). Il Kurdistan non ha mai formato uno Stato indipendente e attualmente è diviso tra Turchia, Iran, Iraq, Siria, Armenia e Azerbaigian. La parte più estesa del Kurdistan si trova in Turchia, dove vivono circa 13 milioni di Curdi. Poiché il popolo curdo è diviso tra diversi Stati è difficile calcolare esattamente la sua consistenza numerica totale: la cifra oscilla, comunque, tra i 20 e i 30 milioni di persone.  

"Alla luce dell'annuncio della Turchia e degli Usa sulla situazione in Siria, l'Ue ribadisce la sua preoccupazione" e ricorda di avere sempre detto che "ogni soluzione a questo conflitto non può essere militare bensì deve passare attraverso una transizione politica, in conformità alla risoluzione Onu ed il comunicato di Ginevra nel 2014". Così una portavoce della Commissione europea. "L'Ue ribadisce il sostegno all'unità, la sovranità e l'integrità territoriale della Siria", ha aggiunto.

L’operazione turca, secondo il Giornale però, apre diverse incognite. Prima tra tutte: come verrà condotta l’operazione? E da chi? Combatteranno solamente le truppe regolari di Ankara o anche i miliziani, alcuni con simpatie jihadiste, riciclati da Erdogan in questi ultimi anni? E poi: gli Usa hanno fatto sapere che “la Casa bianca ha a lungo esercitato pressioni su Francia, Germania e altre nazioni europee, da dove provenivano molti combattenti dell’Isis catturati, per riprenderli indietro, ma non li vogliono e hanno rifiutato”. 

Per questo motivo, i terroristi passeranno sotto il controllo della Turchia. Ma come è possibile tutto questo dopo che per anni Ankara ha lasciato aperta la cosiddetta “autostrada del jihad” permettendo a migliaia di jihadisti di raggiungere la Siria? Che fine faranno i curdi? Per anni sono stati appoggiati dagli Stati Uniti per combattere lo Stato islamico. E ora? Verranno abbandonati al loro destino come già successo a Manbij? Capiranno i curdi che l’unico modo per non venire schiacciati dalle scelte politiche altrui è quello di tornare a Damasco e trovare un accordo con il regime di Bashar al Assad? Le truppe Usa abbandoneranno davvero la Siria, come ha annunciato l’anno scorso il presidente Trump o questo è solamente uno spostamento momentaneo? Tutte domande, queste, che si stagliano sullo sfondo di una nuova operazione militare – l’ennesima – in un Paese dilaniato da una “guerra mondiale a pezzi”.

L’obiettivo di Ankara, come annunciato più volte, è quello di creare una zona sicura al confine siriano, in modo anche da gestire al meglio questo almeno il punto di vista di Erdogan la questione migranti: “Il piano per la zona sicura ha due scopi: mettere in sicurezza i nostri confini eliminando gli elementi terroristici e garantire il ritorno sicuro dei profughi”. Proprio nel nord della Siria, il Sultano vorrebbe trasferire 2 milioni degli oltre 3,6 milioni di rifugiati presenti in Turchia.

Il gruppo curdo, noto come Forze democratiche della Siria l'alleanza curdo-araba delle Fds, Syrian Democratic Forces, o Sdf., è stato il partner più affidabile degli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato islamico in un angolo strategico della Siria settentrionale. Ora, la decisione di Trump va contro le raccomandazioni dei massimi funzionari del Pentagono e del Dipartimento di Stato che hanno cercato di mantenere una piccola presenza di truppe nel nord-est della Siria per continuare le operazioni contro lo Stato Islamico, o Isis, e di agire come contrappeso critico in Iran e Russia.

Le forze curdo-siriane hanno affermato di esser pronte a "difendere a ogni costo" il nord-est della Siria, in particolare la zona al confine con la Turchia esposta alla pressione turca e da dove nelle ultime ore si sono ritirare truppe americane. "La zona è ora diventata un teatro di guerra. Noi siamo determinati a difendere il nordest a ogni costo", ha detto il portavoce delle forze curdo-siriane, Mustafa Bali, citato dai media locali e regionali.

Cosi la Casa Bianca secondo le agenzie di stampa ha dichiarato che la Turchia si appresta a invadere la Siria settentrionale, rinnovando timori per il destino dei combattenti curdi alleati con gli Stati Uniti nella guerra all'Isis. Lo afferma Stephanie Grisham, responsabile della comunicazione della Casa Bianca, in una dichiarazione diffusa dopo un colloquio telefonico tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e quello americano Donald Trump. Nella nota si precisa che le truppe statunitensi "non sosterranno né saranno coinvolte nell'operazione" e "non saranno più nelle immediate vicinanze", cioè nel nord della Siria.

Non è chiaro se ciò significhi che gli Stati Uniti potrebbero ritirare i loro circa 1.000 soldati dalla Siria settentrionale. Una ipotesi, quella del ritiro delle truppe americane, ventilata da Trump nello scorso dicembre ma accolta con sfavore da gran parte della comunità internazionale, secondo cui il ritiro comporterebbe l'abbandono dei curdi nelle mani dell'esercito turco.

Secondo le Forze democratiche della Siria l'alleanza curdo-araba delle Fds l'annuncio della Casa Bianca, è perioloso. In una serie di tweet diffusi nelle ultime ore non mancano accuse per Erdogan e il Centro per il coordinamento e le operazioni militari delle Fds afferma che un "attacco turco" rischierebbe di annullare i successi nella lotta all'Isis e di fare della Siria una "zona di conflitto permanente".

Le Fds affermano secondo la Repubblica di aver rispettato gli impegni previsti dall' "accordo sul meccanismo di sicurezza, smantellando le fortificazioni militari tra Tell Abyad e Ras al-Ayn, ritirando le unità di combattimento con le armi pesanti" dalle zone lungo il confine con la Turchia. "Tuttavia - affermano - le minacce di Erdogan hanno come obiettivi quelli di cambiare il meccanismo di sicurezza in un meccanismo di morte, di fare sfollati tra la nostra gente e trasformare la regione sicura e stabile in una zona di conflitto e guerra permanente". "Mentre la comunità internazionale cerca una soluzione politica per la Siria - aggiungono le Fds - il popolo siriano soffre da anni per la guerra".

Lo scorso 7 agosto, sottolinea il Giornale al termine di un lungo negoziato, Turchia e Usa hanno raggiunto ad Ankara un'intesa per la costituzione di una safe zone nel Nord della Siria. L'area 'tampone' prevista nell'accordo è larga 30-32 e lunga 480 chilometri, estesi in territorio siriano lungo il confine turco, a partire dalla riva Est del fiume Eufrate fino al confine con l'Iraq. Un'area su cui il presidente turco ha preteso il controllo della Turchia, sia per eliminare le postazioni dei curdi siriani dello Ypg, ma anche per creare un corridoio in cui ricollocare il maggior numero possibile dei 3,6 milioni di siriani fuggiti in Turchia a partire dal 2011.

Nell'accordo è stata inserita la costituzione di un centro di comando operativo congiunto per gli eserciti di Usa e Turchia, poi regolarmente realizzato in territorio turco, ad Akcakale, non lontano dal confine siriano. L'intesa raggiunta prevede anche turni di pattugliamento e ricognizione congiunti, con l'utilizzo di mezzi terrestri, droni ed elicotteri e la possibilità per gli F-16 di Ankara di sorvolare lo spazio aereo siriano.

Lo scorso 8 settembre turni di pattugliamento da parte dei due eserciti sono stati effettivamente realizzati, mentre nelle scorse due settimane gli F-16 turchi hanno ripetutamente sorvolato lo spazio aereo siriano. Martedì il capo di Stato turco aveva dichiarato che la Turchia stava esaurendo la pazienza con gli Stati Uniti per la creazione di una zona di sicurezza nel nord della Siria, minacciando l'incombente un'operazione militare. "A questo punto, non abbiamo altra scelta che continuare sulla nostra strada", aveva annunciato Erdogan in un discorso televisivo.

La complessità delle dinamiche politiche del Kurdistan riguardano diversi ambiti, da quello internazionale a quello regionale. Un insieme di fattori che ha fatto sì che il progetto di uno Stato curdo - da sempre nell'orizzonte del Paese - fosse pressochè impraticabile. Dal punto di vista internazionale, le stesse forze che hanno appoggiato finanziariamente e militarmente i gruppi curdi in funzione anti-IS (come Stati Uniti e, a fasi alterne, Russia in primis) non hanno mai realmente mostrato intenzione di andare oltre ad bene placido formale dell'idea d'uno Stato indipendente, probabilmente per paura di provocare instabilità in una regione così strategica e già fortemente provata da anni di conflitti.

L'incognita dunque riguarda le prospettive future di un Kurdistan iracheno davvero indipendente. Il rischio maggiore è quello di un nuovo conflitto interno, che non farebbe altro che mettere in cattiva luce le forze curde irachene all’esterno. Il superamento delle lotte di potere interne - che storicamente in questa Regione hanno assunto caratteristiche di un conflitto tribale e familiare - sembra essere la precondizione necessaria per arrivare alla formazione di uno Stato autonomo. Se poi si guarda alla storia del Paese, l'impraticabilità per i curdi di presentarsi al mondo come un'unica voce, compatta e decisa, è stato uno dei più grandi punti di debolezza del progetto del Kurdistan.

 

 

Una riduzione del cuneo che potrebbe portare almeno 500 euro in più ai lavoratori nel 2020, con l'impegno di arrivare poi a 1000 euro. Ma anche una 'rivoluzione' dei ticket sanitari, con il costo che sarà in base al reddito e al nucleo familiare. Secondo le agenzie di stampa,"Pagherà di più chi ha di più", spiega il ministro Roberto Speranza che sta preparando un ddl ad hoc. E in più, oltre un tetto di spesa, le cure saranno gratis. E' l'impronta 'sociale' della politica economica giallorossa, che scommette molto, per raggiungere gli obiettivi indicati nella nota al Def, su 7 miliardi di lotta all'evasione. Nel documento si mette nero su bianco che, oltre i 14 miliardi di extradeficit, la metà delle nuove risorse arriverà dall'emersione del nero e dalla caccia alle frodi del fisco.

Una cifra "fantasiosa" e "scritta sull'acqua", attaccano le opposizioni, difesa però con convinzione dall'esecutivo. Le nuove risorse (gli altri 7 miliardi arriveranno da un mix di spending review, taglio ai sussidi ambientali e altri interventi fiscali) serviranno anche al blocco integrale degli aumenti Iva per 23 miliardi.

"Ancora oggi sui giornali - fanno sapere da M5S - sentiamo parlare di 'rimodulazione' dell'IVA. Lo ribadiamo per l'ennesima volta: no a giochini e giri di parole, l'IVA non deve aumentare. Questo governo nasce su due principi fondanti: il blocco dell'iva e il taglio dei parlamentari. Se uno dei due viene meno, allora si perde il senso di questo governo".

Ma nell’esecutivo secondo il giornale è scontro aperto sull’aumento dell’imposta sul valore aggiunto, che in Italia è più alta rispetto alla media dei Paesi Ocse. Per evitare ulteriori aggravi per le tasche dei cittadini servono 23 miliardi che Giuseppe Conte, due giorni fa, ha assicurato di avere a disposizione. Anche perché, ammoniscono i grillini, il governo giallorosso si regge su “due principi fondanti: il blocco dell'Iva e il taglio dei parlamentari”. “Se uno dei due viene meno, allora si perde il senso” dell’inedita alleanza.

Ma ad avvalorare l’ipotesi di un aumento, quantomeno parziale della tassa, è il ministro Dem per gli Affari Regionali, Francesco Boccia, che in un’intervista di oggi ad Avvenire è pronto a scommettere sulla “rimodulazione” dell’Iva. “Si farà, è di sinistra”, assicura al quotidiano dei vescovi. Il motivo è che “in questa imposta ci sono situazioni ingiuste”. Le elenca il vice ministro dell’Economia e delle Finanze, Laura Castelli, rispondendo ai giornalisti de La Stampa. “Il dibattito innescato sull'Iva dimostra che il problema esiste – ha detto - non è ragionevole che sulle patatine fritte ci sia l'imposta al quattro per cento, o che sia al dieci quella sui prodotti da collezione”. Il numero due del dicastero di via XX Settembre ribadisce quanto messo nero su bianco nel Def: "Gli aumenti verranno sterilizzati". Ma, aggiunge che “tabù non ce ne devono essere, su nulla", compresi quelli sulla questione degli aumenti differenziati dell’Iva, sulla quale il Parlamento “è libero di discutere”.

“Questo Paese due mesi fa era sulle montagne russe, isolato dall' Europa, con lo spread stabilmente sopra i 200 punti – ha ricordato Boccia - ora c' è un governo che si carica sulle spalle l'eredità dell'Iva che gli ha lasciato Salvini, che mette mano a una manovra seria e semplice senza pensare a slogan, tweet e sondaggi, senza raccontare frottole". Intanto, però, ad attaccare il governo sull’eventualità di una rimodulazione della tassa è Confagricoltura che spiega come questa potrebbe riguardare "molti prodotti agricoli che rientrano nell'ambito di applicazione dell'aliquota ridotta”. “Un aumento per alcuni di essi – denuncia il presidente di Confagricoltura Alessandria, Luca Brondelli di Brondello - avrebbe un impatto economico recessivo per le imprese agricole, oltre che un effetto regressivo su consumi di beni essenziali".

"Nel Def c'è scritto chiaramente che gli aumenti dell'Iva saranno sterilizzati - afferma la viceministra all'Economia, Laura Castelli, in un'intervista a La Stampa - ma il dibattito innescato sull'Iva dimostra che il problema esiste. Non è ragionevole che sulle patatine fritte ci sia l'imposta al 4%. O che sia al 10 quella sui prodotti da collezione. Tabù non ce ne devono essere, su nulla. Se il Parlamento riterrà opportuno fare un dibattito durante l'iter della Finanziaria, è liberissimo". Secondo Castelli, infatti, "ci sono aliquote che devono scendere", e spiega: "nei mesi scorsi abbiamo tentato senza successo di abbassare 'imposta sugli assorbenti femminili. E' indegno che si debba pagare il 22% su un prodotto del genere". E sulla riduzione dello spazio, senza aumenti Iva, per abbassare le imposte sul lavoro dipendente, la viceministra dissente e chiarisce: "abbiamo programmato 50 miliardi di investimenti, l'inizio del taglio dei sussidi dannosi per l'ambiente, confermeremo tutti gli incentivi fiscali di riconversione degli edifici: da quello per le ristrutturazioni agli ecobonus". Quello che Castelli, invece, avrebbe voluto nella prossima manovra "è l'assegno unico per le famiglie". Che però non ci sarà perché "governare non è una cosa semplice. Gli uffici non sono riusciti ancora a raccogliere tutti i dati necessari"."Lo stiamo dicendo da settimane - conclude Castelli -  basta con titoli fuorvianti e false ricostruzioni. L'Iva non si aumenta".

Di diverso parere  il ministro agli Affari regionali, Francesco Boccia, che in un'intervista ad Avvenire definisce "in malafede chi difende il contante". E per quanto riguarda le rimodulazioni Iva, "si faranno perché oggi in questa imposta ci sono situazioni ingiuste. Bisogna anche "rimettere a posto il catasto entro la legislatura, sebbene non in questa legge di bilancio, è un dovere. Chi vive a Centocelle ha il diritto di pagare in proporzione molto meno di chi vive in via Condotti. O spacciamo tutte le case come uguali? Siamo la sinistra non la destra". Secondo Boccia, anche in questo caso "accadrà quanto già avvenuto con la fatturazione elettronica: Salvini ha protestato nelle piazze con Meloni ma poi al governo l'ha mantenuta perché è una cosa giusta". Poi, aggiunge, "posso pure accettare che Salvini ora lanci slogan vuoti contro un'Iva più giusta, contro un catasto più giusto, contro l'incentivazione dei pagamenti elettronici. Lui fa così". Poi, conclude, il taglio delle tasse sul lavoro "lo faremo, gradualmente ma lo faremo".(ANSA).

I piani di rimodulazione, revisione e simili sono stati rimessi nel cassetto, e quegli incassi sostituiti dalla copertura record dell'evasione. Ma il governo non aveva mai avuto in mente aumenti secchi dell'imposta, precisa Palazzo Chigi, facendo filtrare una forte irritazione del premier, Giuseppe Conte. Al massimo si era valutata l'opportunità di una sorta di bonus-malus, con aumento dell'imposta di un punto e mezzo a chi usa il contante a fronte di un calo di 3 punti per chi paga con le carte. Incentivare la moneta elettronica rimane uno dei capisaldi della nuova lotta all'evasione, e resta sul tavolo l'idea di introdurre un sistema premiante sul modello portoghese, con meccanismi di cashback che si tradurrebbero in un'Iva più bassa sui pagamenti tracciabili. Accanto alla riduzione dell'uso del contante il faro è acceso anche sulle frodi sui crediti inesistenti e da quelle sui carburanti, da cui, secondo il viceministro all'Economia Laura Castelli, si potrebbero ricavare fino a 3 miliardi.

L'idea è di intensificare i controlli sulle pompe bianche e di agire contro il meccanismo delle società 'teste di legno', più note come cartiere, che acquistano all'estero aggirando l'imposta e poi rivendono in Italia (si pensa di eliminare la lettera d'intenti, che consente appunto agli esportatori abituali di acquistare prodotti petroliferi con Iva non imponibile e poi di rivenderli incassando l'Iva). Tante, comunque, le limature al documento, a partire dalla lista dei ddl collegati, nella quale non comparirà, come ha chiarito il viceministro all'Economia Antonio Misiani, la riforma del catasto che già aveva messo in allarme i proprietari di immobili.

Così come non ci dovrebbero essere sorprese per i bilanci dei Comuni, già sul piede di guerra. Quanto al taglio del cuneo, il numero due del Tesoro conferma che si dovrebbe partire a metà del prossimo anno. Le risorse saranno stanziate con la manovra (il Def indica per il 2020 2,7 miliardi, 5,4 miliardi a regime) ma l'intervento vero e proprio dovrebbe essere dettagliato con un provvedimento successivo e in tasca ai lavoratori, se la platea dovesse coincidere con chi già beneficia degli 80 euro, potrebbero arrivare 500 euro che, promette il segretario Dem Nicola Zingaretti, raddoppieranno a 1000 euro dal 2021. Nonostante le misure in favore dei lavoratori la cornice della prossima manovra non convince i sindacati, con cui pure il premier, Giuseppe Conte, si è confrontato più volte in questi mesi: "troppo debole su crescita, riforma fiscale e investimenti" dice la leader della Cisl, Annamaria Furlan, mentre per il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini vede finalmente imboccata "direzione giusta" ma "non basta".

Intanto "Accetto scommesse che uno dei punti che cambieranno nel nuovo decreto bis sarà che insulti, minacce, aggressioni e violenze possono essere lasciate alla soggettività del magistrato che può considerarli tenui. Ma se uno alza le mani su una divisa non esiste la tenuità del fatto...". Lo afferma il leader della Lega, Matteo Salvini, in una conferenza stampa al Senato.

l deputato di Leu Stefano Fassina è rimasto ferito nel corso di una manifestazione a Roma in cui si sono verificati momenti di tensione con le forze di Polizia. Insorgono il Pd e Leu, che invitano il Viminale di fare chiarezza, e il ministro dell'Interno Luciana Luciana Lamorgese ha chiesto al capo della Polizia Franco Gabrielli di avviare gli accertamenti per capire come siano andate i fatti. Tutto è avvenuto in pochi minuti davanti alla sede di Roma Metropolitane, l'azienda pubblica che per conto del Campidoglio si occupa di tutte le funzioni connesse alla realizzazione, ampliamento, prolungamento e ammodernamento delle linee metropolitane della Capitale: nel pomeriggio i lavoratori a rischio licenziamento hanno dato vita ad un sit in per protestare contro la scelta del Comune di non ricapitalizzare la società, al quale hanno partecipato alcuni esponenti politici tra cui proprio Fassina. Che, prima di rimanere ferito, si era scagliato contro Virginia Raggi. "La sindaca - aveva spiegato Fassina - porta deliberatamente le aziende municipali verso il fallimento per privatizzarle e regalare ai soliti noti servizi essenziali e grandi profitti da attività in monopolio. Oggi in Giunta è il turno di Roma Metropolitane con conseguenti 45 esuberi".

trasportato in ospedale (verrà dimesso in serata con una diagnosi di trauma toracico), diventa rapidamente il simbolo degli "scontri tra forze dell’ordine e lavoratori". E immediata esplode la caccia all’agente. Per Federico Fornaro, capogruppo di Leu, si tratta di fatti "gravissimi". Per Orfini vanno presi "provvedimenti verso i responsabili”, mentre Nicola Frattoianni arriva addirittura a parlare di lavoratori "picchiati dalle forze dell’ordine".

Luciana Lamorgese, chiede al capo della Polizia Gabrielli di "verificare se l’intervento delle forze di polizia presenti sia stato svolto in maniera corretta e senza violazioni di legge". Ed è proprio la richiesta del Viminale a irritare gli uomini in divisa più di ogni altro attacco "esterno". C’è chi parla di "parole inaccettabili" e chi la accusa di "volersi ingraziare la politica". "Mamma mia - lamenta Andrea Cecchini, segretario di Italia Celere - Non ho parole: Lamorgese fa così solo perché è stato coinvolto un parlamentare".

Chi ha potuto parlare con alcuni degli agenti finiti nella bufera racconta al Giornale.it tutta la frustrazione per la polemica esplosa. E svela alcuni retroscena fino ad ora inediti. Innanzitutto gli insulti “indescrivibili” ricevuti dalle divise in quei frangenti. Poi alcuni particolari fondamentali: primo, i poliziotti "non sono stati violenti"; secondo, erano "disarmati e senza sfollagente"; terzo, non portavano "neppure lo scudo”. "Non abbiamo usato la forza - hanno assicurato gli agenti coinvolti ai colleghi - abbiamo solo avanzato e loro non si sono spostati. Poi a un certo punto Fassina è caduto”. Non solo. Il parlamentare "è stato anche circoscritto per evitare che si facesse male" e, riportano i poliziotti, "mentre avanzavamo diceva: ‘Lo sapete che sono un onorevole?'".

C’è un altro aspetto da tenere bene in mente. "Gli operatori avevano ricevuto un ordine dal delegato di servizio, ovvero di scortare il delegato comunale all’interno dello stabile”, spiega Cecchini. Quindi, "entrare era obbligatorio". Per portare a termine la missione, gli agenti sono stati costretti a farsi spazio tra i manifestanti, usando solo il fisico. Nessun uso della forza, tanto che Italia Celere si dice pronta a denunciare chiunque abbia parlato di "cariche". "Ieri nel torto c’era chi ha commesso una resistenza attiva contro i poliziotti", insiste Cecchini. Fassina "si è messo in mezzo e ha impedito alla polizia di adempiere al proprio lavoro. È stata resistenza attiva, che oltre ad essere un reato è soprattutto inaccettabile. Dovrebbe vergognarsi".

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