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Tutti invitati all'Hobbit Party

Hobbit party | ebook, .epub

Jonathan Witt e Jay W. Richards si persero, per la prima volta nella Terra di Mezzo da adolescenti. Cercavano una bella storia di avventure in cui rintanarsi. E varcare la soglia di casa Baggins fu l’occasione per uscire dal panorama piatto e polveroso che li circondava: lontani dalle High Plains nel Texas, per correre nella Contea. 

Nella ‘Terra di Mezzo’ trovarono, semplicemente, un’espressione più dolce per indicare il mondo. Il mondo abitato dall’uomo, sferico, che si può abbandonare, ma dal quale non si può scappare. Perché Tolkien, con la Terra di Mezzo, ha stagliato in un cielo, cui abbiamo fatto l’abitudine, le sfumature che ci permettono di guardare esattamente la nostra realtà in modo nuovo. 

E così, grazie al minuzioso lavoro di Maurizio Brunetti, anche in Italia veniamo invitati all’Hobbit Party. 

Witt e Richards apparecchiano le pagine in maniera così deliziosa che finiamo per davvero col sentirci intorno ad una tavolata di amici e familiari. L’aria impastata di fumo, e l’odore di pan di Spagna per festeggiare qualcosa che vale la pena. L’Hobbit Party arriva nelle nostre librerie, e ci lascia un momento fuori dal tempo: quando tutto è stato fatto, e possiamo guardare il presente con gli occhi di chi sa che può esserci qualcosa di diverso. 

È Tolkien a raccontarci chi siamo in una storia diversa. Ma sono questi due professori universitari americani, con una maestria unica, a regalarci un intarsio meticoloso, prudente e speranzoso, in cui la filosofia, l’economia, la teologia, le scienze politiche e la letteratura difficilmente trovano la maniera per scindersi le une dalle altre. 

L’uomo che Tolkien vede muoversi per le sue colline è un uomo creato per la libertà. E i nostri autori delineano nitido il suo profilo, mentre, sullo sfondo, si nota il fumo e l’odore di un Occidente che pare liquefarsi sempre più, in una crisi umana, etica, culturale e infine anche economica. Incapace di essere quel contesto in cui l’uomo può trovarsi a suo agio per davvero.

La lente d’ingrandimento, che ci offrono Witt e Richards, offre un’inquadratura privilegiata sul regno fantastico della Contea. E finiamo con l’immergerci, finalmente, in una società che riesce ad essere a misura d’uomo, ed anche a misura del cuore di Tolkien.  Nella Contea si pagano meno tasse, c’è un governo limitato e un mercato più aperto. E la differenza della qualità della vita rispetto alle cosiddette economie libere di oggi arriva puntuale e netta. 

Per esempio, ad un certo punto vediamo Bilbo costretto ad incontrare i Nani. E per superare la diffidenza, subentreranno tanti elementi. C’è tanto di Gandalf e delle sue manovre diplomatiche, ovviamente, in quell’incontro. Ma un ruolo importantissimo lo giocheranno la predisposizione a fidarsi, una propensione alla precisione e un’inclinazione alla puntualità. Dettagli non superflui. Gli autori lo sanno, e non lasciano loro un’importanza apparente. Sanno benissimo che nella puntualità è nascosto un tratto culturale legato proprio allo sviluppo economico. Noti economisti, infatti, hanno riscontrato che un contesto socio-culturale i cui membri non si preoccupano di presentarsi a un appuntamento nell’ora e nel luogo stabiliti, raramente riesce a sollevarsi da una condizione di povertà estrema.  

Nei numerosi piccoli episodi inanellati da Witt e Richards, tra le pagine che D’Ettoris Editori ha rilegato per l’edizione italiana, ci sono tutti gli indizi capaci di enfatizzare quanto Tolkien avesse a cuore la società libera. Il genere fantasy mostra come con un ideale microscopio tutte le differenze tra una società appunto libera, e il suo contrario.

 Il lettore finisce col saltare da un luogo all’altro, cogliendone profumi e fetori. Allora diventa quasi ovvia la puntualizzazione che ci viene offerta nel definire il cosiddetto stato-balia. Quello stato che, pretendendo di prevenire tutti i rischi, ha come effetto collaterale «di inibire lo sviluppo delle libertà per eccellenza; per esempio quando protegge le banche dal fallimento. Se tali istituti fossero tenuti ad accollarsi tutti i costi inerenti alle proprie scelte, e non solo a godere dei benefici, i loro amministratori svilupperebbero la virtù della gestione prudente. A livello individuale, uno stato sociale troppo intrusivo che scoraggi iniziative personali, offusca pure il valore pedagogico dell’esperienza».

Ma soprattutto, lungo le strade tracciate da Tolkien, mentre Witt e Richards ci accompagnano, emerge vivo persino «l’abisso ideologico che separa lo scrittore britannico dall’ecologismo umanofobo dei nostri giorni. Non vedeva in ogni essere umano l’ennesimo fardello a carico del pianeta». È l’idea di uomo in sé ad assumere quelle sfumature capaci di renderlo uomo e basta.

Il mondo fantastico che la penna di Tolkien tratteggiò, non ha mai voluto essere un modo per scappare dalla realtà. Gli autori ci invitano a questo ‘Party’, in cui si finisce a discutere dei limiti dei poteri dello Stato, di proprietà privata, di libero arbitrio, d’ecologia, d’amore e di morte. C’invitano a farci piccoli come un Hobbit, per meglio godere delle attrattive di questo mondo, e guardarle da un’altra prospettiva. Per ricordare la visione della libertà che l’Occidente si è imposto di dimenticare. 

Vale la pena sentirsi tra gl’invitati a questo ‘Party’, foss’anche solo per sentirsi meno rassegnati alle regole minuziose, uniformi e complicate della nostra epoca.

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