Operazione Achei
Incastrati i predatori dei patrimoni storici e culturali della Calabria. I reperti archeologici erano destinati al mercato del nord Europa e sono stati arrestati oggi, nell’ambito dell’inchiesta “Achei” della procura di Crotone e dei carabinieri del Comando di Cosenza per la tutela del patrimonio culturale
il parco archeologico cosentino, per via della sua bellezza ed importanza storica, è da sempre preda di ricerche clandestine di reperti archeologici del suo sottosuolo. Il Nucleo Carabinieri TPC di Cosenza, dalla sua istituzione, ha ricevuto costanti e frequenti segnalazioni degli scavi abusivi. L’ultima segnalazione risale al 22.01.2018 con la quale la Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio per le Province di Catanzaro, Cosenza e Crotone comunicava la presenze di “alcune buche rinvenute in prossimità dei resti archeologici, probabile testimonianza dell’intrusione di scavatori clandestini”.
Cosi nella mattinata odierna, i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale (TPC) hanno eseguito un’ordinanza di applicazione di misure cautelari, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Crotone, su richiesta della locale Procura della Repubblica che ha coordinato le indagini, nei confronti di 23 persone (2 in carcere e 21 agli arresti domiciliari), ritenute responsabili, a vario titolo, di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, ricettazione ed esportazione illecita. Contestualmente sono stati eseguiti ulteriori 80 decreti di perquisizione nei confronti di altrettanti soggetti, indagati in stato di libertà.
Sono tutti accusati di danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, ricettazione ed esportazione illecita. Ottanta le persone iscritte nel registro degli indagati.
In territorio italiano, l’operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi Provinciali Carabinieri di Crotone, Bari, Benevento, Bolzano, Caserta, Catania, Catanzaro, Cosenza, Ferrara, Frosinone, Latina, Matera, Milano, Perugia, Potenza, Ravenna, Reggio Calabria, Roma, Siena, Terni, Viterbo ed il supporto dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia, dello Squadrone Eliportato “Cacciatori di Calabria” e del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia. Contemporaneamente, in ambito europeo, grazie al coordinamento di EUROPOL ed EUROJUST, sono state eseguite, in esecuzione di Ordine Europeo di Indagine, attività di perquisizione presso i luoghi di dimora di 4 indagati, domiciliati in Gran Bretagna, Francia, Germania e Serbia.
Oltre 350 i carabinieri impiegati, che hanno operato in territorio italiano ed estero, congiuntamente agli investigatori della Metropolitan Police di Londra, della Polizia Criminale del Baden-Württemberg, dell’Ufficio Centrale di Polizia Francese per la lotta al Traffico Internazionale di Beni Culturali e del Servizio Serbo per la Lotta alla Criminalità Organizzata.
La misura cautelare è stata emessa a conclusione dell’attività investigativa denominata “Achei”, sviluppata dai Carabinieri del Nucleo TPC di Cosenza, avviata nel maggio 2017 e conclusa nel luglio 2018, che ha preso il via da una serie di accertamenti di iniziativa susseguenti ad alcune acquisizioni info-investigative da parte dei militari dello speciale reparto dell’Arma a seguito delle quali veniva riscontrata la presenza di numerosi scavi clandestini condotti all’interno di vari siti archeologici. Le successive investigazioni hanno consentito di accertare, inequivocabilmente, l'esistenza di un vasto traffico, su scala nazionale ed internazionale, di reperti archeologici provenienti, tra gli altri, sia da scavi clandestini operati nei siti archeologici di: “APOLLO ALEO” a Cirò Marina, “CASTIGLIONE DI PALUDI” a Paludi (CS) e nell’area di “CERASELLO” (che, seppur non soggetta a vincolo, riveste un indiscutibile interesse archeologico), sia da tante altre aree private nelle province di Crotone e Cosenza. Nel corso dell’attività sono stati identificati i componenti di un ramificato e strutturato sodalizio criminoso in grado di gestire tutte le fasi del traffico illecito di reperti archeologici.
Il monitoraggio delle predette aree, condotto nel corso delle investigazioni, ha consentito di fare emergere un sistema di saccheggi posti in essere, da anni, in quei luoghi, da un gruppo di tombaroli che, agendo nell'ambito di una organizzazione criminale con specifica ripartizione di compiti e di ruoli, e servendosi di tale struttura, è riuscito ad approvvigionarsi di materiale archeologico destinato al mercato clandestino, per la loro successiva commercializzazione sia in territorio italiano sia in quello all'estero, assicurata da una fitta e complessa rete di ricettatori. In tal modo, è stata delineata un’articolata organizzazione costituita da c.d. tombaroli, intermediari e ricettatori che, per qualità e quantità di illeciti commessi, nonché per caratteristiche strutturali ed organizzative, rappresenta un vero e proprio fenomeno criminale che, secondo la definizione del GIP, costituisce la "Criminalità Archeologica Crotonese", radicata nella provincia di Crotone e capace di alimentare il reddito di interi gruppi familiari.
Le fasi del traffico illecito sono state acclarate e documentate dettagliatamente attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, riprese video, pedinamenti, sequestri, fino ad arrivare alla vendita a collezionisti finali.
Significative sono le immagini realizzate, mediante l’utilizzo di un drone, che testimoniano la violenza con cui, in un’area di interesse archeologico, il gruppo criminale ha operato degli scavi clandestini, con impietosa violenza, scagliando colpi al suolo attraverso l’utilizzo di un escavatore, nell’ingordo intento di sottrarre quanto di più prezioso il sottosuolo ancora custodiva. In quella circostanza, il loro disegno criminoso non è stato portato a compimento solo grazie all’intervento immediato dei Carabinieri che bloccarono, in flagranza di reato, alcuni degli odierni arrestati. Dalle stesse riprese vengono ritratti anche altri soggetti che, seppur non impegnati direttamente nell’attività di scavo clandestino, erano intenti ad “esaminare” il terreno mediante l’impiego di sofisticati metal detector.
L'agire del gruppo criminale è apparso organizzato secondo vere e proprie modalità imprenditoriali tipiche delle associazioni ben strutturate.
I vertici dell'organizzazione hanno diretto e controllato l’attività dei sodali, pianificato le singole spedizioni ed individuato i luoghi di interesse, grazie alle specifiche competenze in materia. Inoltre, sono state predisposte modalità operative tali da scongiurare, o quanto meno contenere, il rischio di controlli da parte delle forze dell'ordine, anche attraverso l’utilizzo di canali di comunicazione di difficile intercettazione.
I sodali, dal canto loro, si sono mostrati tutti astuti e prudenti, consapevoli di dover "parlare poco" e di utilizzare un linguaggio criptico per riferirsi al materiale archeologico (es. "appartamenti", "asparagi" o "motosega", termine con il quale veniva abitualmente indicato il dispositivo “cerca metalli”).
Al vertice del gruppo criminale si collocano, senza ombra di dubbio, nella veste di promotori, due soggetti entrambi residenti in provincia di Crotone, cultori di archeologia e conoscitori dei luoghi in cui reperire materiale archeologico da introdurre illecitamente sul mercato. Costoro sono stati costantemente impegnati nell'attività di ricerca clandestina di reperti e, stabilmente tra loro, collegati nel circuito di commercializzazione degli stessi. Nello specifico, hanno organizzato e diretto il gruppo criminale, programmando la realizzazione dei singoli delitti e contribuendo materialmente alla loro realizzazione.
Le acquisizioni investigative hanno altresì certificato collegamenti con alcuni soggetti esteri legati al traffico di reperti archeologici. Le attività di indagine nei vari Paesi coinvolti (Francia, Germania, Inghilterra e Serbia), sono state condotte in sinergia con le Forze di Polizia estere e coordinate dal servizio EUROPOL, che ha organizzato uno specifico meeting operativo, ed EUROJUST.
Del pari, si è dimostrata molto valida la collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, che ha fornito, in ogni fase, un fattivo contributo nelle specifiche competenze.
I 2 soggetti destinatari di custodia cautelare in carcere, considerati al vertice dell’organizzazione, risiedono a Scandale (KR) e Cirò Marina (KR).
Le misure degli arresti domiciliari sono state eseguite nelle province di Crotone (13), Milano (2), Perugia (2), Catanzaro (1), Benevento (1); Matera (1), Fermo (1).
Nel corso dell’attività investigativa sono stati recuperati diversi reperti archeologici risalenti al IV e al III secolo a.C. rinvenuti nella disponibilità di uno dei capi dell’organizzazione, quali: 5 vasi e lucerne in terracotta, piatti con scene di animali, fibule e monili vari, nonché sono stati sequestrati i mezzi meccanici e le attrezzature tecniche utilizzati rispettivamente per l’escavazione del terreno e per le ricerche archeologiche clandestine. Durante le perquisizioni odierne sono stati rinvenuti e sequestrati in diverse abitazioni in altre regioni italiane ulteriori reperti provenienti verosimilmente dal territorio crotonese per un valore di svariati milioni di euro.
L’operazione portata a termine costituisce un importante segnale di risposta dello Stato al radicato fenomeno criminale del traffico illecito di reperti archeologici, che vede nei Paesi del Nord Europa, e non solo, i principali destinatari di beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale. La Calabria, particolarmente ricca di vestigia del passato, è oggetto di un incessante ed intenso fenomeno di razzia di reperti che alimentano il mercato clandestino dei beni d’arte. Fondamentale, in tal senso, è stata l’attività di cooperazione internazionale giudiziaria e di polizia che ha permesso di ricostruire l’intera filiera criminale del traffico anche oltre i confini nazionali.