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Malacoda, la vita di un altro davanti alla propria

Caro Malacoda,

sono di ritorno da una disastrosa cena con la mia paziente preferita. La perfettina femminista, l'ottusa, per intenderci. Ma la musica sembra essere cambiata.

Si mangiava quel che, come sempre, le aveva preparato il compagno (parecchio sensibile ai suoi diritti di donna) e c'era un silenzio di una noia paradisiaca e asfissiante. Poi, la donna ha iniziato a parlare come una che non ne può più.

«Sai, a volte penso che sei disposto a farti umiliare, ma mi dimentico le ragioni.»

Lui, sottomesso, rimane al suo posto senza fiatare.

Ammetto che questa provocazione era stata un mio suggerimento. Un attimo dopo, però, la cosa mi è sfuggita completamente di mano.

«Il tuo primo pensiero è cucinare per me come ti ho chiesto, ma non pensi mai al fatto che sia il caso si avere dei bambini?».

«Bambini?» reagisce lui esterrefatto,«Ma non hai sempre detto di non volerne perché sarebbero d’intralcio alla tua libertà?».

«Tu non credi che sia così?».

«Certo».

«E non credi che qualcuno dovrà pur badare a noi il giorno che saremo vecchi?».

«Mille volte mi hai ripetuto che, essendo tu figlia unica, non avresti augurato a nessuno quel che è toccato a te con i tuoi...».

«Il che vuol dire che dovremmo farne più di uno!».

«Più di uno?!».

Ora, Malacoda, ascolta bene la fine della discussione. Le nostre argomentazioni sono diventate ridicole persino alle orecchie delle femministe.

«Il barbaro che viene al mondo, se non viene educato, resta selvaggio».

«Anche questo lo ripeti sempre».

«Per questo avremo bisogno di autorità per i nostri figli».

«Autorità? Ma non era una cosa “fascista”?»

«Io e tu non siamo cresciuti nella libertà, ma nell'anarchia. Ci ripetevano che eravamo liberi di fare tutto, ma, a ben guardare, eravamo solo liberi da tutto.  Non c'è mai stato nessuno a cui dover dar conto per dire grazie o scusa. L'anarchia ci ha lasciati schiavi delle nostre convinzioni. Nessuno che rispondesse alle nostre domande: “Da adulto, sarai tu a decidere quello che è giusto o sbagliato”. Ognuno fa quel che gli pare e piace, e poi?»

«Ma dove le hai lette queste cose?».

«Le ho sempre sapute!».

«E perché le dici ora?».

«Perché forse è venuto il momento di dare un senso alle cose, alla vita».

«Posso darlo anch'io? Dannazione! Sapevo che ci saremmo arrivati, prima o poi! Bene! Per prima cosa, per dare autorità bisogna essere autorevoli, e dare risposte vere. Non mi accontenterò più nemmeno dei“valori”».

«E perché?».

«Perché i valori mi suonano come qualcosa “che vale per me, ma non per te”. Bisogna dare significati!».

«E saresti tu quello che ha i “significati”?»

«No. Si trovano semplicemente nel contrario di quello che hai predicato per tutta la vita, mia cara».

Capito, Malacoda? Si sono messi in testa che non c'è nulla di più moderno, in controtendenza, anticonformista, che sposarsi, fare dei figli, e farne tanti; che non c'è nulla di più saggio e bello che mettere la vita – quella di un altro! – davanti alla propria.

Stiamo sbagliando tutto, nipote mio. Abbiamo sbagliato le parole, abbiamo sbagliato le tattiche.

Solo le più ottuse, ora, continuano a opporsi (a nient'altro che a se stesse). Le altre hanno scoperto che “l’emancipazione” che avrebbe dovuto assicurare la loro personalissima "normalità", non era altro che non avere niente da fare.

 

Il tuo sempre più amareggiato zio

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