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Cipro, Nave Eni, il ricatto di Erdogan costa mezzo milione al giorno

Sale la tensione nel mar Egeo tra Grecia e Turchia. Le autorità di Atene hanno denunciato che la scorsa notte una pattuglia della guardia costiera di Ankara ha speronato un mezzo dei suoi guardacoste nei pressi di alcuni isolotti rocciosi contesi tra i due Paesi. Nello scontro, secondo la denuncia greca, non risultano feriti, ma danni alla nave greca, colpita a poppa dalla prua di quella turca. La collisione, riferisce Atene, è avvenuta al largo degli isolotti disabitati di Imia (Kardak in turco), sotto il controllo della Grecia ma rivendicati dalla Turchia e su cui nel 1996 si sfiorò un conflitto tra i due Paesi. Da allora, le tensioni nella zona si riaccendono periodicamente.

Una Turchia che minaccia d' anni e non rispettando i trattati internazionali mentre dal 1974 tiene con occupazione militare il 38% della isola di Cipro, creando uno stato mai riconosciuto dalla comunita internazionale dal Onu dal UE, da nessuno, ma solo dalla Turchia, cosi minaccia la Grecia pur avendo torto  : "Abbiamo espresso chiaramente" che l'Egeo dovrebbe essere un mare di "amicizia" e che "evitare le tensioni sarebbe meglio per le relazioni bilaterali" ha detto stamani il premier turco Binali Yildirim, riferendo la sua telefonata di ieri con l'omologo greco Alexis Tsipras, dopo la collisione tra le rispettive motovedette nell'Egeo meridionale.

"Ultimamente, ci sono state alcune violazioni, iniziate con gli isolotti di Kardak, a cui abbiamo risposto", ha spiegato Yildirim, assicurando di aver concordato con Tsipras di mantenere comunque aperti i canali di dialogo politico e diplomatico per ridurre la tensione. A maggio, ha poi annunciato Yildirim, i rispettivi capi di Stato maggiore degli eserciti si incontreranno "per discutere le misure necessarie a evitare ulteriori escalation".

La marina militare turca ha fermato il viaggio della Saipem 12000, la piattaforma dell'Eni, che si stava dirigendo verso Cipro per iniziare operazioni di trivellazione su licenza del governo di Nicosia. Una mossa a sorpresa, annunciata dal ministro degli esteri cipriota e confermata dal gruppo petrolifero italiano, che arriva dopo le parole del presidente turco Recyp Erdogan che, all'indomani della sua visita in Italia, si era detto contrario alle operazioni del gruppo "nel Mediterraneo orientale". "I lavori (di esplorazione) del gas naturale in quella regione rappresentano una minaccia per Cipro nord e per noi", aveva sottolineato lo stesso sultano spiegando di aver espresso, nella sua missione a Roma la scorsa settimana, le "preoccupazioni turche" al presidente Sergio Mattarella ed al premier Paolo Gentiloni.

La nave Saipem 12000, capace di perforare fondali marini da 4mila metri con scarti di soli 25 centimetri, è un gioiellino invidiatoci da tutte le grandi compagnie petrolifere. Ma i gioiellini costano. E questo spiegano all'Eni divora dai 500mila ai 600mila dollari al giorno. Così lo scherzetto del presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sabato ha mandato una fregata a bloccare la nave da ricerca al largo di Cipro, è già costato all'Eni oltre due milioni di euro. E altri ne andranno in fumo visto che le diplomazie non sembrano esattamente in frenetica attività.

L'Unione Europea, in attesa del risveglio di una Federica Mogherini in altre faccende affaccendata fa parlare i suoi portavoce. «È necessario che la Turchia mantenga relazioni di buon vicinato ed eviti qualsiasi genere di azione, frizione, minaccia o azioni dirette contro uno stato membro», faceva sapere lunedì la Commissione Europea. Parole a cui un Erdogan, abituato a ben altro, ha subito risposto con nuove minacce a Nicosia e - indirettamente - all'Eni e all'Italia: «Gli opportunistici tentativi riguardo alle esplorazioni di gas al largo di Cipro - sbraita - non ci sfuggono. Chi fa male i propri calcoli e si spinge al di là del consentito è avvisato». Per il Sultano la questione è semplice. 

A sentir lui gli eventuali giacimenti di gas scoperti nella cosiddetta «Zona Economica Esclusiva» concordata da Nicosia con Onu e Ue vanno divisi con il governo fantoccio mantenuto in piedi da Ankara nel nord dell'isola. In verità quel gas servirebbe a Erdogan per soddisfare le esigenze energetiche di una Turchia costretta, vista la dipendenza dal gas russo, a subire i diktat di Vladimir Putin. E così in questo gioco di rappresaglie incrociate Italia, Eni ed Europa si ritrovano a sottostare ai ricatti del Sultano. 

Ricatti particolarmente oltraggiosi per un'Italia che solo dieci giorni fa lo ha accolto con tutti gli onori. Onori non certo ricambiati, visto che il presidente turco non ha atteso neppure il rientro ad Ankara per rivelare come il solo e unico obbiettivo del viaggio fosse quello d'intimidire il nostro governo per convincerlo a bloccare le prospezioni dell'Eni. Operazione evidentemente riuscita visto il tono - sommesso e sottomesso - mantenuto dal nostro governo anche dopo l'arrembaggio della marina di Ankara. L'auspicio di una «soluzione condivisa» è stato il massimo dell'autorevolezza espressa ieri dal ministro degli esteri Angelino Alfano nel corso di un incontro in Kuwait con il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu.

A compensare la titubante afasia dell'esecutivo Gentiloni contribuisce in parte il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che oltre a esprimere pieno sostegno al presidente cipriota Nicos Anastasiades chiede alla Turchia di «rispettare la legge internazionale e astenersi dal coinvolgimento in pericolose provocazioni nelle acque territoriali di Cipro». E alla voce di Tajani s'unisce quella del presidente del Partito popolare Europeo Joseph Daul, concorde nel definire inaccettabili «le provocazioni e le minacce della Turchia verso Cipro o qualsiasi altro Stato». Ma parole e dichiarazioni sono poca cosa rispetto all'«asso di migranti» nascosto nella manica di Erdogan. 

Grazie a quell'asso il presidente turco tiene sospesa sulla testa dell'Europa una spada di Damocle da tre milioni e mezzo di profughi. Una spada in grado di creare devastazioni politiche, sociali ed economiche che neppure il giacimento di gas più ricco del Mediterraneo potrebbe ripagare. Quindi non illudiamoci. Alla fine da Bruxelles a Roma nessuno muoverà un dito. E assieme ai milioni dell'Eni andranno in fumo, una volta di più, la nostra credibilità e i nostri interessi nazionali.

Cosi continua il blocco della marina militare turca nel Mediterraneo orientale nei confronti della piattaforma dell'Eni Saipem 12000, diretta a un'area di trivellazione su licenza di Cipro. L'unità, ha detto il portavoce del governo di Nicosia, resta bloccata a circa 50 km dal luogo previsto per le esplorazioni di idrocarburi, a sud-est dell'isola. Ankara si oppone alle attività di trivellazione definendole "unilaterali". Il governo di Cipro e l'Eni, assicura ancora Nicosia, sono impegnati ad assicurare lo svolgimento delle attività esplorative. 

L'Italia si aspetta una "soluzione condivisa nel rispetto del diritto internazionale e nell'interesse sia dell'Eni, sia dei Paesi della regione, sia delle due comunita' cipriote". Lo ha detto il ministro degli Esteri Angelino Alfano al collega turco Mevlut Cavusoglu, incontrato oggi in Kuwait a margine della ministeriale anti-Isis. I due - riferisce la Farnesina - hanno concordato sulla necessità di tenere conto dei rispettivi interessi nazionali e delle preoccupazioni dei rispettivi governi. Anche allo scopo di preservare il necessario clima di fiducia per possibili ulteriori progetti in campo energetico, oltre a
quelli in essere.

"Raccomandiamo alle compagnie straniere che operano al largo di Cipro di non fidarsi della parte greca e di non essere strumenti di iniziative che superano le loro forze". Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, parlando ad Ankara al gruppo parlamentare del suo Akp.

"Non ci aspettavamo che accadesse perchè siamo assolutamente molto dentro l'Economic zone di Cipro" dove l'Eni ha già scavato due pozzi senza alcun problema: lo ha detto l'amministratore delegato del gruppo energetico, Claudio Descalzi, parlando a giornalisti al Cairo e rispondendo a domande sulla piattaforma Saipem bloccata dalla Turchia.

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