Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *
Captcha *
Reload Captcha
Venerdì, 14 Giugno 2024

San Giuda Taddeo presenta…

Mag 27, 2024 Hits:414 Crotone

Al Salone del libro Loren…

Mag 15, 2024 Hits:1162 Crotone

L'Istituto Ciliberto-Luci…

Mag 14, 2024 Hits:511 Crotone

Le opere di Bach: gli eff…

Mag 02, 2024 Hits:788 Crotone

In città l'ultima tappa d…

Apr 30, 2024 Hits:842 Crotone

Convegno Nazionale per la…

Apr 23, 2024 Hits:1040 Crotone

L'Associazione "Pass…

Apr 05, 2024 Hits:1382 Crotone

Ritorna Calabria Movie Fi…

Apr 03, 2024 Hits:1374 Crotone

IMMAGINE ENZO ED UGO GREGORETTI

Sabato 20 giugno presso il teatro Palladium di Roma si svolgerà la serata di premiazione de “La Pellicola d’Oro”, alla quale parteciperanno ospiti d’eccezione, come Ugo Gregoretti, Claudio Mancini, Giuliano Montaldo, Laura Delli Colli, Carlo Degli Esposti, Beppe Giulietti, Massimo Spano e Silvia Scola.

Questo premio, promosso ed organizzato dal 2011 dall’Associazione Culturale “ARTICOLO 9 Cultura & Spettacolo” e dalla SAS Cinema, ogni anno è indirizzato ad artigiani, tecnici e professionisti italiani attivi nell’ambito cinematografico, ai quali vengono riconosciuti particolari meriti legati all’esercizio della loro professione. Quindi, un giusto riconoscimento rivolto alle varie figure professionali che, con il loro contributo artistico, creativo o artigianale, caratterizzano ogni produzione cinematografica, anche se talvolta i loro ruoli sono meno visibili, rispetto alle figure che ricoprono ruoli apicali, quali il regista oppure il direttore della fotografia.

Ma la realizzazione di un film è un lavoro di squadra, all’interno della quale ogni persona presente sul set conferisce il proprio contributo, per conseguire un comune obiettivo. Quindi, è lodevole l’idea di portare alla ribalta e finalmente premiare: direttore di produzione, operatore di macchina, effetti speciali, costruttori di scena, sarte, sartorie cineteatrali, capi macchinisti e capi elettricisti. Essi, con la loro indispensabile presenza, contribuiscono a dar vita al Cinema, “la fabbrica dei sogni”. Inoltre, vengono assegnati alcuni premi speciali a personalità o aziende che si sono distinte nell’ambito della promozione del Cinema o per la loro carriera.

La giuria, costituita di addetti ai lavori, nel corso delle votazioni, esprime un voto via mail, per selezionare quarantacinque finalisti, (cinque per ogni categoria). Seguirà una seconda votazione, nel corso della quale verranno decretati i vincitori.

Negli anni precedenti sono stati destinatari di premi speciali figure illustri e famosissime come: Giancarlo Giannini, Ugo Gregoretti, Ettore Scola, Manolo Bolognini, Roberto Perpignani, Giulio Base, Kaspar Capparoni, la RAI, il Centro sperimentale di cinematografia, l’ANAC. Questo uno dei motivi principali per cui “La Pellicola d’Oro” annovera significativi patrocini istituzionali di associazioni di rappresentanza, che operano nel campo dello spettacolo.

Ho incontrato Enzo De Camillis, scenografo, regista e presidente della SAS Cinema.

Sei entrato tanti anni fa nel mondo del Cinema come scenografo. Vorresti raccontarmi i tuoi inizi e i ricordi salienti di questa tua lunga esperienza?

Il mio debutto risale al 1977, come assistente del Premio Oscar per la scenografia Dante Ferretti in un film di Luigi Zampa. Fino al 1983, per otto anni sono stato arredatore ed assistente, poi casualmente firmai un lavoro come scenografo in un programma di Italia 1 “Drive in”, mentre il mio esordio da scenografo nel cinema fu con il film “Terno secco”, opera prima come regia per Giancarlo Giannini. Ho avuto l’onore di lavorare in quattro film con Steno, una serie televisiva con Bud Spencer, poi con Pasquale Squitieri ne “Il pentito”, la storia di Tommaso Buscetta, con Max Von Sidon e Tony Musante. Interessanti le esperienze in film di caratura internazionale, come “Dimenticare Palermo” di Francesco Rosi, con James Belushi e Mimi Rogers.

Il grande Regista Francesco Rosi è stata una figura significativa nell’ambito cinematografico e la sua scomparsa ha lasciato un gran vuoto. Mi parli della tua esperienza?

Francesco Rosi era una persona molto esigente e molto gentile; assolutamente serio nel modo di porsi e professionalmente perfetto. A volte chiedeva cose difficili, ai limite dell’impossibile, avendo però sempre cura di mettere a disposizione tutto ciò che necessita per realizzarlo, sia in termini economici, che pratici. Inoltre, chiedeva quanto tempo avrei impiegato, senza porre limiti, ma poi le scadenze andavano rispettate.

Ricordo un aneddoto: stavamo girando un film a Palermo; nel mese di maggio dovemmo ricostruire l’ambientazione del Festino di Santa Rosalia, che si celebra in luglio. Ricordo che in una scena da girare a Mondello, sul litorale palermitano, lui cambiò il campo invertendolo e la scena fu ribaltata completamente. Mi chiese di trovare la soluzione. Così, dalla sera alla mattina riuscii a compiere un mezzo miracolo, ma lui contribuì, mettendo a mia disposizione tutto quanto potesse consentirmi di realizzare il repentino cambiamento.

Questo significava fare lo scenografo in cinema, dove il lavoro da svolgere era una continua ricerca ed implicava una certa progettazione “architettonica”. Oggi questo lavoro non esiste, anche grazie alla televisione, che spesso ti impone dei tempi troppo stretti per realizzare al meglio e quindi con qualità il prodotto.

Il lavoro dello scenografo è stato in qualche modo penalizzato dall’alta tecnologia, che permette accorgimenti virtuali?

Le scenografie virtuali sono ancora decisamente brutte e molto onerose, infatti quelle di grosso effetto sono di produzione americana, oltre ad essere assolutamente riconoscibili. Quindi, la soluzione virtuale la scarterei a priori, poiché non risolve; ha acquisito la post produzione con il montaggio, passando dalla moviola al AVID. E’ cambiato il supporto che contiene l’immagine. Negli anni si è proprio ridimensionato il modo di lavorare, non ci sono più risorse e il passaggio da cinema a fiction è stato devastante, in particolar modo per i mestieri e l’artigianato. Fino al 1993 in cinema si lavorava perché era salvaguardato e difeso da Vittorio Cecchi Gori, che produceva film, si coordinava con la distribuzione nelle sale cinematografiche e dopo un anno i film passavano alla messa in onda televisiva, secondo accordi fra le parti. Dopo la sua scomparsa le condizioni di difesa del cinema sono scomparse e la qualità è scesa drasticamente.

Una curiosità: cosa ha determinato il tuo passaggio alla regia?

Ero stanco di fare lo scenografo, non era più un lavoro di ricerca per personalizzare un ambiente o un personaggio. Il vissuto il Cinema di una volta fino alla fine; il cambiamento è stato dettato dalla fiction, che si basa su una costruzione scenografica che a volte mi metteva in forte imbarazzo. Lo scenografo deve costruire, scegliere location e collaborare con il regista ma, contrariamente a quanto accade oggi, dove le nuove generazioni ambiscono a questa professione senza saper progettare e come dicevo prima, la Tv ha dato un decisivo contributo alla caduta della professionalità e della qualità. Insomma, non sono riuscito ad adattarmi a questo cambiamento, optando per la regia. L’idea di realizzare docufilm parte dall’osservazione che il cinema è concepito anche per raccontare fatti o storie di rilevanza sociale. Il caso ha voluto che una vicenda personale mi ha avvicinato alla regia di docufilm di impegno civile.

Quindi, nel 2010 la mia opera prima da regista con “Diciannove giorni di massima sicurezza”, un corto interpretato da Luisa Ranieri, dove racconto la storia di una donna che ha ingiustamente subito l’art.41 Bis del cpp, riservato ai mafiosi, senza aver commesso alcun reato. Una verità processuale costruita da un Gip arrogante, convinto della colpevolezza di questa donna, anche di fronte a prove insuperabili, un’indagine condotta in modo superficiale ed un processo doloroso, durato quattro lunghi anni; un clamoroso caso di ingiustizia che andava assolutamente denunciato.

Il tuo più recente docufilm “Un intellettuale in borgata” uscito circa un anno fa, sta riscuotendo un notevole successo di pubblico e critica. Vorresti parlarmene?

Questo documentario è un grido d’aiuto rispetto a una politica che si disinteressa totalmente della cultura. Uno Stato senza cultura non avrà più memoria storica. L’attore Leo Gullotta interpreta la lettera “Io so ma non ho le prove” di Pier Paolo Pasolini, pubblicata nel 1974 sul Corriere della Sera. E’ un attacco allo Stato di quel momento storico, che è identico al panorama socio-politico attuale. In altre parole, Pasolini ha anticipato di quarant’anni una situazione che poi si è avverata, anche a causa di scelte politiche che, con grande lungimiranza, aveva previsto. Egli già nel 1971, durante un’intervista Rai di Enzo Biagi, sosteneva che la Tv non è una strumento democratico, poiché distorceva la realtà. “Un intellettuale in borgata” è un documento storico, nel quale vengono trasmesse tredici interviste, rilasciate da personaggi noti, fra i quali Stefano Rodotà, Ugo Gregoretti, Gianni Borgna, Pupi Avati ed altri. Per arrivare alla poesia dal titolo “Alì dagli occhi azzurri” che anticipa lo sbarco degli africani in Italia. Dalle interviste emerge in modo significativo l’impegno intellettuale di Pasolini nella poesia e come cineasta, nella sua continua ricerca della verità.

Fra pochi giorni si svolgerà la serata di premiazione de “La pellicola d’Oro”. Cosa vorresti aggiungere, rispetto a quanto ho premesso?

Questo premio è stato pensato e studiato per gratificare le maestranze e l’artigianato del cinema, come hai correttamente anticipato. Le nuove generazioni, sempre grazie alla Tv, conoscono solo il regista e l’attore, ignorando che esistono altre tredici figure professionali che compongono il set. Quindi, sotto il patrocinio del David di Donatello, del Mibec, Comune di Roma e Regione Lazio è nato questo evento, visto che il Italia nessuno si ricorda degli artisti e dei tecnici della vecchia generazione. Quest’anno premieremo persone che hanno dato un grande contributo al cinema, come Ugo Gregoretti, che ha iniziato da giornalista e regista televisivo nel 1954, venendo assunto in Rai e poi in qualità di autore e regista ha profuso molte energie a favore della cultura italiana. Inoltre, è stato per diversi anni presidente dell’ANAC (Associazione autori cinematografici). Un doveroso riconoscimento alla sua lunga e prestigiosa carriera e per i contributi dati all’ANAC.

Sarà premiato anche Claudio Mancini, per la sua poliedrica attività di cineasta, iniziata nel 1948 come elettricista. Precedentemente, a vent’anni era stato manutentore di un deposito di lampade per il cinema. Nel 1961 il grande salto nella produzione cinematografica, con film entrati nella storia, come “La grande guerra”, “I magnifici sette”, tutti i film western all’italiana di Sergio Leone, per arrivare al magnifico film “C’era una volta in America”. Ha lavorato fino agli inizi del 2000 nella serie di Montalbano. Pertanto, un premio per il suo impegno nel cinema come produttore esecutivo ed organizzatore generale.

Anche Francesco Brescini, capo elettricista da una vita, ad ottansei anni riceverà il premio speciale per ringraziarlo di aver contribuito a dare lustro al cinema italiano, grazie alla partecipazione a film di spessore internazionale, come “Il Padrino II” di F. Coppola. Una vera tradizione nella famiglia Brescini, che va avanti dal 1924, quando suo padre lavorava nel cinema muto ed ora portata avanti dai nipoti, con ruoli e mestieri diversi, ma sempre nell’ambito cinematografico, come Giovanni Brescini direttore della fotografia.

Quali sono i tuoi programmi a breve termine?

Sto lavorando su un altro docufilm, grazie all’amico produttore Massimo Spano e l’idea è quella di sottolineare l’attuale difficile situazione sociale. Il problema più grande è quello costituito dal “Sistema Italia”, all’interno del quale si è innescato da qualche anno un meccanismo perverso, che ha indotto al suicidio molti imprenditori del nord Italia e tante persone rimaste dovunque senza un posto di lavoro. Le istituzioni danno appalti di lavori che poi pagano in forte ritardo. Ma chi svolge attività private a favore dello Stato deve, comunque, onorare i suoi impegni con le banche, che a fronte di un appalto chiedono fidejussioni, poi con il fisco ed il complicatissimo sistema tributario ed infine, ultimo anello della catena, Equitalia, che ti chiede di pagare con sanzioni eccessive anche se non hai riscosso. Tutto questo è paradossale e ritengo doveroso raccontarlo attraverso immagini, documenti, interviste. Dietro abbiamo numerose associazioni che ci sostengono, fra esse l’Associazione dei consumatori e l’Associazione dei familiari delle vittime. Credo che la maniera migliore per fronteggiare gli ostacoli e le difficoltà sia quella di renderli visibili, alla portata di tutti, sollecitando lo Stato a rivedere il sistema, nell’intima speranza che questo possa accadere presto.

Teatro

Fra pochi giorni scadrà il bando indetto dal Teatro Agorà di Roma, in collaborazione artistica con l’Associazione culturale “Enter” per il Teatro storico italiano: “1946-2016, nel 70° Anniversario della Repubblica. Cronache. Storie e fatti della scena italiana”. Le compagnie teatrali interessate dovranno inviare la loro domanda di partecipazione entro il prossimo 15 giugno 2015.

Questo progetto è nato dall’esigenza di selezionare le migliori compagnie, caratterizzate da criteri di professionalità artistica e gestionale e gli spettacoli più interessanti riconducibili a tematiche storiche e storico-religiose. Quindi, attraverso questo bando sarà possibile portare sul palcoscenico del Teatro Agorà una serie di spettacoli accuratamente selezionati, che andranno in scena per una settimana teatrale tra novembre 2015 e marzo 2016.

Il principale obiettivo del bando è quello di promuovere il Teatro storico italiano, consentendo alle compagnie teatrali di rappresentare le loro opere in un teatro situato proprio nel cuore di Roma. Il risultato sarà quello di proporre al pubblico la conoscenza di nuovi testi teatrali.

Per l’occasione, l’attore e regista Luca Milesi, anche docente di lettura interpretativa e recitazione e co-fondatore e direttore artistico dell’Associazione culturale “Enter” di Roma, ha concesso un’interessante intervista, attraverso la quale emergono diversi spunti di riflessione nei confronti del teatro e della sua funzione socialmente rilevante.

Il Teatro Agorà, che sorge a Trastevere, nei pressi dell’Orto Botanico, con una capienza complessiva di centoquaranta posti, è gestito dall’omonima Associazione culturale. Con quanta forza la vera passione per il teatro vi ha spinti in questo progetto?

In qualche modo siamo legati al Teatro Agorà ’80 come dei nipoti alla casa del nonno: quelle sale ospitavano la scuola di teatro nella quale abbiamo compiuto i nostri primi studi, verso la fine degli anni ’90. Quasi un “debito” artistico se vogliamo. L’apertura verso le collaborazioni esterne dimostrata dalla direzione artistica dell’Agorà ’80 ha fatto il resto, determinando la nascita di un progetto che vuole scommettere sulle qualità artistiche e non solo; cerchiamo testi che sappiano inquadrare, con fedeltà storica e creatività del linguaggio, i momenti più cruciali della storia del nostro Paese dopo il 1945.

L’attività della Compagnia Agorà ’80 era inizialmente indirizzata al Teatro per Ragazzi, un genere teatrale ingiustamente considerato minore. Il vostro comune intento di risvegliare le coscienze degli adolescenti, generalmente dimenticati dalla letteratura, nel tempo, ha dato i risultati sperati?

I risultati arrivano gradualmente, in proporzione alla sistematicità ed alla continuità degli sforzi profusi. Le istituzioni non sempre possono aiutare. Sarebbe auspicabile ricevere più attenzioni dal corpo docente delle scuole. Molto spesso anche i professori inseguono il “grande nome”, così come gli sponsor e questo non fa il bene dei ragazzi, i principali destinatari e fruitori dei progetti.

La storica sede del Teatro Agorà di via della Penitenza, 33 riporta una targa dove si legge: “Libero Teatro da Sala”. Una frase dall’ efficace messaggio simbolico, che rimanda all’orientamento drammaturgico conferito allo spazio teatrale. Fra gli obiettivi, figurava anche quello di offrire al pubblico un prodotto alternativo a quello “commerciale”?

Ritengo che i fondatori dell’Agorà ’80 con quella targa volessero principalmente aprire le porte ad un teatro che non fosse solo “politico”. Ed avevano ragione, in quel caso. Ma è un discorso antico.

Molti attori di successo hanno mosso i primi passi all’interno della vostra compagnia. Quali di essi ricorda con maggior interesse?

Ho un bellissimo ricordo di Salvatore Lazzaro, attore formatosi in Sicilia, protagonista della nostra versione di Terapia di gruppo (di C. Durang) nel ruolo di “Bruce”, andato in scena nel 2011 al Teatro Trastevere. Ma Salvatore all’epoca era già famoso e calcava i palcoscenici da diversi anni: quando ci incontrammo, proveniva dalla bellissima esperienza del “Capo dei Capi”, nel ruolo di Bernardo Provenzano.

Lei è fondatore e direttore artistico dell’associazione “Enter”. Vorrebbe illustrarmela?

La “Enter” è nata per far conoscere al pubblico romano e soprattutto a quello dei più giovani le maggiori opere del teatro italiano e straniero poco “calcolate” dalle istituzioni teatrali del nostro paese. Prendiamo come esempio il caso di “El Triciclo”, opera grandiosa del genio di Fernando Arrabal, fondatore del Movimento del Teatro Panico negli anni ’50. Praticamente siamo stati i primi a rappresentarlo in Italia: con nostra sorpresa, nel 2004 scoprimmo che in Siae non disponevano di una traduzione. Un’ esperienza meravigliosa arrivata fino al teatro Flaiano. Poi vennero Don Chisciotte, (con il quale vincemmo il premio “Salvo Randone” a Calamonaci nel 2006), il testo Zona Protetta dello spagnolo Ernesto Caballero, (migliore regia al Festival di Moncalvo “Sipari di occasione” nel 2008), lo spettacolo sul Che nel 2012, “Tribù” di Duccio Camerini sul ‘900 italiano e la storia del brigante Ninco Nanco, nel 150° del suo assassinio. Nella “Enter” il seme del teatro contemporaneo viene impiantato su un humus che affonda profondamente le radici nella storia degli esseri umani veri, quelli “in carne ed ossa”.

In occasione del 70° Anniversario della Repubblica Italiana e dell’apertura del Giubileo, il teatro “Agorà”, in collaborazione artistica con l’associazione “Enter”, ha indetto il bando di concorso “Storie e fatti della scena italiana”, che scade il prossimo 15 giugno 2015 e persegue l’obiettivo di promuovere il teatro storico italiano, attraverso la rappresentazione di spettacoli selezionati afferenti alle tematiche storiche e storico-religiose. Vorrebbe parlarmi di questo interessante progetto?

Si parla tanto di quanto sia brutta questa Seconda, quasi Terza Repubblica nella quale stiamo vivendo. Ma forse i conti con la Prima non sono stati ancora saldati fino in fondo, soprattutto per quanto riguarda gli usi, i costumi e l’immaginario collettivo di una generazione, che si fece carico della pesante responsabilità di ricostruire da zero un Paese prostrato dal Fascismo e annientato dalla Guerra. La generazione successiva, quella del ’68, è stata celebrata maggiormente da tutti i media, in tutti i settori delle arti espressive. Personalmente, da qualche anno mi domando se il patrimonio culturale della generazione nata ad esempio nel 1925 fosse realmente tutto da rottamare. Non credo per questo di essere un reazionario. No? Dunque apriamo le porte del teatro ad una sorta di “Come erano”. “Come eravamo” non possiamo più dirlo, dal momento che noi non c’eravamo.

Nel suo bagaglio artistico noto che lei ha una certa esperienza come docente di lettura interpretativa e di recitazione, anche nell’ambito del laboratorio “Tangram”, diretto da Massimo Bonetti. Inoltre, ha curato l’allestimento di spettacoli presso la scuola di Massimiliano Milesi, dove ha insegnato per cinque anni. Questo denota la sua autentica passione per il teatro. Ha mai pensato al cinema?

Ci ho pensato tantissimo, ma quando le porte non si aprono bisogna farsene una ragione. E non ho mai pensato che fosse giusto solo piagnucolare e prendersela con i raccomandati, che comunque certamente esistono. Forse, più semplicemente, sono nato per il Palcoscenico e non per la Cinepresa: accettarlo non è stato facile. Ma tutto passa.

Si sente ottimista in un’ottica proiettata verso il futuro del panorama artistico, nel suo insieme?

Sarei molto più ottimista se un governo dicesse: da oggi zero finanziamenti a tutti ( a tutti!), per valutare realmente i livelli di creatività dei teatranti italiani. Mettiamo a disposizione solo un palcoscenico…

Questo mi renderebbe non solo ottimista fino in fondo, ma anche strafelice. Ovviamente è una utopia. Ma ugualmente non mi arrendo e non smetterò mai di lavorare con le scuole superiori, per aiutare la formazione del pubblico di domani, spero più cosciente e consapevole.

 

 

 

 

Di spalle  Stefano Masciarelli, Stefania Sandrelli, la truccatrice napoletana Luisa Festa, il direttore della fotografia NIno Celeste, la regista Maria Pia Cerulo

Dal set: Il Pesce Pettine. Santa Maria di Castellabate(Sa)
Di spalle  Stefano Masciarelli, L'aiuto costumista Elisabetta Riccioli. Stefania Sandrelli, la truccatrice napoletana Luisa Festa, il direttore della fotografia Nino Celeste, la regista Maria Pia Cerulo.

 

NELLE SALE ORAMAI SUPER TECNOLOGIZZATE PRESTO  IL RACCONTO ED IL SUONO DI UN ANTICO "STRUMENTO", IL PETTINE.
Il Pesce Pettine è un film  scritto e diretto da Maria Pia Cerulo ed è  prodotto dalla Edesantis Production Film srl.
Tra gli interpreti: Amanda Sandrelli, Stefania Sandrelli, Stefano Mascairelli, Dario Tindaro Veca, Valerio Di Nardo, Elena De Santis.
Il film   racconta  la storia di una band che si esibisce suonando semplici pettini.
IL PETTINE COME METAFORA DELLE POTEZIALITA'  DELL'ESSERE UMANO:

"Il pettine anticamente usato come strumento musicale, nel film diviene metafora delle potenzialità dell'essere umano. Giuseppe D'Andrea, il protagonista, figlio di un pescatore del Cilento, lavorerà ad estrarre dal pettine usato da suo padre, ogni potenzialità sonora, ottenendo risultati meravigliosi, inaspettati, rendendo celebre in tutto il mondo  il brano scritto dal padre. con un semplice pettine usato come strumento musicale, non sapendo e potendo egli suonare altro.

"E' una favola, seppur con una stile neorealista", dichiara la regista,   "Mi sono ispirata a De Sica e Rossilini. I due aspetti però non sono in antitesi, la realtà può diventare una grande fiaba e questo è importante saperlo in un momento difficilissimo che la nostra società attraversa.E' nello sviluppo delle proprie potenzialità, nella rivoluzione interiore e non esteriore, voglio dire quella non indirizzata a modificare gli altri ma  che prima di tutto punta a guardare dentro di sè, a raggiungere il grande potenziale umano patrimonio genetico di ognuno di noi, è lì che risiedono molte soluzioni, inaspettate, inimmaginabili. Ognuno di noi raggiungendole e cominciando ad agire in maniera diversa potrà davvero influire, cambiare la società e realizzare i propri sogni".

Questo film è stato realizzato con una forma di sponsorizzazione in linea con l'attuale società: sul territorio oltre ai numerosi paesi hanno collaborato sponsorizzando il film numerosi imprenditori locali.

foto del pesce pettine3 

Il pettine a forma di Pesce Pettine che Giuseppe il  figlio del pescatore Vittorio, regala a suo padre.
L'IDEA LA BAND DI PETTINI:
Un film a cui hanno collaborato due tra più grandi sceneggiatori italiani e del mondo: Ennio De Concini, Suso Cecchi D'Amico.

L'idea di raccontare la storia di un pescatore che fonda una band di pettine, con l'unico strumento che sa suonare un pettine, nasce dalla collaborazione di Maria Pia Cerulo, con lo sceneggiatore premio Oscar Ennio De Concini per un altro progetto.

Fu Maria Pia Cerulo a proporre allo sceneggiatore di inserire in quel film la figura di un pescatore che a pagamento suonasse il pettine nella piazza del paese. Ad Ennio De Concini l'idea piacque moltissimo.

Quel PERSONAGGIO CHE ERA SFONDO POI DIVENNE FIGURA DI UNA NUOVA STORIA, IL PESCE PETTINE.

Maria Pia Cerulo dichiara:

"L'incoraggiamento di Ennio fu grande ed io senza alcuna produzione all'orizzonte, a mie spese, partii per il cilento dove volevo fortemente ambientare il film. Il Cilento è un territorio in cui la difesa delle tradizioni, forse anche per eccesso, è molto forte, e questo in un’era di globalizzazione. Siamo uniti con il mondo intero oramai e per questo risulta più importante, comprendere e salvaguardare le tradizioni, perché è fondamentale per la pace e l'armonia tenere presente che ogni paese, stato, o individuo ha la sua dimensione e l’incontro di diversità non è stressante ma divertente, importante e fonte di grande arricchimento.Perciò per poter raccontare la storia di un pescatore che l'unico strumento che sa suonare è un pettine, fonda una band di pettini, soggiornai a mie spese, circa sei mesi nel paese di Acciaroli (Sa).
I miei maestri di cinema mi avevano sempre detto, quando racconti un film devi conoscere i luoghi in cui l'ambienti, come le tue tasche. Quel soggiorno fu caratterizzato dalla speranza, ero certa che questo progetto si sarebbe concretizzato prima o poi.Inoltre continua la regista:
Suso Cechi D'amico, anch'essa tra le più apprezzate sceneggiatrici nel mondo, prima della sua scomparsa mi regalò una settimana di supervisone al soggetto. Mi recai nella sua casa ai Parioli dall'arredamento vitale ed essenziale come il carattere di Suso. Lei mi ha fatto comprendere una cosa che pare semplice ma non lo è: il rigore, la coerenza, quando scrivi il film bisogna individuarne bene il genere, reale, surreale?..." e la creatività deve essere contenuta e direzionata da questo apparente limite".
Il Cast Artistico:
Altri interpreti:  Bruno Colella, Carmen Napolitano, Raffale Gravina, Genny Fenny. Chiara Ricco, Pietro Guidarelli, Giuseppe Zinno.
Fotografia: Nino Celeste

Musiche composte, orchestrate e dirette da Andrea
Montepaone
Edizioni Musicali Effemme Records - Roma

Brani: Ti Parlerò Di Me - Un Senso Fra Noi
Musiche e testo di Elena De Santis
Brano: Cose D'amore Musiche e Testo Elena De Santis-Roberto Di Marco.
Edizioni Musicali Effemme Records - Roma

Stilista del trucco: Luisa Festa

Parrucco: Cristina Verrone

Montaggio: Pier Luigi Leonardi

FILM GIRATO PREVALENTEMENTE NEL TERRITORIO DEL CILENTO (Prov. di Salerno) NEI PAESI DI : Castellabate (Location del fortunato film "Benvenuti al Sud"), Cuccaro Vetere, Ceraso (LOCATION UNICA: Agriturismo LA PETROSA), Casal Velino: LOCATION UNICA: Hotel STELLA MARIS), San Giovanni a Piro, Valva, Montecorice, Magliano Vetere, Agropoli, Stio, Felitto, Ascea.

Soltanto alcune scene sono state GIRATE A ROMA.

Stefano Masciarelli, la regista Maria Pia Cerulo,Amanda Sandrelli, l'attore Adelmo Togliani

Piol

Il “Gruppo del Sole”, in collaborazione con l’Associazione Culturale “JONGLAR” di Roma ed il Teatro Tor Bella Monaca, il prossimo 17 aprile 2015 presenteranno la prima dello spettacolo teatrale “Chiarimenti allo sportello”presso il Teatro “Tor Bella Monaca” – Via Bruno Cirino (Roma), che verrà replicato anche nei giorni 18 e 19 aprile, per dare la possibilità di assistere a questo interessante evento ad un più largo numero di spettatori.

Per l’occasione, ho incontrato lo scrittore e poeta Franco Piol, anche autore e regista teatrale di lunga esperienza, da sempre motivato da un profondo interesse verso ogni attività di carattere umanistico. Negli anni ’70 ha fondato il “Gruppo del Sole”, che lo vede impegnato nella realizzazione di testi teatrali, laboratori di animazione per bambini e pubblicazioni, sapientemente rivolti al delicato e sorprendente universo dell’infanzia.

Egli è presente nel mondo editoriale italiano con libri di poesie e racconti, costantemente accolti con entusiasmo dalla critica e dal pubblico.

Franco Piol stavolta si rivolge alla platea romana, proponendosi nell’inedita veste di autore ed interprete, con “Chiarimenti allo sportello”: un testo nel quale il protagonista Alvise, un uomo burbero e severo, soprattutto con se stesso, si pone dinanzi ad interrogativi, attraverso una difficile analisi introspettiva, densa di contraddizioni e con risvolti spesso autopunitivi.

Da questa indagine, la presa di coscienza di non aver mai vissuto appieno la sua vita, desistendo a prescindere nel perseguire la realizzazione dei suoi sogni, come in un percorso obbligato da una strada già tracciata e, soprattutto, rinunciando al suo unico grande amore, Maria.

Nella rappresentazione di questo monologo appare palpabile la volontà di coniugare i canoni della struttura teatrale e cinematografica a quelli lirici della poesia, in una felice commistione che attraversa tutto lo spettacolo, regalando spunti di riflessione, emozioni e suggestioni.

Quindi, con questo lavoro teatrale, il “Gruppo del Sole” ritorna sulle scene proponendo un inedito percorso artistico di ricerca, nel quale si da spazio a nuove collaborazioni, allo scopo di porre a confronto le varie modalità espressive, accomunate fra loro da un percettibile filo conduttore.

Durante le prove del vostro spettacolo ho notato, grazie ad un occhio allenato dalla mia esperienza di attrice, una fotografia ed una regia audiovisiva eccellenti. Credo non sia stato sempre semplicissimo lavorare con il proprio figlio. E’ così?

Beh, devo ammetterlo, meno problematica di quanto uno si aspetti. La larga intesa con mio figlio, però, si è formata con il tempo ed è nata sin dai primi laboratori teatrali e da tanto cinema visto insieme. “Lui,” praticamente, oggi è il nostro insostituibile archivio di immagini cinematografiche e il serbatoio creativo nell’ambito fotografico. Se una difficoltà esiste, essa si riferisce soprattutto ai “tempi di esecuzione,” caratteristica propria delle ultime generazioni: operare sempre in tempi stretti e all’ultimo momento. A me fuma il cervello! Tuttavia, alla fine “loro” risolvono sempre, ma quanta adrenalina!!!

Cosa mi dici della preziosa presenza di Paola Rotella, da sempre impegnata nel’ambito culturale nelle vesti di attrice, regista ed autrice di testi?

Paola è una figura importantissima nella storia del “Gruppo del Sole”, una pietra miliare. Poliedrica, dinamica, lucidamente presente in ogni fase e progetti creativi e una preziosissima, (come tu dici), protagonista del panorama culturale romano e non solo.

Vorrei entrare meglio nella storia; chi più di te può raccontarmi la sua sinossi?

L’opera nasce da una bozza di un mio vecchio racconto, datato 1964, riadattata sulla “fisicità” e sulle note caratteriali di Gianfranco Salemi, che avrebbe dovuto interpretarla. Alvise è un vecchio uomo qualunque, senza particolari qualità, che viene richiamato presso degli uffici (comunali?) per un chiarimento sul suo stato civile. Una volta li, il “poveretto” si trova ad affrontare un giovane funzionario, che praticamente lo inquisisce, creandogli una serie dolorosa di vessazioni e difficoltà, mettendo a nudo le sue debolezze e le contraddizioni, fino a farlo letteralmente crollare. E, nel giorno del suo giudizio universale, Alvise cercherà il riscatto, rifugiandosi in Maria, il suo unico e grande amore perduto. Basterà?

La tua struttura caratteriale è diametralmente opposta a quella di Alvise. In che misura è stato difficile interpretare questo complesso personaggio?

La prima vera difficoltà nasce proprio dall’essere “regista” e non attore, per giunta a teatro. Ma, per amore di esso tutto si fa… Per fortuna c’è Paola, con i suoi suggerimenti, le sue trovate sceniche e tutta la sua sapienza artistica e professionale, a tentare di fare il miracolo. Riusciranno i nostri eroi…

Il tuo impegno verso il mondo dei bambini è una tematica ricorrente anche nelle tue liriche?

Forse indirettamente, non lo escludo di certo. I temi dell’infanzia ritornano continuamente sotto forma di epifanie, echi, ricordi, rumori, profumi: un arsenale ricco di tanti importanti reperti di memorie di una stagione bella, quella che mi porto sempre caramente dentro. La poesia, comunque, sembra più viaggiarle in parallelo.

Mi vuoi parlare dei tuoi progetti futuri?

E’ una stagione di intensa creatività, insperata, credimi e allora ne approfitto: sto raccogliendo vecchi e nuovi racconti, che spero di pubblicare per il prossimo Natale, sotto il titolo di “Gente del tempo che verrà”. In serbo, (sarebbe più corretto dire “in sala parto”), inoltre, sto maturando di scrivere due favolose storie per ragazzi, dal titolo “Il magico Spolverino” e “Attenti alla littorina di carta”. Tutto questo, senza trascurare, ovviamente, il teatro, magari con una storia su due vecchi malinconici clochard, perché no?!

Per il momento godiamoci questa meravigliosa avventura; le prevendite lasciano ben sperare. La nostra più grande soddisfazione sarà, come sempre, la risposta del pubblico.

 

 

Pesce_2

La Edesantis Production Film srl presenta il film “Il Pesce Pettine”, per la regia, come opera prima, di Maria Pia Cerulo, direttore della fotografia Nino Celeste. Il film nasce da un'idea originale di Maria Pia Cerulo che ne ha scritto il soggetto e la sceneggiatura.

Esclusivamente per la quinta settimana di riprese, ha collaborato alla sceneggiatura Elena De Santis.

Tra i protagonisti Amanda Sandrelli, Stefania Sandrelli, Adelmo Togliani, Stefano Masciarelli, Dario Tindaro Veca, Valerio Di Nardo, Carmen Napolitano, Chiara Ricco, Raffaele Gravina, Genny Fenny.

Ill film è stato girato nei paesi di Castellabate, Cuccaro Vetere, Ceraso, San Giovanni a Piro, Agropoli, Montecorice, Magliano Vetere, Stio e Felitto, Valva.

La storia di questo film rappresenta un’importante opportunità per il territorio, finalizzata anche alla valorizzazione delle splendide bellezze naturali del Parco Nazionale del Cilento, in un’ottica di conoscenza e tutela del prezioso patrimonio afferente alla sua cultura e all’ambiente, che affonda le radici in una civiltà millenaria.

Quindi, un film di intenso spessore culturale, volto al rispetto della “memoria e identità storica” del Cilento, testimonianza vivente di lingue primordiali, tradizioni, attività artistiche e culturali condivise nei secoli, che hanno caratterizzato in modo significativo quest’area geografica; valori troppo importanti per correre il rischio di estinzione.

Partendo da questo presupposto, già nel soggetto del film “Il Pesce Pettine” si evince la necessità di riscoprire, rispettare e salvaguardare questo patrimonio, combattendo l’impoverimento culturale, attraverso la promozione del dialogo intergenerazionale, della trasmissione dei “saperi” e delle antiche tradizioni, rendendo il tutto fruibile.

La memoria storica e la cultura, fortemente radicata in questo territorio, viene proposta sotto forma di arricchimento culturale e di riscoperte delle identità locali, attraverso un messaggio dai contenuti fortemente simbolici racchiusi nel “pettine”, atavico strumento ad ancia, per definizione.

La suggestiva e al tempo stesso selvaggia Terra Cilentana, compresa nel territorio della provincia di Salerno, fa da cornice a questo splendido film, dove l’utilizzo del “pettine”, come oggetto con capacità sonore, quindi strumento musicale, risiede nella notte dei tempi. Al pari di altri strumenti ad ancia, il “pettine” rappresenta il retaggio di una cultura ormai sopraffatta dalla modernità; al contrario, il valore della tradizione storica andrebbe sempre posto in relazione alla contemporaneità.

L’epoca che stiamo vivendo, quella della globalizzazione, è ricca di contraddizioni, che plasmano la nostra esistenza. Facendo una breve analisi sociologica, è d’obbligo riconoscere gli effetti prodotti da questo fenomeno sul piano culturale, con particolare riferimento alle problematiche legate all’identità, nell’ambito del rapporto esistente tra locale e globale.

In una società dove il concetto di globalizzazione è presente in ogni aspetto della nostra quotidianità, dalla cultura, alla politica, influenzandola fortemente, è di vitale importanza costruire un sapere che sappia attingere dall’analisi del territorio strumenti d’indagine, per una rielaborazione corretta e culturalmente rilevante. Il catalizzatore essenziale, costituito dall’innovazione scientifica, tecnologica ed organizzativa, ha posto in secondo piano il ruolo fondamentale della conoscenza, la tutela, la valorizzazione e la divulgazione del patrimonio culturale ed ambientale.

Nel film “Il Pesce Pettine” si riconosce determinante la base antropologica o etnomusicologica del mondo della musica, in questo caso riconducibile al folklore del Cilento e il “pettine” vuol rappresentare la metafora dell’evoluzione dell’uomo nella sua affermazione. Esso è uno strumento ancestrale, risalente all’Età del Ferro, quindi, apparentemente poco consono ad avere un suo ruolo in un’orchestra, ma i fatti dimostreranno l’esatto contrario. Nella sua semplicità, questo strumento, che possiamo considerare il precursore del sax, del clarinetto e di altri strumenti ad ancia, se coperto da un piccolo foglio di carta velina, soffiandoci sopra delicatamente, produce suoni ricchi di vibrazioni e di grande suggestione.

La tradizione di suonare il pettine è comunque presente nell'intera Italia anche se in maniera minore.

Pesce_1

L’aspetto allegorico sta ad indicare che l’uomo, nella sua continua ricerca di autodeterminazione e consapevolezza delle proprie capacità, dovrebbe opportunamente acquisire sempre maggiore fiducia in se stesso e non disperdere nel nulla le proprie energie ma, piuttosto, capitalizzarle, per cercare di realizzare i propri desideri.

La chiave di tutto sta proprio nel saper individuare e quindi riconoscere la forza insita nelle proprie potenzialità e andare avanti, in prospettiva di un’evoluzione delle proprie idee, attraverso forme di concettualizzazione applicate ai vari ambiti, per giungere, quindi, alla realizzazione dei propri sogni: una sorta di ricompensa, di gratificazione alla propria autostima.

Nel film il protagonista Giuseppe D’Andrea, interpretato dall’attore Adelmo Togliani, fa esattamente questo: non abbandona per nessuna ragione l’idea di poter realizzare i propri desideri…

Egli è un trentaquattrenne direttore d’orchestra, figlio di un pescatore di Castellabate. Sta seguendo una sua intervista televisiva, nella quale viene presentato un metodo per ottimizzare i suoni di oggetti, in particolare quello del “pettine” e in quel momento riaffiorano in lui ricordi, che lo riportano indietro nel tempo. Con un flash back lo ritroviamo ragazzo. Suo padre, abilissimo pescatore, sa suonare un unico strumento, il “pettine” e con esso riesce a realizzare pezzi musicali davvero coinvolgenti, che esegue con la sua band di “suonatori di pettine”. Il gruppo deciderà di partecipare alle selezioni di un importante festival di musica classica, il quale è sponsorizzato dall’imprenditrice Giulia Torchiara, interpretato dall’affascinante Stefania Sandrelli, icona del Cinema italiano, che spesso si scontrerà per divergenze di vedute con Alfredo, il direttore artistico, ruolo interpretato da Stefano Masciarelli.

Giuseppe solo in età adulta, grazie alla maturità, riuscirà ad apprezzare il valore dell’eredità culturale lasciatagli da suo padre, attraverso questo piccolo, arcaico strumento, un tempo sottovalutato.

Grazie ad una serie di eventi, Giuseppe rincontrerà il suo grande amore Elsa, interpretata da una meravigliosa Amanda Sandrelli, e con il suo sostegno riuscirà ad organizzare un concerto per “pettini”, eseguendo anche una composizione di suo padre e facendo conoscere, in tal modo, all’universo l’evoluzione del suono di questo strumento. Quindi, la storia di un uomo che, con impegno e grande forza di volontà, cercherà di realizzare se stesso e di recuperare un’antica e diffusa tradizione dell’impiego del “pettine” come strumento musicale. In questo modo, anche il sogno di suo padre troverà un’inattesa concretizzazione…

Lo stile del film, per diversi aspetti, ricalca quello del cinema del Neorealismo, in chiave moderna, seppur ricco di riferimenti allegorici ed evidenti spunti simbolici. Un sottile filo conduttore è la storia d’amore incardinata nella storia stessa.

Un omaggio al meridione italiano che, troppo spesso ingiustamente trascurato, in questo caso trova l’obiettivo riconoscimento del suo notevole bagaglio culturale ed artistico, esito di un imponente ed illustre background, che ha visto la Magnagrecia incontrovertibile protagonista nell’antichità. Il DNA “nobile” ereditato, presente nelle radici di questo popolo, da lustro al panorama intellettuale italiano presente da sempre in tutto il mondo; come è pur evidente quanto sia determinante, in termini di produttività, la forza lavoro italiana nei poli più industrializzati delle varie città europee e di oltreoceano. La fotografia del sud Italia che si esporta all’estero è troppo spesso non conforme alla realtà; troppi luoghi comuni, difficili da sdoganare, rappresentano questa parte del nostro Paese in modo scorretto.

Se pensiamo alle migrazioni, esse sono il risultato della diversa velocità di sviluppo economico tra paesi e regioni. Fino al 1860, periodo dell’Unità d’Italia, le migrazioni dei meridionali erano scarse e temporanee, al contrario del nord. Solo dopo la conquista da parte dei piemontesi del Regno delle due Sicilie, i meridionali cominciarono a migrare, anche in seguito allo smantellamento dei centri industriali costruiti dai Borboni, per favorire gli interessi delle prime industrie del nord; mentre i Savoia esercitavano il controllo dei territori attraverso il colonialismo. Quindi, solo dalla fine dell’Ottocento inizia quel flusso migratorio che ha visto coinvolte una generazione dopo l’altra di lavoratori e i paesi del nord rappresentano un forte polo d’attrazione.

Alla luce di tutte queste considerazioni, che meriterebbero un’analisi storica ancor più approfondita, si desume l’importanza del rispetto delle proprie radici culturali, che si esprime solo tenendo vivi usi, costumi e tradizioni popolari.

Per concludere, un film di riflessione, dai contenuti socio-ambientali, che ripropongono, con puntuali richiami simbolici, tematiche riconducibili all’annosa “questione meridionale”, mai affrontata in modo risolutivo e costruttivo.

I Comuni che hanno ospitato le riprese del film “Il Pesce Pettine,”per la maggior parte situati nell’area del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni, sono:

Comune di Castellabate – Comune di Comune di Agropoli – Comune di Valva – Comune di Cuccaro Vetere – Comune di Ceraso - Comune di San Giovanni a Piro – Comune di Montecorice – Comune di Magliano Vetere – Comune di Felitto – Gal Casacastra – Gal Sentieri del Buon Vivere – Gal Cilento Regeneratio, anche se la Produzione del film ha spiegato quanto sia stato difficile scegliere, data la vastità di offerta nel territorio cilentano.

Pubblicità laterale

  1. Più visti
  2. Rilevanti
  3. Commenti

Per favorire una maggiore navigabilità del sito si fa uso di cookie, anche di terze parti. Scrollando, cliccando e navigando il sito si accettano tali cookie. LEGGI