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Italia fuori dal mondiale, l'aspetto demografico ha il suo peso

L’eliminazione della nazionale di calcio italiana ad opera della Macedonia del Nord l’ho vissuta con molta serenità senza nessun pathos particolare. Nello stesso tempo però mi ha dato l’opportunità di fare delle considerazioni non solo sportive, ma di una certa provocazione.

Siamo sicuri che sia un danno non esserci al prossimo Mondiale? Sul piano dell’immagine sicuramente lo è: nessuna vincitrice della Coppa del Mondo nell’ultimo quarto di secolo ha mai subito l’onta di una doppia esclusione consecutiva dalla più prestigiosa competizione del calcio internazionale”. (Nando Santovito, Italia senza Mondiali, la partita era già persa, 26.3.22, lanuovbq.it).

Ci eravamo illusi che soltanto otto mesi fa alzavamo al cielo la Coppa del campionato europeo di calcio per nazioni dopo aver battuto l’Inghilterra, soltanto con la lotteria dei calci di rigore (grazie ai ragazzi inglesi di colore).

Non è un mistero che negli ultimi anni nelle due principali competizioni europee, 18 se li sono portati a casa spagnoli e inglesi, i restanti due il Bayern Monaco. Notoriamente in questi ultimi anni i nostri campionati di calcio non hanno visto tanti fenomeni, campioni di un certo livello. Tranne qualche caso sporadico. Ma poi siamo sinceri li avete visti i nostri attuali atleti strapagati come si muovono sul campo? Vogliamo paragonarli a quelli del passato? Prendiamo la nazionale, passata alla storia come la peggiore di tutti i tempi, quella che è stata eliminata dalla Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966. Se li confrontiamo con quelli di adesso, i calciatori del ct Fabbri erano dei “mostri” del calcio. Certo sul piatto della bilancia vanno messe tutte le variabili possibili e immaginabili. I vari commentatori hanno riempito i giornali e i programmi televisivi. Si giocano troppe partite durante la settimana, i vari club del nostro campionato tendono a risparmiare i propri calciatori.

A livello economico oggi per trovare un club di proprietà italiana in serie A bisogna scendere al settimo posto della classifica con la Lazio di Lotito. Ma poi ormai il calcio professionistico è drogato dal denaro, ma non solo in Italia. Le società di calcio sono indebitate, quasi tutte hanno accumulato debiti e si mantengono su un equilibrio precario. Quale imprenditore assennato investirebbe in un business a perdere? Nessuno, a meno che sia un mecenate, uno Stato (tipo il matrimonio Qatar-Paris Saint Germain) o qualcuno che deve riciclare ingenti flussi di denaro sporco.

Quante volte abbiamo sentito dire, questo non è più il vero calcio di una volta, quando si coltivava il settore giovanile o l’identità sportiva nazionale. Ecco il punto che probabilmente nessuno ha posto in evidenza, i giovani, dove sono?

Ieri ho presentato il documentatissimo libro scritto a quattro mani da Antonio Golini e Marco Valerio Loprete, Italiani poca gente. Il paese ai tempi del malessere demografico” (Luiss University Press, 2019)

Il testo evidenzia quello che tutti noi ormai vediamo da decenni in Italia: nascono pochi bambini, siamo all’ultimo posto nel mondo per nascite. I paesi collinari si stanno, anzi sono spopolati, le case sono vuote, le scuole dell’obbligo vengono chiuse. E visto che stiamo parlando di calcio, da molto tempo i pochi residenti hanno difficoltà a “confezionare” le squadre di calcio, non trovano 11 giovanotti in grado di poter fare una partita di calcio, a volte per completare le formazioni sono costretti a far scendere in campo baldi “giovani” di 40 o 50 anni e chiaramente non tutti sono Ibrahimovic e Quagliarella. Ricordo quando militavo da adolescente nella squadra del paese, poteva capitare di far parte di un certo ruolo anche in tre.

Per la verità, il testo di Golini non  arriva alle mie conclusioni che la denatalità colpisce anche lo sport, in particolare il calcio. Punta il dito sulla drastica riduzione degli effettivi militari europei, riconducendola a denatalità e invecchiamento, e non soltanto al progressivo abbandono della coscrizione obbligatoria e al passaggio di un esercito di professionisti.

Il libro fa presente come nel 1991, al termine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano 2.181.000 militari, gli allora alleati europei (inclusa la Turchia) ne avevano 3.509.000, cioè il 60% in più; nel 2018, gli effettivi americani sono scesi del 40% fino a 1.314.000, quelli degli stessi Paesi europei sono calati del 64% fino a 1.283.000. Pertanto, secondo gli esperti americani della sicurezza internazionale, “la crisi demografica mette ancora più a rischio le tendenze future all’interno dell’Alleanza Atlantica, tra ‘aumento dell’età media’ e "restringimento della coorte anagrafica di quelli in grado di prestare servizio militare’ che potrebbero ‘ridurre la capacità di raggiungere i livelli necessari degli effettivi (...)”. Ci si chiede se alcuni eserciti sono in grado di mantenere un esercito utilizzabile. E tra l’altro, sempre secondo gli esperti, del calo demografico e dell’invecchiamento saranno particolarmente avvertiti in Italia e in Spagna. In particolare sarà colpita la senescente Nato, che avrà difficoltà nell’affrontare “conflitti che si svolgeranno con maggiore probabilità in aree densamente urbanizzate e che richiederanno - anche per le missioni di peace-keeping e peace-enforcing - forze militari numericamente più consistenti di quelle disponibili”. Sembra anticipare quello che stiamo assistendo oggi con la crisi Ucraina.

Sempre gli stessi esperti indicano, in particolare per l’Italia, una “difficoltà di un reclutamento quantitativamente e qualitativamente adeguato; la minore accettazione sociale di missioni militari rischiose da parte di popolazioni più anziane e infine la minore disponibilità a dedicare risorse di bilancio a un’alleanza militare piuttosto che a programmi di welfare per la terza età”.

Sempre come rilevano gli osservatori, soprattutto americani, “il calo demografico dell’Europa può essere considerato uno degli indicatori più evidenti della sua perdita di peso geopolitico nell’agone internazionale che la porta a essere sempre meno influente[...]”. Sempre gli osservatori, arrivano alla conclusione, che il Vecchio continente, si è autoassegnato il ruolo di spettatore nelle principali partite diplomatiche [···]”. Infatti quello che sta accadendo oggi con la guerra Ucraina. Dove l’Europa non conta nulla.

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