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Ungheria anni Sessanta

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Alberto Indelicato, ambasciatore a riposo (resse anche la nostra rappresentanza nella Germania Est negli ultimi anni di grama esistenza di quel Paese), autore di un buon numero di opere storiche, ha il merito di scrivere con garbo e di attrarre l’interesse del lettore. Sia che egli faccia ricorso a fulminanti battute, sia che più seriamente tracci acuti raffronti e solidi profili storici degni di riflessione, chi lo legge resta soddisfatto. Ultimato il volume, ha appreso tanti aspetti che gli erano sconosciuti o, se già ne era informato, ne ha letto interpretazioni che lo fanno meditare.

È il caso dell’ultima sua fatica, Spie e professori nell’Ungheria di Kádár, che esce nella simpatica collana “Il Filo della Memoria”, diretta da Francesco Perfetti per Le Lettere (pp. 110, € 15). Sono vivaci, ironiche e avvincenti pagine rievocative di un triennio trascorso negli anni Sessanta dall’autore, come consigliere d’ambasciata a Budapest, nella cupa Ungheria comunista. Tanti particolari ci dicono che cosa fosse un regime comunista: dalle spie piazzate ovunque (qualcuna addirittura imprevedibile), ai piccoli condizionamenti quotidiani, dalle indicibili giustificazioni che i burocrati di turno adducevano con palese faccia tosta, alla generale arretratezza e miseria. I fermenti di libertà erano compressi da una società in cui il comunismo penetrava ovunque, nel ricordo dell’insurrezione del 1956 che si voleva fosse eternamente ignorata. Indelicato non manca di sottolineare come abbondassero, così in Occidente come in Italia, i sostenitori di un simile regime, che fantasticavano potesse arrivare anche da noi, come se fosse la nostra una società schiava.

Le pagine più gustose sono quelle che illustrano la drammatica vicenda di un incolpevole professore, vicedirettore del locale Istituto italiano di cultura, in breve volgere di tempo cacciato in galera e condannato per spionaggio. Il regime aveva come unico scopo ottenere la liberazione di un proprio connazionale, questo sì vero agente spionistico, scoperto e condannato in Italia. La descrizione dell’arresto e del processo subìto dal poveretto permette di rilevare particolari (vogliamo dirli sconcertanti?) della giustizia nell’Ungheria comunista. Basti dire che l’avvocato difensore (di Stato, ovviamente) poteva colloquiare col proprio assistito (si fa per dire) solo alla presenza del pubblico accusatore.

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