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Vittime della legge nera, la libertà religiosa in Pakistan

Monsignor Coutts

 

Organizzato dalla benemerita fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre si è svolta a Roma, presso l'aula Alvaro del Portillo della Pontificia Università della Santa Croce (PUSC), una conferenza internazionale sul delicato tema della libertà religiosa in Pakistan, il Paese forse più difficile in cui vivere oggi per i cristiani. Qui infatti, nonostante ripetuti appelli, é ancora in carcere in attesa di giudizio la povera Asia Bibi, la coraggiosa mamma di cinque figli che ha osato professare pubblicamente la sua fede in Gesù Cristo e non nell'Islam fondamentalista che domina il Paese, qui - soprattutto - non più tardi di due anni fa sono stati uccisi uomini di buona volontà come Salman Taseer (1946-2011) e Shahbaz Bhatti (1968-2011) che si battevano per la difesa delle minoranze religiose vessate e in particolare per quella cristiana. Il primo era un musulmano moderato, il secondo un cattolico esemplare, ma per i terroristi non c'era alcuna differenza: entrambi avevano la 'colpa' di sostenere la causa sbagliata. La giornata organizzata dall'ACS aveva quindi l'obiettivo di far conoscere questa vera e propria via crucis silenziosa del popolo cattolico pakistano che da anni vive sofferenze indicibili, sconosciute ai più, soprattutto in Occidente. Dopo il saluto iniziale del professor Norberto Gonzalez Gaitano a nome del Rettore dell'Università ospitante, è intervenuto il direttore della sezione italiana di ACS, Massimo Ilardo, che ha ricordato, citando un recente messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di Benedetto XVI come, davvero – guardando alla situazione attuale nel mondo – oggi più che mai “la libertà religiosa sia la via per la pace”. Se essa (intesa non solamente come libertà di culto, naturalmente, ma anche come libertà di anunciare la fede in pubblico e di trasmetterla nei luoghi deputati dell'educazione, per esempio, a scuola) viene rispettata, allora solitamente anche la vita sociale nel suo insieme – e la tutela dei diritti umani, complessivamente considerati – ne trarrà giovamento, viceversa è facile immaginare che l'assenza di quella libertà non sia altro che la spia di una situazione di un degrado pubblico molto più esteso. E' in questo senso, d'altronde, che lo stesso Papa Giovanni Paolo II la intendeva: come la “cartina di tornasole di ogni altro diritto”, una vera e propria bussola di orientamento per monitorare lo stato di salute di una società. Il Pakistan oggi è certamente il caso più allarmante, ma – ha specificato Ilardo – non è l'unico: Cina, Corea del Nord, Iraq, Nigeria e Repubblica Centrafricana, ad esempio, sono tutti Stati in cui essere cristiani vuol dire pagare la testimonianza duramente sulla propria pelle, a volte persino a costo della vita.

Ha preso quindi la parola di Roberto Fontolan, giornalista e direttore del Centro Internazionale “Comunione e Liberazione”, che ha presentato brevemente quel “cuore dolente della Cristianità” dei nostri giorni che è la Repubblica del Pakistan ed ha successivamente introdotto l'ospite più atteso: l'arcivescovo di Karachi, nonché presidente della Conferenza episcopale locale, monsignor Joseph Coutts. Il presule ha esordito spiegando le premesse storiche della fondazione (nel 1947) del Pakistan come Stato indipendente e sottolineando che l'idea del padre fondatore, Mohammad Ali Jinnah (1876-1948), un musulmano moderato, era quella di dare vita a uno Stato moderno e democratico. Di lui oggi si ricorda soprattutto la celebre frase che bene ne esprime l'idea interreligiosa di partenza: “Siete liberi di andare alla moschea, al tempio o in qualsiasi altro luogo di culto”. Si tratta peraltro di un'acquisizione poi integrata anche nella Costituzione del Paese e tuttora vigente, per quel che vale. I problemi (e la relativa radicalizazione del Paese verso un estremismo islamico intollerante) sono venuti più tradi, più o meno nella seconda metà degli anni Settanta, quando con un colpo di Stato sale al potere un generale, Muhammad Zia ul-Haq (1924-1988), che governerà per circa undici anni (dal 1977 al 1988) imprimendo al Paese una svolta islamista e dai contorni fanatici. Sarà lui che farà infatti approvare, nel 1986, la cosiddetta 'legge sulla blasfemia' in base alla quale ogni commento, o espressione, o atto ritenuto offensivo nei confronti del Corano o di Maometto può essere perseguito a livello penale. Di fatto, con il tempo la norma è diventata un mezzo di repressione verso i cristiani per il solo fatto di essere cristiani e di rifiutarsi di apostatare, dando parimenti origine a periodici attacchi di chiese, scuole e villaggi (tra cui quello celebre di Gojra, avvenuto nella regione del Punjab nel 2009, filmato in diretta e diffuso poi via internet). In ogni caso, l'arcivescovo ha riferito che dall'approvazione della legge ad oggi sono più di 1000 i casi di 'presunta blasfemia' denunciati, nella stragrande maggioranza, in modo del tutto pretestuoso. Beninteso, Coutts ha spiegato che le “discriminazioni contro i non musulmani sono sempre esistite” e che spesso sono state tollerate apertamente dagli stessi poteri pubblici. Oggi, però, la situazione è aggravata – oltre che dall'abuso esponenziale della legge sulla blasfemia – anche dall'opera 'educativa' della scuola che spesso rafforza l'idea che i cristiani valgano di meno come persone e, in ogni caso, che non siano dei 'veri pakistani': è l'idea della vecchia 'dhimmitudine' dei secoli antichi per cui il cristiano doveva comprarsi la protezione del musulmano pagando una tassa apposita se voleva vivere in pace in un Paese a maggioranza islamica.

Un altro problema ancora è l'identificazione indiscriminata che viene fatta tout-court tra contingenti militari occidentali occupanti Paesi dell'area (vedi l'Afghanistan) e il Cristianesimo, con il risultato di ritenere il cristiano in quanto tale un corpo estraneo alla cultura locale anche quando in realtà è vero il contrario. Infine, non va dimenticato il crescente influsso che l'islamismo wahhabita (proveniente dall'Arabia Saudita) esercita (versando ingenti capitali) sulla cultura e l'economia pakistana, tentando di dare vita una versione dell'Islam ancora più settaria e fanatica di quella attualmente presente nell'area. Questo influsso – ha concluso Coutts – lo si vede soprattutto nell'ultimo attentato a Peshawar dove un kamikaze si è fatto esplodere provocando la morte di decine di persone. La cultura del kamikaze, infatti, è di per sé storicamente estranea alla mentalità pakistana. Probabilmente, si tratta appunto di cellule fondamentaliste recentemente inflitratesi nel Paese che reclutano giovani e giovanissimi soprattutto fra i ceti più poveri e quindi manipolabili intellettualmente. La soluzione, ancora una volta, oltre che nella forza della preghiera, per i cristiani va ricercata che nel dialogo e nella cooperazione sociale con i tanti musulmani moderati che pure vivono nel Paese e non vogliono l'instaurazione di uno Stato di terrore.

Manifestazione pro cristiani

 

Al termine del suo intervento – applauditissimo – ha quindi preso la parola monsignor José Tomàs Martìn de Agar, docente nella facoltà di diritto canonico della Pontificia Università della Santa Croce che ha concluso la giornata richiamando brevemente i fondamenti della libertà religiosa nel Magistero della Chiesa soffermandosi soprattutto sugli sforzi di Papa Giovanni Paolo II (il Papa per eccellenza della libertà religiosa) ed evidenziando poi – da ultimo con gli insegnamenti di Benedetto XVI – che “i diritti non possono essere distaccati dalla loro dimensione etica e razionale”. Senza il rispetto della natura umana della persona e le verità naturali di ragione che preesistono al confronto religioso e politico, infatti, risulterà piuttosto difficile, se non impossibile, parlare di passi concreti verso la riconciliazione e la pace. Quest'ultima, come ribadisce la stessa Dottrina sociale delal Chiesa, ha insistito de Agar, trova il suo fondamento ultimo nella verità, che, anche in tempi di relativismo diffuso, mantiene inalterate tutte le sue prerogative e tutti i suoi diritti.

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