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È in distribuzione il volume Brutium Graffiti. Jazz a Cosenza nel 900, di Amedeo Furfaro, edito dal Centro Jazz Calabria in occasione dei 25 anni di attività del sodalizio cosentino.
Nel testo un secolo di storia del jazz nel capoluogo bruzio e in Calabria viene ripercorso con dovizia di particolari su protagonisti, orchestre, gruppi, solisti, rassegne, festival, concerti, immagini, luoghi, aneddoti, curiosità.
La musica jazz e' stata una componente  di rilievo della vita culturale locale al punto da  potere oggi configurarsi come una specifica tradizione.
Emersa sin dagli anni 20, con le prime jazz band, e' continuata in modo sommerso durante il fascismo, inserita anche nell'avanspettacolo, nelle rivista e varietà ,nelle canzoni sincopate, poi nel dopoguerra si è rivitalizzata, grazie a diversi organici orchestrali, gruppi e solisti nati sulla scia delle formazioni di swing americane; poi negli anni 60, in cui si profilava  l'attività degli appassionati del Jazz Fans Club e le aperture della Associazione "Rendano" nella concertistica jazz, si avevano le aperture al jazz moderno, al be-bop, al cool.
Dal  1979 , la venuta di Chet Baker in città segnava l'avvio di una prima rassegna jazzistica istituzionale dell'amministrazione civica, inaugurando una serie di iniziative che si protrarrà intensa fino al 2000 in tutta l'area urbana e che vedrà protagoniste in città anche alcune associazioni concertistiche .
La ricerca, peraltro arricchita da foto anche inedite, si caratterizza inoltre per l'affiancare ai grandi maestri del jazz esibitisi in riva al Crati gli artisti calabresi che, numerosi, hanno contribuito a costruire una storia degna di essere raccontata e che dimostra quanto sia stato e sia ricco il panorama musicale della regione calabrese.
In appendice il libro contiene un'intervista a Raffaele Borretti, pianista e docente di jazz, uno dei pionieri del jazz in Calabria.
Il tascabile del Centro Jazz Calabria (6,90 i.i.) e' reperibile nelle principali librerie di Cosenza (Domus, Ubik, Seme, Cubo Libro Unical etc.) ovvero richiedendolo via mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

Vincono gli Stadio, con 'Un giorno mi dirai' hanno vinto la 66/a edizione del festival di Sanremo, il secondo targato Carlo Conti che è riuscito nell'impresa non facile di portare a casa una seconda volta di grande successo, schivando polemiche, la concorrenza di Juve-Napoli e lasciando che i nastri arcobaleno, per fortuna, diventassero uno dei simboli di questo festival. E con grande eleganza, ha trovato il modo di salutare Pippo Baudo, "inventore del Festival così come lo facciamo oggi". Al secondo posto Francesca Michielin, con il brano Nessun Grado di Separazione. In terza posizione Giovanni Caccamo e Deborah Iurato con la canzone Via da qui, scritta da Giuliano Sangiorgi. Questo il podio della 66/a edizione del Festival di Sanremo.
Sono stati 11 milioni 223 mila i telespettatori, pari al 52.52% di share, che hanno seguito la finale del Festival di Sanremo. Rispetto all'anno scorso - quando l'ultima serata del festival era stata seguita in media da 11 milioni 843 mila spettatori, pari al 54.21% di share - gli ascolti sono in calo di circa 600 mila spettatori e quasi 2 punti di share. La prima parte della finale di Sanremo ha fatto segnare 12 milioni 695 mila spettatori con il 48.76% di share, la seconda 8 milioni 712 mila pari al 64.89%. Un anno fa la prima parte dell'ultima serata del festival era stata seguita da 12 milioni 763 mila spettatori pari al 50.77% di share, la seconda da 10 milioni 8 mila con il 65.48%.
Con la vittoria degli Stadio a Sanremo esulta la comunità musicale emiliano-romagnola, nella quale la band bolognese è da decenni orgogliosamente inserita. Fra i primi a complimentarsi con Gaetano Curreri e soci non poteva non esserci Vasco Rossi che con la band ha un ultra decennale rapporto di collaborazione Curreri ha suonato ed arrangiato i primi due album del Blasco. "Quattro Stadi, quattro premi. Sbancato il festival di Sanremo. Evviva", ha scritto Vasco a notte fonda sulla sua pagina. E sempre via Facebook sono arrivati anche i complimenti di Gianni Morandi che ha postato un video nel quale si vede l'esibizione degli Stadio in tv con il cantante che si felicita con Gaetano Curreri
"Visto che è andato tutto bene, cercheremo di fare il terzo Festival". Carlo Conti, sollecitato dal direttore di Rai1 Giancarlo leone, ha già sciolto la riserva anche come conduttore oltre che come direttore artistico per la prossima edizione del Festival di Sanremo. "Non c'è due senza tre", ha scherzato. Nella conferenza stampa finale di Sanremo, il direttore di Rai1 Giancarlo Leone ha spinto sull'acceleratore 'investendo' ufficialmente Conti della richiesta della Rai di condurre anche la prossima edizione, di cui sarà - come da contratto - direttore artistico. "Due anni fa - ha sottolineato Leone - ho creduto e voluto fortemente Conti come conduttore e direttore artistico, mi sono assunto totalmente la responsabilità e oggi sono felice che questa scelta sia stata premiata da pubblico e critica, a dimostrazione del valore artistico e professionale e della necessità di costruire un progetto a lungo termine sul festival".

La serata è cominciata con l'esibizione di Francesco Gabbani, il vincitore del Girone Giovani e il ripescaggio di Irene Fornaciari, scampata all'esclusione. Trionfatore della serata Renato Zero, davvero un mattatore, irresistibile con il suo linguaggio pieno di locuzioni che solo Panariello riesce a capire. Un medley in chiave orchestrale, "Favola Mia", "Più su", "Amico", "Nel giardino che nessuno sa", "Cercami", "Il cielo", "I migliori anni", poi "Il triangolo" e "Mi vendo" prima del nuovo brano "Gli anni miei raccontami". Per la prima volta, dopo quattro serate di travolgenti performance, Virginia Raffaele è stata se stessa, una sfida per chi è abituato a interpretare un personaggio.

Nel suo ruolo di super etoile, è arrivato Roberto Bolle in chiave rock e pop: prima ha ballato un assolo di "We Will Rock You" dei Queen, poi ha ballato "La notte vola" con Virginia Raffaele. Cristina D'Avena invece all'Ariston è stata spinta da una petizione rimbalzata tra radio e i Social. Tutto il cast fisso sul palco a chiedere le sue canzoni e le sigle: prima "Il valzer del Moscerino", che lei ha cantato allo Zecchino d'Oro, poi "Kiss Me Licia", "La canzone dei Puffi", "Occhi di gatto". In chiusura "La pioggia" di Gigliola Cinquetti, la canzone preferita da Cristina D'Avena, che è un fenomeno pop trasversale che ha contagiato anche il pubblico più insospettabile. Ancora una volta Elio e le Storie Tese hanno trovato il modo di rimanere nella storia del festival: stasera sono arrivati in scena travestiti da Kiss, ultima trasformazione di una lunga serie che li ha visti arrivare all'Ariston con i costumi da Rockets, da musicisti mozartiani, persino da nani.
La parte comica è stata affidata a Giorgio Panariello e Leonardo Pieraccioni, gli amici di sempre di Conti: arrivati dalla platea come ospiti a sorpresa, i tre vecchi amici hanno scherzato sulla moda della reunion. Prima una raffica di battute sul super lavoro di Conti in tv: "con te non si può parlare, stai sempre in tv. La tu moglie quando vuole fa l'amore si rivolge a Chi l'ha visto". A proposito delle reunion: "ma avete visto i Pooh? Sono come Dorina Gray: loro restano giovani e invecchia solo Riccardo Fogli". Dopo aver mostrato il manifesto dello spettacolo che i tre facevano nel 1995, hanno proposto una serie di poster dello spettacolo nel caso in cui Conti non potesse partecipare alla reunion: tra questi uno con Matteo Renzi. "E' di Firenze come te, vuole fare tutto lui come te e non sa una parola d'inglese come te". "Ma l'avete interpellato?". "Ma perché lui c'ha interpellato quando ha deciso di fare il Presidente del Consiglio?". Tra le alternative il poster con Chewbecca, "è alto come Garko, ed è amato come Garko". "Ma non si capisce quando parla" ha detto Conti mentre i suoi due amici ridevano, poi l'impiegato del comune di Sanremo fotografato mentre timbrava il cartellino in mutande. Il tutto per annunciare la serata che i tre terranno all'Arena di Verona il cinque settembre.

009

Il primo approccio del cantautore Gianni Togni con la musica avviene in giovanissima età, attraverso lo studio del pianoforte e della chitarra. Nel 1975 pubblica un album molto vicino alle sonorità jazz, segno della sua naturale propensione all’originalità. Il grande amore nei riguardi della musica lo avvicina all’ascolto e allo studio di ogni genere e ciò, nel tempo, arricchirà di preziose contaminazioni la sua vastissima cultura musicale.

Dopo la metà degli anni settanta è il supporter del complesso “I Pooh” e nel corso di un’intensa collaborazione durata tre anni scrive numerosi brani d’amore, poiché questo è il genere che li ha portati al successo. Nel ’78 un ultimo, lungo tour negli Stati Uniti e in Canada con il famoso gruppo; al suo rientro in Italia incontra Giancarlo Lucariello, ex produttore de “I Pooh”, il quale apprezza molto la sua produzione artistica e fra loro inizia una collaborazione, che andrà avanti per due anni. Infatti, firma un contratto con la CGD ed entra in studio in qualità di arrangiatore con Maurizio Fabrizio. Al cantautore però non piace il fatto che sostanzialmente si producano brani con suoni ed arrangiamenti troppo simili, poiché ritiene che un bravo produttore discografico dovrebbe avere in primis la capacità di interpretare ciò che desidera esprimere un artista.

Ognuno dovrebbe mettere a disposizione la propria professionalità e le proprie energie, per produrre un disco con sonorità non confondibili con altri brani, altrimenti si rischia di creare un prodotto omologato.

Il grande successo verrà decretato nel 1980 dall’album che contiene pezzi destinati a diventare dei classici del pop italiano; fra essi “Luna”, un vero hit di quegli anni, nei quali Gianni inizia un sodalizio con Guido Morra, autore dei testi.

Seguirà un periodo di continui successi discografici, nel corso del quale pubblica altri album, che lo renderanno famosissimo anche all’estero; i testi delle sue canzoni verranno tradotti in inglese e in spagnolo e nel 1982 il cantautore arriverà persino in Giappone. Nel 1984 Gianni scrive la colonna sonora del film “Il futuro è donna” di Marco Ferreri, dove canta in inglese e nello stesso anno il brano “Giulia”, che resterà a lungo in vetta alle classifiche.

Dopo il 1988 egli inizia a produrre per qualche anno artisti emergenti, si dedica alla composizione e viaggia moltissimo ed è proprio durante un suo soggiorno a Londra che scopre il musical e nasce un’immediata passione. Nel 1993 egli tornerà ad incidere un nuovo album.

Fra il ’94 e il ’95 inizia a comporre le musiche per il suo primo “musical italiano sinfonico”, una partitura lunga, un lavoro faticosissimo ed anche dispendioso, quindi, difficile da mettere in scena.

Nel 1996 rientra nella casa discografica CGD ed arriva un successo inaspettato con “Cari amori miei”; in quel periodo l’incontro con Massimo Ranieri, che lo porterà a realizzare il musical sul quale aveva profuso tante energie; il sogno diventa realtà. Infatti, finalmente andrà in scena “Hollywood ritratto di un divo”, protagonista l’eclettico Massimo e un cast di venti cantanti-attori, per la regia dell’indimenticabile Giuseppe Patroni Griffi. Il musical ottiene un grande successo e verrà replicato per ben tre stagioni. Gianni Togni scriverà canzoni e le musiche di altri spettacoli per il suo amico Massimo, anche per alcune produzioni in Portogallo e Francia e si dedicherà alla composizione di musiche per diversi programmi televisivi.

Nel 2001 un’altra importante sfida, il musical sinfonico su Greta Garbo “G G”, per il Teatro Stabile di Stoccolma. Al debutto dell’opera una standing ovation di quindici minuti; seguiranno repliche per mesi. Nel 2008 il musical “Poveri ma belli”, con Bianca Guaccero, Michele Canfora, Antonello Angiolillo e trenta fra cantanti, attori e ballerini. Le coreografie di Franco Miseria e la regia di Massimo Ranieri.

Oggi, a differenza degli anni passati, Gianni non è più vincolato da contratti con case discografiche, quindi, è libero di dedicarsi a ciò che ogni giorno sceglie di fare. Nel 2012 un’altra interessante esperienza al “Musical Europa Festival” a San Benedetto del Tronto.

L’artista continua sempre le sue sperimentazioni musicali, viaggia, scrive musica e nel marzo del 2015 è uscito il suo nuovo disco “Il Bar del Mondo” per dar voce a tanti “eroi invisibili”, ma di questo parleremo meglio nell’intervista che il cantautore ha rilasciato al nostro giornale.

COPERTINA GIANNI TOGNI BAR DEL MONDO

Sei un raffinato musicista, un grande esperto di musica. Qual è il suo rapporto con la Musica Classica?

Ho un ottimo rapporto con la Musica Classica. A tal proposito, prossimamente dovrei incontrare gli alunni del Conservatorio di Santa Cecilia (Roma). L’arrangiamento è previsto per sedici clarinetti, un pianoforte, percussioni e coro jazz. Ascolto ed ho sempre ascoltato ogni genere musicale, senza pormi alcun confine. Quando un qualcosa non mi è chiaro, cerco di superare il limite attraverso molteplici ascolti. Ma qui si apre un discordo lungo e complesso. Generalmente, si tende ad apprezzare subito un brano che abbia un collegamento con una musica già presente nella nostra memoria. Ma la musica “tonale” presuppone delle gabbie; sarebbe opportuno ascoltare ciò che è “atonale”, anche se è più difficile, quindi si fa sicuramente maggior fatica a comprendere. Ma se tutti reagiremo così, non impareremo più nulla di nuovo. Io prima di comporre ho bisogno di pensare, di riflettere a lungo, con attenzione e poi scrivo… Il talento a volte si può ritorcere contro; quindi, bisogna coltivarlo, alimentarlo, irrorarlo di nuovi spunti, di nuovi percorsi.

La ricerca di sonorità innovative, magari lontane e talvolta straordinarie, mi consente di allenarmi. Per comporre musica, devo prima di tutto alimentare il mio spirito. Ogni disco deve stupire me, prima di stupire gli altri!

Quando hai iniziato a seguire lo studio della musica, nelle sue più svariate accezioni?

Ho iniziato nell’adolescenza ad ascoltare e riascoltare pezzi musicali di ogni genere; ritengo che questo sia un esercizio indispensabile per chi desidera fare musica. L’arte nasce dall’arte! Fra gli anni ’60 e gli anni ’70 sono stati prodotti brani unici nella storia della musica, poiché ogni artista aveva caratteristiche diverse, in base alle proprie peculiarità; pertanto, non era possibile confonderlo con altri cantanti. Anche tra gli anni ’80/’90 c’è stata una produzione musicale di grande qualità; questi i due periodi storici in cui, sebbene con modalità espressive distanti, sono stati creati successi immortali. In seguito, purtroppo, questa grande concentrazione di hits non si è più verificata.

Per quale motivo, secondo te, oggi nella musica, come nell’ambito dell’arte in generale, si tende a riproporre le stesse cose?

Attualmente il panorama musicale è mediocre. Le sonorità sono ripetitive, monotone, banali. I brani che ascoltiamo hanno quasi tutti l’arrangiamento alla “Coldplay”; purtroppo, mancano le idee e l’educazione alla cultura. Ti faccio un semplice esempio. Come si fa ad avere l’idea della bellezza di un’opera d’arte, ad apprezzarla, se non si è abituati ad andare a visitare mostre di quadri? Purtroppo, in Italia la cultura non occupa più il posto che le apparterrebbe di diritto, visto che deteniamo una gran parte del patrimonio artistico-culturale presente a livello mondiale, grazie a musicisti, pittori, architetti, scultori italiani di raro talento. Solo nel nostro Paese non si vendono più dischi e libri e questo dovrebbe farci riflettere; il regresso culturale in atto oramai da diversi anni ha generato disinteresse e demotivazione, soprattutto fra i più giovani. La mancanza di opportuni stimoli allontana dalla cultura la maggior parte delle persone. A volte, mi capita di entrare in case piene di “monoliti”, che non servono assolutamente a nulla e magari non esiste un impianto stereo, poiché per questo non si trova più posto. Tutti gli oggetti inutile che oggi teniamo in casa, un giorno saranno i veri testimoni della nostra noia. Siamo un popolo di strani “accumulatori”, che privilegiano l’effimero all’oggetto utile, quale un libro, un disco.

In quale occasione è scoppiata la tua grande passione verso il musical?

Ho assistito al primo musical durante uno dei miei viaggi a Londra; si trattava di “Chess” (Il gioco degli scacchi) degli Abba, un enorme successo. Poi, tornai nella capitale britannica per trascorrere il Capodanno e ricordo il freddo patito fuori dal botteghino per acquistare i biglietti de “The Phantom of the Oper” (Il Fantasma dell’Opera), un’opera straordinaria. Successivamente, conobbi l’autore dei testi de “I Miserabili”, che mi fece lavorare dietro le quinte di un musical come “ragazzo di bottega”, ma quando hanno scoperto chi fossi mi hanno cacciato… Però, è stata un’esperienza preziosa, poiché ho rubato con gli occhi tanti particolari del mestiere, che permettono di giungere ad un risultato migliore.

Sempre a proposito di musical vorresti parlarmi della tua opera “G G” che nel 2001 hai dedicato alla diva Greta Garbo?

Ho scritto le musiche, ho curato gli arrangiamenti e la produzione artistica globale di questa opera per il Teatro Stabile di Stoccolma; è stata un’esperienza importante, che mi ha riservato tante soddisfazioni. Se non mi credete, ho diversi testimoni che al termine della prima hanno assistito ad una lunghissima standing ovation! All’estero c’è una cultura musicale molto forte, che non risente della crisi, contrariamente a quanto sta avvenendo da noi. Sono arrivato in Svezia che non conoscevo la loro lingua e il mio inglese era scolastico. Ma in poco tempo mi sono inserito ed ho acquisito senza particolari problemi una certa dimestichezza. Come sempre, ci vuole volontà.

Perché è così difficile fare musical in Italia?

Pur avendo scritto diversi musical, ritengo che nel nostro Paese non esistano i presupposti per fare questo genere di opere, poiché oggi i produttori chiedono nomi famosi, per essere certi del successo e qui l’unico artista veramente completo, poliedrico è Massimo Ranieri, difficile trovarne altri. All’estero se ti interessa uno spettacolo, vai a vederlo, al di la del nome del protagonista, la salvaguardia sta nella qualità, non nel nome; qui da noi non è così. Quindi, i produttori prendono nomi famosi all’estero e li portano in Italia.

Mi piacerebbe fare altri musical, ma ci si trova con un “canovaccio” difficile da rispettare; il musical non deve assoggettarsi a chi lo crea. L’autore dovrebbe annullare se stesso e limitarsi a mettere a disposizione la propria creatività e le proprie capacità; non si deve fare un’opera a propria immagine e somiglianza. Ma nel nostro Paese siamo rimasti troppo provinciali!

Ritieni che per un musicista esista un punto d’arrivo?

Non esiste un punto d’arrivo. Io dopo aver scritto qualcosa, ogni volta ricomincio daccapo, alla ricerca di nuove emozioni attraverso le note. Credo che la morte di un artista si compia quando egli pensa troppo al passato. Ho pubblicato da poco un disco, ma sono consapevole del fatto che il prossimo sarà completamente diverso dall’ultimo, poiché ho già in mente qualcosa. Molti autori scelgono strade diverse, forse per comodità e alla fine non si aggiunge nulla di nuovo. Un testo bisogna saperlo fare suonare. Tra significato e significante, io personalmente scelgo il secondo. I miei testi partono da una realtà, ma una volta superata diventano surreali. Oggi l’autore non si inventa più nulla.

Nel tuo ultimo e splendido disco “Il Bar del Mondo”, uscito nel marzo 2015, ho notato riferimenti alla musica progressive e all’indie rock, con melodie e ritmiche sempre in movimento. Vorresti raccontarmi come è nata l’idea di questo nuovo album?

L’idea è nata mentre stavo effettuando i lavori di ristrutturazione del mio immobile. Durante il giorno ero costretto a trascorrere fuori casa parte della giornata; quindi, mi fermavo al bar sotto casa e un giorno cominciai a prendere appunti su tutto ciò che vedevo passare davanti a me. Sono venute fuori tante realtà da raccontare, tanti personaggi con le loro storie. Quindi, ho realizzato questo disco ispirandomi al bar, che può diventare luogo di cultura. Questo disco è stato inciso anche in doppio vinile, come amo fare. Infatti, continuo ad essere convinto che l’ascolto del vinile faccia la differenza, anche se siamo ormai nell’era del digitale.

“Il Bar del Mondo” l’ho composto e realizzato tra giugno 2013 e luglio 2014 ed ha avuto tre masterizzazioni. L’album è stato registrato in Italia, ma la masterizzazione l’ho effettuata a Londra con il tecnico del suono John Weber, del quale ho apprezzato la sensibilità. Per fare il transfer è necessario avere una competenza che in Italia non c’è più. Alcune parti dell’orchestra sono state registrate con la Ciech National Symphony Orchestra,( l’Orchestra Sinfonica di Praga), composta da sessantasei elementi, senza sapere esattamente come avrei utilizzato la musica. Una volta rientrato a Roma, ho composto i brani utilizzando parte di quell’orchestra; infine, ho scritto i testi. Vorrei sottolineare che questo disco è stato inciso senza l’ausilio di campionamenti.

Un’ultima domanda: segui i talent show?

No, ho scelto di non vederli. Preferisco altri programmi, magari un buon film.

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