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La_forma

 

“Adolf Portman (1897-1982) cominciò a disegnare animali quando ancora era un bambino e appena cominciava ad apprendere i nomi. Egli sarebbe divenuto il più grande studioso della forma esteriore degli animali. Nei suoi scritti rimarca ripetutamente la povertà del selezioniamo, scrivendo , tra l’altro: «La forma funzionale pura e semplice, che taluni tengono in grandissima considerazione come la più conforme alla natura, è un caso raro e del tutto particolare … Guardando (l’involucro degli animali) per lo più abbiamo l’impressione di trovarci di fronte al prodotto della fantasia senza scopo, e, più che ad una necessità di ordine funzionale, ci vien fatto di pensare all’opera festosa di un capriccioso gioco delle forze creatrici».

L’analisi di Portman inizia da una critica alla filosofia della ricerca. L’uomo – egli scrive- è così dominato oggi dall’idea che la scienza si identifichi con la conquista della natura, dall’orgoglio per la sua tecnica, da una concezione utilitarista della sua attività, che non riesce a vedere nella natura, e in particolare negli animali, che strumenti di lotta, attrezzature tecniche, ritrovati utilitari. Al resto, e in particolare alla forma esteriore dei viventi, o viene offerto uno scopo accessorio, o non viene concesso alcun interesse. Prima di rivolgersi verso la natura dobbiamo liberarci di questa immagine riduttiva della realtà, che è stata invece particolarmente accentuata dalle prime opere di Darwin e da quelle dei suoi successori. Portman ci invita verso quei campi di attività «dove l’oggetto della ricerca non sarà soltanto stabilito dal sentimento di potenza che viene dalla dominazione, ma verrà piuttosto ispirato dal senso di meraviglia e di rispetto che circonda tutto quanto è misterioso».

La forma degli animali (Tiergestalt) esprime l’arte pittorica e la fantasia grafica della natura. In molte specie l’eleganza della raffigurazione non ha alcun valore «ottico» perché si tratta di specie che vivono nell’oscurità.

In qualche caso limite possiamo farci un’idea sul modo in cui si formano i disegni, ma non sul loro scopo (che probabilmente non esiste). I disegni delle conchiglie di Gasteropodi sono prodotti dal margine del mantello, da cui i pigmenti sono segreti. Se la secrezione è limitata ad alcuni tratti del mantello ed è continua avremo strisce perpendicolari al margine della conchiglia. Se interessa tutto il mantello ma è ritmica, avremo strisce parallele al margine. Se è limitata e ritmica avremo disegni reticolari.

Nei Vertebrati le manifestazioni della forma sono di più difficile interpretazione. Se ne consideriamo la funzione ne possiamo capire «qualcosa», ma se ne perdiamo di vista il valore fondamentale, che è quello di esibire un significato, cioè di «rendere manifesta, nel linguaggio dei sensi, la peculiare natura di singoli esseri viventi e di portare, di detta natura, la testimonianza diretta nelle loro fogge particolari». Questo è ciò che Portman chiama il «valore di presentazione» (Darstellungwert). Quello che distingue due specie vicine (come notato dall’ultimo Darwin) non è la necessità funzionale. L’elefante africano e quello indiano differiscono chiaramente; ma non c’è alcuna funzione che li distingua. Ciò vale ancora di più per quel che riguarda la forma e il colore del becco delle varie specie di uccelli. «Tali differenze eccedono di gran lunga qualsiasi necessità di ordine funzionale». Esse sono il contrassegno, il marchio di identificazione delle specie. Attraverso esse l’individuo esalta ed esprime la propria identità specifica, e altresì l’appartenenza ad un sesso e la sua età.

Il portamento e l’atteggiamento contribuiscono a manifestare il livello di organizzazione degli animali superiori. Un fatto messo in particolare evidenza da Portman è che, quanto più è elevata l’organizzazione, tanto più gli elementi della forma contraddistinguono la testa, come il polo guida dell’organismo. Nei pesci i colori sembrano distribuiti senza alcuna regola. Macchie, strisce, bande, fiamme possono apparire in tutto il corpo senza nessuna relazione colla struttura interna o coll’estremità cefalica. Anche negli anfibi e nei rettili la testa è poco marcata e inespressiva. Nei mammiferi a basso livello di organizzazione, come negli spermofili e negli scoiattoli, le bande longitudinali che suddividono il tronco a strisce non hanno alcun rapporto con la testolina disadorna. Se invece osserviamo la tigre, ecco che le strisce mettono in evidenza le masse muscolari del corpo, e raggiungono nella testa uno splendido disegno che pone in rilievo con tratti marcati gli occhi e gli orecchi. E quando il suo muso è eccitato la sua immagine esprime violenta le forze occulte della natura. Quanta nobiltà nel musa del cavallo, nei suoi occhi, nelle orecchie, nelle narici e quale alta dignità nel suo portamento!

Elevatezza, nobiltà, dignità, così come modestia e timidezza sono espresse dalle forme degli animali. Esse manifestano la natura profonda dell’essere. Esse sono modi dell’esistenza e del vivere, espressione della natura, suoi simboli. Piccolo è il loro scopo, grande il loro significato.”

Non è possibile descrivere il lavoro di Adolf Portmann (1897-1982) con parole più adeguate di quelle che scrisse, nel lontano 1981, il prof. Giuseppe Sermonti (Le forme della vita. Introduzione alla biologia, Armando editore, 1981, pagg. 56-59) grande ammiratore del biologo basileo.

La forma degli animali è il volume di recente pubblicazione da Raffaello Cortina Editore (pagg. 248, Euro 24,00) che porta finalmente all’attenzione del lettore italiano un opera che, pur inserendosi in un contesto evoluzionista affronta il tema con grande senso critico. L’osservazione delle forme animali lo porta a uscire la filone finalistico e aprirsi all’ignoto fino ad “avvertire la misteriosa grandezza di ciò che accade in natura ed essere coscienti di quanto limitate siano le nostre conoscenze in relazione al problema della vita: questi due presupposti ci fanno assumere una posizione completamente diversa di fronte a fenomeni naturali come quello della fioritura delle piante. La configurazione di queste meravigliose strutture come organi della visibilità è per noi un fatto tanto misterioso quanto l’emergere delle forme animali superiori. Lo studio della forma pone quindi a botanici e zoologi gli stessi identici problemi”.

Porsi nel filone evoluzionistico significa, per Portmann, mettere in discussione Darwin e specialmente le sue conclusioni che afferma “valere non per l’origine, ma al massimo per la conservazione di fiori che erano già vistosi di loro (…); come questi bei fiori si siano sviluppati resta un mistero non meno profondo di quello dell’origine degli animali”.

Un biologo aperto alla bellezza, al mistero, che si pone delle domande ma che non trova necessariamente delle risposte obbligate ed ha il coraggio di pronunciare la parola” ignoto”.

Fatto

 

Vivere tutta la propria vita da missionario e in un paese come la Birmania è sicuramente un’avventura e venire in contatto con la quotidianità di un beato è sicuramente molto edificante e utile non solo per un missionario o un sacerdote, ma anche per un fedele laico.

E questa è l’avventura che si vive avvicinandosi alla vita del beato Clemente Vismara (1897-1988) missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere), sacerdote dal 1923 e subito destinato alla Birmania orientale dove rimarrà fino alla morte. Attraverso le sue numerosissime lettere e articoli che scriveva riviviamo la vita di tutti i giorni con le difficoltà e le gioie di questo santo missionario raccolte e commentate da p. Piero Gheddo. P. Gheddo. sacerdote e giornalista e missionario del PIME, con i suoi articoli e biografie ha contribuito moltissimo alla conoscenza delle missioni e dei missionari. Il volume è appena stato pubblicato da Emi col titolo significativo: Fatto per andare lontano. Clemente Vismara, missionario e beato (1897-1988), Emi edizioni. Fatto per andare lontano: questa frase esprime alla perfezione il carattere del beato che “non si accontentava mai dei risultati raggiunti, puntava sempre più in alto, più in là, verso nuovi orizzonti”. E questo non era lo slancio del giovane missionario, ma anche del giovanissimo ottantenne che programmava sempre la sua giornata, il suo lavoro, la sua missione pensando sempre al futuro e morendo a 90 anni senza essere mai invecchiato.

Il volume, impreziosito da un ricco corredo di immagini, offre uno spaccato della storia della Birmania del secolo scorso e presenta queste popolazioni descrivendo il loro carattere e quanto la loro conversione al cattolicesimo abbia portato di miglioramento anche materiale nelle loro vite. È lo stesso Vismara, che senza giri di parole e molto schiettamente racconta il cambiamento attraverso la descrizione dei villaggi cristiani paragonati a quelli non cristiani. Da una parte la pulizia, l’operosità, l’ordine, dall’altra l’ignavia, l’incuria. La fecondità del cristianesimo che si inculturava felicemente in queste popolazioni portava frutti anche vocazionali e ne sono testimonianza le suore e i sacerdoti cattolici usciti da queste terre di missione.

Ma è la freschezza delle numerose lettere e articoli riproposti a fare di questo volume un unicum che ci porta nella normalità della santità. La gioia per l’arrivo di un panettone (quasi due mesi dopo il Natale) da dividere con le sue suore, la generosità nel dare la sua giacca di militare, alla quale era molto legato, ad una persona che non aveva niente e che di lì a poco sarebbe sicuramente morta. Questi e mille altri episodi che provocavano l’infinita generosità dei suoi compaesani che alimentavano e tenevano in vita il suo lavoro missionario per la salvezza delle anime, un uomo che “non era un missionario come gli altri e avrebbe segnato la storia del PIME”.

Federico Capone col suo Viaggio nel Salento magico. Dove si racconta di folletti e streghe, di fate, orchi e sirene, del venefico morso della tarantola, di fatti di vita quotidiana, di usi, di costumi e di superstizioni, con fiabe e filastrocche ,ci guida in modo inusuale ed accattivante nel fascino della Terra d’Otranto dove sta nel suo sapere ancestrale arricchitosi nei secoli, e per tutto il medioevo, grazie al passaggio di genti e culture diverse, e conservatosi, poi, in epoca moderna, quando, col cambiare delle rotte, da snodo centrale del Mediterraneo, l’antica terra fra due mari, la Messapia appunto, divenne estrema periferia d’Italia

L’autore ,novello Virginio, ci traghetta in questa “Terra del rimorso”, come la descrisse Ernesto de Martino nel 1959.

Parimenti qui tutto è “tarantola, tarantismo, tarantella. pizzica”.

Il fenomeno del tarantismo è comunque iscritto in un sistema ideologico complesso e antico, presente sino a pochi decenni fa, oltre al Salento, solo in alcune regioni dell'Italia meridionale ed in Spagna.

Il viaggio antologico ha inizio con le testimonianze proposte risalenti ad epoche veramente insospettabili, che vanno dal II secolo a. C., quando Nicandro di Colofone narra nelle sue Metamorfosi della battaglia a passi di danza combattuta fra le ninfe Epimelidi e i giovani pastori messapi, per poi raccogliere le narrazioni di Goffredo di Malaterra, Alberto di Aquisgrana e Girolamo Mercuriale fino ad arrivare alla fine del XIX secolo.

Nella seconda parte del libro l’autore ci introduce nelle “terra del rimorso” attraverso le leggende raccolte da Giuseppe Morosi nella Grecìa Salentina, ma anche con le credenze, gli usi e le superstizioni annotate dai pionieri dell’etnologia salentina: Trifone Nutricati Briganti, Giuseppe Gigli e Sigismondo Castromediano.

Si delinea un quadro a tutto tondo di una Terra d’Otranto crocevia di genti e culture diverse,da quella messapica a quella greca, latina, turca,spagnola e da snodo centrale del Mediterraneo, estrema periferia d’Italia.

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