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Sabato, 21 Settembre 2024

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E' stato presentato al castello del drosso di Torino il libro di Federica Vanossi.
L’insediamento del Drosso sorge nel quartiere di Mirafiori Sud, all’estrema periferia di Torino al confine con Beinasco, in una porzione del bacino del torrente Sangone. Il complesso è costituito da un castello fortificato, che occupa l’area a sud-ovest del sito, e da due cascine di pertinenza, la Torta già Gromis ad est e la Perino già Robilant a nord.

Il sito sorge a pochi chilometri dalla confluenza del Sangone con il Po: il forte dislivello tra la piana torinese e l’alveo del torrente assegna al manufatto una posizione privilegiata, elevandolo di quasi venti metri dalla pianura sottostante, dando origine a una naturale difesa dell’edificio e permettendo il controllo di quello che un tempo era un’estesa proprietà agricola composta di campi coltivati e boschi ricchi di selvaggina.

Federica Vanossi nasce a Torino da padre lombardo e madre greca.

Ha frequentato il liceo classico ed in seguito si è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne. Prosegue gli studi, portando a termine il corso triennale di giornalismo.

Dopo aver insegnato letteratura inglese e francese nei licei della città di origine, decide di occuparsi di traduzioni e di correzioni di bozze. Così facendo, può dedicarsi alla scrittura di racconti e libri che prendano spunto da esperienze realmente vissute.

Ha pubblicato il primo romanzo nel dicembre 2014, Sonata a quattro mani. Andante con amore (Altro Mondo editore), seguito, nel 2015 da “Tu ami i bonsai, io li detesto” (Sillabe di Sale editore) e nel 2016 da “Ad ogni stantuffo riempito d’inchiostro” (Sillabe di Sale editore).

In ogni romanzo scritto, compare, anche se marginalmente, la Grecia, che rappresenta la terra materna e l’unico luogo in cui, lei stessa, si senta a casa ed è il soggetto principale dell’ultimo romanzo.

“Ad ogni stantuffo riempito d’inchiostro”, conclude una trilogia che rappresenta un viaggio interiore, finalizzato a trovare risposte a quesiti che hanno ostacolato il cammino della protagonista.

Nello specifico di questo terzo romanzo, dedicato alla madre, Federica Vanossi, analizza la fine di un’amicizia con un fotografo greco, per comprendere, in itinere, che la rabbia e la sofferenza, sono legati ad una lunga lontananza da un paese di cui si sente parte. Il ritorno, dopo più di vent’anni e motivato dalla morte precoce della madre, la spinge a trasformare quella che sembrava l’apologia di un amore, in un’ ode alla Grecia, descritta con le emozioni che suscitano le numerose fotografie scattate dal fotografo.

Il titolo prende spunto dal connubio tra immagini e racconti scritti sul promontorio di Capo Sounion con una vecchia penna stilografica che si carica immergendo il pennino nell’inchiostro, quindi a stantuffo.

“ Canto e suono da sola ma consiglio di provare in una notte di luna piena, le stelle e l’Egeo come spettatori, il Partenone che accorda le colonne per accompagnare una danza a piedi scalzi, che gridano di gioia verso il cielo e una macchina fotografica, abbandonata sulla scala che conduce al punto più alto.

Danzo, canto e suono da qui alle stelle ed oltre e poi ancora e ancora.

E infine lo dico in greco:

“S’agapò Ellada mou, apò edò, o sta asteria kai para pera”

Ti amo Grecia mia fino alle stelle ma anche ancora piu su....

In questi giorni la Giuria della XXVIII Edizione del Premio Letterario Camaiore 2016, costituita dal Presidente Francesco Belluomini, Corrado Calabrò, Emilio Coco, Vincenzo Guarracino, Paola Lucarini e Mario Santagostini ha decretato la lista degli autori candidati che concorreranno alla determinazione dei cinque finalisti, del vincitore del “Camaiore proposta Opera Prima Vittorio Grotti” e del “Premio Internazionale 2016”.

La suddetta lista di candidati è consultabile sull’homepage del Comune di Camaiore (www.comune.camaiore.lu.it)

Il prossimo 18 giugno presso l’Hotel Capri di Lido di Camaiore ogni decisione verrà presa in sede collegiale e nello stesso contesto il Poeta Belluomini, fondatore e Presidente del prestigioso Premio, confermerà le sue scelte in merito al premio Speciale 2016 e alle diverse Menzioni Speciali, attribuite agli autori delle opere che risultino di particolare interesse a livello storico e contemporaneo.

Sempre riguardo le Menzioni Speciali, esse verranno riconosciute sia alla poesia italiana, che a quella russa, oltre ad un’ulteriore Menzione Speciale.

Insomma, al Premio Camaiore fervono i preparativi e l’emozione fra i vari candidati, anche autori internazionali, comincia a salire alle stelle; in questa atmosfera, ognuno di essi inizia a sognare il podio.

In questa fase, il compito dei membri di Giuria è delicatissimo e richiede un attento esame, frutto di un’elevata competenza specifica nel campo letterario e culturale.

Sotto questo profilo, già nelle passate edizioni, le Giurie susseguitesi sono sempre state di notevole levatura. Quindi, non resta che aspettare i risultati finali, che si definiranno dopo il voto della Giuria popolare.

Infatti, come di consueto, le copie delle cinque opere finaliste saranno consegnate entro il mese di luglio ai componenti della Giuria Popolare, costituita da 50 membri, i quali oltre ai libri, riceveranno una scheda di valutazione e votazione dell’opera scelta.

Le suddette schede, in busta sigillata, verranno infine riconsegnate dai Giurati popolari in sede di premiazione.

La Cerimonia conclusiva di questo atteso appuntamento con la Cultura e la Poesia, dal successo ormai consolidato nel tempo, anche grazie agli ampi consensi in ambito letterario e giornalistico, sia a livello nazionale che internazionale, è prevista per il 17 settembre 2016.

La location nella quale si svolgerà la Serata di Premiazione è l’UNA Hotel di Lido di Camaiore.

Per aspera ad astra!

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Nell’ambito degli eventi culturali promossi in occasione de Il maggio dei libri, la Fondazione D’Ettoris ha organizzato la XIII edizione del Premio maggiori lettori, scrittori e artisti.

La premiazione ha interessato le scuole ˗ I. C. Vittorio Alfieri, I. C. Benedetto XVI, I. C. Giovanni XXIII, I. C. Margherita e I. C. Antonio Rosmini ˗ che durante l’anno scolastico 2015/16 hanno preso parte alle iniziative sostenute dalla Fondazione presso la biblioteca Pier Giorgio Frassati, quali Dossier storia, Le fate e le principesse vanno in biblioteca e Leggifilm.

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Ad essere premiati sono stati oltre 160 bambini tra i 3 e i 13 anni e oltre 300 sono stati i libri donati dalla Fondazione in collaborazione con le case editrici Ancora, Dedalo, EDB, Fabbri, Giunti, Il Castoro, Neri Pozza, Paoline, Piemme, Rizzoli, Salani e San Paolo.

La manifestazione, svoltasi presso il cinema teatro Apollo il 31 maggio, si è aperta con il gruppo di ballo della scuola di danza Maria Taglioni Dance Project, al quale è stato consegnato un attestato di merito. I ballerini hanno esordito con Paquita e, in un secondo momento, hanno intrattenuto di nuovo il pubblico con Un jeu d’enfant, entrambe coreografie di Raquel Tormin.

 

IMG_9054Le classi della “Maria Montessori”, IV D (maestra Giuseppina Valente) e I A (maestra Caterina Affilistro), rispettivamente prima e seconda classificata, hanno ricevuto il Premio Gita, finalizzato alla riscoperta dei beni culturali del territorio calabrese. Esse sono state, infatti, le più assidue frequentatrici della biblioteca e quelle che hanno preso il maggior numero di libri in prestito. A premiarle, il sindaco di San Mauro Marchesato, Carmine Barbuto, che quest’anno ha accolto le classi vincitrici dell’anno precedente.

Inoltre, a premiare alcuni dei maggiori lettori, scrittori e artisti sono stati il Preside Franco Rizzuto ˗ della scuola media “Margherita” ˗ e Fabio Tassone, Presidente AIB Calabria.

Diverse sono state , poi, le classi, che si sono distinte per i migliori lavori artistici, cui la Fondazione ha donato un libro per incrementare la propria biblioteca scolastica.

 

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La serata è stata, tra le altre cose, allietata dall’esibizione dell’ensemble di ottoni della scuola media “Giovanni XXIII”, diretta dai professori Giuseppe Oliveto e Tommaso Gerbasi. I ragazzi hanno suonato l’Inno alla gioia, dalla IX Sinfonia di Beethoven, e il Te Deum di Charpentier.

In occasione di questa XIII edizione di premiazione, la Fondazione ha voluto commemorare il suo fondatore, Giuseppe D’Ettoris, scomparso il 28 luglio 2015. All’inizio della cerimonia i ragazzi e i loro genitori hanno, quindi, potuto conoscere, attraverso la proiezione di un video sulla sua vita, le diverse tappe che hanno portato quest’uomo a donare un lascito importante alla sua amata città.

 

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La dottoressa Maria Grazia D’Ettoris – presentatrice della serata e direttore della biblioteca Pier Giorgio Frassati – ci ha tenuto, infatti, a precisare che se la cerimonia di premiazione ancora oggi viene organizzata è grazie a un uomo che ha creduto nella cultura e nella sua città donandogli tutto ciò che aveva, che ha amato i bambini e la loro fantasia, un uomo che ha avuto come ideali la libertà e l’immaginazione, suo padre.

Sempre per ricordare il fondatore, c’è stata la straordinaria partecipazione del musicista Giuseppe Fico e dell’attore Francesco Pupa del Teatro dell’Acquario e del Teatro Rossosimona: il primo ha arrangiato una canzone scritta e musicata da Giuseppe D’Ettoris dal titolo È l’amor, presentata alle selezioni di Sanremo negli anni ’70; il secondo ha recitato, partendo dalla platea per coinvolgere e divertire il pubblico, due scritti che sono un ulteriore sintomo della personalità vulcanica ed eclettica del fondatore: L’attore e La vostra estate a Crotone – posta tra le prime pagine della guida turistica da lui scritta, Crotone, riviera del Sud.

 

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Una persona da conoscere e ricordare, Pino D’Ettoris, e un esempio per gli oltre mille ragazzi che ogni anno frequentano la biblioteca da lui fondata. La sua forza e caparbietà nel perseguire gli obiettivi sono state ricordate nei saluti del Presidente della Fondazione, Antonio D’Ettoris, con un verso di una canzone di De Gregori, “il capitano non tiene mai paura, dritto sul cassero fuma la pipa”. Perché nei momenti in cui ci sarebbe da avere paura bisogna riconoscere che da soli non bastiamo. Questa è la virtù che fin da bambini bisogna custodire in fondo al proprio cuore, una virtù che appartiene a chi non sa di averla ed è lontana da chi crede di possederla, l’umiltà.

La serata si è conclusa nella gioia dei ragazzi premiati che hanno portato a casa con sé i loro meritati libri. Ad ognuno di loro, un semplice invito: “Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell’esperienza speciale che è la cultura” (Pier Paolo Pasolini).

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#Novellame è il sesto volume satirico di Cassiodoro, questo goliardico campione della satira, che da più di 30 anni, esattamente dal 1983, imperversa nel giornalismo italiano e, soprattutto, calabrese con i suoi pepati corsivi e le sue sagaci “cassionovele”. Ed è appunto da queste ultime che il volume trae i primi contenuti, nel senso che si tratta di una antologia delle migliori narrazioni umoristiche brevi da questi ideate. Alcune di esse sono da cabaret, altre invece sono più agganciate alla politica, all’attualità.

Ma chi è Cassiodoro?

Cesare Orlando, in O.G.M., ne ha scritto in questi termini:

«Come diceva Rabelais, “una risata vi seppellirà”, ed è probabilmente questo, ancora oggi, l’escamotage più utile per uscire indenni dal bombardamento mediatico di cattive notizie cui siamo continuamente soggetti. Ma se ridere fa bene e seppellisce i piccoli grandi stress del quotidiano, fa altrettanto bene ridere riflettendo.

Ed è ciò che fa Cassiodoro, in questi gustosissimi viaggi satirici, alla ricerca di quello che più stimola la sua acuta intelligenza, pescando qua e là “dentro la notizia” con l’occhio del giornalista, permeando il tutto di un’aura di scanzonata ironia. L’autore sembra aver imparato alla perfezione la funzione scardinante e rivoluzionaria che il linguaggio può rivestire, a patto che se ne mescolino abilmente tutti gli ingredienti; il risultato è un vero e proprio pastiche linguistico, che ricorda talvolta le sperimentazioni anarchiche e geniali di Joyce e Gadda.

Il mondo circostante, per Cassiodoro, non è il migliore dei mondi possibili, come Voltaire faceva dire al suo “Candido”, ma è un microcosmo straordinariamente variegato e ricco di spunti involontariamente comici, sui quali si basa l’analisi satirica. E se è vero che è la comicità non voluta, non programmata, a strappare gli applausi più sinceri e divertiti, allora l’autore è riuscito pienamente nel suo intento.

Sfilano così davanti agli occhi del lettore eventi locali, nazionali ed internazionali, tutti trattati con lo stesso disincanto, e sempre flirtati da un lessico che si serve massicciamente di giochi di parole, citazioni “dotte” e gustosissime riflessioni tra il serio e il faceto, che zigzagano abilmente tra i territori della politica, dell’economia, della cultura, perfino del mero “gossip”, sempre con mano elegante e mai banale.

Leggendo con attenzione le escursioni satiriche di Cassiodoro, mi sono immediatamente tornate alla mente le pagine immortali di uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale, quel “Lupo della steppa” di Hermann Hesse tanto osannato dalla critica, che tutti conosciamo.

Gli scenari nevrotici del nostro tempo, dipinti simpaticamente dalle salaci battute di Cassiodoro, infatti, mi ricordano il “teatro magico, solo per pazzi”, nel quale il grande scrittore tedesco faceva liberare tutte le oniriche fantasie del personaggio Harry Haller (pseudonimo non troppo celato dello stesso Hesse).

Era così possibile che Mozart ballasse un minuetto con Goethe, che le guerre non si combattessero più con i carrarmati, ma restando in cima ad un albero, sparando colpi a salve sulle macchine che passavano.

In altre parole, alla satira è concesso di tutto: stravolgere gli schemi tradizionali del quieto vivere, rivoluzionare i linguaggi ed i ruoli sociali, intrufolarsi nei teatrini della politica e deridere le sue marionette, di qualsiasi colore esse siano, sia pure “geneticamente modificate”».

 

Altri, come l’insigne penalista Ernesto d’Ippolito, a proposito di Juliassik Park, ebbe a dire:

«In Italia manca una tradizione di umorismo all’inglese. L’italiano medio non ha il senso del ridicolo, è retore e bolso. Cassiodoro è un italiano anomalo. Egli ridimensiona tutto e tutti, invita al sorriso, alla saggezza, a quella tranquillità dell’animo propria del saggio. Cassiodoro gioca con le parole perché le possiede, ha un uso raffinato della lingua ed informazione, cultura per ogni espressione d’arte, di spettacolo, di gergo, di termini alla moda. E di tutto fa un “uso-cocktail” in una girandola originale, briosa, mai volgare, mai pecoreccia “alla Forattini” (grande vignettista che ha, però, sulle sue non infrequenti cadute di stile!)”.

L’esimio presentatore così continuava la sua analisi: “È fin troppo facile richiamare il precedente e la tradizione di Mario Melloni, “Fortebraccio”.

In Cassiodoro c’è però una vena satirica non solo “di sinistra”. C’è il Don Diego, al secolo Diego Calcagno, de “Il Tempo”; c’è Dino Segre, Pitigrilli. C’è il Montanelli di “Controcorrente” e degli “Incontri” delle “Stanze”; c’è il sig. Veneranda di Carletto Manzoni. I corsivi di Cassiodoro sono “imparentati” col “visto da destra” “visto da sinistra” di Guareschi e “il Gagà che aveva detto agli amici” di Attalo!».

 

Per non dire di Enzo Stancati che ne sottolineava:

«Il momento scherzoso, ammiccante, inventivo, dei giochi di parole e dei doppi sensi si incrocia in Cassiodoro con il risentimento e la vis polemica della satira più autentica. E malgrado egli tenti di identificarsi con l’uomo della strada autodefinendosi in facili versetti “cittadino. / Il pedone il tuo vicino che si guarda attorno e trova / cose strane e gente nuova” si capisce subito che il suo humor ha poco in comune con il buon senso qualunquistico delle maggioranze silenziose, ed esprime invece la coscienza morale ferita di un osservatore attento, colto, impegnato, di una società calabrese e nazionale profondamente ingiusta. Cassiodoro ha scelto di riderne senza mai dimenticare di esserne l’ingranaggio perverso perché crede nella possibilità di una ricostruzione.

Non disincanto, dunque, né evasione, nei suoi corsivi, ma speranza mascherata dal sogghigno. Nel giornalismo cosentino la satira vanta illustri precedenti in alcune testate ottocentesche citate dall’avv. Martire nella premessa al volumetto, alle quali aggiungeremmo il Frà Nicola e l’Ohè dei primi decenni del nostro secolo. Rispetto alla acrimonia provincialistica di taluni di quei fogli, i corsivi di Cassiodoro si connotano per una visuale più ampia e distaccata, per una più precisa ironia. Abbandonandosi finanche alla cadenza del “racconto breve”, come nelle inedite e talvolta poetiche cassionovele».

Su Cassiodoro c’è un aneddoto che vorrei segnalare: la lettera ricevuta in redazione, giuntavi senza sollecitudine alcuna, da tale prof. Lupo della Sila, pseudonimo, ispirato evidentemente dall’anonimato cassiodoreo, il quale ha, senza volerlo, sollevato dal compito di recensire sulle colonne del giornale il libro, avendolo praticamente fatto egli stesso con sua missiva:

 

«Carissimo Cassiodoro,

finalmente ti ho scoperto! Ho scoperto chi si nasconde all’ombra di un illustre pseudonimo calabro.

Fino a quando le sue corsive zampate corrugavano “La Sila”, è stato impossibile individuare la tua cifra e la tua impronta, sminuzzate nei labirinti tematici, sempre imprevedibili, nei cui meandri ci hai beffardamente disorientato. Ma, alla fine, ha commesso un errore! Quando hai raccolto in volume i tuoi scanzonati graffi non è stato difficile leggere in trasparenza la tua forma sotto il cubitale CASSIODORO.

Passo falso, caro il mio “anonimo” graffiatore. Hai perso il vantaggio dell’anonimato e dell’imprevedibilità, dal momento che adesso sappiamo chi sei. Ed è per svergognarti pubblicamente che ti scrivo, delineando i tratti di una tua biografia.

Da qualche anno la vita è stata resa difficile, ai tipo come te, dalla rottura dell’equilibrio biografico, dal turismo, dai gitanti e dai cercatori di funghi. I poveri lupi sono stati risospinti sulle vette sempre più alate della Sila da scalatori sempre più audaci, sempre più intraprendenti, sempre più fastidiosi.

Del lupo non è rimasto che il ricordo di leggendarie razzie, di terrificanti discese dai monti silani giù a valle a seminare paura e sgomento. Ma da quando il dipartimento di ecologia della calabra università ha deciso di chiudere in gabbia i lupi per esporli al ludibrio dei visitatori e il fastidioso esame degli studiosi, i sopraddetti lupi hanno pensato saggiamente di invertire gli itinerari della più antica tradizione e invece che scendere a valle in cerca di cibo hanno preferito una dignitosa morte sulle più alte e innevate cime del massiccio silano.

Qualcuno come te non ha, tuttavia, resistito al fascino della valle e ha tentato, come avrebbe detto proprio Cassiodoro, la “Catabasi” verso la città. Per evitare l’accademica gabbia di Arcavacata ti sei nascosto tra gli uomini, da uomo ti sei vestito e, alla fine, sei diventato quasi uomo, al punto che anche il pelo e i canini ti sono caduti.

Ma la natura di lupo è dura a morire e di tanto in tanto prende il sopravvento.

Ed eccoti, caro lupo Cassiodoro, a mordere dalle pagine della “Sila”. Dalla “raccolta” dei tuoi morsi si evince che non ti piace la società umana. Gusto certo comprensibile e giustificabile dal momento che quella dei lupi è probabilmente migliore, tanto che l’uomo la imita assai spesso come ci ricorda – te lo dico, così, tanto per farti capire che un po’ di cultura la mastico anche io – il nostro padre Hobbes: ti ricordi? “homo homini lupus”.

Saggio come sei, caro lupo Cassiodoro, hai capito subito che combattere l’uomo e la sua società è inutile, anche perché l’uomo, a differenza di te, è dispettoso; più lo combatti e lo accusi e più lui (dovrei dire egli, ma oramai, il pronome di terza persona al soggettivo è decisamente obsoleto) sembra prendere maggior gusto nell’esercizio delle sue vergognose umanità.

Meglio, come fai tu, prenderlo in giro, sbeffeggiarlo, insomma sfotterlo e ridicolizzarlo. Bravo, lupo Cassiodoro, così si fa. Continua pure a mordere e graffiare i biechi lavaggi del cervello che l’uomo si impone, a canzonare i suoi errori e le sue virtù, a giocare con le parole.

Tanto più, caro amico Cassiodoro, che il “bipede” è animale assai strano. Si diverte pure lui ad essere preso in giro. Noi lupi siamo molto più seri e compassati. Noi mordiamo ancora!

Ti rinnovo i miei complimenti per la raccolta. Conservati in salute e ricorda che apparteniamo ad una razza in via di estinzione. Essendo anche io un lupo travestito da uomo ti saluto dandoti appuntamento al solito posto da lupi che tu conosci. Ti abbraccio».

 

Brunella Eugeni, regista RAI, vi intravede:

«una garbata irriverenza di tono letterario – a metà fra la narrativa breve, il racconto umoristico, l’aforisma (E. Vaime, M. Marchesi, S. Lec.) – teatrale – fra commedia americana, avanspettacolo e goliardia (Twain, “Avanzi”, “Il Vernacoliere”) – e televisiva anzi cinematografica, (Woody Allen, Groucho Marx), non a caso il titolo di un volumetto è ispirato a un fortunato film di Spielberg.

Cassiodoro è però soprattutto giornalista la cui penna si ispira in qualche modo a Fortebraccio.

Universitario a Firenze, Cassiodoro soleva frequentare le trattorie del centro dove un omerico e canuto cantore interpretava a memoria “Ifigonia” e gli altri testi profani goliardici ma seguiva anche da vicino l’esperienza di “Cabala” a Compiobbi, satira militante, antesignana di “Il Male”, “Tango”, “Cuore”.

Ma al di là di ipotesi sui parallelismi nominali, a noi gli scritti del Cassiodoro umorista paiono ricordare le satire dell’anonimo Pasquino in quanto pregni di allusioni ed al tempo stesso di latenti messaggi di filosofia di vita.

In più la rubrica “Il corsivo” ci sembra mensilmente delle concatenazioni di concetti, di sigle, di assonanze, di elementi grotteschi in perfetta linea con le tendenze della satira d’oggi, non solo quella scritta.

Nel maggio di quest’anno, nell’ambito della rubrica “Giorno per giorno” prodotta dalla RAI regionale calabrese, questi testi sono stati “recitati” dall’attore Jerry Mussaro ottenendo un risultato radiofonico ineccepibile sul piano della spettacolarità e della godibilità all’ascolto.

Il “salto” dalle colonne di un giornale al proscenio della radio, ha dimostrato che, al loro interno, i corsivi hanno una carica umoristica che li rende, in potenza, materiali plasmabili in direzione anche diverse rispetto alla stampa.

E il fatto di scrivere per un periodico “regionale” non deve essere inteso, per lui e per i suoi lettori, come una “diminutio”.

Anzitutto perché su “La Sila” la satira è presente da tempi precedenti l’ideazione dei vari “Satirikon” (La Repubblica), “Tango” (L’Unità), “Zut”.

Ma soprattutto perché sulle colonne de “La Sila”, Cassiodoro può continuare positivamente una tradizione del giornalismo satirico calabrese che ha radici storiche risalenti, a partire da un secolo fa, a testate come “Il microscopico”, “Fanfullino”, “L’abate Gioacchino” diretto, caso storico da un altro avvocato Francesco Martire».

Il libro consta anche di vignette di uno staff di disegnatori che Cassiodoro nel tempo si è creato dando loro le didascalie di fatto cofirmando vignette e caricature.

I Bronzi (suoi) ne risaltano il punto di vista calabro/magnogreco, mentre nei dialoghi di “Dicunt” l’Autore ha riciclato vari materiali grafici e con l’uso del tablet vi ha fotografato il nuovo (si fa per dire) della politica e della nostra società.

Cassiodoro resta seduto, in una scomoda poltrona d’avanspettacolo, ad osservare ed a scrivere, narrando il suo mondo alla sua maniera

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Recentemente ho incontrato l’artista Patrizia Stefanelli, un vero vulcano di idee, che da sempre riversa nelle sue attività, diverse ma compatibili, intercalando fra poesia e teatro. Le molteplici espressioni dell’arte trovano nel suo animo felici punti di intersezione, dai quali prendono vita testi di forte intensità.

Le sue prove liriche denotano un’intrinseca necessità di comunicare al prossimo emozioni e stati d’animo, in un registro artistico estremamente raffinato ed immediato, nel quale trova spazio, nel suo sorgere spontaneo, lo stile metrico, un classico della poesia; lo stesso si può dire per i testi teatrali, i cui messaggi trovano un’ampia sedimentazione per la loro elevata fruibilità.

Tutto questo caratterizza Patrizia Stefanelli, autentica artista, sempre alla ricerca di nuovi punti di osservazione. Nell’esercizio dell’arte, propone al mondo circostante un proficuo confronto dialettico, insito nel messaggio umanistico in senso lato, porgendo generosamente al prossimo il suo inarrestabile e costruttivo processo di crescita, iniziato in giovane età e mai interrotto.

L’ incontro con la scrittura e la recitazione avviene in tenera età ma, come spesso accade, la mancanza di consapevolezza delle proprie capacità, la porta ad accantonare per un periodo della sua vita queste passioni. Tuttavia, quando l’esigenza di creatività è vera e forte, non tarda mai a riaffacciarsi, per poi esplodere nelle varie accezioni, esattamente come è accaduto a Patrizia.

Mi ha sinceramente colpito l’originalità dei testi, esiti naturali di un serio percorso accademico, del quale, fra l’altro, l’artista parlerà nel corso dell’intervista.

Noi facciamo parte di una generazione che ha studiato seguendo il vecchio ordinamento in materia di pubblica istruzione. Ritiene siano stati utili da una parte l’impegno dei docenti e dall’altra la buona volontà dei discenti nell’imparare a memoria le poesie presenti nei programmi?

Sì, ritengo sia stato utile e possa esserlo ancora. E’ necessario che gli insegnanti siano in grado di porgere agli studenti, in maniera adeguata, gli strumenti necessari all’apprendimento del linguaggio poetico. La maggior parte dei ragazzi, com’è noto, da sempre fa spallucce alla poesia, ma un lavoro di lettura attenta alla musicalità, di comprensione e recitazione a memoria è a mio avviso utile. La poesia diventa strumento di scavo interiore, di risonanza fonetica. E’ come andare in bicicletta: non si dimentica.

Circa vent’anni fa, in tanti cominciarono ad eccepire circa la formazione, a parer loro troppo nozionistica, che caratterizzava le vecchie generazioni. A tal proposito, cosa ricorda della sua insegnante della scuola primaria?

La mia maestra, Teresa Dalmaso, ha avuto senz’altro un ruolo importante per lo sviluppo della mia creatività. Pensandoci bene, da quella classe sono venuti fuori molti artisti, sarà un caso? Mi piaceva il suo essere sobria, le sue collane di perle portate sui tailleur di tweed. Spronavo mia madre a vestirsi come lei… Credo che abbia saputo sviluppare le doti di ognuno di noi. Cinque anni di scuola per sei ore al giorno sono tanti e incidono fortemente sul processo di formazione. Dopo gli esami di V elementare, mi regalò un diario che ancora conservo: “Questo mio piccolo universo”, c’è scritto sulla copertina rosa-lucida-morbida. La maestra mi disse: “ Scrivi qui i tuoi pensieri, le tue poesie, i tuoi momenti più belli e poi, un giorno, torna e fammeli leggere”. Sono tornata da lei, molte volte.

Mi ha particolarmente colpito questo suo racconto del diario ricevuto in dono dalla maestra, divenuto poi un prezioso scrigno di appunti, foto e pensieri. Da ciò si evince una naturale attitudine verso la poesia. In quale momento ne ha acquisito consapevolezza?

Ritengo sia bello scoprirsi nella spontaneità che nasce da un percorso interiore. Riguardo la mia attitudine alla poesia, non sapevo e forse ancora oggi non ne ho piena consapevolezza. Mi è sempre piaciuto leggere poesia e scriverne, così come fanno tanti ragazzi e adulti. In quel diario misi molte cose: sulla prima pagina c’è una foto di Niki Lauda con il suo autografo; mi piaceva il suo sguardo, la sua determinazione in corsa. Poi misi le mie poche foto di scuola, quelle dei miei fratelli e le prime poesie, fino all’età di 17 anni. Durante quegli anni morirono due dei miei fratellini. Una tragedia che mi segnò molto e a tutt’oggi presente. Così come avevo fatto per le mie felicità, misi in versi la solitudine generata da quella grave mancanza; il vuoto e la sospensione, la paura e la frustrazione. Sulla prima pagina della sezione che intitolai Il mio angolo di poesie ci sono questi versi di Giovanni Pascoli tratti dalla poesia Sapienza:
Oh! Scruta intorno gl’ignorati abissi:

più ti va lungi l’occhio del pensiero,

più presso viene quello che tu fissi:

ombra e mistero.


Dal mio diario di ragazza: 6 novembre 1976
Mi piace

E’ bello sentire la pioggia
e la grandine quando è tutto buio
mi piace.
E’ bello guardare il riso di un bimbo
e le sue mani che ti cercano
quando non sa ancora camminare
oh sì, mi piace!
E’ bello trovare qualcuno ad attenderti
quando pensi di essere sola
e se mi piace…
E’ bello guardarti negli occhi
e sapere che mi vuoi bene
ogni giorno così.
Mi piace, davvero, mi piace.

dopo due mesi : 22-01-1976
Bimbo perché?

Bimbo mio
come posso io scordarti
se il cielo ha il tuo colore
se i fiori il tuo profumo
se il tempo la tua voce.
come, posso dimenticarti
se sei nella mia anima
se piangono i tuoi giocattoli
e cercano tristi
quella mano di bimbo
che un giorno li mosse felice.

Non scrissi più per molto tempo. Poi, ripresi mettendo tutto in un cassetto sempre vuoto, perdendo insieme ai fogli, molta parte delle cose da non dimenticare. Quel diario resta la mia prima pubblicazione, le altre due vennero dopo 37 anni.

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Accanto alla poesia, sempre da bambina, ha iniziato a coltivare una spiccata passione per il Teatro. Vorrebbe raccontare ai nostri lettori l’aneddoto legato alla recita scolastica di Natale?

Ricordo la recita del Natale 1969. Avevo nove anni. Io e il mio amico Pasqualino Coscione, oggi M° di musica, con il quale tuttora ho un rapporto d’anima meraviglioso, durante la ricreazione ci rifugiavamo nel piccolo palco di due metri per uno, (più o meno), che doveva servire per l’allestimento della recita. Chissà di che cosa sognavamo… Mi piacevano quelle tavole, quel rifugio. Per l’allestimento di quel palchetto, rubacchiai a casa lenzuola, vecchi tendaggi, piccoli oggetti. Recitai la mia prima poesia lì, con il grembiule nero, il colletto di pizzo bianco sopra al fiocco, (e non sotto), e i calzettoni di lana un po’ calati, i miei capelli corti alla maschietta e le braccia aperte con le mani ad accogliere. Quella foto fu un grande cruccio per me, non mi piaceva.

Mi ha rivelato che alle superiori ha studiato ragioneria, più per assecondare i desideri dei suoi genitori, che per convinzione. In seguito, si è laureata in Scienze infermieristiche ed ha iniziato a lavorare presso una struttura ospedaliera. Il destino vuole che, proprio nell’ambito lavorativo, conoscerà Nicola Maggiarra, attuale Presidente dell’Associazione culturale “MIMESIS”, della quale lei ricopre la carica di Vicepresidente. Vorrebbe raccontare il suo esordio all’interno della Compagnia teatrale?

Sì, purtroppo feci una scuola che non mi piaceva, anche se con profitto. Mio padre era molto severo e non accettava neppure un sette. Voleva che facessi la ragioniera, un lavoro sicuro. Ma, io e la ragioneria eravamo due cose quasi incompatibili, per dirla con franchezza, il conto profitti e perdite non mi è tornato neppure in sede d’esame. Le scienze mediche, invece, mi piacevano e tuttora adoro il lavoro che mi permette di vivere. I sogni per la letteratura erano ormai accantonati, nascosti nei pannolini da lavare, nei pensieri prioritari per la famiglia. Proprio sul posto di lavoro conobbi il Prof. Maggiarra. Mi disse di avere una compagnia teatrale amatoriale e così gli chiesi di poterne far parte come allestitrice scenografa, tuttofare, suggeritrice, ogni cosa insomma. Fu parecchio titubante, poi acconsentì. Cominciai ad assistere alle prove. Una sera, come sempre capita, mancando un’attrice, mi fece provare la parte di “Giocondina” . Fu un successone, i compagni gli chiedevamo quando me l’avesse fatta leggere. La parte fu mia, anche se continuai ad allestire la scena, a suggerire, a pulire le tavole del teatro.

Con il trascorrere del tempo la sua passione per il teatro si fortifica e decide di iscriversi al DAMS, acronimo delle discipline di Arte, Musica e Spettacolo. Quale ricordo conserva di questa esperienza universitaria?

Mi iscrissi al DAMS dopo molti anni e fu subito amore. Provai l’esame di ammissione poiché la facoltà era a numero chiuso. Entrai e feci per primo l’esame più difficile: Linguistica, se l’avessi superato avrei continuato, altrimenti a casa. Quando il professore entrò con gli elaborati, il mio non c’era. Pensai al peggio. Gli chiesi infine, che cosa ne era stato. Rispose che l’aveva dimenticato sulla sua scrivania. Tornò con l’elaborato che recava sul retro un trenta scritto in rosso, con tante sottolineature. Ancora per un po’ temetti, ma lui subito dopo ne parlò e lo indicò come tra i migliori dell’esame. Continuai e mi laureai con Il Prof. Raimondo Guarino, storico del teatro, in regia teatrale e organizzazione di eventi, col massimo dei voti e la lode. Con alcuni amici di università, sono ancora molto legata. Ricordi indelebili, ero una secchiona, ma sempre pronta a non sostenere gli esami, in quanto eternamente insicura.

In quale circostanza ha preso vita il “Premio Mimesis” e la vostra prima Antologia?

Eravamo quattro amici al bar… dice una canzone di Gino Paoli. In realtà eravamo dodici più due ospiti, tra musicisti e scrittori. Facemmo il Primo recital del mare sulla terrazza dello stabilimento balneare “Il Miramare”, a Gaeta. I proprietari amano la poesia e fu una serata straordinaria. Molte persone si radunarono attorno a noi, le sedie non bastavano più. Pertanto, capimmo che la poesia e quella formula con la musica, era in grado di appassionare ancora la gente. Stampammo un’antologia dal titolo: Come Deimos. L’inverno precedente ero stata molto male, presi una polmonite e avevo un bambino di quattro anni. Per passare il tempo, guardavamo gli atlanti geografici, i pianeti e le stelle. Deimos è il più piccolo ed esterno dei due satelliti naturali di Marte insieme a Fobos; secondo la mitologia greca, figli di Ares (Marte) e Afrodite (Venere). I nomi significano rispettivamente terrore e paura, e così furono chiamati in onore dei due compagni del dio della guerra Marte citati nel XV libro dell'Iliade. Due passioni in tre: Poesia, mitologia, il cielo.

Qual è il motivo della scelta di 12 poeti per 12 finalisti?

Proprio da quel primo incontro di poesia, era il 1997, nacque l’idea del Premio Mimesis, che era ormai anche il nome della nostra compagnia teatrale fondata da Nicola Maggiarra, Giovanni Martone, me, mia sorella Francesca e altri quattro amici. Come fare un premio? Semplice, suggerii di scrivere una lettera, come ci piaceva e che noi dodici avremmo potuto fare da padrini ai vincitori. Io ero davvero nessuno in poesia ma c’erano, e ci sono tra noi, poeti di grande levatura, come Renato Filippelli che, fino alla sua scomparsa, è stato il presidente del Premio Nazionale Mimesis. Filippelli, docente di letteratura del S. Orsola di Napoli, ci ha molto sostenuti ed ha amato sempre la pulizia morale del premio, fatto solo per passione. L’anno successivo nacque il Premio Mimesis di Poesia. Alcuni dei dodici fecero parte della giuria, io ne seguii la direzione artistica.

Quanto conta la composizione della Giuria all’interno di un premio letterario e per quale motivo ritiene sia indispensabile l’eterogeneità?

La Giuria è il biglietto da visita di un premio letterario. Tenendo conto del fatto che ogni Giuria è fallibile, è necessario tutelare le poesie che arrivano a concorso nel migliore dei modi. Il poeta ti mette in mano se stesso, il suo mondo, il suo cuore. Pertanto, la preparazione dei giurati è il valore del premio. Il Mimesis, cambia giuria ogni anno, tranne rare eccezioni collaborative, mettendo in atto una formula , a mio avviso, molto democratica. Oltre a validi poeti e scrittori, cerchiamo di mettere in giuria i poeti vincitori delle passate edizioni, affinché quasi come tedofori, portino la fiaccola cerimoniale per il trasporto della fiamma della poesia. La giuria è in grado di comprendere ogni stile poetico, sia dal punto di vista tecnico che del contenuto.

Qual è il compito della Giuria Stampa all’interno del vostro Premio?

Il Premio Nazionale Mimesis di Poesia, come ho detto prima, è nato con l’intenzione di portare la poesia ad un pubblico eterogeneo e non di soli addetti ai lavori. Infatti, ogni anno centinaia di persone vengono ad assistere allo spettacolo di premiazione. La poesia deve comunicare anzi, direi comunicarsi, in un atto che è religioso. La Giuria Stampa, dopo un’attenta lettura di tutte le poesie finaliste e l’ascolto delle stesse nella serata conclusiva, assegnerà in estemporanea, la Motivazione di Poesia di maggior impatto comunicativo ad una fra tutte le poesie giunte in finale. E’ un premio critico molto importante. Un premio nel premio, che anche quest’anno verrà assegnato da una giuria eccezionale. 

Per concludere, vorrebbe parlarmi dei suoi testi teatrali?

Il teatro è la mia grande passione, una cenerentola in questo periodo. La più recente tournée teatrale l’abbiamo fatta due anni fa con la mia ultima commedia Il mistero di Don Giovanni. Ispirata da “Il profumo di mia moglie “ di Leo Lenz, che a sua volta prese ispirazione dal Don Giovanni di Mozart, su libretto dell’italiano Lorenzo Da Ponte. Per il teatro ho scritto, diretto e rappresentato le commedie: Non scherzare con il morto?(storia di amore, morte e cotillon), Tre tazze e una zuppiera, Qui si sana?, Cantando il tempo che fu (itinerari di folklore del Sud Pontino); Il mistero di Don Giovanni, ottenendo premi in festival nazionali. Il mio teatro è soprattutto satira di costume. Non mi sono mai presa troppo sul serio. Cerco di trattare la quotidianità con leggerezza, ma non con superficialità. Far ridere pensando anche a temi seri è il mio proposito; operazione difficile da rendere, sia nei testi che nella recitazione. Non c’è niente di peggio del non riuscire!

Il teatro di “risata”, che non faccia uso di parolacce o schemi parodici, non è facile, è molto più semplice far piangere. Nessuna verità trasmettono i miei testi, forse dubbi e misteri irrisolti. Si fallor sum (Se sbaglio esisto): per S. Agostino il dubbio è espressione della verità, e significa che io ho la capacità di dubitare solo in quanto c'è una Verità che mi trascende e rende possibile il mio pensiero. Che dire se non: “Eccomi a voi signore e signori come parte di me. Mi vedete tutta? Allora, se mi vedete tutta, avete già deciso. Io sono come sono e voi siete quel che siete. Questo messaggio, non è per voi. I decisi, i determinati, i dotti, i saccenti, gli indottrinati... non troveranno con me soddisfazione a meno che, la curiosità riesca ad aprire le porte della loro mente”.

La particolare arte del rappresentare una storia tramite un testo o azioni sceniche è la recitazione, o arte drammatica. In molte lingue come il francese (jouer), l'inglese (to play), il russo (играть - pron. igra't), il tedesco (spielen), l'ungherese (játszik) il verbo "recitare" coincide col verbo "giocare". Il termine italiano, invece, pone l'accento sulla finzione, sulla ripetizione del gesto o della parola ("citare due volte").

Io gioco sul serio con il Teatro , con quell'evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore che dal vivo ne segua le azioni. E’ locus mobilis, è religione, è mettersi nei panni dell’altro provando e compatendo la sua felicità o il suo dolore, attraversando se stessi. Non sempre si riesce in questa disciplina di vita, dura e formativa. Chiudo con una citazione di Orazio : non basta che la poesia sia bella, bisogna che sia dolce e che trascini, a suo piacimento, l’animo degli ascoltatori. Rivolgendosi agli attori scrive: i volti umani ridono con chi ride e piangono con chi piange. Se vuoi che io pianga, prima devi provare dolore tu: allora la tua sofferenza mi toccherà; ma se farai male la tua parte, mi addormenterò o mi metterò a ridere. Io aggiungo che vale anche al contrario.

Ringraziando Daniela e la Redazione del Corriere del Sud, vi saluto dandovi appuntamento al Premio Nazionale Mimesis di Poesia, il cui bando di partecipazione scadrà il prossimo 15 giugno 2016. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito: www.associazionemimesis.com  

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