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succo-melograno

Sono una conferma i risultati di uno studio dell'Ecole Politecnico di Losanna pubblicato sulla rivista Nature Medicine. Le melagrane sono un elisir contro l’invecchiamento cellulare, un efficace anti-aging contente 'urolitina A' e gli ellagitannini, già noti per la loro azione antivirale, antiossidante e protettiva nei confronti di alcuni tumori. E’ il succo di melagrane il miglior vaccino contro influenza e raffreddore perché possiede il 40% del nostro bisogno giornaliero di vitamina C.

Grazie al successo della medicina anti-aging e del superfood, prima i frutti del melograno erano relegati ad elementi decorativi in cucina, oggi sono richiestissimi sui mercati con un balzo dei consumi dal 2014 ad oggi del +30%.

Nel 2013 in Puglia (dati Istat) erano coltivati 67 ettari a melograno, balzati in soli 2 anni a 350, principalmente nelle provincie tra Bari, Lecce e Foggia, con un incremento del 422%. La quasi totalità della produzione italiana si concentra in Puglia (dove si trova circa il 60% della superficie coltivata). “L’agropirateria è purtroppo in linea con l’evoluzione dell’imprenditoria agricola locale, anzi precorre i tempi. L’aumento della domanda di melograno – dichiara il Presidente di Coldiretti Puglia, Gianni Cantele – alimenta le importazioni di prodotto oltre che dai paesi produttori dell'Europa del Sud, Spagna, Israele e Marocco, anche da Cile e Sudafrica, come al solito spacciati per ‘made in Puglia’. Oltre al prodotto fresco, sono i semi lavoratori ad essere importati perché destinati all'industria di trasformazione e alla cosmesi". Oggi i paesi del bacino del Mediterraneo in cui la coltivazione è più diffusa, e si ha maggiore disponibilità di melegrane da commercializzare allo stato fresco, sono Israele e Spagna, ma altri Paesi – ad esempio l’Iran – possono diventare, in futuro, temibili concorrenti. “Sono proprio le melegrane importate dalla Turchia – commenta il Direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – al secondo posto dei cibi più contaminati da sostanze tossiche e le melegrane importate da Israele sono al 9° posto dei cibi che inquinano maggioramene l’ambiente, dato che per raggiungere le tavole dei consumatori pugliesi percorrono 2.250 km, bruciando 1,3 chili di petrolio e liberando 4,05 chili di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto”.

In Italia sono due le varietà che si stanno diffondendo più velocemente, Akko e Wonderful, già impiantate in Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania, la prima più precoce dato che la campagna comincia nella prima decade di settembre con una produttività che varia dalle 25 alle 30 tonnellate per ettaro, per la seconda, invece, la campagna prende l’avvio nella seconda metà d’ottobre e la produttività varia dalle 35 alle 45 tonnellate per ettaro. Tra l’altro le melegrane sono richieste anche dalla GDO che ha visto crescere vertiginosamente l’attenzione dei consumatori che ne apprezzano i molteplici usi e sono interessati a conoscerne gli utilizzi e le caratteristiche nutritive. Ciò ha prodotto il grande successo di un frutto fino ad oggi tenuto in disparte e non sufficientemente valorizzato considerate le virtù che dimostra di avere.

acqua

Bere otto bicchieri almeno (l'equivalente di circa 2/2,5 litri di acqua al giorno) è uno dei consigli più comuni da seguire se si vuole restare in forma ed essere in salute. Questo ci dicono numerosi siti e fonti di informazioni, che basano le proprie teorie sui pareri autorevoli di medici e nutrizionisti. Eppure non tutti sono d'accordo: in un articolo pubblicato sull'American College of Sports Medicine, è scritto che bere otto bicchieri d'acqua al giorno sarebbe uno dei più grandi falsi miti sulla salute, e che è meglio "ascoltare la sete". Secondo l'autore della ricerca, il Dr. Ramon Julian Pesigan "Se si ha sete, bere acqua. Se non si ha sete, non bere." Il fabbisogno di acqua dipende dal tuo corpo e dalla forma fisica." "Un soggetto con scompenso cardiaco potrebbe letteralmente affogare se beve più di 1,5 litri al giorno". "E se sei un giocatore di calcio, è necessario bere molto di più per i liquidi persi". I ricercatori rassicurano: "Il corpo è intelligente. Manterrà i fluidi di cui ha bisogno e di sbarazzarsi di quelli che deve espellere. " Pesigan non nega che gli esseri umani abbiano un fabbisogno giornaliero di acqua che si attesta intorno ai 2/2,5 litri, ma vuole ricordare che buona parte dei liquidi di cui abbiamo bisogno è già contenuta nei cibi che ingeriamo. Si dice che bere molta acqua faccia restare giovane e sano l'organismo, aiuti i reni e mantenga la pelle idratata. Spesso l'acqua viene usata anche come rimedio per una serie di problemi, dalla stanchezza, al mal di testa, al senso di fame. Secondo i ricercatori, però, di acqua ne assumiamo molta anche grazie ai cibi, e non c'è nessuna prova scientifica che dimostri la reale efficacia di berne più del necessario. Infine, se avete un dubbio circa la quantità di acqua che si beve il giorno, guardate la vostra urina. Dovrebbe essere di un colore giallo pallido. Se è troppo scura, è segno che siete disidratati. Tuttavia, se il professore americano avvisa di non bere troppo, attenzione a non bere troppo poco, specialmente d'estate o quando si pratica attività sportiva. La scienza, infatti, non ha mai provato i lati positivi del bere molta acqua, ha in compenso largamente dimostrato i pericoli ed i rischi della disidratazione. Alla luce di questo ulteriore studio, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che conferma il fatto che bere acqua in abbondanza non apporta benefici alla salute, è giunto il momento di dire basta con le campagne pubblicitarie che tendono a farlo credere per vendere acque minerali.

pasta

Negli ultimi anni la pasta si è ritrovata addosso una cattiva reputazione: farebbe ingrassare. Cosa che ha spinto molte persone a decidere di limitare il suo consumo, spesso nel quadro di una di quelle aggressive diete “fai da te”. Ora una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli rende giustizia a questo fondamentale elemento della Dieta mediterranea, mostrando come il consumo di pasta sia in realtà associato a una riduzione dell’obesità, considerando sia quella generale che quella specificamente addominale.

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Nutrition and Diabetes, ha preso in esame oltre 23.000 persone inserite in due grandi studi: Moli-sani e INHES (Italian Nutrition & HEalth Survey), condotti dallo stesso Dipartimento. “Analizzando i dati antropometrici dei partecipanti e le loro abitudini alimentari – spiega George Pounis, primo autore del lavoro – abbiamo visto che il consumo di pasta, diversamente da quello che molti pensano, non si associa a un aumento del peso corporeo. Al contrario: i nostri dati mostrano che mangiare pasta si traduce in un più salutare indice di massa corporea, una minore circonferenza addominale e un miglior rapporto vita-fianchi”.

Dai numerosi studi già condotti, la Dieta Mediterranea emerge chiaramente per i suoi effetti benefici sulla salute, compreso il controllo del peso. Molto poco, invece, si sapeva del ruolo specifico di un componente basilare come la pasta. I dati dello studio Neuromed, ora, vanno a colmare questa lacuna, confermando alcune osservazioni recentemente condotte negli Stati Uniti e in Grecia.

“La pasta – dice Licia Iacoviello, Capo del Laboratorio di Epidemiologia Molecolare e Nutrizionale del Neuromed - è spesso considerata un fattore da limitare quando si segue una dieta per perdere peso. C’è chi la elimina completamente dai suoi pasti. Alla luce di questa ricerca, possiamo dire che non è un atteggiamento corretto. Stiamo parlando di un componente fondamentale della tradizione mediterranea italiana, e non c’è ragione per farne a meno. Il messaggio che emerge da questo studio, come da altri lavori scientifici già emersi nell’ambito dei progetti Moli-sani e INHES, è che seguire la Dieta Mediterranea, nella moderazione dei consumi e nella varietà di tutti i suoi elementi, la pasta in primis, rappresenta un vantaggio per la salute”.

Lo studio è stato parzialmente supportato da Barilla S.p.a. through the MISE (Italian Ministry of Economic Development) within the frame of the ATENA program MI01_00093 – New Technologies for Made in Italy (D.I. PII MI 6/3/2008) and Epicomed Research S.r.l.

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Alterazioni del ciclo mestruale, inestetismi come peluria e acne, sovrappeso o obesità sono tipici disturbi femminili che non vanno mai sottovalutati. Comparendo in età adolescenziale, spesso le cure e le attenzioni si focalizzano sui problemi più evidenti, come l’acne o la peluria, per poi scoprire più avanti, quando si desidera una gravidanza, che la propria capacità riproduttiva può essere a rischio. Questi sintomi, infatti, rappresentano i principali campanelli d’allarme di un disturbo molto più complesso, la policistosi ovarica, (o Sindrome dell’Ovaio Policistico) che colpisce non solo le ovaie ma l’intero sistema endocrinologico e metabolico femminile.

Gli studi pubblicati sulla rivista Gynecological Endocrinology hanno messo in luce l’effetto positivo dell’inositolo nelle donne affette da policistosi ovarica e la sua capacità di migliorare la qualità ovocitaria nelle donne e quindi, la fertilità.

Se ne è discusso oggi a Firenze, in occasione del World Pediatric and Adolescent Gynecology Congress, durante l’incontro stampa di presentazione su nuovi studi e opportunità terapeutiche per la salute delle donne: “Riflettori puntati sull’inositolo, la molecola della fertilità e non solo”.

La policistosi ovarica è la causa più comune di infertilità femminile, legata ad assenza di ovulazione e colpisce dal 5 al 10 % delle donne in Italia. La sindrome è caratterizzata da un aumento degli ormoni maschili (androgeni), responsabili di segni come l’eccesso di peluria su viso e corpo, l’acne e disturbi mestruali, come mestruazioni irregolari, assenza di mestruazioni per più mesi, cicli scarsi o prolungati. In questo quadro clinico, le ovaie appaiono ingrandite e micropolicistiche e si verifica una resistenza all’insulina, l'ormone che regola il glucosio nel sangue. Le donne affette da sindrome dell’ovaio policistico, inoltre, corrono un rischio maggiore rispetto alle donne sane di soffrire di patologie come diabete, sovrappeso e obesità per iperinsulinismo e insulinoresistenza, ipertensione e patologie cardiovascolari.”

“L’inositolo – ho dichiarato il Prof. Vittorio Unfer, Professore di Ostetricia e Ginecologia alla Swiss University Institute di Chiasso - ha un effetto positivo sulla funzionalità ovarica ed è utile a correggere i disturbi endocrino-metabolici legati alla sindrome dell’ovaio policistico, quali iperandrogenismo, iperglicemia, aumentata resistenza insulinica. L’inositolo è una molecola che si trova in diverse forme, ma solo due di queste hanno dimostrato dagli studi clinici di essere mediatrici dell’insulina e quindi utili per curare la policistosi ovarica, il Myo-inositolo (MI) e il D-chiro-inositolo (DCI), svolgono il ruolo di secondi messaggeri dell’insulina, con funzioni diverse. Gli studi che abbiamo condotto hanno dimostrato che l’integrazione con MI e DCI in un rapporto fisiologico plasmatico di 40 a 1 ripristina i parametri metabolici delle donne con PCOS più rapidamente, diventando quindi la terapia più efficace in donne con PCOS sovrappeso o obese.”

Cosa fare

Se si ha qualche dubbio, il primo passo è recarsi dal proprio medico e descrivere dettagliatamente sintomi e disturbi; in questo modo potrà già sospettare una sindrome da ovaio policistico e indicare gli esami specifici per la diagnosi consigliando una terapia mirata. La scelta della terapia varia molto in base all’età della donna e alle sue specifiche esigenze e necessità. Ancora oggi, per esempio, la pillola anticoncezionale è una opzione molto utilizzata, soprattutto se non si desidera avere figli. In generale, esistono molti farmaci in grado di agire sulle alterazioni provocate dalla sindrome ma, in tutti questi casi, gli effetti collaterali non sono quasi mai trascurabili. Le nuove prospettive terapeutiche che si affacciano all’orizzonte, come appunto l’inositolo, si sono dimostrate particolarmente efficace non solo per migliorare la qualità ovocitaria nelle donne e quindi, la fertilità ma anche per correggere numerosi disturbi endocrino-metabolici. L’integrazione a base di inositolo ha il vantaggio di essere senza effetti collaterali.

La prevenzione e la dieta corretta

L’adozione di uno stile di vita corretto, una dieta equilibrata, un’attività fisica regolare e la perdita di peso sono consigliabili a tutti, ma diventano necessari per chi soffre di policistosi ovarica. Considerato che alla base della sindrome dell'ovaio policistico c'è insulinoresistenza, la dieta giusta deve cercare di stabilizzare la glicemia, con pasti equilibrati dal punto di vista del carico glicemico complessivo, accompagnati da attività fisica moderata e continuativa.  Molto utile è l’assunzione di integratori a base di agenti sensibilizzanti l’insulina, come l’inositolo, che risultano essere il miglior trattamento terapeutico per i pazienti con policistosi ovarica.

L’inositolo è rintracciabile anche in diversi alimenti, tra cui la frutta, i cereali, i legumi e la carne. Un alimento particolarmente ricco di inositolo è la lecitina di soia, che si trova nei fagioli di soia e nei tuorli d’ uovo. Inoltre, è presente anche nei fagioli, nei legumi e nei cereali. Tra i cereali, soprattutto il riso integrale, le germe di grano, l’orzo, l’avena e il grano saraceno. Altre fonti molto ben utilizzabili sono le lenticchie e anche la carne è una fonte insostituibile di inositolo. Tra le verdure, i piselli e il cavolfiore; tra i frutti ci sono le arance, i pompelmi e le fragole.

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Questa la sentenza degli esperti dell'International agency for research on cancer (Iarc), l'agenzia dell'OMS per la ricerca sul cancro, che ha assolto dall'accusa caffè, mate e altre bevande calde di provocare tumori. La monografia è stata appena pubblicata su Lancet Oncology. L'Agenzia ha esaminato circa 500 studi fatti negli anni scorsi, trovando che non risulta nulla che giustifichi il fatto che negli anni '90 il caffè venne messo nella categoria 2b (cioè potenzialmente cancerogeno) per il cancro alla vescica. Dunque secondo la classificazione decisa da un comitato di 23 esperti il caffè e il mate, la bevanda tipica del Sud America, sono nel gruppo 3, quello delle sostanze per cui non c'è una adeguata documentazione scientifica che attesti la cancerogenicità. Per il caffè si tratta di un 'declassamento', visto che nella precedente monografia sulla bevanda era stato messo invece nel gruppo 2B, quello dei 'possibly carcinogenic', dei 'possibili cancerogeni'. Se le bevande in sé non sono sotto accusa, sottolinea dunque la monografia, il bere bevande molto calde è finito nel gruppo 2A, quello dei 'probably carcinogenic' (probabilmente cancerogeni), per il rischio aumentato di tumore dell'esofago, documentato anche da diversi studi sull'uomo. Un dietrofront completo, quindi,spiega Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, per la bevanda fra le più amate in Italia, che nel 1991 era invece stata inserita in un elenco di sostanze che potevano essere cancerogene. Dopo l'allarme sulle carni rossi, era infatti arrivato l'annuncio che anche caffè e bisfenoli sarebbero finiti sotto osservazione del valutarne il rischio cancro. Nel Nord America e in buona parte dei paesi europei il fenomeno è meno diffuso. Lo stress indotto sui tessuti, nello bere bevande molto calde, oltre i 65 gradi, può aumentare, nelle persone predisposte e insieme ad altri fattori, il rischio di sviluppare un tumore.

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