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la bellezza di napoli

Innegabilmente il ruolo del sacerdote è quello di portare Cristo, la salvezza del Vangelo a tutti gli uomini e soprattutto di testimoniarlo lui per primo. Tante volte si è precisato che il presbiteronon deve essere un sindacalista, un politico, o un animatore tutto fare, sono questi compiti del laico. E’ certo anche che non tutti i parroci sono dei San Giovanni MariaVianney. Può capitare però, che in condizioni straordinarie, il parroco deve occuparsi anche d’altro, come ha fatto San Giovanni Bosco a Torino, don Pino Puglisi nel quartiere Brancaccio di Palermo, o come ha fatto e sta facendo don Antonio Loffredo nel quartiere degradato della “Sanità” di Napoli.

Non conoscevo la storia del prete napoletano, per la prima volta l’ho scoperta nel libro diIlaria Borletti Buitoni, “Per un’Italia possibile”, (Mondadori, 2012) dove fa riferimento allo straordinario lavoro di don Antonio: “Proprio a Napoli,(…) va citato lo straordinario lavoro di don Antonio Loffredo, parroco della basilica di Santa Maria della Sanità e promotore dell’incredibile opera di recupero dei ragazzi del rione anche attraverso il restauro e la gestione delle catacombe di San Gaudioso e di San Gennaro. Il suo lavoro, che ha strappato molti adolescenti da una strada piena di degrado e disperazione, è la prova evidente di come la capacità di capire, amare e vivere il patrimonio culturale non sia solo un piacere astratto destinato a pochi privilegiati che hanno avuto la fortuna di potere studiare, ma sia anche un percorso di crescita umana, professionale e anzitutto morale che dovrebbe essere accessibile a qualsiasi persona”.

Prima di partire per le vacanze spulciando nella solita libreria milanese mi è capitato tra le mani proprio il testo del coraggioso parroco, “Noi del Rione Sanità”, Mondadori (2013). Don Antonio Loffredo vive da parroco all’interno del quartiere tra i più degradati di Napoli, in mezzo a chiese barocche e case fatiscenti, palazzi nobiliari e vicoli stretti. Padre Loffredo è molto più che un semplice prete, è un uomo di chiesa, ma anche d’azione, coraggioso e determinato. Il sottotitolo del libro è abbastanza significativo: “la scommessa di un parroco e dei suoi ragazzi”. Qual è la scommessa o meglio la sfida, che intende affrontare il parroco? Quella di rivalutare gli immensi tesori d’arte e di cultura, presenti nel quartiere, in particolare nel sottosuolo. Non solo ma vuoleanche rianimare la società, in particolare,“risvegliare le coscienze dei giovani che crescono nelle strade per trasformare il ghetto in un polo d’attrazione per tutta la città, anzi, in una zona capace di richiamare, grazie alle sue bellezze architettoniche, migliaia di turisti, dando in tal modo ai suoi abitanti un lavoro e un futuro”.

Dopo aver descritto il suo primo impatto col difficile ambiente del quartiere napoletano, don Antòtratteggia il suo metodo di approccio soprattutto nei confronti dei giovani della “Sanità”: “Imparai che con questi ragazzi il discorso frontale non sortisce alcun effetto, tranne forse quello di assopirli. Scoprii invece che per coinvolgerli occorreva semplicemente usare modalità interattive più dirette e stimolanti (…)Serve, continua il parroco,“il rapporto ‘fraterno’: mangiare insieme, uscire insieme, vivere insieme. Immergersi nella vita, intraprendere un’avventura, sperimentarsi in un gioco”. La teoria non serve, occorre agire, stare con loro. “Approfittando di quei preziosi momenti insieme, ci siamo avvicinati alla conoscenza, alla cultura, alla coscienza di sé”. Peraltro don Antonio ha ritenuto utile far uscire questi ragazzi dai confini ristretti del quartiere, facendoli viaggiare, dapprima nei dintorni poi anche fuori dall’Italia, lo scopo era quello di ripulirli dai pregiudizi e dai veleni del passato. Così facendo, scrive il parroco, li ho fatti diventare la classe dirigente, le colonne portanti del ‘fenomeno’ Rione Sanità di Napoli, come è stato definito dai media locali e nazionali, che ha attirato l’interesse di economisti, urbanisti, imprenditori, uomini d’arte e di cultura, persone di buon cuore. Le loro storie stanno facendo la storia.

In tempo di crisi mi sembra un buon segnale di speranza per ripartire.Ma oltre dei giovani, bisogna occuparsianche dei bambini, “i volti e gli sguardi dei nostri bambini mi hanno spesso tolto il sonno”. Occorre occuparsi anche delle loro famiglie, che nella maggior parte sembrano rassegnate, e che per certi versi non sono neanche in grado di formulare alcuna richiesta di aiuto.“Nella maggior parte dei casi, sembrano vinte e rassegnate, incarnando l’inquietudine massima di Virgilio secondo cui ‘l’unica salvezza dei vinti è non sperare più nessuna salvezza’”.

Nella “Canonica dei Cristallini”, si avvia un percorso di riflessione e formazione. Una squadra di volontari per i vicoli del quartiere raccolgono i piccoli più svantaggiati socialmente, d’inverno si riconoscono per la mancanza del cappotto.“L’intento degli operatori è colmare insieme le lacune scolastiche e quelle sociali. Così, al centro delle attività non c’è solo l’importanza di saper leggere e scrivere, ma anche il rispetto di se stessi e del prossimo”. Per don Loffredo, “aiutare i piccoli a vivere, imparare a relazionarsi meglio con gli altri ha una ricaduta estremamente positiva anche sulle loro famiglie: molti conflitti si appianano”. Naturalmente nel programma didattico fa il suo ingresso l’educazione alla legalità, peraltro una volta al mese è prevista la presenza dei carabinieri della zona per giocare con i bambini.

In questo contesto le loro mamme imparano gesti elementari come accarezzare i loro piccoli, accudirli, allevarli in una atmosfera relazionale rassicurante”.

Il fenomeno Sanità però è tale per il recupero “dell’antica basilica di San Gennaro Fuori le Mura, ricca di inestimabili opere d’arte ma diventata negli anni deposito della Asl; far rinascere il cosiddetto ‘miglio sacro’, l’antico itinerario dedicato al santo patrono; inaugurare in un ex convento uno splendido bed & break-fast”. Infine, “aprire al pubblico le magnifiche catacombe di San Gennaro e San Gaudioso, in parte ora restaurate”. Tutto questo superando infiniti ostacoli e lotte epiche contro la burocrazia e i bizantinismi dello Stato italiano. Ma soprattutto don Loffredo è riuscito a fare questi “miracoli” perché lui stesso è un amante del bello, dell’arte, della cultura, della storia. Ha bussato a tutte le porte dal Demanio al Comune, alle Soprintendenze, all’Asl, alla Pontificia commissione di archeologia sacra, “imparai i meccanismi comunicativi indispensabili per essere compreso e ottenere quanto meno una risposta”.

Don Loffredo ha ricevuto in eredità l’attenzione per l’arte e la cultura da don Giuseppe Rassello, il parroco che lo aveva preceduto . E’ bello e toccante quello che scrive Loffredo: “Non dimentico mai di inchinarmi alla Storia, capace di rivelarsi in tutta la sua bellezza ogni volta che si apre una finestra.Alla sanità ogni volta ho desiderato poter vivere altre vite, in altre epoche. Avrei voluto assistere alla toccante sepoltura di Gaudioso l’africano nelle catacombe, alle imprese di fra’ Nuvolo, il frate architetto (…)”.

Probabilmente a don Loffredo si possono muovere critiche per il suo “terzomondismo”, quando affronta le problematiche degli extracomunitari, del resto il prete deve accogliere tutti, è lo Stato che deve stare attento nel gestire i flussi immigratori. Comunque sia don Antonio ha svolto un grande lavorodi supplenza nel sociale al Rione Sanità di Napoli, che prima era preda della criminalità, ora con lui è diventato “un raro modello di imprenditoria sana, solidale e sostenibile”. Indubbiamente quest’opera potrà essere di stimolo per chi intende veramente lavorare per togliere braccia alle varie organizzazioni criminali presenti nel nostro territorio. Attenzione però non mi sembra che don Antonio abbia fatto atti eroici, ma semplici gesti elementari, che tutti potrebbero fare, senza troppi sforzi, basta avere tenacia e una salda volontà.

Napoli si fregia di diversi primati stravaganti, ma ad oggi la ben nota fantasia partenopea non era arrivata fino a tanto: aprire una libreria…senza libri. Sarebbe come aprire una farmacia senza medicinali, dove si ha la pretesa di curare con la sola forza della mente o una salumeria senza salumi, dove la figura del salame la farebbe certamente il titolare. E’ quanto accaduto in questi giorni in alcuni locali, del tutto privi di scaffali e libri, inaugurati in fretta e furia nel quartiere Vomero, tirando in ballo una presunta “fame di cultura” degli abitanti della collina del capoluogo partenopeo, dopo la chiusura di due note librerie, presenti da lustri nel quartiere. Una fame che, vista l’assenza della “materia prima” sarebbe destinata a perdurare se non fosse per il fatto che allo stato appare sostituita da un ben più sostanzioso appetito di patatine e “cuoppi fritti”, con le folle che si registrano dinanzi ai diversi esercizi, inaugurati negli ultimi tempi al Vomero, che commercializzano questa tipologia di prodotti. Peraltro, se davvero i vomeresi fossero affamati di libri da leggere, potrebbero satollarsi, rimanendo nell’ambito del quartiere, recandosi in via Luca Giordano, presso l’ex FNAC, oggi Trony, che al piano interrato offre una vasta gamma di volumi, spaziando per ogni genere letterario. Senza considerare che esistono altre due librerie, una in via Scarlatti, dalla quale strada prende anche il nome, ed un’altra, aperta più di recente, in via Carelli, nei pressi dell’ex cinema Arcobaleno. Inoltre, da alcuni mesi a questa parte, una cartoleria, posta in via Solimena, offre, a richiesta, un puntuale ed efficiente servizio di prenotazione di testi scolastici. Senza trascurare, sempre in via Luca Giordano, “ les boites des bouquinistes “, i cinque chioschi di libri nati nel lontano 1979, in analogia al modello francese delle librerie poste lungo la Senna, operanti queste ultime da oltre 400 anni, rappresentando una delle caratteristiche parigine più conosciute al mondo. Dalla loro nascita ad oggi i gestori di tali chioschi hanno fornito alla numerosa clientela, non solo vomerese, libri di ogni genere, con la cortesia e con la competenza maturata in ben 35 anni di attività. In conclusione, ribadiamo un secco no ad iniziate di facciata, che sembrano incentrate più su un desiderio di mero protagonismo, piuttosto che finalizzate ad una reale e fattiva soluzione dei problemi che attanagliano il settore specifico e, più in generale, il terziario commerciale, nel mentre, ancora una volta, sollecitiamo iniziative concrete da parte della Regione Campania e del Comune di Napoli per rilanciare, attraverso il varo di un programma organico, le attività ed i siti della cultura, librerie comprese, facendo leva sia su incentivi da offrire ad aziende serie ed accreditate del comparto sia su un vasto piano di sensibilizzazione che coinvolga anche la scuola.

“ Stamani girando per le strade del Vomero, il quartiere commerciale per antonomasia del capoluogo partenopeo, mi sono reso conto che i negozi, alla partenza della stagione dei saldi, erano in buona parte vuoti - afferma Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari -. A parte la crisi economica, certamente incide il fatto che i saldi siano partiti a metà settimana. Inoltre va sottolineato che, in questa prima fase, gli sconti offerti sono ritenuti ancora bassi, oscillando mediamente tra il 20% ed il 30%, anche se sulle vetrine compaiono cartelli che annunciano sconti fino al 70%. Gli acquirenti abituali sanno bene, alla luce delle esperienze degli anni precedenti, che, nelle prossime settimane, avvicinandosi il mese di agosto, quando buona parte degli esercizi commerciali a posto fisso chiuderà per ferie, gli sconti lieviteranno anche fino alle percentuali oggi solo esposte. Dunque passa la linea dell’attesa, sperando di spuntare prezzi ancora migliori “.

 

“ Va anche sottolineato – aggiunge Capodanno – che questo rituale dei saldi estivi, come quello invernali, nel tempo ha perso molto del suo fascino originario. Nel corso dell’ultimo quarto di secolo, infatti i saldi hanno subito una vera e propria rivoluzione. Se negli anni ottanta rappresentavano, per i clienti ed i negozianti, la fine di una stagione, estiva o invernale, oggi questa situazione è cambiata, corrispondendo i saldi in generale, per le famiglie italiane, a un periodo di acquisto a basso prezzo da effettuare in ogni momento dell’anno. Il low cost, determinato dalla crisi economica che ha investito da tempo l’Italia, si è di fatto trasformato in uno stile di consumo estensibile a tutti i beni e alla bisogna “.

 

“ Che senso ha – chiede Capodanno – una stagione di saldi che parte dopo una decina di giorni dall’inizio delll’estate, dopo che nei mesi da aprile e a meta giugno i negozi, specialmente di abbigliamento, hanno concluso scarsi affari per il perdurare di un clima quasi invernale? “.

 

“ Una situazione complessiva che induce gli acquirenti ad essere sempre più cauti – prosegue Capodanno -. Meglio sarebbe dunque liberalizzare la stagione dei saldi, nella direzione di consentire a ciascun commerciante l’opportunità di offrire sconti alla propria clientela quando lo ritiene possibile ed opportuno, il che potrebbe avvenire anche in occasione di particolari offerte da parte delle ditte fornitrici “.

 

“ Inoltre – puntualizza Capodanno - al fine di sostenere la grave crisi che attanaglia le piccole e medie imprese commerciali occorrerebbe che la Regione Campania mettesse subito a disposizione provvidenze economiche da concedere a fondo perduto attraverso un apposito bando “.

 

Sulle questioni sollevate Capodanno sollecita i provvedimenti del caso da parte dell’Ente Regione, finora poco attento ai problemi del terziario commerciale che a Napoli, anche con l’indotto, rappresenta l’unica fonte di occupazione e di sostentamento per migliaia di famiglie.

Giovanni-Paolo-II

 

L’uomo, così spesso, non sa cosa porta nell’animo; solo Cristo, che ha parole di vita eterna, lo sa. Basterebbe questo – che, più che un proclama, è una testimonianza di verità – a far riconciliare l’uomo con Dio.

Giovanni Paolo II, il Papa delle folle, il Papa dei viaggi e dell’amore incondizionato, lo sapeva bene, tanto che fece di questo messaggio di speranza – enunciato con forza durante l’omelia della Messa di inaugurazione in piazza San Pietro il 22 ottobre 1978 – il programma del suo pontificato.

Qualcuno ha tentato di leggere nel suo camminare leggero, nel suo sorriso dolce, in quella sua estrema capacità di parlare all’uomo, una sorta di «arrendevolezza», di «morbidezza» nei confronti della Dottrina sociale della Chiesa e degli stessi insegnamenti di Cristo. A veder bene, quel che disegna una traccia univoca durante tutti i ventisei anni del ministero petrino di Karol Wojtyla, come una lunga scia di sangue e dedizione, è la sua incondizionata fedeltà agli insegnamenti di Gesù.

Proprio questi aspetti, particolarmente significativi e rilevanti, traspaiono dall’ultima fatica letteraria dello storico Marco Invernizzi, presentata a Portici, in provincia di Napoli, sabato 28 giugno nel suggestivo chiostro del convento di sant’Antonio.

Durante l’incontro, organizzato da Alleanza Cattolica, in collaborazione con il comitato «Sì alla famiglia», dal titolo Non abbiate paura. Giovanni Paolo II: il santo della famiglia, Marco Invernizzi, accompagnato dalle domande del presidente per la Campania del comitato, l’avv. Alberto De Cristofaro, ha introdotto i numerosi astanti al magistero di San Giovanni Paolo II, mettendo in luce gli aspetti che più evidenziano la sua coraggiosa e risoluta difesa della famiglia naturale, fondata sull’unione di un uomo e di una donna. Non è allora un caso che il 264esimo Papa della Chiesa Cattolica sia diventato anche patrono delle famiglie.

Uno degli aspetti più rilevanti dell’intervento di Invernizzi ha riguardato l’invito rivolto a tutti a non considerare la famiglia come una questione «privatistica», ma, al contrario, come istituto «pubblicistico» che si inserisce all’interno della società e della comunità. Un istituto, dunque, che, toccando diversi aspetti dell’esistenza umana, condiziona e trasforma le stesse vite e gli stessi uomini, a seconda del loro uniformarsi agli insegnamenti di Cristo e della Chiesa.

Ecco, allora, che si comprendono meglio, e in tutta la loro essenza, le parole profetiche di san Giovanni Paolo II riproposte nel corso la serata, durante quello che qualcuno ha definito «uno degli Angelus più carismatici» del pontificato: «Perché ancora sofferenza, proprio in questo anno, l’Anno della Famiglia? Appunto, proprio perché la famiglia è minacciata, è aggredita, dev’essere aggredito il papa, deve soffrire il papa, perché veda ogni famiglia, il mondo, che soffrono ed entrano nel terzo millennio, il terzo millennio di ogni famiglia e di tutte le famiglie».

Da quel fatidico 1994, «Anno della famiglia», sono trascorsi vent’anni caratterizzati da tanta timidezza cattolica e da notevole confusione politica e sociale; la qualità dei tempi che verranno dipenderà anche dalla fede e dalle scelte compiute del popolo di Dio che – si spera – vorrà recuperare gli insegnamenti della Lettera che, in quell’anno, il sommo pontefice invio alle famiglie, lasciando finalmente spalancate all’amore di Cristo quelle porte troppo a lungo tenute chiuse.

Napoli largo Vetriera

 

“ Maurizio Estate, il giovane ammazzato dagli stessi aggressori per aver difeso un passante nel corso di una rapina avvenuta al largo Ventriera a Chiaia il 17 maggio del 1993, è oramai un eroe dimenticato dalle istituzioni – afferma Gennaro Capodanno, presidente del Comitato Valori collinari, che negli anni scorsi si era battuto perché, dopo lustri dal voto unanime espresso dal consiglio comunale nel lontano 1994, finalmente l’amministrazione partenopea mantenesse l’impegno di intitolargli una strada o una piazza -. Il mese scorso è caduto il 21esimo anniversario dal grave episodio ma né il Comune né la Municipalità hanno presenziato con loro rappresentanti alla manifestazione commemorativa “.

 

“ Negli anni passati, in occasione della commemorazione, erano stati presenti anche gli alunni di una scuola media statale che avevano assunto Maurizio Estate come simbolo di eroismo, realizzando tra l’altro un filmato dove viene descritta la vita della giovane vittima della criminalità con i momenti che ne precedettero la morte, mentre si spegneva tra le braccia del padre – continua Capodanno -. E pensare che, in occasione della commemorazione del 17 maggio 2005, il sindaco Iervolino, nel ricordare il giovane, che, quando fu ucciso, aveva appena 23 anni e stava per sposarsi, all’atto dell’intitolazione di una piazza a Scampia, lo paragono a Nicola Calipari, il funzionario del Sismi che si gettò su Giuliana Sgrena per difenderla “.

 

“ Nel luogo ove avvenne il crimine è stata posta, anni addietro una lapide ed è stata realizzata un’aiuola intitolata “ Il giardino di Maurizio “ che ancora una volta in questi giorni versa in condizioni di estrema precarietà, priva di manutenzione e circondata da rifiuti di ogni genere, anche per l’allocazione lungo il marciapiede antistante di alcuni contenitori per i rifiuti solidi urbani – conclude Capodanno -. Leggendo la lapide dedicata a Maurizio vengono in mente le parole del fratello: “ Spero che questa lapide sia di monito per i giovani, altrimenti ci piegheremo alla barbarie. Ricordare è importante, una città senza memoria non ha futuro. È facile andare via, il difficile è vivere qui a Napoli. Ma non possiamo andarcene. Dobbiamo sperare ed essere sempre di più a farlo “. Parole che avrebbero dovuto far riflettere quei pubblici amministratori che quest’anno hanno deciso di non presenziare all’evento con alcuna cerimonia, generando, tra l’altro, tanta delusione tra i ragazzi che, ispirandosi alla figura di Maurizio Estate, ancora credono in valori come l’altruismo ed l’amore per il prossimo “.

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