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Domenica, 02 Giugno 2024

Lo Switzerland Literary Prize è il nuovo grande premio della Svizzera che nasce dall’esigenza di accomunare le popolazioni di tutto il mondo, condividere emozioni e valorizzare le culture linguistiche. Un punto d'incontro dove mettersi in gioco in un paese dalla forte connotazione, storica, culturale e paesaggistica.

Il premio, organizzato dall’Associazione Culturale Pegasus, celebre per le numerose manifestazioni di alto livello culturale, mette in palio assegni in franchi svizzeri, trofei e contratti editoriali per la realizzazione e la distribuzione delle opere sul mercato editoriale.

Una sfida globale che trova nella confederazione helvetica il terreno ideale per coltivare una nuova sfida letteraria.

È possibile partecipare in più lingue: Italiano, Tedesco, Francese, Spagnolo, Inglese e nei vernacoli italiani e stranieri.

La cerimonia di premiazione alla quale parteciperanno ospiti di prestigio si terrà sabato 8 ottobre presso il modernissimo Plaza eventi live di Mendrisio, alla presenza delle autorità locali e di personalità provenienti dai vari cantoni della Svizzera, giornalisti e critici letterari.

Fonte Redazione Pegasus uff. st. Lisa Bernardini

La pandemia ha sconvolto le nostre vite, ripercussioni che si sono abbattute anche sul mondo del lavoro. Abbiamo cominciato a parlare di smart working, di call e il ruolo dei lavoratori ha assunto un significato diverso. Come è cambiata la funzione di Capo? E le mansioni dei sottoposti hanno subito delle modifiche?

Con questo saggio i tre autori mettono a disposizione la propria esperienza che li ha portati a essere testimoni privilegiati di un lungo periodo in cui si è sviluppato tale processo e ha permesso loro sia di vivere direttamente il cambiamento culturale alla base dell’interpretazione dei ruoli aziendali e sociali sia di avere un’idea, purtroppo abbastanza precisa, di quello che sta o non sta accadendo sotto la spinta del Coronavirus.

A queste e a altre domande risponde con interessanti e approfonditi spunti di riflessione il saggio Siamo uomini o caporali? Il mestiere del Capo, del Leader, del Manager (Brè Edizioni) scritto a sei mani da Gianni Barison, Mario Pastore e Giulio Spreti.

“Un’azienda, grande o piccola, è costituita da varie figure: l’imprenditore, gli operai, gli impiegati, i dirigenti, i venditori – ha commentato il consulente editoriale Daniele Aiolfi. Le aziende le fondano gli imprenditori, ma non si è mai vista un’azienda fallita, distrutta per colpa degli operai. È il capo, sempre lui, che determina il successo o il fallimento, è lui che DEVE dare la rotta, la strategia, l’esempio. È lui che si deve sacrificare più di tutti, in cambio degli onori che ne conseguono. Questo saggio, scritto da tre capi di successo, insegna come si conduce alla vittoria una squadra di collaboratori”.

In questo testo sono stati presi in esame personaggi famosi, autoritari, al fine di esaminare ed estrapolare la loro unicità come Capo. Si passa da Gualtiero Marchesi a Maria Montessori, da Mattei e Gorbaciov a  Barenboim.

“Un Capo deve ‘fare’ delle cose ma soprattutto deve ‘essere’ – ha dichiarato al riguardo Giulio Spreti.

Sappiamo bene che è assai più facile imparare a ‘fare’ che imparare a ‘essere’. Essere è una questione culturale, intendiamo con questo sostantivo il percorso che ciascuno di noi compie dalla nascita, dai primi mesi di vita fino alla maturità. Il carattere che costruiamo con l’esperienza, l’osservazione, le prove… insieme ai geni che i nostri genitori ci hanno trasmesso, contribuisce a formare la nostra personalità. Non esistono al mondo due esseri perfettamente uguali, anche due gemelli monozigoti formano la propria personalità osservando cose, facendone altre, imparando medesime con occhi differenti. La nostra cultura, quello che ha contribuito alla nostra formazione è determinante. La cultura è un percorso lungo una vita: modificabile a seconda delle nostre aspirazioni, dei nostri sogni.  Ecco perché l’‘essere’ è molto più difficile del ‘fare’, perché per ‘essere’ ci vuole tutta una vita. Per modificare un percorso sono necessarie consapevolezza, passione, forza d’animo.

Osservare le vite degli altri, di persone che hanno avuto ruoli importanti e hanno espresso caratteristiche particolari può essere d’aiuto per riflettere sulla propria identità di Capo, di Leader. Non per scimmiottare, non per mutuare comportamenti ma per paragonare e trarre ispirazione da caratteristiche che si sono dimostrate vincenti. Da queste considerazioni nasce ‘Siamo uomini o caporali?’

Ciascuno di noi è unico e ciascuno deve trovare la propria ‘via’ per interpretare un ruolo, quello del Capo, che è il vero e proprio discrimine tra il successo o meno di un’impresa”.

Nella situazione attuale lo strumento che determina la necessità di un cambiamento radicale (pandemia) non solo non è modificabile e inderogabile, ma è universale. La conseguenza è che dovremmo essere pronti per gestire nel migliore modo la situazione attuale (Covid-19) e agire, contemporaneamente alla fase di soluzione della crisi, con azioni concrete e coerenti per la creazione di una nuova cultura idonea ad affrontare il futuro prossimo e remoto.

“A molti – spiega Mario Pastore - sarà capitato di assistere a una presentazione di multi level marketing dove veniva presentata la storia di qualcuno che partendo da zero e seguendo regole precise era riuscito a divenire in breve tempo ‘qualcuno’.

Tutti noi, che nella nostra ormai strutturata vita professionale ci siamo ritrovati a ricoprire qualche ruolo di rilievo, ci siamo a volte sentiti ripetere il consiglio di affrontare la giornata lavorativa con la convinzione di essere i ‘migliori ‘ seguendo regole precise per ottenere e mantenere il proprio successo.

Molto, forse troppo spesso, si è utilizzato per convincere e per creare ‘cultura manageriale’ il consolidato metodo di apprendimento basato sull’imitazione/emulazione.

Il ripetersi negli ultimi anni di crisi epocali (economiche, sanitarie, belliche) destinate a modificare radicalmente e velocemente i nostri parametri può essere l’occasione per la riformulazione di una nuova cultura manageriale adeguata ai nuovi tempi.

Occorre, a nostro avviso, introdurre nel processo di apprendimento l’aspetto legato alla riflessione per garantire alle persone interessate di avere una parte attiva.

Abbiamo perciò intrapresa l’idea di un progetto, di cui ‘Siamo uomini o caporali’ è il primo step, in grado di offrire concretamente gli strumenti concettuali per potere gestire il proprio ruolo in modo attivo e adeguato ai nuovi tempi.

Non quindi un saggio tradizionale con la proposizione di un ‘decalogo’ vincente, bensì l’invito a riflettere, attraverso una rapida conoscenza della vita di personaggi famosi, su alcuni aspetti sui quali è possibile lavorare, ispirandosi, senza tuttavia cadere nel rischio di cercare di imitare persone uniche e non ripetibili”.

In quest’ottica il ruolo, individuale in generale, e di ‘Capo’ in particolare, diventa centrale in questa necessaria operazione di revisione culturale dei modelli lavorativi.

“Tutti hanno un ‘Capo’, nella vita professionale e in quella privata – precisa Gianni Barison. Anche il megadirigente – da cui dipendono migliaia di persone, centinaia di Capi – deve rispondere al suo CDA il quale, a sua volta, deve rispondere agli azionisti, al mercato, all’opinione pubblica…

La catena del comando è spesso assai lunga. Ciascun anello per la propria parte contribuisce al successo o all’insuccesso dell’impresa, del Paese o, più semplicemente, della famiglia. In questa catena, però, ogni tanto qualcuno emerge e si staglia come esempio per tutti gli altri Capi.

Nel nostro libro “Siamo uomini o caporali?” abbiamo voluto puntare i riflettori su dodici personaggi che, per motivi diversi, sono stati universalmente riconosciuti come Capi. Certo il loro percorso e affermazione non hanno raccolto solo giudizi positivi – anzi, spesso il carattere non facile ha attirato su di loro critiche anche feroci – ma è indubbio che tutti coloro che abbiamo scelto di prendere ad esempio posseggano o abbiano posseduto una caratteristica che li ha elevati e che più di ogni altra ha contribuito al loro imperituro successo.

Nella personalità di ciascuno convivono caratteristiche che vengono tenute a bada, sopite o, al contrario, incoraggiate ed enfatizzate.

Ciascuno può essere un buon Capo. A patto che sappia cogliere quali aspetti del proprio carattere, della propria cultura, della propria personalità fanno la differenza”.

 Fonte Uff.Stampa L.Bernardini

 

Franco Piol, nato a Roma nel 1942, ma di origini venete, è un poeta, scrittore, regista e autore di testi teatrali per bambini e adulti.

Ha curato diversi testi dedicati all’atletica trevigiana ed ha fondato con Roberto Galve il “Gruppo del Sole” (1971/1992), prima realtà stabile romana dedicata ai ragazzi, con animazione teatrale e artistica e laboratori gratuiti nei quartieri periferici romani  e nel 1997 ha dato vita al gruppo teatrale “LabTea 2000”.

Artista estremamente sensibile verso le tematiche sociali e dotato di inesauribile creatività, ha messo in scena numerosi spettacoli per bambini e autori come Josè Triana, Michel De Ghelderode, Jean Tardieu, Gianni Rodari, Italo Svevo, Renè De Obaldia e Jean Genet.

Le sue principali opere sono: Poetesie in concerto (Croce, 2013), Tana libera tutti (Augh!, 2017), Gente del tempo che verrà (Augh!, 2017), Teatro monello (Edizioni Corsare, 2019), Le macchie nere del racconto (Croce,2019), Racconti dell’aldiqua (Augh!, 2020).

Ho appena terminato la lettura della tua ultima pubblicazione editoriale, dal titolo "AMORI MIEI" (Edizioni Croce), un appassionante canzoniere il cui leitmotiv è un composito universo valoriale, rappresentato attraverso intriganti simbolismi sapientemente inseriti nella realtà più profonda, per arrivare alla vera essenza della vita. Vorresti parlarne ai nostri lettori?

Sono essenzialmente, come scrisse Davide Misiano, mio primo amato cantore, un poeta (parola sproporzionata se riferita a me) visivo che tenta di racchiudere in sé le istanze dell’ispirazione poetica:  quella realistica, dove con grande sofferenza cerco di captare l’aspetto sociale dell’uomo, racchiuso in immagini crude e pungenti, senza compiacermene e fuori dalle facili adulazioni della retorica e dal gratuito lirismo aulico; quella evocativa, in cui prevale la natura filtrata da una forte, innata sensibilità che trasforma il sogno in bisogno, il disegno in schizzo, la certezza in impressione ai confini del dubbio, quale tributo finale di amore alla vita, oppure come dazio da scaricare verso un dolore passato che non si estingue mai.

A proposito della tua splendida silloge poetica, ho apprezzato molto la tua dedica e colgo l'occasione per ringraziarti. Del resto, la stima è assolutamente reciproca, ci conosciamo da almeno dieci anni. Ricordo bene?

Ricordi benissimo, ma sembra ieri! Vedi, l’amicizia è un dono prezioso e quando la si trova va preservata, senza lesinare energie e sentimenti e va declamata senza timore; solo così la fai tua. Quando c’è empatia e reciproca stima, per me e per te è facile dirci che ci vogliamo bene, oltre le parole, anche se distanti e nel silenzio più appagante.

Una delle liriche che ha maggiormente coinvolto la mia sfera emozionale è "Urlare di dolore", versi che hai dedicato al grandissimo Pier Paolo Pasolini. Ti andrebbe di ricordare qualche particolare della vostra amicizia?

Pier Paolo esisteva già nella mia formazione sociale, politica e artistica, prima di conoscerlo personalmente, segnatamente con i romanzi “Ragazzi di vita”, e “Una vita violenta”; con la poesia “In forma di rosa”; con tutto il suo cinema, da “Accattone” alle “120 giornate di Sodoma”, passando per  “Il Vangelo secondo Matteo”; con la saggistica e i suoi “Scritti Corsari”; con la televisione e i suoi “Comizi d’amore”. Insegnavo nella formazione professionale gestita dalla Regione Lazio e, tra i ragazzi che frequentavano le mie lezioni, ce n’era uno che veniva da Ostia e che un giorno mi disse - “Pier Paolo vuole conoscerla, parlo così spesso di lei, professò!”  Sono andato più volte nel campetto di gioco dove Pier Paolo gareggiava, spesso con forza e maestria, con la palla ai piedi. Io non capivo niente di calcio. Nel dopopartita parlavamo a lungo, soprattutto del mio lavoro con i ragazzi, che lui trovava appassionante. “Fai il lavoro più bello del mondo!” – mi diceva, mentre ci dissetavamo con un fresco succo di frutta. Così è nata la nostra amicizia a distanza; correva l’anno 1973. Difficilmente toccavamo temi letterari o squisitamente artistici; il nostro soffermarci riguardava in particolare temi di attualità sociale e politica e, non so come facesse, ma stava ad ascoltarmi per ore, sembravamo amici di vecchia data e il tempo in sua compagnia pareva fermarsi. Poi, una fredda notte di novembre me lo hanno ammazzato, maledetti!

Dal tuo originale verseggiare emerge una profonda sensibilità. È palpabile, strofa dopo strofa, un grido di denuncia nei confronti degli aspetti più tossici e scuri della politica e del potere, tanto per citare alcuni fra i temi a te più cari. Affronti con umanità le più svariate tematiche sociali e il tuo atto di denuncia si trasforma naturalmente in un grido corale, che in modo dinamico diviene comune sentire. Ma tu sei anche scrittore di fiabe, attore, sceneggiatore e tanto altro ancora. Nel tuo vasto repertorio, qual è l'opera che ha letteralmente catturato il tuo cuore?

Nel guardarmi indietro non riesco a separarmi da nessuna delle mie tante creature, tanto meno a privilegiarne una sulle altre, ma tu mi costringi a scegliere e io accontento te, ma non me, parlandoti di “Tana libera tutti!” In questa operina c’è tutto il ‘Franco Piol’ vagheggiato in anni di ricerche, nel tentativo vano di affannose risposte, che sempre lo hanno ricondotto ad altre domande, altrettanto difficili e dolorose. In questo romanzo atipico sono raccolti i temi basilari della mia formazione poetica: l’assenza del padre, il tema dell’abbandono, il vigore e l’energica passione di una ragazza-madre che non si è mai data per vinta, la scoperta affascinante del viaggio, la gioiosa presenza della natura, l’amore quasi primitivo per una Roma sparita, quella del primo dopoguerra. Il collegio e la sua forzata prigionia e tutti quei poveri orfanelli a straziarti l’anima…

Oltre all'impegno civile, nelle tue poesie dedichi ampio respiro al tema dell'amore nelle sue mille sfaccettature. Il ruolo salvifico di questo sentimento emerge in modo significativo per mezzo della figura materna e di quella dei bambini, entrambe estremamente ricorrenti. Un ricordo della tua infanzia?

È rimasta scolpita qui nella mia mente, per sempre, la pena che mi attanagliava, io privilegiato nell’avere ed essere protetto da mia madre, per tutti quei tanti orfani miei confratelli, abbandonati dalla crudele guerra come pacchi anonimi, senza indirizzo e a volte senza nome. Allora mi prendevo cura di loro, come può fare un bambino, enarrando loro giorno dopo giorno, favole inverosimili dove alla fine vinceva trionfante la giustizia, a riparo di tante amare sofferenze, a coprire infiniti assordanti vuoti, usando la sfrenata fantasia del racconto e il “teatrino” con le marionette e gli esotici fondali e quello costruito da me, insieme alle mie storie. In “Amori miei” l’urlo dello strazio si fa più lancinante e la dedica di fondo è riservata a tutti quei milioni di fanciulli a cui è stato negato un futuro. Bambini strappati ai loro affetti, offesi mutilati, sfruttati uccisi!

L'amore racchiude da sempre una dicotomia fra sofferenza e gioia. Secondo te, quale fra i due aspetti prevale all’interno di questa dialettica?

Io, da bravo imbroglione, vorrei far prevalere sempre l’aspetto gioioso della vita, sottolineandone nelle intenzioni il “trionfo dell’amore”. Ma non è così, quasi mai, né mi consola l’impasto che vado impiastricciando, scrivendo versi, che si intercalano tra l’una e l’altra condizione, nel tentativo di marcare una linea di confine che finga di separarle e questa illusione è ciò che io chiamo “poetesia”, senza un briciolo di onestà morale.

In tempi come quelli che stiamo vivendo, sostanzialmente qual è il ruolo della poesia, intesa come la rivelazione più recondita dell’essenza delle cose?

Quello comunque di esistere, seppur inascoltata, vilipesa, negata e poi il mio motto è resistere, resistere sempre! Tu ne sei un valido esempio.

Ti ringrazio Franco per il complimento, che funge anche da incoraggiamento. Prima di congedarci ti chiedo se stai lavorando su qualche progetto letterario…

Ho appena terminato la stesura del mio ultimo libro da consegnare nella sua forma definitiva alle stampe: “Storie dell’altrove” (10 racconti forse che sì, forse che no). La pubblicazione per maggio? Covid, o peggio, orrori di echi di guerra permettendo.

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