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La verifica dello stato di attuazione del Piano e delle proposte normative finalizzate alla sua revisione al centro della prima riunione della Cabina di Regia PNRR di questa mattina nella Sala Verde di Palazzo Chigi, presieduta dal Ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, alla presenza del vice-presidente del Consiglio Matteo Salvini,  dei Ministri della Salute Orazio Schillaci  e dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, e dei rappresentanti degli altri ministeri, con la partecipazione attiva delle Organizzazioni sindacali presenti al tavolo, Cgil, Cisl, Ugl, Confsal, Cisal e Usb.

La Cabina di regia ha effettuato la verifica dello stato di attuazione del Piano e delle proposte normative finalizzate alla sua revisione, approvata dalla Commissione europea lo scorso 24 novembre, con l’introduzione di sette importanti riforme, il potenziamento di diverse misure e il nuovo capitolo REPower EU, che, insieme all’implementazione di diversi investimenti previsti nel Piano, risulterà strategico per la crescita economica del Paese e per raggiungere strutturalmente gli obiettivi di competitività, sicurezza energetica e sostenibilità ambientale.

Nel corso della riunione il Ministro Fitto ha condiviso le informazioni in merito al prossimo saldo della quarta rata e alle interlocuzioni in corso per la verifica del conseguimento dei cinquantadue obiettivi connessi alla quinta rata, propedeutica alla presentazione della richiesta di pagamento entro il 31 dicembre.

“Con la revisione del Piano – ha comunicato il Ministro Fitto alle Organizzazioni sindacali – è stato portato a compimento un lavoro specifico per la messa a terra di tutte le misure programmate, che ha portato alla ridefinizione di 145 obiettivi strategici e ad una puntuale rimodulazione delle milestone e dei target, dalla quinta alla decima rata. Con il nuovo PNRR, insieme alla nuova missione REPower EU e all’introduzione di sette importanti riforme, in costruttiva collaborazione con la Commissione europea, sono stati riprogrammati oltre 21 miliardi di euro, con oltre 12 miliardi per incentivare gli investimenti delle imprese, 5 miliardi per nuove infrastrutture e per il potenziamento delle reti, circa 1,4 miliardi per contrastare la povertà energetica e per l’efficientamento energetico dei grandi condomini, 618 milioni per l’implementazione di misure rivolte ai giovani e 750 milioni per rafforzare l’assistenza domiciliare integrata”.

“Il governo ha idea di mettere in campo un provvedimento legislativo per attuare tutto questo. Quindi ascoltiamo i vostri suggerimenti da inserire nel testo di legge per dare rapida attuazione agli obiettivi previsti. Con l’intento di implementare le norme a supporto della semplificazione. L’iter proseguirà fino all’adozione finale del nuovo Pnrr nel prossimo Consiglio”, ha concluso il Ministro.

Intanto il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato la posizione italiana sulla riforma del Patto di Stabilità nell'audizione di ieri alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. «La fissazione di un ritmo di riduzione minima del debito e di un obiettivo massimo di deficit - ha aggiunto - deve, per così dire, salvaguardare la prudente gestione del quadro di finanza pubblica nazionale, ma non dovrebbe trasformarsi in ulteriori stringenti regole che limitino in maniera eccessiva le politiche di bilancio dei Paesi europei».
«Il governo è disposto a ricercare una soluzione, ma la stessa non deve tradursi in un sistema eccessivamente complesso e potenzialmente contraddittorio» ha spiegato il Ministro dell'Economia.

Il messaggio è molto chiaro: l'Italia è favorevole a una riforma del Patto che contempli una riduzione del disavanzo e dell'indebitamento, ma non quella proposta dalla Germania. «La posizione negoziale che stiamo tenendo è di disponibilità all'introduzione di salvaguardie sul debito e sul deficit, ma solo a condizione che esse non siano troppo stringenti» in quanto «potrebbero riproporre, se non addirittura complicare, uno schema che ha mostrato limiti e che le stesse istituzioni europee hanno dichiarato di voler superare». Se non si va verso modifiche più soft, tornerà il vecchio Patto con buona pace di tutti i partner europei.

Insomma, chiedere di ridurre il debito/Pil dell'1% annuo per 7 anni e, contestualmente, riportare il deficit/Pil al 3% correggendolo dello 0,5% l'anno per poi abbassarlo all'1,5% non è fattibile. Il pressing tedesco per il ritorno all'austerity, portato avanti dal ministro delle Finanze, Christian Lindner, sta indispettendo non solo l'Italia, ma non pochi partner, inclusa la Francia che inizialmente si era avvicinata alle posizioni di Berlino e ora ha bisogno di spendere.

Ecco perché Giorgetti ha sottolineato che la «condizione imprescindibile» è un «sufficiente spazio agli investimenti per la transizione digitale ed ecologica» nella nuova governance economica e che, soprattutto, «il primo ciclo di applicazione delle nuove regole consenta a Paesi quali l'Italia, che hanno concordato ambiziosi Pnrr, di poter accedere all'estensione del periodo di aggiustamento a sette anni». Tutto questo, ha precisato, «senza l'imposizione di ulteriori condizionalità, ma solamente in base all'impegno dello Stato membro a continuare lo sforzo di riforma». 

L'Italia, ha proseguito il ministro dell'Economia, «intende ridurre il debito in maniera realistica, graduale e sostenibile nel tempo, in un assetto che protegga e incentivi gli investimenti». In un simile contesto «le regole fiscali e di bilancio non sono il fine ma il mezzo», ha concluso perché «l'Europa non può immaginare di essere competitiva senza investimenti». Insomma, non si può imputare al governo Meloni di voler perseguire politiche economiche allegre perché, ha sottolineato Giorgetti, «ridurre l'elevato debito pubblico e i disavanzi eccessivi è un obiettivo ed è nell'interesse generale del Paese». Meno debito, infatti, significa meno spesa per interessi e anche tassi più bassi per i Btp.

La traballante maggioranza che sostiene il cancelliere Olaf Scholz, dopo che la Corte costituzionale di Karlsrühe ha bocciato 770 miliardi di fondi speciali, deve far finta di essere rigorosa anche con gli altri Paesi europei per non perdere credibilità. Con un piccolo particolare: agli altri cittadini europei interessa poco ciò che accade in Germania.

 

Fonte Palazzo Chigi Comunicazione / il Giornale / varie agenzie

 

La tregua di quattro giorni tra Israele e Hamas è cominciata alle 6 di mattina italiane di venerdì 24 novembre. La prima interruzione dei combattimenti arriva dopo un mese di invasione e circa due mesi di bombardamenti ininterrotti contro la Striscia di Gaza, a seguito degli attacchi di Hamas in Israele dello scorso 7 ottobre. Oltre a consentire l’accesso di aiuti umanitari per i civili palestinesi, ci sarà anche uno scambio di prigionieri e ostaggi.

Un cessate il fuoco di almeno quattro giorni tra Israele e Hamas è entrato in vigore a Gaza. Lo ha reso noto la radio militare. Nel pomeriggio è attesa la liberazione di 13 ostaggi israeliani, per lo più donne e bambini. In seguito torneranno in libertà anche una trentina di donne e di minori palestinesi detenuti in Israele. La sospensione temporanea delle ostilità dovrebbe riguardare anche il confine settentrionale di Israele, dopo ripetuti scontri a fuoco tra l'esercito e gli Hezbollah libanesi.

I negoziati che hanno portato a una tregua di quattro giorni nei combattimenti tra Israele e il gruppo armato palestinese Hamas erano cominciati già a pochi giorni dall’inizio della guerra, circa una settimana dopo il feroce attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre. Ci è voluto però un mese e mezzo e lo sforzo diplomatico di diversi paesi per soddisfare le richieste di entrambe le parti e arrivare infine a un accordo, che tuttora è comunque descritto come fragile e a rischio di saltare in ogni momento se qualcosa non dovesse andare secondo i piani.

Per portare avanti le trattative nella massima segretezza le discussioni hanno dovuto coinvolgere solo poche persone. A Doha, in Qatar, è stato creato un gruppo di lavoro molto ristretto per coordinare le discussioni (una “cellula” speciale per la negoziazione degli ostaggi, come è stata definita), composto da funzionari statunitensi, qatarioti ed egiziani, oltre che israeliani. La “cellula” di Doha serviva a stabilire una via di comunicazione diretta con i funzionari di Hamas. Il Wall Street Journal ha definito le trattative «uno dei negoziati sugli ostaggi più complicati della storia moderna».

L’accordo è stato confermato ufficialmente mercoledì. Se reggerà, dovrebbe portare a partire da venerdì pomeriggio alla liberazione di 50 ostaggi rapiti in Israele il 7 ottobre da Hamas e di 150 prigionieri palestinesi detenuti in Israele, oltre all’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, che Israele bombarda dal 7 ottobre e che ha invaso militarmente. Intorno a questi punti fermi però ci sono moltissimi dettagli sulle modalità e sulle condizioni per realizzare la tregua che hanno reso necessarie discussioni fino all’ultimo, facendo persino ritardare di un giorno l’inizio dell’accordo quando era già stato annunciato (da giovedì a venerdì). Lo svolgimento dei combattimenti ha influito moltissimo sulle difficoltà dei negoziati, che si sono interrotti più volte.

Alcuni giornali internazionali, tra cui il Wall Street Journal e Associated Press, hanno parlato con diversi funzionari dei vari paesi coinvolti nelle discussioni per ricostruire come si sia arrivati all’accordo e quali siano stati i problemi più difficili da superare.

La parte più difficile dei negoziati era dover mettere d’accordo due parti profondamente nemiche e agguerrite come Israele e Hamas, che al momento non hanno alcun canale di comunicazione diretto. Gran parte di questo compito era affidato alla presenza tra i negoziatori del Qatar, un paese che ha solidi rapporti con entrambi e che era già stato decisivo in passato in mediazioni di questo genere.

Semplificando molto, la divisione degli sforzi diplomatici all’interno della “cellula” di Doha funzionava più o meno così: i funzionari del Qatar dovevano fare pressione sui leader politici di Hamas, la maggior parte dei quali vive proprio in Qatar col benestare dello stato; gli Stati Uniti dovevano fare pressione su Israele, loro storico alleato a cui forniscono grandi aiuti economici; l’Egitto invece doveva mantenere una linea di comunicazione con i leader di Hamas dentro la Striscia di Gaza, di cui si è guadagnato la fiducia in precedenti negoziazioni durante altre guerre con Israele. In particolare l’Egitto doveva parlare con Yahya Sinwar, il leader di Hamas nella Striscia che nel 2011 fu coinvolto in prima persona in un grande scambio di prigionieri, quando Israele liberò più di mille palestinesi per ottenere il rilascio di un singolo soldato israeliano detenuto da Hamas, Gilad Shalit.

Il Servizio Penitenziario israeliano ha ricevuto la lista dei 39 detenuti palestinesi che saranno rilasciati oggi nell'ambito dello scambio con 13 ostaggi israeliani portati da Hamas a Gaza. Lo hanno riferito i media. Il Servizio ha iniziato a esaminare i 39 detenuti minorenni e donne e che saranno trasferiti nella prigione di Ofer in Cisgiordania poco prima di mezzogiorno, prima del loro rilascio in Cisgiordania o a Gerusalemme est.

Duecento camion carichi di cibo, medicine e acqua per la Striscia di Gaza e cisterne di carburante dovrebbero entrare oggi dal valico di Rafah - fa sapere l'ufficio stampa del governo egiziano - ma finora solo 12 hanno varcato il confine, secondo quanto riferito da fonti della Mezzaluna rossa egiziana nel Nord Sinai. Hanno oltrepassato il confine anche tre autocisterne, che trasportano circa 90mila litri di carburante. Si prevede che oggi ne entreranno tra i 120mila e i 150mila litri. Sono stati intanto accolti 12 feriti e i loro accompagnatori

L'esercito israeliano ha avvertito le masse di palestinesi sfollati nel sud della striscia di Gaza di astenersi dal cercare di tornare nella zona nord, malgrado l'inizio di alcuni giorni di cessate il fuoco. ''La guerra non e' ancora terminata - ha affermato in arabo il portavoce militare Avichay Adraee - la pausa umanitaria e' temporanea. La zona nord resta un'area di guerra. E' molto pericolosa, non andate verso nord. Resta permesso invece il transito da nord verso sud, sulla arteria Sallah a-Din. Gli spostamenti verso nord sono vietati e pericolosi''.

 "Funzionari palestinesi" hanno detto agli sfollati palestinesi nel sud della Striscia che possono tornare nelle loro case al nord. Lo ha riferito Times of Israel aggiungendo che per questo l'esercito israeliano (Idf) ha lanciato volantini su Gaza avvertendo i residenti di non tornare al nord che, anche in con la tregua, resta ancora zona di guerra. Una delle condizioni dell'accordo raggiunto tra le parti - hanno ricordato i media - stabilisce che per tutti i giorni di tregua, la popolazione sfollata resti al sud.

Gli Hezbollah libanesi assicurano di voler rispettare la tregua di quattro giorni, entrata in vigore stamani, senza sparare contro le postazioni militari israeliane dal sud del Libano. Parlando al quotidiano libanese L'Orient-Le Jour, una fonte di Hezbollah ha affermato: "Ci adeguiamo alla tregua decretata a Gaza a condizione che Israele non attacchi il sud del Libano. Se lo dovesse fare, non rimarremo certo con le mani in mano".

 Dopo quasi 50 giorni di guerra tra Hezbollah e Israele, una calma tesa regna nel sud del Libano a ridosso della linea di demarcazione tra i due Paesi. Lo riferiscono all'ANSA testimoni oculari a conferma di quanto riportato da media locali libanesi.

 Nelle ultime 24 ore si era registrata un'escalation senza precedenti lungo il fronte di guerra tra Hezbollah e Israele con decine di razzi sparati dal Partito di Dio contro postazioni militari israeliane in Alta Galilea e con le intense repliche dell'aviazione e dell'artiglieria israeliane sul sud del Libano.

L'Egitto non consentirà lo sfollamento forzato". Lo ha ribadito il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi in una conferenza stampa con i primi ministri spagnolo Pedro Sánchez e belga Alexander De Croo.

"In Egitto abbiamo accolto nove milioni di persone, ma ciò è avvenuto in circostanze diverse rispetto alla Striscia di Gaza.
Avevano problemi di sicurezza nei loro Paesi, come Siria, Libia, Yemen, Iraq o Sudan. Ma la situazione nella Striscia è totalmente diversa, ha continuato Al-Sisi.

"Non permetteremo né accetteremo lo spostamento forzato o la liquidazione della causa palestinese", ha insistito. "Dobbiamo agire diversamente: far riconoscere lo Stato palestinese da parte della comunità internazionale e dalle Nazioni Unite. Al momento - ha aggiunto - si tratta di contenere l'escalation e fornire assistenza. L'Egitto ha fornito quasi il 70-75% degli aiuti nonostante le sue condizioni economiche, ma la comunità internazionale deve fornire aiuti sufficienti per 2,3 milioni di persone" .

Il Regno Unito fornirà ulteriori 30 milioni di sterline in aiuti umanitari a Gaza: lo ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico David Cameron in visita oggi nei territori palestinesi, citato dal Guardian. Oggi Cameron incontrerà i leader palestinesi e le agenzie umanitarie. "Ci auguriamo che oggi avvenga il rilascio degli ostaggi e invito tutte le parti a continuare a lavorare per il rilascio di ogni ostaggio. La pausa consentirà anche l'accesso agli aiuti salvavita per la popolazione di Gaza", ha dichiarato, "il nuovo impegno raddoppierà l'importo degli aiuti aggiuntivi che la Gran Bretagna ha impegnato per Gaza".

Fonti : il Mattino / Post / Ansa / e varie agenzie

 

 

Per la prima volta dall'inizio della guerra in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin parteciperà, anche se da remoto, a un vertice del G20. Mercoledì, a otto giorni dalla fine della presidenza indiana, si terrà un summit online a livello di capi di Stato e di governo, convocato dal premier Narendra Modi.

In agenda c’è certamente il tentativo di avvicinarsi a un compromesso sul nuovo Patto di Stabilità, sul quale per ora le distanze fra Roma e Berlino sono marcate. C’è una ricognizione sul conflitto fra Israele e Hamas, sul quale i due governi hanno già coordinato le loro posizioni, e infine una anche sulla guerra in Ucraina. Scholz è l’unico leader europeo che può riprendere un dialogo con Putin, e si è già dichiarato disponibile. Quella che i diplomatici chiamano way out, una soluzione onorevole per entrambe le parti della guerra, farà parte del faccia a faccia lontano dalle delegazioni.

Si tratta di un cambiamento importante la strategia di Putin, il quale non aveva preso parte ai due vertici precedenti delle venti economie più importanti del pianeta, né a quello che si era tenuto in Indonesia, l'anno scorso, né a quello di due mesi fa, in presenza, a Nuova Delhi.

Secondo quanto apprende l'Adnkronos da fonti Ue, i leader europei che fanno parte del G20 "hanno deciso di comune accordo di non modificare i piani per la loro partecipazione al vertice" nonostante la presenza di Putin, che a marzo è stato colpito da un mandato di arresto della Corte penale internazionale dell'Aja.

Si tratterebbe del primo contatto diretto, seppure a distanza, tra il presidente russo - che non aveva partecipato neanche online né al G20 in Indonesia l'anno scorso né a quello a Nuova Delhi a settembre - ed alcuni leader europei. Del gruppo fanno parte Italia, Germania, Francia oltre all'Ue, rappresentata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La premier italiana Giorgia Meloni parteciperà da remoto da Berlino, dove sarà per il vertice intergovernativo con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Cosi qualcosa si stia muovendo in tal senso non è un mistero, gli esperti legano il loro cauto ottimismo alle elezioni americane del prossimo anno, che costringeranno i due sfidanti - Biden e Trump, o chiunque Democratici e Repubblicani infine candideranno -, a dire già in campagna elettorale una cosa definitiva e possibilmente risolutiva sull'argomento,e  sta permettendo la discesa in campo della diplomazia, e l'appuntamento di domani è un primo concreto segnale di un possibile dialogo.

Per Giorgia Meloni sarà una giornata doppiamente speciale. Per un casuale incastro di date, oltre all’onore di concludere un accordo intergovernativo molto importante, parteciperà da Berlino alla conference call conclusiva del G20 a presidenza indiana: lo farà dallo studio del Cancelliere Scholz, che la ospiterà per l’occasione, un evento che rischia di oscurare il Piano d’azione stesso. Alla riunione a distanza infatti parteciperanno sia Vladimir Putin che Xi Jinping, e non è detto che all’ultimo momento non decida di essere presente anche Joe Biden. Inutile descrivere le implicazioni che un confronto di questo tipo, che durerà almeno un’ora, potrà sprigionare, a cominciare dal conflitto tra Kiev e Mosca.

Mezzo governo tedesco e mezzo governo italiano. Per siglare un patto fra i due esecutivi che è valso più di un anno di negoziati e che completa un triangolo di relazioni speciali europee che si muove fra tre Capitali: Parigi, Berlino e Roma. Il Piano d’azione che verrà firmato dopodomani nei saloni della Cancelleria porterà il livello della cooperazione fra Italia e Germania a un livello molto più alto, in tutti i principali settori sensibili, dall’industria all’energia, dalla difesa alle consultazioni sulle politiche europee. E chiuderà un ciclo di rapporti strategici già esistenti, con il recente Trattato del Quirinale tra Italia e Francia e il più consolidato Trattato di Aquisgrana tra Germania e Francia.

 Il leader russo, che parteciperà al G20 di Roma in collegamento video, è giunto al suo quarto mandato presidenziale. Ex agente sovietico, è diventato prima premier e poi presidente della Federazione russa. Secondo molti osservatori, la sua ascesa è accompagnata da un graduale processo di arretramento democratico

Vladimir Putin nasce a San Pietroburgo il 7 ottobre 1952. Con la sua famiglia vive all'interno di una kommunalka, le abitazioni di epoca comunista con servizi condivisi con altri nuclei familiari. Due fratelli, uno morto nei primi anni di età e l'altro di malattia, per le conseguenze dell'assedio di Leningrado della Seconda guerra mondiale. Nonostante le condizioni poco agiate della famiglia, con la madre impiegata come operaia e il padre ex sommergibilista dell'esercito, Putin riesce comunque ad intraprendere gli studi nella sua città natale.

Nel 1975 arriva una laurea in diritto internazionale a Leningrado. La svolta arriva subito dopo. Putin infatti in quello stesso anno si arruola nel Kgb, il potente servizio segreto dell'Unione Sovietica. Per i primi dieci anni Putin opera in Russia. Nel 1983, si sposa con Ljudmila Škrebneva, e hanno due figlie: Marija, nata nel 1985, ed Ekaterina, nel 1986. Nel 1985 Putin è inviato a Dresda, nell'allora Germania Est. Qui lavora in stretta collaborazione con la Stasi, il servizio segreto della Repubblica democratica tedesca. Putin rimane in Germania per cinque anni. Si tratta di un periodo delicato, con la caduta del muro di Berlino del 1989 e il crollo dei sistemi comunisti dell'Est Europa. Nel 1990 viene richiamato dal Kgb in patria, mentre l'Urss si avvia verso il declino.

 

Fonti varie agenzie di stampa 

 

 

Accolgo con grande sollievo  l'accordo per garantire il rilascio degli ostaggi presi da Hamas durante il cruento assalto contro Israele del 7 ottobre. Un accordo che permetterà anche una pausa umanitaria quanto mai necessaria a Gaza. Continueremo a lavorare per il rilascio di tutti gli ostaggi e per una pace duratura in Medio Oriente. Oggi pensiamo alle famiglie che potranno finalmente riabbracciare i propri cari. Ha dichiarato il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni

''Secondo il piano concordato il processo del rilascio dei primi ostaggi deve iniziare già domani'': lo ha detto alla radio militare il ministro degli esteri Eli Cohen. ''Noi non precisiamo l'ora specifica''.

In risposta ad una domanda, Cohen ha precisato che Israele non si è impegnato ad un ''cessate il fuoco'', bensì ad ''una pausa di 4 giorni''. ''Il significato del 'cessate il fuoco' è che dopo il fuoco non c'è una sua ripresa. Noi parliamo invece di una pausa, in cui scopo è la liberazione di ostaggi. Sono due concetti del tutto diversi. La differenza è enorme''

Il rappresentante di Hamas, Moussa Abu Marzouk, ha dichiarato in un'intervista ad Al Jazeera che la tregua temporanea concordata tra il gruppo terroristico palestinese e Israele entrerà in vigore domani alle 10.00. L'annuncio arriva dopo che Israele ha raggiunto un accordo con Hamas per una sospensione di quattro giorni dei combattimenti e il rilascio di almeno 50 dei circa 240 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre, in cambio del rilascio di 150 minorenni e donne palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Le famiglie degli israeliani tenuti in ostaggio a Gaza vivono oggi una giornata di grande tensione in attesa che Hamas, entro stasera, informi Israele dell'identità di quanti (almeno 10) saranno liberati domani, nel contesto degli accordi relativi al cessate il fuoco. Nell'ambito dell'accordo, come riporta Ynet, Israele ha già indicato ad Hamas una lista dei circa 100 nomi di ostaggi israeliani.

"Lo scambio di ostaggi tra Israele e Hamas avrà luogo oggi o domani", secondo quanto annunciato dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, di rientro da una visita in Algeria. "È dovere di tutti, Turchia inclusa, lavorare per la liberazione di civili innocenti. Non credo che Hamas abbia maltrattato gli ostaggi nelle proprie mani", ha detto il presidente turco.

L'accordo è stato approvato nella notte dal governo israeliano. All'inizio della riunione di governo, tenutasi dopo le riunioni separate dei gabinetti di guerra e di sicurezza, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato: "Non fermeremo la guerra dopo il cessate il fuoco", lo riferisce Haaretz. Anche il ministro Benny Gantz è intervenuto all'apertura della riunione, affermando che lo schema di accordo "è difficile e doloroso dal punto di vista umano, ma è l'accordo giusto".

Secondo Haaretz, l’accordo tra Israele e Hamas prevederebbe il rilascio di 30 bambini, 8 madri e altre 12 donne prese in ostaggio dai terroristi durante l’attacco del 7 ottobre in cambio di 150 prigionieri palestinesi. Si tratterebbe di uno scambio di donne e bambini, secondo i media israeliani, e non comprende detenuti per omicidio. Ma il governo si presenta diviso di fronte all'ipotesi, infatti i ministri di estrema destra Ben-Gvir e Smotrich si oppongono all'accordo sugli ostaggi, il ministro Sa'ar è indeciso; il leader dello Shas dice che il partito ultraortodosso voterà a favore.

Nella lista che Israele ha pubblicato con i 300 nomi di donne e di minorenni palestinesi fra cui saranno scelti quanti saranno liberati (150, nella prima fase) in cambio degli ostaggi figurano, secondo la radio pubblica Kan, sostenitori e sostenitrici di Hamas, al-Fatah, Fronte popolare e Jihad islamica. Dopo la liberazione potranno rientrare nelle loro abitazioni, in Cisgiordania o a Gerusalemme est.

Fra i nomi che hanno destato l'attenzione della stampa quelli di Asraa Jabas (38 anni), condannata a 11 anni di detenzione per aver fatto esplodere una bombola di gas ad un posto di blocco di Gerusalemme; Hanan Barghuti (59 anni), una ''fiancheggiatrice di terrorismo'' che risulta avere problemi medici; e Atef Jaradat (50 anni), la madre di un attentatore palestinese responsabile di un omicidio che nascose l'arma del delitto. Il detenuto più giovane incluso nella lista ha 14 anni.

Sei ospedali in Israele sono pronti a ricevere gli ostaggi che saranno rilasciati nell'ambito dell'accordo sugli ostaggi, lo scrive Haaretz. Hanno allestito apposite aree per riceverli, separate dagli altri pazienti e dai media. In accordo con il Ministero della Salute, le strutture coinvolte sarebbero il Centro medico Sheba di Tel Hashomer, il Centro medico Shamir, gli ospedali Wolfson, Soroka e Ichilov e il Centro medico pediatrico Schneider.

Fonti di Hezbollah hanno detto ad Al Jazeera che pur non avendo partecipato ai negoziati per la tregua tra Israele e Hamas si uniranno "alla cessazione dei combattimenti

La situazione nella Striscia di Gaza è andata ormai "oltre il limite della criticità". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin. "Dobbiamo aiutare le persone nella Striscia di Gaza che soffrono a causa degli eventi attuali, questo è il nostro sacro dovere", ha aggiunto Putin durante una riunione con membri del governo. 

Fonte varie agenzie e Palazzo Chigi


 

Il 22 novembre ricorreranno i 60 anni dall'omicidio Kennedy: i proiettili che quel giorno assassinarono a Dallas il 35º presidente degli Stati Uniti d'America colpirono al cuore la sua nazione e sconvolsero il mondo intero

John Kennedy fu assassinato mentre attraversava, con la sua limousine presidenziale, una piazza gremita di sostenitori entusiasti. Una folla di gente accalcata a ridosso delle staccionate, accorsa per applaudire la coppia più glamour del tempo: il bel Presidente e la sua iconica consorte, Jacqueline Kennedy. Seduta al suo fianco, sui sedili posteriori della decappottabile, stretta in un elegante tailleur, Jackie è la prima a gettarsi sul marito per tentare di rianimarlo dopo un primo sparo di fucile lo colpisce in testa.

Le raccapriccianti immagini di quella morte violenta hanno marcato la memoria di intere generazioni. La televisione in Europa stava muovendo i primi passi e la radiocronaca dell'attentato (la sfilata presidenziale negli Stati Uniti era stata trasmessa in diretta) arrivò come un fulmine a ciel sereno, lasciando l'Occidente ammutolito e spaventato. Erano anche gli anni della guerra fredda e del confronto serrato con l'Urss. L'Occidente si sentì perso, mentre l'America era in balia degli eventi, alle prese con un sogno che stava andando in frantumi.

Lee Harvey Oswald, attivista castrista ed ex marine, fu arrestato di lì a poco, con l'accusa di esser l'unico esecutore materiale dell'attentato. Fu questa la conclusione della famosa commissione d'inchiesta (1963-194) voluta dal nuovo Presidente, Lyndon B. Johnson. Commissione che ebbe ben pochi elementi su cui lavorare visto che anche Harvey Oswald, poco dopo aver sparato i colpi mortali fu a sua volta freddato da un sicario prima di andare a processo.

Da quel momento fino ai giorni nostri si sono inseguite le teorie più disparate sul mandante dell'attentato. A distanza di inchieste, libri-verità, interviste, documentari, film kolossal e rivelazioni shock, la morte di JFK resta avvolta nel mistero, schiacciata fra legittimi dubbi e improbabili teoremi complottisti. Basti dire che anche pochi mesi fa, lo scorso settembre, è uscita in libreria l'ennesima biografia clamorosa - "The Final Witness" - a firma di un ex agente dei servizi segreti  che mette in dubbio, con nuovi elementi, la teoria del proiettile unico e del coinvolgimento di un unico uomo armato.

Lo stesso Walter Veltroni, da sempre grande ammiratore e studioso dei Kennedy, è tornato a esprimersi sull’assassinio di JFK presentando il suo ultimo libro ("I fratelli che volevano cambiare il mondo. La storia di John e Bob Kennedy", Feltrinelli, 2023). “Un filmato - ha affermato - dimostra che non fu colpito solo da dietro ma anche da davanti (...) Chi è stato tra i petrolieri del Texas, la mafia, gli esuli cubani e la Cia? Non lo so e non lo sapremo mai. Lui aveva rotto le scatole a un sacco di gente”.

Di Kennedy anche le nuove generazioni - quelle che lo studiano sui libri di storia - ricordano soprattutto la celebre frase del suo discorso d’insediamento (1961): "Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese".

Anche se breve, la presidenza di JF Kennedy fu segnata da diversi eventi significativi della Storia moderna, come la guerra fredda, lo sbarco nella Baia dei Porci, la Crisi dei missili di Cuba, la costruzione del Muro di Berlino, la corsa allo spazio, gli antefatti della Guerra del Vietnam e l'affermarsi del Movimento per i diritti civili degli afroamericani.
Il suo posizionamento politico a tali fatti attirò sicuramente su di lui gli occhi di molti.

Fonte Agi e varie agenzie

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