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Covid, Istat: la speranza di vita cala di 1,2 anni

Nel 2020, la diffusione della pandemia da Covid-19 e il forte aumento del rischio di mortalità che ne è derivato ha interrotto bruscamente la crescita della speranza di vita alla nascita che aveva caratterizzato il trend fino al 2019, facendo registrare, rispetto all'anno precedente, una contrazione pari a 1,2 anni. Nel 2020, l'indicatore si attesta a 82 anni (79,7 anni per gli uomini e 84,4 per le donne).

Nel 2020 - mette in evidenza l'Istat nel report -, la diffusione della pandemia da Covid-19 e il forte aumento del rischio di mortalità che ne è derivato ha interrotto bruscamente la crescita della speranza di vita alla nascita che aveva caratterizzato il trend fino al 2019, facendo registrare, rispetto all'anno precedente, una contrazione pari a 1,2 anni.

È quanto emerge dall'aggiornamento annuale del sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile dei territori diffuso dall'Istat. A livello provinciale - rileva l'Istat - la speranza di vita si riduce nelle aree del Paese a più alta diffusione del virus durante la fase iniziale della pandemia.

Un 2020, anno della pandemia Coronavirus, che ha visto un calo della speranza di vita di 1,2 anni, con Bergamo, Cremona e Lodi a registrare un a contrazione per gli uomini di 4,3 e 4,5 anni .

Sul fronte del lavoro, dopo alcuni anni in diminuzione i giovani “Neet” ( “Neither in Employment nor in Education or Training”, ovvero i giovani che non lavorano e non studiano) sono aumentati raggiungendo il 23,3%. La distribuzione tra le province mostra una divaricazione tra l'area del Nord-est e la Sicilia, dove la quota tocca il 40% a Messina, Catania e Caltanissetta. Tuttavia, la provincia con il valore più alto del tasso è, anche nel 2020, quella di Crotone (48%), che marca una distanza notevole da Pordenone (10,7%), Ferrara (11,1%) e Sondrio (11,9%), le province più virtuose. Dal punto di vista del benessere economico, infine, continua a diminuire i l tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti bancari, anche grazie alla propensione al risparmio delle famiglie italiane.

Tra queste, le province di Bergamo, Cremona e Lodi dove per gli uomini si è ridotta rispettivamente di 4,3 e 4,5 anni, seguite dalla provincia di Piacenza (-3,8 anni). Negli stessi territori sono ingenti anche le variazioni riscontrate tra le donne: -3,2 anni per Bergamo, -2,9 anni per Cremona e Lodi e - 2,8 anni per Piacenza.

"Riteniamo che questa riduzione sia dovuta a questo anno e mezzo di Covid e lavoriamo perché aumenti nuovamente l'aspettativa di vita su tutta la regione". E' il commento del vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti.

Invece, riduzioni meno marcate si osservano a Brescia (-2,5 anni), Pavia (-2,4), Vercelli (-2,3 anni), Lecco e Parma (-2,2 anni) e, nel Mezzogiorno, nelle province di Foggia (-1,7) ed Enna (-1,5 anni). Siena è invece l'unica provincia italiana a non aver subito peggioramenti (83,7 anni sia nel 2019 che nel 2020).

“L’indicatore di mortalità evitabile – afferma l'Istituto –  si riferisce ai decessi delle persone sotto i 75 anni di età che potrebbero essere significativamente ridotti grazie a interventi per migliorare adeguatezza e accessibilità dell'assistenza sanitaria e grazie alla diffusione nella popolazione di stili di vita più salutari e alla riduzione di fattori di rischio ambientali. Nel 2018, in Italia il tasso standardizzato di mortalità evitabile è pari a 17 decessi per 10mila residenti, con valori molto più elevati tra gli uomini (22,5 per 10mila abitanti contro 11,9 delle donne). L'indicatore registra una forte riduzione nel tempo (23,4 per 10 mila nel 2005), grazie alla diminuzione della mortalità per alcune delle cause principali, come il tumore al polmone e le cardiopatie ischemiche, osservata specialmente tra gli uomini, con una conseguente riduzione del gap di genere.

Il ranking per aree provinciali vede nel 2018 Trento, Treviso, Firenze, Forlì-Cesena e Ancona con i valori meno elevati di mortalità evitabile (fino a 14,2 decessi evitabili per 10mila residenti). A eccezione di Firenze e Ancona, che anche nel 2005 si segnalavano tra le prime 5 province per tasso di mortalità evitabile meno elevato, per gli altri territori citati si è osservato nel tempo un forte miglioramento e un recupero per quanto riguarda Trento e Treviso rispettivamente di 27 e 18 posizioni. All'opposto, i valori più elevati di mortalità evitabile si registrano a Enna (19,9 decessi evitabili per 10mila residenti), Siracusa (20,9), Caltanissetta (21,7), Napoli (22,2), e Caserta (22,4), che non mostrano alcun miglioramento nel tempo. Sono le aree che potrebbero dunque giovare maggiormente dei risultati di interventi più efficaci in termini di prevenzione primaria e secondaria.

L'emergenza sanitaria seguita alla pandemia ha avuto ripercussioni rilevanti sul mercato del lavoro, in particolare sulle componenti più vulnerabili (giovani, donne e stranieri) che già partivano da condizioni occupazionali più difficili. Il tasso di occupazione della popolazione in età compresa tra 20 e 64 anni in media Italia è sceso al 62,6% (era 63,5% nel 2019). Nonostante il calo abbia riguardato maggiormente il Nord del Paese, più colpito nella prima ondata pandemica del 2020, lo svantaggio del Mezzogiorno rimane elevatissimo, con un tasso di occupazione del 48%, rispetto al 71,5% del Nord e al 67,4% del Centro. I cali di occupazione più ingenti si osservano sia per alcune province del Mezzogiorno, come Sassari, dove il tasso di occupazione per le persone di 20-64 anni passa da 59,7% del 2019 a 53,6% (-6,1 punti percentuali), Vibo Valentia (-4,5 p.p.) e Siracusa (-4,1 p.p.), sia tra le province del Nord, tra cui Cremona (-4,5 p.p.) e Vicenza (-4 p.p.). Tra le donne cali consistenti si rilevano anche nelle province di Benevento, Rovigo e Belluno. 

Nel 2020 le prime quattro province con i valori più elevati del tasso di occupazione sono nel Nord-est. La migliore in assoluto risulta Bolzano (77,2%), seguita da Bologna (76,6%), Forlì-Cesena (75,3%) e Trieste (75,1%). Quinta è Firenze (74,3%). All'opposto, tutte le province del Mezzogiorno si collocano nella coda della graduatoria nazionale. Le più penalizzate sono Crotone (35,6%) Vibo Valentia (40,0%), Caltanissetta (41,2%), Napoli (41,4%) e Foggia (42,6%).

 

Fonti Istat,varie agenzie, e sole24

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