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I fronti di guerra non dichiarata: Mediterraneo orientale e centrale

Sembra tornare la logica che prevalse dopo la seconda guerra, completamente diversa: solo la creazione di Blocchi contrapposti avrebbe potuto assicurare l’equilibrio. L'Europa era divisa, con talune nazioni attraversate da frontiere interne, fisiche come in Germania, ovvero ideologiche come in Italia.

Non è più l'Europa continentale, ora, ad essere divisa tra Est ed Ovest, in aree di contrapposte influenze: la faglia del conflitto geopolitico spacca il Mediterraneo, riproponendo le logiche della Guerra fredda e dei conflitti interni. In Siria come in Libia, in Libano come in Egitto, gli schieramenti si fronteggiano.  

La Turchia moderna aveva ereditato dall’Impero Ottomano il ruolo di guardiano dei Dardanelli, per impedire alla flotta russa, e poi a quella sovietica, l'ingresso nel Mediterraneo, negli ultimi tempi questa funzione di contenimento e di garanzia si sta affievolendo. Mosca si è inserita nella crisi filo occidentale e filo europea di Ankara e la utilizza come già faceva con il Cairo ai tempi del generale Nasser. Prima in Siria e poi in Libia, Russia e Turchia si scambiano i ruoli di tutori del regime legale e di sostegno alla opposizione, con un efficace paso doble.

I fronti di guerra non dichiarata in questo momento sono almeno due: Mediterraneo orientale e centrale. E non è semplicemente una guerra di retorica. L'uso della forza è divenuto sempre più un cardine della politica estera di tutti i Paesi che si affacciano su questo mare, con le diverse marine che si confrontano in maniera costante in quello è un vero e proprio teatro acquatico di confronto tra superpotenze e potenze di livello regionale.

Tra queste, la Turchia sottolinea inside over è probabilmente quella più importante perché coinvolta in entrambi i fronti e artefice dell’innesco delle escalation: segnale tangibile di un rinnovato desiderio turco di espandere la propria influenza anche, ma non solo, attraverso il Mediterraneo. Una crescita che non piace a molti Paesi dell'Ue e che è vista con occhi inquieti anche da altre forze del mondo mediorientale e in particolare arabo, che temono il dinamismo turco paventando una rinascita di quello che fu l'Impero ottomano. Impero di cui tutti erano parte (e sudditi) dalla Libia fino all'Iraq, dal Mar Rosso ai Balcani.  

La posizione della Grecia, che ora sta subendo le iniziative unilaterali turche di prospezione petrolifera, non sembra riportare all'indietro l'orologio della Storia ai tempi delle sollevazioni europee contro le angherie ottomane.  

Chiaramente, per realizzare l’obiettivo che Ankara si è predisposta da decenni cioè il superamento del trattato di Losanna, scrive inside over,Erdogan ha bisogno di prove di forza. In questo contesto, le navi da ricerca di idrocarburi inviate a largo di Cipro, Creta e Castelrosso altro non sono che manifestazioni concrete di quale sia lo scopo della politica del governo turco sui mari. Ma queste imbarcazioni non sono da sole: navi della marina turca hanno più volte scortato questi mezzi nelle acque sotto il controllo di Atene e Nicosia, diventando avamposti militari della politica estera di Ankara. Una scelta che ha scatenato non solo l'ira della Grecia e di Cipro, ma anche un confronto militare che, come per la Libia ma con toni anche più accesi, ha visto entrare in scena direttamente le forze navali dei Paesi coinvolti. A volte anche con episodi al limite dello scontro armato, se si pensa che si è arrivato anche allo speronamento tra una nave greca e una turca al largo dell’Egeo.  

Il conflitto latente da tempo tra Turchia e Grecia, rinfocolatosi per via delle controverse prospezioni petrolifere in un'area di propria esclusiva da parte di Atene, non è che l'ultima tessera di un mosaico che da anni va riconfigurando il ruolo geopolitico della Turchia.

È tutto un subbuglio: dal sostegno dato ai Fratelli musulmani in Egitto all'intervento militare in Siria; dalla alleanza con il Presidente libico Fayez-al-Serraj che prevede per un verso il sostegno militare e per l'altro la creazione di due aree economiche esclusive contermini che tagliano in due il Mediterraneo per diagonale al fine di impedire il passaggio delle pipeline che farebbero affluire in Europa il gas dei giacimenti già ritrovati nelle acque di fronte all'Egitto, ad Israele ed a Cipro; dalla relazione di dipendenza energetica nei confronti della Russia per via del Blue Stream alle ricerche di proprie fonti nel Mediterraneo di cui è pronta a rivendicare la titolarità anche con la minaccia armata.

Con queste iniziative eclatanti, la Turchia è tornata ad essere un problema per l'Occidente, in particolare per l’Europa. E stavolta Ankara non sembra soffrire neppure per la mancanza della storica sponda tedesca, con cui si mirava congiuntamente ad ostacolare le mire di Gran Bretagna e Francia nel Mediterraneo e nel Medio Oriente  

la recentissima decisione di restituire al museo di Santa Sofia la sua funzione di moschea,secondo Startmag dimostra l'intenzione della Turchia di utilizzare ancora una volta il fattore religioso, come già fece l'Impero Ottomano,  come fattore aggregante e soprattutto di guida geopolitica: il panislamismo mira ad agglutinare identità nazionali e razziali che tra loro non hanno altrimenti alcun altro nesso:  sostituisce dunque il panarabismo laico, anticolonialista e dunque anti occidentale per eccellenza, che si era imposto a partire dagli anni Cinquanta nell'area del Mediterraneo meridionale e nel Medio Oriente come linea di frattura degli equilibri determinati dopo la seconda guerra mondiale, rovesciando le monarchie di comodo che erano state imposte dagli ex colonizzatori.

L'opposizione francese al “velo islamico”, scrive Startmag in nome alla laicità dello Stato, aveva motivazioni interne non trascurabili, ancora irrisolte: nel lungo periodo, la convivenza con le etnie magrebine non ha portato alla integrazione bensì alla segregazione. Se la radicalizzazione religiosa rappresenta uno strumento pericolosissimo di protesta in quanto sfocia talora in atti di terrorismo, un panislamismo a guida politica da parte turca diverrebbe un nuovo collante ideologico anti occidentale.

I funzionari Ue hanno parlato chiaro: se Ankara non cessa le provocazioni sarà impossibile evitare il regime sanzionatorio che farebbe collassare l’economia anatolica. Una extrema ratio che Berlino vorrebbe evitare a ogni costo, ma dipenderà anche molto da quale partito avrò il sopravvento, se quello filo-francese  quello filo-tedesco. Intanto le flotte si muovono. E il Mediterraneo è protagonista di una guerra fredda che nessuno ha il coraggio di chiamare con il suo vero nome.

Sul fronte geopolitico,secondo Linkiesta una delle cause della crisi è l’aumento delle tensioni con gli Stati Uniti, storici alleati della Turchia durante la Guerra Fredda, in corso dal 2016, quando Washington fu accusata di aver favorito un tentato colpo di stato dell’esercito turco per porre fine alla presidenza di Recep Tayyip Erdogan.

Oggi l’oggetto della disputa è l’acquisto del sistema di difesa antiaereo russo S-400, i cui accordi risalgono al 2017, ma le sperimentazioni sono iniziate solo quest’anno.

Gli Stati Uniti hanno più volte tentato di impedire le trattative turche con Mosca, offrendo il sistema di difesa statunitense Patriot: secondo la Casa Bianca l’utilizzo di tecnologia bellica russa rischia di offrire informazioni chiave al Cremlino circa gli aerei caccia della NATO. Al rifiuto di Ankara di rinunciare agli S-400, Washington ha minacciato nuove sanzioni (dopo quelle adottate nel 2019 per l’intervento turco in Siria) sottolinea Linchiesta

L’ascesa dei rapporti economici tra Ankara e Pechino non migliora certo la situazione, soprattutto ora che la Cina ha intenzione di raddoppiare gli investimenti realizzati in Turchia tra il 2016 e il 2019, portandoli da 3 a 6 miliardi di dollari. Il timore statunitense che la Cina possa conquistare il mercato tecnologico globale è sempre maggiore e recentemente si sta considerando la possibilità di un disimpegno statunitense dal paese anatolico.

Fonti inside over, Linkiesta, Startmag

 

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